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Autore: A lexie s    09/08/2015    6 recensioni
[CaptainSwan Au]
Dal primo capitolo: Gli sguardi di tutti puntati su di lei, sorrisi dipinti sui volti dei presenti ed occhi pieni di commozione. Non sapeva che espressione avesse, la sua sicurezza non tradiva alcun tipo di agitazione nonostante agitata lo fosse parecchio.
Un paio di occhi azzurri si distinsero in quella massa di persone che la fissavano. Due occhi azzurri come il mare, un mare caldo, un mare d’estate quando il sole riscalda la pelle e le onde s’infrangono piano sulla battigia.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Never gonna be alone

Capitolo 4

Quattro chiamate perse, due messaggi non letti, tre messaggi lasciati in segreteria.
Non poteva dire di essere sorpresa. Si aspettava che lui si facesse vivo ed era giusto, gli aveva promesso di chiamarlo e poi non lo aveva fatto.
 
Da Killian – ore 11:38
Sono passati tre giorni, Emma. Mi avresti chiamato, eh? Mi sto davvero chiedendo quanto valgano le tue parole..
 
Da Killian – ore 16:46
Ti avrò lasciato tre messaggi in segreteria ma non mi hai mai richiamato, non sono certo nemmeno che tu li abbia ascoltati. Non capisco perché tu mi stia facendo questo. Mi sembrava che la mia telefonata ti avesse fatto piacere, mi ero illuso che avremmo ripreso a sentirci, che sarebbe stato come prima, che fossimo pronti. Beh, magari non per te, forse sbagliavo. Non puoi semplicemente fare finta che io non esista, mi devi una spiegazione.
 
Non gli aveva mai risposto in quei giorni, non aveva nemmeno ascoltato i messaggi in segreteria e lui aveva ragione ad essere arrabbiato.  Si convinceva del fatto che era per lui che faceva tutto quello, lo teneva lontano per non farlo soffrire ma in realtà era anche per tenere a bada il suo senso di colpa. L’aveva chiuso in una piccola scatola di plastica e l’aveva messo da parte, questa qualche volta si riapriva ed a quel punto lei faceva nuovamente di tutto per rimettere il dolore dentro ed andare avanti.
 
Per quanto si ostinasse, in verità, aveva bisogno di lui. Più cercava di soffocare quel bisogno e più quello emergeva prepotentemente in ogni momento, poteva rivedere dei piccoli pezzi di lui in ogni azione quotidiana. Il rimprovero quando non mangiava abbastanza, le sue braccia forti che la stringevano durante la notte, la sua mano a scostarle i capelli dalla fronte ed i suoi occhi a guardarla. L’aveva sempre guardata come a voler vegliare su di lei, era sempre stato lì per proteggerla nonostante lei non avesse bisogno di protezione. Era una donna forte, e prima ancora, era stata una bambina sveglia e caparbia. Lei poteva badare a se stessa, ma era bello sapere di avere qualcuno a guardarle le spalle.
Ripiegò un paio di jeans e lo depositò dentro la cesta, aveva appena finito di fare il bucato e stranamente senza fare pasticci dato il momento di riflessione. Prese il telefono che aveva poggiato sulla lavatrice ed eliminò velocemente i messaggi in segreteria così non avrebbe avuto più la tentazione di ascoltarli, di richiamarlo, di riprendere a parlare regolarmente, di tornare da lui.
Salì rapidamente le scale, cercando di non urtare con la grande cesta il piccolo mobiletto posto nel corridoio. Tenne tutto tra il ginocchio ed il braccio sbilanciandosi un po’ in avanti per prendere le chiavi della camere posti nella tasca posteriore dei jeans. Aprì ed entrò dentro, voltandosi per richiudere la porta alle sue spalle e poi, un tonfo, il cestino era a terra ed i vestiti sparsi sul pavimento.
“Killian..” L’uomo stava comodamente sdraiato nel suo letto, le mani adagiate dietro la testa ed un sorriso amaro dipinto sul volto. Aveva delle occhiaie profonde che Emma notò subito e se ne dispiacque, probabilmente quelle dipendevano da lei.
“Che ci fai qui?” Si abbassò per raccogliere i vestiti, una maglia, un paio di pantaloncini, un’altra maglia e così via, tutto metodicamente ripiegato. Gli occhi bassi concentrati sul muoversi delle proprie mani e le orecchie tese cercando di carpire una risposta che non accenna a venire.
Percepì un piccolo movimento, lo scricchiolare del letto e dopo pochi secondi lui era lì, piegato sulle ginocchia e le mani protese per aiutarla a sistemare i vestiti.
“Non hai chiamato..” Non era una domanda, non le stava semplicemente chiedendo il motivo. Stava ponendo dinanzi a lei quella verità usandola come risposta alla domanda precedentemente posta. Cosa pensava? Che bastasse non rispondere più ai suoi messaggi e non richiamarlo? Era ovvio che non fosse così, lui era pur sempre lui e non la lasciava. Lei non aveva voluto parlargli e lui una spiegazione era venuta a prendersela.
“Sono stata impegnata” bofonchiò, si alzò piano stirando le gambe che erano state piegate per troppo tempo, poi si diresse verso i cassetti mettendo una nuova distanza tra loro.
“Anche per rispondere ai messaggi?” Quanto poteva volerci a scrivere un messaggio. Qualche secondo? Forse un minuto al massimo. Era ovvio che non credeva a quella stupida scusa che gli stava propinando.
“Si” continuò.
“Ho fatto male a venire?” Voleva che lei ammettesse qualcosa, una spiegazione dopotutto pensava gli fosse dovuta. Sapeva quanto lei lo amasse, non era presunzione o vanità, lo vedeva nei suoi occhi. Prima che il cesto le cadesse di mano per la sorpresa, una scintilla aveva fatto brillare i suoi occhi verdi. Non comprendeva perché si ostinasse a volerlo tenere lontano, nonostante lui si fosse imposto e le avesse chiesto di non farlo, l’aveva rassicurata dicendole che qualunque fosse il reale motivo potevano superarlo ma non c’era stato verso e lui voleva sapere perché.
“Si.”
“Lo sai anche tu che non è vero.” La sua voce vibrò nell’aria, bassa e più calma di quanto lei credesse possibile. Un lieve cambiamento d’aria le scombinò i capelli, solo allora si accorse di aver lasciato la finestra aperta o, forse, l’aveva aperta lui per fumare una sigaretta, usanza che aveva quando era particolarmente nervoso o agitato. Cercava di mantenere la calma però, almeno apparentemente.
“Come hai fatto ad entrare?” Si avvicinò alla finestra per chiuderla.
“Non essere sciocca, pensi sia entrato dalla finestra?!” Ridacchiò passandosi una mano sulla fronte, “Ruby” concluse poi. Giusto, doveva immaginarlo. Era anche una sua amica dopotutto.
“Perché sei qui, Killian?” Le sembrava di essere stata chiara l’ultima volta con tutta quella storia delle radici intrecciate, il voler capire da sola chi era, una parziale verità.
“Mi sembra ovvio, Emma. Sono qui per te.” Ed allora lei si voltò e fissò il suo sguardo su di lui. Aveva i capelli scombinati, i vestiti sgualciti ed una barbetta incolta, ma era comunque bellissimo. Gli occhi blu erano sempre accesi di desiderio ogni volta che la guardava, ma c’era qualcosa di più che non seppe classificare, forse preoccupazione.
Non lo vedeva da un mese e l’unica cosa che avrebbe voluto era correre da lui, stringerlo, affondare le mani nei suoi capelli ed ispirare il suo odore, inebriarsi di lui, lui che non le aveva fatto chiudere occhio per diverse notti tormentandola col pensiero che stesse soffrendo forse più di lei, lui che era il suo porto sicuro nella tempesta e la tempesta stessa che minacciava di scombussolarla ancora di più. Lui che, semplicemente per quanto di semplice non ci fosse nulla, era l’uomo che amava.
“Tu sei qui per me?” Ripeté piano, quasi a se stessa. Sveglia, Emma. Lui è sempre stato lì per te, anche quando non era presente fisicamente.
“Dovresti saperlo” ed a quel punto fece qualcosa che sorprese entrambi, i suoi piedi vagarono verso la porta e quando lei rialzò lo sguardo quella era già chiusa dietro di lui.
Scivolò in basso fino a quando le sue ginocchia toccarono terra, sembrava che fosse diventata brava non solo a ferirlo ma anche a metterlo in dubbio.
 
11 anni prima

“Devi solo fidarti di me” le sussurrò dolcemente, lasciandole una scia di baci umidi sul collo. Gli occhi della ragazza si chiusero assaporando quella sensazione di calore che si formava al centro del suo corpo e si diramava ovunque imporporandole persino le guance.
“Fidarmi di te? Non ti ricordi che tutte le persone di cui mi sono fidata mi hanno tradita partendo dai miei genitori. Perché dovrei ricominciare adesso?” La stanza era poco illuminata, solo una candela permetteva ai due ragazzi di guardarsi negli occhi ed Emma era silenziosamente grata per quello, non avrebbe potuto sopportare che la luce rivelasse le sue paure, al buio sembrava più facile.
“Io non lo farei mai, sei la mia famiglia, noi siamo uguali.” Vide il bambino orfano che varcava le soglie dell’istituto in quel momento, i vestiti sgualciti e lo sguardo rammaricato. Poi lui le posò un bacio casto sulla fronte mentre con le mani faceva scivolare piano sulle braccia le bretelle della sua canotta azzurra.
“Killian..” sussurrò piano sulle sue labbra, spostando le mani dietro la nuca del ragazzo ed immergendo i polpastrelli nei suoi capelli neri.
“Si?” Si staccò subito cercando qualche segno di tentennamento nello sguardo della sua fidanzata, la vide sicura e forte. Emma era due persone, la ragazza orfana e la donna forte, la malinconia e la tenacia si scontravano nel suo sguardo ogni volta che la guarda ma questa volta entrambi i sentimenti erano stati sostituiti da qualcosa che classificò come lussuria.
“Mi sono fidata di te dal primo giorno” confessò, tornando a baciarlo per non aggiungere altre parole a quello che si era già lasciata sfuggire. Lui voleva di più però.
“Non me lo hai mai detto. Perché?” Le sue mani scesero accarezzandole le braccia fino a ricongiungerle ed intrecciarle con quelle di lei. La tirò piano conducendola nel piccolo lettino al centro della stanza e sedendosi con lei.
“Sapevo che non mi avresti ferita ma avevo paura, paura di essere nuovamente fragile.”
“Tu sei la donna più forte che conosca” la rassicurò. Un tuono spezzò il silenzio che si era formato nella stanza, un temporale estivo era sicuramente in arrivo. Avrebbe squarciato il cielo per un paio d’ore, giusto il tempo di rendere tutto intorno un po’ più magico. Il suono della pioggia, Emma amava dormire col suono della pioggia ed ispirare forte l’odore di terra bagnata.
Sorrise e si avvicinò nuovamente a lui, i loro nasi si scontrarono dolcemente una, due volte prima che le loro labbra si ricongiungessero in un incastro perfetto. Una lacrima di commozione abbandonò gli occhi della ragazza rigandole la guancia e finendo dritta sui polpastrelli di Killian che la raccolse con devozione. Entrambe le mani poggiate sul suo volto. Aprì gli occhi e la guardò un attimo, i capelli le ricadevano davanti in onde scomposte, le labbra dischiuse ed il volto un po’ umido. Lo stava aspettando, come quando si desidera una cosa così tanto da rendere l’attesa più piacevole del momento che la segue. Rimase lì a fissarla per alcuni secondo, fino a quando il verde si spalancò di fronte a lui e lo catturò. Era così bella la sua Emma, fragile e forte al contempo.
“Ti amo” la vide sbarrare gli occhi per un attimo e poi sorridere, tutto si illuminò con quel sorriso ed il suo cuore perse un battito vedendo la felicità provocata da due semplici parole che provava dalla prima volta che l’aveva vista.
In quel momento pensò che nulla poteva essere più perfetto e che non avrebbe mai smesso di lottare per vedere quel sorriso illuminarle il volto.

 
 
Non poteva lasciarlo andare così, capiva la sua reazione e si rendeva conto di essere stata pessima nei suoi confronti. Lui aveva bisogno di una spiegazione, anzi meritava persino di conoscere la verità, mentre tutto quello che lei gli riusciva a dare era l’incertezza. Aveva preso un aereo per raggiungerla e non meritava di ritornare a casa senza aver avuto nemmeno una parola carina, un sorriso, una spiegazione, un abbraccio da parte sua.
Si alzò in maniera scomposta ed afferrò le chiavi della stanza prima di lanciarsi velocemente in una corsa giù dalle scale. Era rimasta seduta sul pavimento solo per alcuni minuti prima di riscuotersi, lui non poteva essere già tornato all’aeroporto. Doveva trovarlo.
Lo cercò ovunque, percorsa la strada che l’avrebbe portata all’aeroporto completamente a piedi e quando giunse a destinazione con un grande fiatone, chiese informazioni sul prossimo volo e scoprì che non c’era nessun volo per Phoenix fino al giorno dopo. Si guardò intorno ma di lui non vi era traccia. Assistette alla scena di un ricongiungimento familiare, i bambini correvano incontro al padre per poi tuffarsi tra le sue braccia e la moglie li guardava dolcemente a pochi metri di distanza prima che il marito la raggiungesse a grandi falcati e la baciasse proprio lì, con i figlioletti che lanciavano urletti intorno a loro. La trovò dolce.
Tornò indietro sconfitta, non riusciva a camminare fino alla locanda così prese uno dei taxi che si trovava fuori dalla struttura e gli diede indicazioni, poi poggiò la testa sul sedile ed altre lacrime silenziose scivolarono giù. Successivamente si concentrò su ciò che accadeva fuori dal finestrino, gli alberi, una donna a spasso con il cane, un gruppo di ragazzi che ridevano, le auto che le passavano accanto ed ogni volta che incontrava un volto maschile cercava qualcosa di lui. Uno aveva lo stesso naso, l’altro la stessa forma del viso, uno persino la stessa corporatura ma nessuno era lui.
Le scale che aveva percorso rapidamente in discesa, stavolta furono salite molto lentamente. Le spalle ricurve come se il peso del mondo gravasse su esse, poteva non gravarvi il peso di tutto il mondo ma sicuramente quello del suo si.
Poteva tentare il tutto per tutto e recarsi all’aeroporto il giorno successivo, magari aspettare che lui arrivasse. E dopo? Dopo che avrebbe fatto, gli avrebbe detto di restare, di andare, la verità. Non lo sapeva, ma sapeva che aveva bisogno di trovarlo.
Un’idea le balenò in testa mentre pensava ad una strategia per il giorno seguente, magari non l’aveva trovato all’aeroporto perché davvero non vi era mai andato.
Dato che non lo aveva visto arrivare con delle valigie, doveva aver pur trovato una sistemazione per la notte, a meno che non volesse dormire nelle panchine del parco cosa che sicuramente non era da lui.
Scese di nuovo giù per chiedere spiegazioni a Ruby, la ragazza le confermò che aveva effettivamente preso una camera da loro ma adesso non aveva la minima idea di dove fosse. Si guardò intorno nel locale, sperando di vederlo lì magari mangiare o bere qualcosa ma nulla. Aveva però una risposta in più, i suoi bagagli erano lì e stavolta poteva effettivamente essere lei ad aspettarlo in stanza. Sarebbe tornato.
Poi l’insicurezza la divorò nuovamente. Dopo che era andato via non sapeva se volesse vederla ancora, o se magari si fosse rifugiato nell’alcool tornando con qualcuna rimorchiata in qualche bar. La parte ragionevole di lei sapeva che non lo avrebbe fatto, mentre la parte irrazionale le diceva che lei era stata una stronza ed anche se l’avesse fatto non avrebbe potuto biasimarlo. Ciò su cui entrambe le parti concordavano era che nel caso quello non sarebbe stato uno spettacolo a cui voleva assistere.
Erano le 20:00, strano come il tempo fosse passato velocemente fino a quel momento ed adesso sembrava non voler trascorrere mai.
Fece di tutto per tenersi occupata, non aveva fame ma si fece una doccia, lavo con cura i capelli. Arrivò perfino a svuotare i cassetti ed a ripiegare tutti i vestiti, due volte. Di tanto in tanto si affacciava alla finestra per vedere cosa accadesse fuori, o si fiondava fuori dalla porta ad ogni minimo rumore senza risultati.
Passarono delle ore e di lui non vi era traccia. Emma era indecisa sull’andare a cercarlo nuovamente ma se non tornava evidentemente non voleva neppure essere trovato. Alla fine mise un paio di pantaloncini ed una canotta e si stese. Non aveva intenzione di dormire, sarebbe probabilmente rimasta lì tutta la sera ad ascoltare ogni movimento, le venne in mente quella volta del mese precedente in cui si era ubriacato per via del matrimonio ed avevano finito per passare la notte abbracciati. Sorrise mentalmente mentre fuori un tuono seguito da un lampo illuminò il cielo ed una pioggerella leggera ma costante cominciava a scendere. La preoccupazione cominciava a farsi strada in lei quando all’improvviso dei colpi piuttosto rumorosi scossero la porta. Si affrettò ad aprire, non voleva mica che si svegliassero tutte le persone del piano, in realtà voleva solo vederlo.
“Non mi hai chiamato?” Ripeté, qualche ciocca bagnata gli si era appiccicata sul viso.
“Ti ho cercato, sono stata preoccupata nelle ultime cinque ore, ti ho cercato.” Disse lei, accarezzandogli piano il viso. Il palmo si fermò sulla sua guancia e lui inclinò la testa per appoggiarsi completamente alla sua mano.
“Non intendevo oggi.” E lei capì.
Poi tutto accadde velocemente. Lui la spinse piano verso il muro mentre con il retro del piede dava un calcio alla porta che si chiuse con un tonfo. Lei si trovò piacevolmente schiacciata contro il muro, il corpo di lui premeva sul suo e poteva sentire tutta l’eccitazione dell’uomo. Spontaneamente allargò di più le gambe mentre lui passava le mani sul suo sedere afferrandolo e permettendole così di intrecciare i piedi dietro la sua vita. Le sue labbra si fiondarono fameliche sul suo collo, poi sulle spalle scoperte risalendo piano fino alla mandibola ed alle labbra. Lambiva ogni traccia di pelle e lei si sentiva finalmente a casa e completa, mentre lui la baciava e le accarezzava i capelli.
La pioggia cominciava a farsi più intensa e così anche la loro passione. “Anche la prima volta che abbiamo fatto l’amore pioveva” sussurrò lui ancora sulle sue labbra.
“Te ne ricordi?” Sorrise lei con aria sognante, mentre gli accarezzava i capelli e spazzolava il naso sul suo.
“Mi ricordo tutto di noi.” La distanza venne nuovamente azzerata mentre si staccava dal muro e la conduceva sul letto, tenendola stretta tra le sue braccia. L’adagiò piano, i suoi boccoli biondi si sparpagliarono sul letto mentre lo tirava ancora su di se, “troppi vestiti” mugugnò afferrando i lembi della sua camicia e tirandola con forza. I bottoni volarono intorno a loro, “spero non ci fossi affezionato.” Killian sorrise eccitato prima di togliersela e gettarla in un angolo. Poi le fece alzare le braccia per toglierle la canotta gettando via anche quella. Le sue dita percorsero leggere tutte le forme della ragazza, le accarezzarono i fianchi, girarono intorno all’ombelico e risalirono più su ponendosi a coppa sui suoi seni. Il respiro di Emma diventava più affannoso, lui la guardò con un sorriso ammiccante e poi si abbassò su di lei lasciando che la bocca prendesse il posto delle sue mani.
“Killian..” Ansimò piano. Gli afferrò la testa e la riportò accanto al suo viso e poi prese a baciarlo profondamente. Ribaltò la posizione e sganciò velocemente la cintura dell’uomo. Lui l’aiutò alzando il bacino nonostante lei fosse a cavalcioni su di lui, fece scivolare via i jeans rivelando tutto il suo desiderio.
Era una danza frenetica, lei rincorreva lui e così faceva lui, posizioni che si ribaltavano e passione che non veniva ancora pienamente soddisfatta. Entrambi volevano prolungare quel momento il più possibile, perché il presente era ciò che avevano ed il futuro era ignoto ad entrambi.
I pantaloncini di Emma raggiunsero ben presto il pavimento, “Dio Emma, è passato troppo tempo dall’ultima volta che sei stata mia” proruppe accigliato e continuava a guardarla come se lei fosse tutto, quello sguardo le faceva bene e male contemporaneamente lacerando piano ogni sicurezza che aveva faticato a costruire nell’ultimo mese.
“Lo sono sempre stata” ammise, il suo viso si addolcì e per un attimo strinse il suo capo al petto e lo cullò. Lui la lasciò fare mentre si godeva le sue carezze, poi queste tornarono a bruciare sulla sua pelle ed una nuova urgenze nacque dalle sue viscere.
Quando si ricongiunsero, quando ogni barriera venne dissolta ed i loro corpi si fusero insieme nuovamente fu così giusto che nessuno dei sue ebbe dubbi. In quel momento quella stanza era casa, loro erano casa. La pioggia continuava a battere sul vetro della finestra mentre loro dondolavano avanti ed indietro alla deriva.
Le mani si stringevano e le fronti si sfioravano, i respiri si mischiavano ed i corpi si intrecciavano. 
Lei pensò di non poterne fare più a meno, mentre lo stringeva e si perdevano nelle ultime spinte poi entrambi stanchi si accasciarono insieme. Killian la sistemò sul suo petto ed alzò il lenzuolo per coprirla curandosi di non farle prendere freddo, con le dita continuava a disegnare cerchi immaginari nella sua pelle pur rimanendo in silenzio.
Il momento in cui si accorse davvero di non poter rinunciare a lui venne dopo e la sorprese, non era solo per il sesso anche se anche quello era grandioso, era il momento che veniva dopo quando tutto intorno a loro sembrava fermarsi e lei si sentiva così sicura tra le sue braccia. Davvero aveva pensato di poter rinunciare a lui? Era chiaro che non poteva.
Si puntellò su un braccio e rimase a fissare i suoi lineamenti distesi, era completamente rilassato e le occhiaie profonde che gli cerchiavano gli occhi poco prima sembravano magicamente svanite. Gli baciò piano il petto, la sua mano andò ad incatenarsi alla sua vita e la sua coscia si mosse automaticamente per ancorarlo a sé e come una calamita anche lui si mosse simultaneamente stringendola di più. Il viso poggiato sui capelli di lei che le solleticavano il naso, ma andava bene pur di non staccarsi. L’avrebbe tenuta lì per sempre se avesse potuto chiudendo il mondo fuori da quella stanza, sarebbero stati solo loro.
Si addormentarono così, svegliandosi varie volte durante la notte ed alternando momenti di dolcezza e momenti di passione ma finendo poi sempre in quella stessa posizione, sempre nello stesso abbraccio. La pioggia aveva smesso di cadere, rivelando una luna piena e qualche pallida stella che illuminava pigramente la stanza aiutata dalle luci della città che persistevano nonostante la notte.
“Killian, qualsiasi cosa succederà voglio che tu sappia una cosa” forse quello non era il momento delle grandi verità, non era certamente il momento di condividere un passato doloroso e rovinare il ricordo di quella notte perfetta. Ci sarebbe stato tempo per quello domattina. Prima di addormentarsi però, prima di concludere quella nottata, c’era qualcosa che lei sentiva di dovergli dire, qualcosa che lui meritava di sentire dopo molto tempo.
“Cosa?” Chiese lui, aprendo gli occhi e puntandoli interrogativi verso di lei.
“Io t..” non era la prima volta che gli diceva di amarlo, ma non glielo aveva più detto dopo aver perso il bambino perché sapeva che quelle parole l’avrebbero sempre legata a lui, le avrebbero ricordato cose che le dolevano, ma non poteva semplicemente omettere una cosa per annullarla. Quel sentimento, se possibile, era cresciuto inesorabile sfidando il tempo e lo spazio e si era consolidato ancora più di prima.
“Non è necessario che tu lo dica, lo so.” La rassicurò lui, ponendo un dito sulle sue labbra.
“No, ho bisogno di dirlo e voglio che tu lo senta.” Un altro silenzio.
“Non sento nulla.”
“Stupido” lo ammonì ridendo, poi divenne seria nuovamente. “Io ti amo Killian Jones, sempre è stato e sempre sarà così.”
Lui annuì, gli occhi lucidi di consapevolezza, e la strinse nuovamente lasciandole un bacio sui capelli.
Anche lei aveva gli occhi lucidi ma per altre ragioni. Sapeva che quel “ti amo” avrebbe potuto non rappresentare  un inizio qualora lei gli avesse rivelato il suo segreto, avrebbe potuto essere una fine e lei lo avrebbe perso senza conservare la certezza che fosse lei a tenerlo lontano per preservarlo bensì che fosse lui a voler stare lontano.
Quella notte era ancora loro però, e mentre lo stringeva e chiudeva gli occhi aveva potuto sentire l’ “anch’io” che lui le aveva sussurrato.
 
Note:
Ciao a tutti! ^^
Come vanno le vostre vacanze? Quanti come me vogliono che passino in fretta per avere la nuova stagione? Sono davvero troppo curiosa e non vedo l'ora che arrivi il 27 Settembre. 
In questo capitolo si sono rivisti (e non solo xD). Non riesco a lasciarli per troppo tempo separati ma forse, effettivamente, dovevano soffrire ancora un po' prima di ricongiungersi ahahaah. Ad ogni modo, è uscito così ed ho deciso di non modificarlo. 
Volevo ringraziare tutte le persone che leggono la storia, la recensiscono o l'hanno semplicemente aggiunta ad una delle categorie. 
Al prossimo capitolo, un bacio! :* 

 
 
 
  
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