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Autore: Ivola    08/08/2015    1 recensioni
Le storie di Panem sono varie e numerose. Avete mai sentito parlare dei promessi del Distretto 6, quei due ragazzi che avrebbero fatto di tutto pur di ammazzarsi a vicenda e non sposarsi? Loro sono solo una sfocatura, come tanti altri.
Klaus e London. London e Klaus.
Un altro matrimonio combinato, le persone sbagliate, un cuore solitario, e tutto ciò che (non) può essere definito amore.

▪ VI: « Che cosa mi stai facendo? » ansimò la ragazza, tentando di aggrapparsi alle sue spalle. Era decisamente una domanda stupida, visto che era piuttosto evidente cosa il ragazzo stesse facendo. [...]
Klaus non si degnò neanche di rispondere, ben concentrato a muoversi sul suo corpo con gli occhi distanti e le labbra socchiuse. Non aveva né la voglia né la forza di ribattere, per cui la zittì con un bacio rabbioso. « Taci » le sussurrò, corrugando la fronte e mantenendo le labbra a pochi centimetri dalle sue nel caso London avesse deciso di parlare ancora.

▪ XIII: « Perché lo state- no, perché lo stai facendo? »
L’altro lo guardò bene negli occhi, con un’espressione che Klaus non seppe decifrare.
[...]
« Mert szeretlek » rispose Ben semplicemente.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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Note: Sì, eccomi, ce l'ho fatta. Sono morta di caldo, mi hanno seppellita al concerto dei Muse, ma ce l'ho fatta.
In questo capitolo ci sono diverse informazioni "politiche": non ho alcuna competenza per darle, ma ho cercato di fare del mio meglio per far quadrare alcuni punti/retroscena di Blur, come appunto l'enigmatica figura di Käthe. Mi ha sempre affascinato il background politico di Panem e in generale del mondo/era di Hunger Games, e ritengo che dalla Collins non sia stato per nulla spiegato esaustivamente, dunque ho cercato di chiarire il maggior numero possibile di vuoti per quanto riguarda questo argomento, anche se non ne sarò mai pienamente in grado. Quando riscriverò Blur in chiave originale, ovviamente, questi vuoti saranno trattati con maggior cura e non si potranno più considerare vuoti o "buchi di trama", o almeno spero. Quindi perdonatemi per queste enormi licenze poetiche che mi sono concessa.
Questo capitolo stranamente è molto simmetrico, mi stupisco di me stessa. Il prossimo sarà lunghissimo, già lo so, ma cercherò di pubblicarlo per fine agosto o inizio settembre... è l'ultimo, del resto. Dopo ci sarà soltanto un piccolo epilogo.
Tutto ciò mi fa sentire molto strana - intendo, il fatto che tra poco Blur sarà conclusa. E' strano, davvero, è stata una parte di me per così tanto tempo.

Come sempre, nel caso voleste seguirmi su facebook, vi linko la mia pagina QUI.

Buona lettura! ♥

Il titolo del capitolo viene dall'omonima "Ghosts that we knew" dei Mumford&Sons. "Hold me still, bury my heart on the coal / Hold me still, bury my heart next to yours" è uno dei versi più belli che abbia mai ascoltato, mi fa piangere tantissimo. Avrei voluto inserire molte più canzoni dei M&S, ma non ne ho avuto l'occasione. Sappiate soltanto che meritano moltissimo.

Questo banner appartiene a me, ©Ivola.













 










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Blur

(Tied to a Railroad)






032. Thirty-second Chapter – Ghosts that we knew.

 


Non aveva idea di quanto tempo fosse passato. Sapeva soltanto che era sorto il sole. Non aveva dormito, o forse sì, o forse era stato soltanto dormiveglia.
Klaus guardò il cielo. Era una bella giornata. Tirava persino poco vento.
Non si alzò. Dopo aver corso per ore, lontano dai Bridge, lontano dalle loro bugie, era rimasto un giorno intero buttato a terra per strada, all'angolo di una piazza minore e poco frequentata della zona nord del distretto, schiena contro il muro di un palazzo grigio e annerito dalle recenti esplosioni. Ricordava che una volta c'era un meccanico, in quel palazzo, il nonno di un suo tributo.
Christina, ricordava ancora il nome della ragazzina. Ora quel palazzo era vuoto e freddo, anonimo.
Un pensiero gli avvolse la mente. Sì, se fosse nata, avrebbe voluto chiamare sua figlia Christina. Non c'era un motivo preciso. Suonava bene. Christina Wreisht. Klaudia e Christina. Klaus, London, Klaudia e Christina.
Klaus sapeva che sarebbe stata femmina, perché la bambina del suo sogno non poteva essere altri che sua figlia – somigliava tanto a London, ma anche a lui. Sarebbe potuta essere una sorellina perfetta per Klaudia, lei l'avrebbe adorata.
Ricordò che nel suo sogno era comparso anche un altro bambino che giocava con Christina, ma sembrava persino più grande di Klaudia. Klaus capì che doveva trattarsi del primo figlio di London e Ben, il figlio che London aveva perso e per cui si era disperata per settimane. Lui, sì, era maschio. Avrebbe amato anche lui, se solo fosse nato.
Immaginò di tenere quei due bambini tra le braccia, immaginò di compare loro la cioccolata così come faceva con Klaudia, immaginò London cantare loro delle ninnananne.
Innocenti. Innocenti morti ancora prima di mettere piede in quel mondo spietato e crudele.
Forse era meglio così. Forse non essere mai nati era un privilegio inestimabile. Ma Klaus si sentiva egoista. Voleva sua figlia. La voleva lì, con sè, abbracciata al suo petto o a giocare a nascondino con Klaudia. E Ben gli aveva portato via anche lei. Non c'era nulla, nulla, che lui non gli avesse portato – strappato – via.
Continuò a guardare un punto imprecisato davanti a sé, stravaccato sull'asfalto della piazza come un senzatetto, ipnotizzato dal vuoto e da quei pensieri che lo stavano disintegrando.

Passavano poche persone lungo quella via e i pochi che gli degnavano un minimo di interesse gli rivolgevano soltanto qualche occhiata compassionevole per poi continuare per la propria strada. A Klaus andava bene così. Sarebbe voluto restare buttato lì a terra per sempre, non desiderava più alcun contatto umano.
Eppure dovette alzare la testa di scatto quando sentì un familiare accento tedesco chiamare il suo nome.
« Klaus? »
Klaus dovette mettere a fuoco il volto di quella donna prima di riconoscerla del tutto, perché era in controluce e accompagnata da un'altra ragazza.
« Klaus, sei tu? » ripeté lei, abbassandosi accanto a lui. Gli spostò i capelli dalla fronte e gli accarezzò una guancia, con un'espressione preoccupata. « Bruder... »
«  Käthe... » mormorò lui con voce roca, stringendole un polso.
La sorella gli rivolse uno sguardo allarmato. « Sì, Klaus, sono io. Cosa ti è successo? »
Klaus la guardò, semplicemente, ma non disse nulla. Non voleva neanche sapere perché lei fosse lì e insieme a quella ragazza. Forse era la sua nuova conquista, si limitò a pensare, ma nessun sorriso sornione colorò le sue labbra.
« Klaus... » fece di nuovo Käthe. « Cos'è successo? » continuò, prendendogli il volto sciupato tra le mani per spingerlo a non distogliere lo sguardo dal proprio.
« Guardami... » sussurrò Klaus, a poca distanza dal viso della sorella. « Guardami e prova a immaginare tutto quello che mi è successo. » Lo disse con un tono stanco e afflitto, come se stesse per esalare il suo ultimo respiro.
Käthe lo guardò, come lui aveva chiesto di farle, e notando le sue occhiaie, le sue labbra secche, la sua pelle estremamente pallida, pensò che stesse davvero per morire. « Bridget, aiutami, devo portarlo a casa » concluse velocemente, rivolgendosi all'altra ragazza, pronta per aiutarlo ad alzarsi, ma Klaus la bloccò di nuovo serrando la propria mano intorno al suo polso. Käthe si accorse che era sporca di sangue.
« No! » urlò lui, improvvisamente arrabbiato. « Prova a indovinare, ti ho detto, avanti! Provaci! »
La sorella s'incupì. « E' stata la guerra, vero? La guerra ti ha fatto questo? »
Klaus avrebbe voluto scoppiare a ridere. La guerra... magari fosse stata solo la guerra... magari...
Ma poi Käthe sembrò subito intuire qualcosa. « ... ma avete trovato Klaudia, vero? » Lui annuì e l'altra prima si rilassò, ma poi sgranò gli occhi, cominciando realmente a capire. « Aspetta, Klaus... dove... dov'è London? »
Il tono allarmato della donna non lo scalfì per niente... all'inizio. Si stupì lui stesso di quella reazione quasi del tutto impassibile, come se si fosse già abituato all'assenza di London, come se non gli importasse più nulla di lei.
Il panico arrivò subito dopo.
I ricordi scoppiarono ancora una volta nel suo cervello, vividi e strazianti come lo erano sempre stati. Le frustate, lo sparo, il corpo senza vita di London stretto tra le sue braccia, il crollo della prigione, il vuoto, i bambini del suo sogno, il sangue sul volto di Benjamin. Guardò le nocche della propria mano ancora imbrattate, ancora doloranti, e un brivido gli scivolò lungo la schiena. Gli sembrò di non respirare più.
Spinse Käthe di lato e si alzò di scatto, cercando di scappare come aveva fatto appena il giorno prima. Ma sapeva già che non sarebbe arrivato tanto lontano. Non serviva a nulla scappare, nascondersi. Il dolore l'avrebbe trovato sempre.
Percorse solo qualche metro, poi si fermò, in mezzo alla piazza, con i raggi del sole che gli sfioravano il viso. Abbassò le spalle e la testa, come se tutto il peso del mondo stesse davvero gravando su di lui in quel momento, come se avesse raggiunto la più alta soglia del dolore e ne fosse uscito sconfitto.
Miseramente sconfitto. Ancora una volta.
Käthe giunse dietro di lui, gli abbracciò la schiena in silenzio e appoggiò la guancia tra le sue scapole, mentre un ultimo urlo di sofferenza fuoriusciva dalla sua gola.


 
*


Alla fine del racconto, Klaus si sentì completamente svuotato. Gli sembrava che della sua vita non gli fosse rimasto altro, che tutta la sua esistenza convergesse nelle ultime settimane che avevano portato all'esecuzione di London.
Käthe, nel frattempo, aveva fatto qualche esclamazione, sorseggiando il misero bicchiere d'acqua che il fratello aveva offerto a lei e Bridget, mentre Klaudia colorava assorta sulla poltrona accanto al divano su cui erano sedute le due donne.
Klaus all'inizio aveva cercatato di specificare il minor numero di dettagli possibile a costo di non rivivere quella terribile esperienza, o almeno in parte. Sentiva ancora le frustate sulla propria schiena, come se non finissero mai, come se non esistesse tregua a quella sofferenza. Non riusciva a non rivivere quelle sensazioni anche solo pensandole, quindi alla fine si era abbandonato anche ai più piccoli dettagli. Voleva soltanto sfogarsi con qualcuno che l'avrebbe capito.
Käthe, nel silenzio più totale scaturito dalla fine del racconto, lo stava fissando con uno sguardo serio ed empatico, mentre correva a stringere la mano della sua ragazza.
« Se posso permettermi una considerazione » azzardò Bridget, rompendo il silenzio, « non posso completamente biasimare Benjamin. Anche io ero una spia dei ribelli. Lui ha fatto cose terribili, certo, ma da un lato... lo capisco. »
Klaus le lanciò un'occhiata in tralice, alla quale lei rimase impassibile; poi rivolse la stessa occhiata a Käthe. « Tu lo sapevi? Sapevi che lei era una spia? » domandò, interdetto.
La sorella annuì. « Il suo nome è Bridget Snow. Credo che il nome e la qualità dei suoi vestiti ti facciano capire facilmente di che famiglia stiamo parlando. »  
Klaus rimase ancora più esterrefatto. « Sei la figlia del Presidente? E parteggiavi per i ribelli? »
« Nipote, la maggiore » precisò la ragazza. « E, sì, ero una spia dei ribelli. Ero la prima a ritenere gli Hunger Games una barbarie, nonostante nessuno della mia famiglia lo sapesse... mi avrebbero ignorata se avessi provato a contrastarli, dopotutto, o disconosciuta se necessario. Io sono stata nei distretti. Ho viaggiato molto. Ho conosciuto Panem. E questo mi è bastato per essere dalla parte dei ribelli. »  
« Ci siamo conosciute così, quando venni nel Distretto Sei per la prima volta. A te e London l'ho raccontato » continuò Käthe. « O meglio, ho raccontato quasi tutto. Vedi, Klaus... » e qui si morse le labbra, tentennando su come procedere – non sapeva, effettivamente, se quella spiegazione l'avrebbe fatto infuriare o se l'avrebbe aiutato a schiarirsi le idee, « anche io sono una spia. Una spia di Valhalla, ovviamente. Non è vero che sono arrivata nel Distretto Sei solo per conoscere mio padre... il governo mi incaricò di indagare sui miei familiari oltreoceano perché temevano che la loro presenza a Panem potesse far scaturire una qualche ripercussione sull'Europa. Che un accordo tra nostro padre e Snow potesse spingere gli americani ad abbandonare la pace con il continente. » Fece una pausa, riprendendo fiato. « Quella volta, in quel bar dove incontrasti Benjamin quel diciassette luglio... beh, io ero lì, a fingermi una cameriera, per incontrare un emissario di Capitol City, da cui avrei potuto ottenere informazioni. Non mi aspettavo che fosse una donna, né che in realtà lei fosse una portavoce dei ribelli. A dire il vero non mi aspettavo che esistessero dei ribelli in procinto di dare avvio a una rivolta, in generale. Ovviamente capii che nostro padre non era così influente come credevano a Valhalla, e dunque il pericolo di un contrasto era nullo. Valhalla non c'entrava con la rivolta civile, la mia "missione" era finita. Eppure, una volta tornata in Europa, mi chiesero di tenermi in contatto con Bridget per seguire l'evolversi della situazione. Ci siamo tenute in contatto, forse più di quello che avremmo dovuto » concluse, con un piccolo sorriso involontario.
Klaus rimase frastornato da quella confessione, non seppe cosa dire per un bel po'. Gli erano appena stati svelati dei retroscena politici della rivolta, aveva appena scoperto tutta la verità sulla sua sorellastra.
Ecco perché lei aveva così tanti contatti a Valhalla, ecco perché ha saputo darci una casa e un lavoro in Europa senza problemi, pur senza dare troppo nell'occhio.
Cominciò ad osservare la maggiore con occhi diversi. Anche lei gli aveva mentito. Un'altra persona che gli aveva tenuto nascosto qualcosa. Eppure non si sentiva di incolparla. Il suo lavoro l'aveva aiutata a conoscere la ragazza di cui ora era palesemente innamorata – quel sorriso, quel sorriso non gli era sfuggito.
Gli faceva estremamente piacere che altre persone al mondo fossero ancora capaci di sorridere così genuinamente.   
« Ho pregato Käthe di trasferirsi con me, una volta che la ribellione fosse finita. Ed eccoci qui. Prima di andare a Capitol voleva passare a salutarti. Sapeva in cuor suo che ti avrebbe trovato ancora nel Distretto Sei » fece Bridget, sfiorando il ginocchio della bruna.
Käthe distolse lo sguardo, probabilmente in imbarazzo ad essere messa così a nudo dei propri sentimenti da una persona che la conosceva così bene. Lei non era una donna sentimentale, ma con Bridget sembrava formare una buona coppia.
Klaus osservò la più giovane – neanche poco spudoratamente: bassa, sicuramente più bassa di loro, ma con curve sinuose, occhi azzurri e capelli biondissimi. Sarebbe quasi potuta essere una Bridge.
Bridget Bridge... il solo pensiero, per quanto ironico, non riuscì a fare altro che incupirlo ancora di più.
Tutto ciò che seppe fare al loro racconto, alla fine, fu cercare di annuire nel modo più comprensivo possibile, incapace di dare giudizi concreti sulla rivolta e sui retroscena politici del continente. Non riuscì a dire alcuna parola, ancora con la testa che viaggiava tra i corridoi della prigione di Capitol City.
Fu proprio Bridget a riprendere a parlare, perché il suo discorso iniziale non era ancora concluso. « Comunque, Klaus, volevo dirti che mi dispiace davvero per tutto quello che ti è successo. Non te lo meritavi. Nessuna persona lo meriterebbe. »
« Sei stata alla prigione? » domandò lui, incapace di guardarla negli occhi. E se anche lei fosse stata una psicopatica? Se anche lei avesse fatto del male a  Käthe?
« Sì, ma non durante la rivolta » rispose la bionda. « Ero con la mia famiglia, che per la maggior parte è ancora viva. Nessuno ha saputo del mio ruolo fino alla fine. Un ruolo più tattico che pratico, dopotutto; mi occupavo dei contatti. Ero una delle braccia di Plutarch Heavensbee... si fidavano tutti ciecamente di me. »
Klaus si chiese chi fosse quell'uomo: il nome gli suonava familiare, ma non voleva realmente saperlo. Non voleva altre spiegazioni, né altre storie. Si chiese anche, però, come facessero i ribelli a fidarsi di una parente di Snow. Forse Bridget non era così santa come voleva fargli credere. Già il solo fatto di essere una doppiogiochista – come Benjamin, proprio come lui – la rendeva la persona più marcia in quella stanza, nonostante potesse essere quella con i migliori ideali. « Quindi non hai mai incontrato Benjamin? » domandò schiettamente. Quella era l'unica domanda, tra le milioni che aveva, che si sentiva in grado di fare.
« L'ho incontrato, invece » rispose, tentennando leggermente, « sono stata io a contattarlo, prima della Terza edizione della Memoria degli Hunger Games. Sapevamo tutti che tu eri scappato con la tua famiglia – sospettavo persino che fossi a Valhalla, però Käthe non mi ha detto nulla per tenerti al sicuro – ma sapevamo anche che gli ultimi due Bridge rimasti al Distretto Sei stavano collaborando con la capitale per cercarti. Benjamin era la nostra spia perfetta, come in un altro universo lo saresti potuto essere tu. Siamo stati noi a infiltrarlo alla prigione. Avevamo bisogno di una persona come lui. » Sembrò quasi sentirsi in colpa a pronunciare quelle parole. Sapeva di sicuro quanta gente era morta in quella prigione. Eppure non esitò a continuare il discorso. « Senza di lui e pochi altri non avremmo mai conquistato la prigione. Senza la prigione non avremmo mai conquistato la capitale. Senza la capitale non avremmo mai vinto la guerra. Grazie a persone come Benjamin, ora Klaudia e gli altri bambini di Panem potranno vivere un futuro sereno, senza il terrore dei Giochi. Capisci, vero, che questo è un passo avanti incredibile? Capisci che è la svolta che permetterà a tua figlia di vivere senza la paura o il fiato sul collo della capitale? »  
Käthe le pregò sottovoce di concludere, perché immaginava quanto quel discorso potesse fare male al fratello, ma Bridget rimase risoluta nella propria gentilezza. Lei non voleva essere rude, voleva solo raccontare i fatti così come erano andati, oggettivamente.
Klaus si sforzò di capirlo. Bridget parlava di un "noi", come se si sentisse davvero legata alla causa, come se si sentisse lei stessa una dei ribelli che avevano combattuto sul campo.
Rimase per qualche secondo a riflettere, cercando di abbandonare o almeno relegare la rabbia che lo accompagnava da mesi, ormai, e capì che per una guerra servono dei morti, anche della propria fazione se necessario, o non si potrebbe avere nemmeno una vittoria. Pensò che questo ragionamento fosse crudele, ma da un lato lo condivideva. Era lo stesso ragionamento che l'aveva portato a vincere gli Hunger Games. Mors tua, vita mea. Sconfitta di Capitol, vittoria dei ribelli. Nonostante non si intendesse di politica, infatti, non riusciva a biasimare Bridget del tutto, anche se tecnicamente London era morta a causa di quella maledetta rivolta.
Un pensiero fulmineo lo colpì: anche la loro era stata una guerra. Lui, London e Ben avevano combattuto. Si erano estinti a vicenda, e alla fine la vittima di tutte le loro battaglie – perse, vinte, inconcluse – era stata sua moglie.
L'aveva pensato prima, l'aveva sempre pensato: i morti di guerra sono necessari per la fine della stessa.
Chiuse le mani a pugno. « Purtroppo a me questo non interessa. Se fossi rimasto a Valhalla con London e Klaudia la mia vita sarebbe stata completa, perfetta. »
« Ma Klaudia è stata rapita » dovette ricordargli Käthe a bassa voce, osservando la bambina poco lontana. « Ed è stata portata a Panem. Voi non potevate sapere che c'era una ribellione in corso, non potevate prevedere tutto quello che sarebbe successo. E' stata una catena di eventi senza fine a cui né tu né London vi siete potuti sottrarre. »   
Klaus la fissò, quasi giudicandola. Sperava che avrebbe compreso la sua rabbia, e invece stava semplicemente mettendo i tasselli a posto insieme a Bridget – l'ultima cosa che avrebbe voluto fare in quel momento. Forse tra mesi, anni, ma non in quel momento.
« Forse è successo tutto per... per dare a Klaudia un futuro » continuò la bruna. « Io non credo nel destino e in queste stronzate, ma se guardi gli avvenimenti da un'altra prospettiva, London è morta per far vivere a sua figlia una vita serena, per salvare lei... e te. Tutto acquista un senso. »  
Un macigno si depositò sullo stomaco di Klaus. Capire, provare a capire, anche contro la propria volontà, gli stava alleggerendo la mente, ma stava anche aumentando i suoi sensi di colpa. Klaudia avrebbe potuto vivere anche senza di me, con sua madre... tutto perché Ben non mi ha lasciato morire al suo posto-
« Nessun senso! » sbottò Klaus, anche se con un tono di voce non alto come avrebbe voluto. « Ero io a dover morire, non lei! E' soltanto colpa di Benjamin alla fine, lo capisci? »
Käthe scosse la testa. « Klaus, io ti capisco perfettamente. Nei tuoi panni io sarei arrabbiata con il mondo intero allo stesso modo, se non di più. Ma io voglio aiutarti a... a superare questo dolore. Se tutto ciò che mi hai raccontato è vero, se la storia delle malattie di Benjamin è vera... prova un attimo anche tu a metterti nei suoi panni. In pochissimo tempo lui ha dovuto cercare un modo per proteggere se stesso, la sua sanità mentale, sua figlia, sua madre, sua sorella, te, le informazioni sui ribelli, i ribelli stessi. Un meccanismo forse troppo complicato per la sua mente incrinata. Qualcosa è andato storto, forse nella prigione, dove davanti a tanta violenza è stato soffocato dalla follia, quel meccanismo è crollato. Ha cercato di salvare il salvabile, sua sorella gli ha chiesto di morire e l'ha supplicato di salvarti. Tu, al suo posto, cosa avresti fatto? Avresti esaudito l'ultimo desiderio della tua gemella o l'avresti condannata alla stessa vita che stai vivendo tu adesso? Cos'è peggio, essere morti o restare in vita? Tu soffri davvero perché lei è morta o perché... vorresti ancora averla qui con te? Riflettici. Rifletti su cosa è peggio. Vivere o morire? »   
Klaus odiava, odiava letteralmente dover essere messo faccia a faccia con la realtà. Aveva imparato a odiare a dover dar conto alle versioni degli altri. Lui si trovava benissimo da solo con la sua sofferenza e la sua rabbia, perché gli altri si ostinavano a raccontargli altre mille, intricate versioni di quello che era accaduto? Perché? « London... London era incinta di nostra figlia... mia figlia... Io meritavo il peggio... io dovevo morire. »
« Tu parli così perché sei accecato dalla rabbia. Tua figlia... non credi che dopo tutte quelle torture London non sarebbe mai stata capace di darla alla luce? Non credi che lei l'avesse messo in conto? » gli spiegò, cercando di essere comprensiva, ma risoluta come Bridget al tempo stesso. « Te lo ripeto. Non eri nei panni di Benjamin. Sono sicura che se tu fossi stato al suo posto, con tutti i suoi problemi mentali, eppure con tutta la forza di volontà del mondo, avresti fatto la stessa identica cosa. »
Käthe pensava fermamente che Klaus avesse bisogno di ricominciare a vivere. Gli serviva quella scarica elettrica che gli mancava, che aveva sempre visto a Valhalla e che invece non aveva neanche intravisto quel mattino, quando l'aveva trovato buttato sull'asfalto – non voleva ammetterlo, ma se n'era spaventata a morte. Non voleva che anche suo fratello, dopo la guerra, smettesse di essere se stesso. Era difficile o impossibile, certo, superare tutto, ma aveva bisogno di qualcuno che lo spingesse a farlo. Il solo tentativo l'avrebbe risollevato da quella depressione in cui era piombato.
Käthe gli sarebbe sempre stata vicina, al Distretto Sei, a Capitol o a Valhalla che fosse. Forse anche Klaus lo sapeva perfettamente. Forse Klaus sapeva persino che, in fondo, le uniche altre persone che potevano aiutarlo e dargli la forza per non soccombere erano due.
E lui aveva un disperato bisogno di quelle persone.
Klaudia e Ben.
Ben, non Benjamin Bridge, non Emil, non il gemello di London, non la persona che l'aveva fatta uccidere. Semplicemente Ben.
Si accorse solo in quel momento di quanto Ben, il vero Ben, gli mancasse da morire.


 
*


Käthe e Bridget erano andate via. Sarebbero rimaste al distretto solo per un altro paio di giorni, poi sarebbero partite per Capitol City. Klaus sentì un vuoto allo stomaco quando accompagnò sua sorella alla porta, per poi chiuderla dietro di lei. Käthe era l'unica Wreisht che gli era rimasta – l'unica che non avrebbe mai disprezzato sul serio, nonostante il suo carattere schietto –, l'ultimo membro della sua disgregata famiglia.
Tornò in salotto da Klaudia massaggiandosi una tempia; la trovò nella stezza posizione in cui l'aveva lasciata, seduta di sbieco sulla poltrona a colorare i suoi disegni. Le si avvicinò e le accarezzò i capelli.
La bambina alzò gli occhi su di lui, poi indicò verso la porta di ingresso con un'espressione interrogativa.
« Torneranno presto » disse Klaus a bassa voce, mimando bene con le labbra, però, in modo che la figlia capisse. « Ti è simpatica Bridget? »
Klaudia annuì vigorosamente, poi gli indicò il proprio disegno. "Ti piace?" scrisse in un angolo del foglio, con la matita.
Klaus osservò la piccola opera della bambina, ammirando il fatto che stesse già migliorando sia a disegnare che a colorare. Ricordò che anche Ben era un bravo pittore.
« Chi sono? »
Sul foglio erano raffigurati tre bambini che giocavano con un gatto in un prato, sorridenti. Quella al centro doveva essere sicuramente Klaudia. Gli altri due...
La bambina scrisse, sulle rispettive figure, "fratello" e "sorella". In un primo momento Klaus si rattristò per il palese desiderio della figlia di avere compagnia, ma poi, soffermandosi sul disegno, un brivido gli percorse la spina dorsale. Avevano le stesse fattezze dei bambini del suo sogno.
Se per un istante rimase profondamente inquietato da quella coincidenza, quello dopo gli sembrò giusta. Era giusto, quasi scontato, che anche Klaudia sognasse la madre e i fratelli mai nati.
Klaus sfilò delicatamente la matita dalle dita della bambina e scrisse sull'ultima figura, sotto a "sorella", "Christina, è questo il suo nome".
Klaudia prese un'altra matita e aggiunse, accanto al fratello, "Credo che il suo nome invece è Thames". Poi spostò gli occhietti vispi da lui al disegno e viceversa. "Me l'ha detto una volta, ma Christina no è un po antipatica".
A Klaus sfuggì una breve risata. Antipatica... Dio, sarebbe stata davvero la figlia sua e di London perfetta.
Girò il foglio, perché ormai il disegno si stava riempiendo di scritte. "Continua a sognarli" scrisse, stringendosi Klaudia in braccio. "Non smettere mai. Loro ti vogliono bene".

Quella notte sognò di nuovo London e i bambini. All'alba aveva solo un vago ricordo di quel sogno, perché non era stato vivido come il primo che aveva fatto. Tuttavia, dopo quella dolce immersione nel mondo onirico, non riuscì più a prendere sonno.
Per tutta la mattina, mentre svegliava Klaudia e l'aiutava a vestirsi, mentre preparava la colazione e mentre usciva in strada per accompagnarla al maniero dei Bridge, tentò di ricordarsi le poche parole che London gli aveva rivolto, ma tutto ciò lo riportava sempre al primo sogno.
« Va tutto bene. Devi perdonarlo » gli aveva detto. Ed era sicuro che fosse la stessa cosa che gli aveva detto anche quella volta.
Klaus sapeva che London avrebbe voluto che lui perdonasse Ben. Si chiese se lei l'avrebbe mai fatto, se fosse accaduto il contrario e lei fosse rimasta in vita. L'avrebbe perdonato soltanto perché era il suo gemello?
Non sapeva darsi una risposta.
Bussò alla porta dei Bridge ed Erzsébet gli aprì dopo qualche secondo, sorridendo e lasciando un bacio sulla guancia alla nipote, che sorrise di rimando.
« Vuoi entrare? » domandò lei
Klaus osservò la sua espressione serena, nonostante l'ultima volta che era stato in quella casa avesse pestato il figlio a sangue, poi spostò lo sguardo sulla manina di Klaudia, stretta in quella della nonna.
Sentì che stava per fare al contempo la cosa più sbagliata e più giusta al mondo.
Devi perdonarlo. Klaus non avrebbe mai perdonato Benjamin. Ma la sua vita non poteva continuare così, all'insegna dell'odio e della rabbia pura.
« Stavo... » cominciò, incrociando le braccia per dissimulare tutta la tensione accumulata, « stavo riconsiderando la proposta che mi avevi fatto poco tempo fa. »
« Vuoi trasferirti qui? » chiese Erzsébet, sorpresa.
Klaus prima abbassò la testa, poi annuì.
La donna lo abbracciò.

 
 
 











   
 
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