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Autore: A lexie s    20/08/2015    6 recensioni
[CaptainSwan Au]
Dal primo capitolo: Gli sguardi di tutti puntati su di lei, sorrisi dipinti sui volti dei presenti ed occhi pieni di commozione. Non sapeva che espressione avesse, la sua sicurezza non tradiva alcun tipo di agitazione nonostante agitata lo fosse parecchio.
Un paio di occhi azzurri si distinsero in quella massa di persone che la fissavano. Due occhi azzurri come il mare, un mare caldo, un mare d’estate quando il sole riscalda la pelle e le onde s’infrangono piano sulla battigia.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Never gonna be alone

Capitolo 5

Dovevano vedersi da Clementine’s quel giorno, mentre Killian imboccava la Michigan Ave tutto quello che riusciva a pensare era all’evoluzione di quella giornata.
La temperatura primaverile rendeva piacevole la sua passeggiata ed i primi alberi in fiore arricchivano il paesaggio di un’armoniosa magia che non vi era tutto il resto dell’anno. Il tutto era migliorato dal fatto che di lì a poco avrebbe visto Emma, lui era così sicuro che lei fosse la donna della sua vita da non dubitare nemmeno un attimo che anche se avesse accettato l’offerta loro sarebbero rimasti insieme e lo avrebbero affrontato. Non lo aveva fatto però, almeno non prima di parlarne con lei.
Che quella fosse la sua grande occasione era fuor di dubbio, ciò che amava fare non era semplice e ci voleva fiuto, cosa che non gli mancava di certo, oltre a quello però servivano pure le risorse e quelle erano tutt’altra storia. Non provenendo da una famiglia ricca, non provenendo affatto in realtà, non aveva avuto il sostegno necessario ed il supporto affinché i suoi sogni si realizzassero eccetto per Emma. Lei lo aveva sempre sostenuto, lo aveva spinto a superare le sue difficoltà ed i suoi limiti, ad impegnarsi, studiare per essere ciò che voleva essere e fare della sua vita cosa più gli risultasse congeniale.
Avevano raggiunto un equilibrio, stavano bene per quanto riuscissero ad andare avanti a stenti dal punto di vista economico. Erano ancora due ragazzi, potevano fare qualsiasi cosa volessero della propria vita e diventare qualsiasi persona sognassero di essere, ne avevano tanti di sogni ed erano sicuri di avere la grinta per realizzarli.
Tutto trascorreva normalmente, fino a quel giorno. Quando Killian si era svegliato doveva recarsi nel museo dove lavorava a tempo parziale per cercare di recuperare dei resti di chissà cosa, era da sempre stata la sua passione, scoprire ed analizzare cose che agli occhi degli altri potevano risultare privi di significato ma per lui non era così, tutto andava esplorato, capito e vissuto. Quando il signor Edward Teach, rinomato ricercatore di città sommerse, aveva pubblicato il suo articolo richiedendo giovani caparbi e competenti, Emma stessa lo aveva invogliato a fare domanda ma quando la risposta dopo ben otto mesi non era giunta entrambi avevano abbandonato l’idea accantonandola da una parte per far spazio al subentrare delle questioni quotidiane. Affitto, bollette da pagare, spesa da comprare ma c’era anche molto altro, questioni piacevoli che non avevano nulla a che vedere con le responsabilità della vita da adulti. C’era il modo in cui si amavano, il condividere il caffè o la cioccolata, il fare l’amore fino al mattino ed il perdersi nelle piccole espressioni dell’altro, le carezze appena accennate e quelle, invece, graffianti. C’era semplicemente l’esser la loro famiglia, l’unica di cui avessero bisogno, l’unica che avessero mai conosciuto, l’unica che non volevano mai smettere di essere.
La telefonata, quindi, non era più in programma da molto tempo. La domandina era stata gettata nel dimenticatoio, sommersa da altre mille scartoffie che erano giunte alle mani dello studioso più tardi del previsto quindi quando Killian sentì il telefono squillare nella sua tasca e rispose per un attimo non riuscì a credere alle sue orecchie.
E adesso continuava a percorrere la strada, svoltando sulla 500 Phoenix street ripensando alle parole di apprezzamento che gli erano state rivolte ed alla grande possibilità che gli era stata concessa. Quello che proprio non si aspettava quando aveva compilato la domanda, tanto meno in quel momento a distanza di quasi un anno, era che quello che gli venisse offerto fosse uno stage di ricerca nell’Oceano Atlantico della durata di sei mesi. Insomma, non pensava nemmeno che si potesse stare sei mesi in mare aperto, figurarsi fare immersioni annesse con tanto di telecamera per l’esplorazione dei fondali marini.
Il Clementine’s era un gran bel localino, i prezzi erano abbordabili e l’ambiente accogliente. La moquette aveva una fantasia a fiori che dava l’idea di entrare in un giardino, mentre il muro fatto di piccoli mattoni rendeva tutto più rustico ed in qualche modo più caldo. Inoltre era molto luminoso e vi era sempre un sottofondo musicale che sembrava smorzare le conversazioni e renderle più piacevoli senza però il bisogno di dover alzare la voce per farsi udire.
Emma era già lì, lo aspettava dietro ad un piccolo separé in legno che rendeva una serie di tavoli più appartati. Quello era ormai il loro posto, non che fossero amanti delle cose abitudinarie per quanto riguardava certe attività, ma per il cibo si così come per la loro routine di incontrarsi lì durante la pausa pranzo per condividere il Chicken&Wild Rice Soup ed una porzione di Fish and Chips.
“Hey, raggio di sole” la prese in giro ma era stata davvero questo per lui, il suo piccolo sole personale ed il rimedio contro le nubi, nonostante ricordassero la pioggia con particolare affetto da quando stavano insieme.
I capelli della donna si spostarono rivelando un sorriso sul suo volto rilassato mentre sorseggiava una bevanda.
“Ho già ordinato” lo avvisò lei, mentre lui toglieva la giacca nera e l’adagiava nel sedile al suo fianco. Poi si era inchinato a darle un breve bacio, l’inquietudine che sentiva dentro era cresciuta man mano che si avvicinava al locale ed in quel momento aveva raggiunto picchi esponenziali che lui mal celava di nascondere.
“Qualcosa non va?” Lo conosceva bene e percepiva il suo turbamento, il sorriso tirato che le aveva rivolto prima di sedersi ed il modo in cui teneva le spalle, troppo teso.
“Devo parlarti di una cosa.” Diversi campanelli d’allarme si attivarono nella mente di Emma, non perché presupponesse un affievolirsi dei sentimenti del suo fidanzato, Killian era sempre stato chiaro in quello e non in modo melenso od ostentando il suo amore ai quattro venti, semplicemente lo dimostrava, per lo più, rimanendo al suo fianco ed affrontando la vita con lei nella tacita consapevolezza che fossero due pezzi dello stesso puzzle nati per occupare una posizione l’uno accanto all’altro. I campanelli d’allarme nascevano dalla consapevolezza che la vita riserva sempre delle cose inaspettate, e per Emma la maggior parte di queste erano state in negativo tanto da cambiare la naturale concezione ottimistica della vita di qualsiasi essere umano. Era matematicamente certo che se la sua vita era andata bene per un certo periodo, ad un certo punto doveva arrivare qualcosa a ribaltare la situazione, e gli ultimi anni erano stati fin troppo agevoli per quanto la vita permettesse.
 
***
 
Allungò la mano lungo il letto, i raggi del sole cominciavano a filtrare pallidi dalla finestra dopo la notte di pioggia e c’era una pacifica sensazione di quiete che le occupava il petto donandole una sorta di armonioso risveglio. Lampi della notte prima cominciarono a diffondersi nella sua testa, tutto quello che le era mancato riemerse insieme alla paura di poterlo perdere nuovamente. Cominciò a tastare il letto più attentamente con la sicurezza di trovare un corpo caldo a pochi centimetri da lei, ma di quello non vi era nessuna traccia. I suoi occhi si aprirono di scatto, mossa dolorosa in quanto erano ancora impastati dal sonno. Si guardò intorno, la stanza era come la ricordava dalla sera prima tranne che per i vestiti sparsi sul pavimento. I suoi erano attentamente ripiegati e poggiati su una sedia, mentre di quelli dell’uomo non vi era nessuna traccia.
“Killian?” Lo chiamò piano, si alzò attorcigliandosi il lenzuolo intorno al corpo nonostante fosse completamente sola e si avviò verso il bagno, ma anche lì era tutto perfettamente in ordine.
Afflitta dalla sua assenza tornò in camera e si sedette sul letto, non le era mai piaciuto risvegliarsi da sola dopo aver passato la notte insieme ma forse lui non aveva ancora smaltito il suo comportamento dei giorni precedenti, e non poteva dargli del tutto torto dato che non gli aveva fornito una reale spiegazione.
Tornò a buttarsi sul letto, sconfitta. Il cuore che fino a poche ore prima si era librato in alto, adesso era incredibilmente pesante.
“Sei già sveglia?” L’uomo irruppe nella stanza silenziosamente fino a quando volgendo lo sguardo verso la sua bionda si era accorto che non fosse più beatamente dormiente.
I suoi occhi azzurri la guardarono in modo languido, scorgendo i pezzi di pelle che sfuggivano al lenzuolo di lino ed avvicinandosi a lei con passo felpato e, sorprendentemente, con un vassoio pieno di cibo tra le mani.
Emma sorrise trovando ancora in lui una delle loro prime abitudini. Killian era sempre il primo ad alzarsi al mattino, ed era solito svegliarla in un modo tanto speciale che le era mancato in quei, troppi, mesi in cui ne aveva fatto a meno.
“Hai fame?” Chiese gentilmente, appoggiando il vassoio sul comodino ed abbassandosi su di lei per posarle un bacio all’angolo delle labbra dischiuse. L’aroma del caffè aveva invaso completamente la camera, facendo risvegliare lo stomaco di Emma e rivelando molta più fame di quanto ella stessa credesse di avere.
La sera prima non aveva cenato effettivamente.
“Affamata” mormorò facendo scorrere lo sguardo tra lui ed il vassoio.
“Vediamo.. Vuoi un tè, un caffè o un me?” Il sopracciglio alzato era il suo marchio.
“Allettante” la mano della donna si mosse piano lungo l’avambraccio di Killian, tracciando con l’indice il profilo della spalla e scendendo sul petto. La camicia scura aveva i primi due bottoni aperti, Emma afferrò quei lembi e lo avvicinò a sé perdendosi in un bacio mattutino, un buongiorno, un ti amo, un ci sono. Tutte le sensazioni che aveva provato qualche minuto prima erano ormai completamente svanite lasciando il posto alla perfezione del suo tocco ed alla dolcezza delle sue parole.
Gli lasciò una scia di baci lungo il collo fermandosi un attimo nel suo pomo d’adamo , Killian deglutì eccitato mentre le sue mani si spostavano sui fianchi della donna. “Se continui così non usciremo da questa stanza oggi” la rimproverò, accarezzandole delicatamente le cosce. Lei si mosse sulle sue labbra, rivelando l’ombra di un sorriso che si aprì piano coinvolgendolo con sé perché quando lei rideva lui non poteva fare a meno di seguirla.
“Ahimè, devo lavorare mio caro” a malincuore dovette reclinare quella lussuriosa offerta, gli lasciò un piccolo bacio a stampo e gli scompigliò piano i capelli in modo affettuoso. Li adorava, erano così morbidi ed amava accarezzarglieli nei momenti di dolcezza, o tirarglieli in quelli di passione.
Prese un croissant dal vassoio e lo addentò lasciando che lo zucchero a velo le sporcasse gli angoli delle labbra.
“Che sbadato, credo di aver dimenticato i tovaglioli” la informò, vedendo il suo sguardo verdino vagare alla ricerca di qualcosa con cui pulirsi nel vassoio.
“Si, proprio sbadato.” Lo rimproverò, portando il cornetto alle sue labbra e lasciando che anche lui godesse di quel dolce sapore.
“Dato che adesso siamo entrambi sporchi, suggerirei un modo per ripulirci.” Masticò il boccone,  passandosi la lingua intorno alle labbra prima di avvicinarsi nuovamente a lei e fare lo stesso.
 
***
 
Il Phoenix Sky Harbor era una grande struttura aeroportuale sito a 4,8 Km dal centro della città. Una struttura senza dubbio imponente, le pareti era di un grigio piuttosto asettico ed ospitava diversi terminal dalla quale partivano aerei diretti in varie direzioni.
Mentre Killian si trascinava dietro il trolley con la mano destra, con l’altra teneva salda la mano della donna al suo fianco. Questa camminava lentamente e con il capo rivolto verso il basso, cercando di sorridere di tanto in tanto quando il suo ragazzo le rivolgeva qualche sguardo apprensivo.
Per raggiungere la nave che l’avrebbe portato verso la sua occasione, Killian doveva prima prendere un aereo fino a Washington e da lì una macchina li avrebbe portati al porto.
Avevano discusso tanto di quella proposta, il loro equilibrio si stava lentamente spezzando dopo la notizia iniziale. Emma voleva che lui partisse per realizzare il suo sogno, era un’occasione enorme che avrebbe potuto davvero aiutarlo in ciò che desiderava fare, d’altro lato però c’era una sensazione che le attanagliava lo stomaco. Era una sensazione del tutto irrazionale, lui sarebbe stato lontano, avrebbe inseguito il suo sogno e lei l’avrebbe lasciato fare e si sentiva fiera per questo, orgogliosa di lui ma c’era quell’altra cosa che non la faceva sentire bene, tantomeno giusta. Lui sarebbe andato via e tutto quello che avevano avuto fino a quel momento sarebbe svanito di colpo, lasciando il posto al nulla. Non potevano nemmeno sentirsi dato che si ritrovava in mezzo al mare, sarebbe rimasta lì senza sapere più nulla di lui,  lui che era stato la sua unica famiglia. Si sentiva così male.
Si sentiva nuovamente sola e lui era ancora lì a stringere la sua mano, le mancava già in quel momento figurarsi quando sarebbe stato via davvero.
“Va tutto bene” cercò di rassicurare se stessa e di certo non riuscì a rassicurarlo, poggiò la sua fronte su quella di lui mentre trascorrevano gli ultimi momenti insieme.
“Andrà tutto bene” ripeté nuovamente, accarezzandogli il volto ed incrociando le braccia dietro al suo collo.
“Basta una tua parola ed io mando tutto a puttane, davvero.”
“Non funzionerebbe, sarei sempre la persona che ti ha fatto rinunciare al tuo sogno ed io non voglio essere quella persona. Voglio che tu sia felice.” Un singhiozzo cercò di venir fuori ma lei lo soffocò prontamente mentre si portava una mano al petto per rallentare il cuore.
“Io sono felice con te” le sussurrò l’uomo, mentre spazzolava il suo naso contro quello lentigginoso di lei e raccoglieva i suoi capelli per portarli dietro alle orecchie.
“Lo so” annuì piano, mentre la mano che stava sul suo petto si posò su quello di lui.
 
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“Devi andare” gli sussurrò all’orecchio.
“Si.”
“Vai” lo esortò, non poteva più stare lì, altri due minuti e gli avrebbe chiesto di restare con lei mandando al diavolo tutti i suoi buoni propositi sul non essere egoista.
Un ultimo bacio prima di prendere il borsone adagiato sulle piastrelle bianche, Emma rimase lì ferma a fissarlo mentre faceva il check-in, mentre prendeva le scale mobili che l’avrebbero portato alla galleria dell’aereo. Lui le lanciò un ultimo sguardo e le mimò un “ti amo” con le labbra prima di sparire dietro ad una massa di persone.
Tutto intorno era un caos indistinto, persone che si salutavano sorridendo ed altre che lo facevano in lacrime, famiglie in partenza per le vacanze ed in quel caotico scalpitare di persone lei non riusciva a vedervi proprio nulla come se il mondo fosse bloccato e lei fosse lì inerme senza sapere più come muovere i propri passi.
Solo quando vide l’aereo muoversi attraverso le grandi vetrate riuscì ad avvicinarsi ed a poggiare una mano sopra esse, vederlo era impossibile da quella distanza ma in qualche modo sentiva di salutarlo così.
Il carrello percorse velocemente la pista e poi l’aereo si alzò piano piano nel cielo azzurro e limpido di Phoenix.
Le immagini si susseguirono come lampi nella sua mente mentre l’aereo diventava sempre più piccolo fino quasi a svanire.
 
“Ciao, sono Killian Jones” un ragazzino dagli occhi brillanti e dal sorriso furbo ma triste.
Lei afferrò la sua mano seppur tentennando, “Emma Swan.”
“E dimmi Emma Swan, tu non sorridi mai?” Nemmeno si conoscevano e lui osava rivolgersi così a lei come se ci fosse qualcosa per cui sorridere nel trovarsi lì, non fino a quel momento almeno.
“Mi stai già antipatico” sentenziò quella, incrociò le mani al petto e sbuffò sonoramente osservando quello che sorrideva divertito.  Arrabbiata voltò le spalle per andare via.
“Imparerai ad amarmi” le urlò dietro.
 
“Ciao Swan” si avvicinò con passo spavaldo mentre quella si trovava in un angolo assorta nei propri pensieri.
“Vai via, non tira aria oggi.” Appoggiò pesantemente le spalle contro il muro e prese a fissarsi le punte dei piedi. Le sue scarpe erano ormai quasi logore.
“Sei sempre un raggio di sole” si sedette vicino a lei ed assunse la medesima posizione.
Emma non rispose, si limitò a fare una smorfia infastidita forse così sarebbe andato via. Ci sarebbe rimasta male in realtà, quello strano ragazzo era quanto di più vicino avesse ad un amico nonostante fosse scostante, particolarmente saccente ed a tratti persino fastidioso con tutte quelle sue battutine a doppio senso. Aveva imparato a conoscerlo però durante quelle settimane, ma quello non era proprio il giorno giusto per stuzzicarla.
“Dimmi cosa non va” la esortò lui seriamente, la sua mano andò a posarsi sul palmo aperto della ragazza lasciandola libera di prendere una decisione. Scostarsi od intrecciare le dita con le sue?
Rimase indecisa, e decisamente colta di sorpresa mentre fissava le loro mani insieme, poi con un movimento impacciato decise di dargli un’occasione.
E mentre portava le proprie dita ad incastrarsi con le sue sussurrò piano “oggi è il mio compleanno e non importa a nessuno.”
Killian non disse nulla per qualche secondo, poi staccò la mano da quella della ragazza che preoccupata alzò lo sguardo su di lui. Fece scivolare l’anello che teneva all’indice e glielo diede dolcemente, “importa a me.”
Quello che nessuno dei due si aspettava era la reazione di Emma, lei non si era mai lasciata andare ad effusione di alcun genere con nessuno eppure con lui sentiva qualcosa. Lo abbracciò di slancio, affondando la testa nel suo collo non per il regalo in sé, quanto per le parole che avevano accompagnato quel gesto, parole che nessuno le riservava da molto tempo. Aveva dimenticato quanto fosse bello sentirsi importanti per qualcuno.
Lui ricambiò l’abbraccio, le accarezzò i capelli biondi realizzando finalmente il desiderio di lasciare scorrere le dita tra quei fili d’oro.
“Ma sei sicuro? Lo porti sempre, deve essere importante per te.” Concluse la ragazza, sussurrando quelle parole al suo orecchio e facendolo rabbrividire.
“Lo è, proprio per questo voglio che lo tenga tu.”
 
E poi tanti altri ricordi, la piccola scatola che avevano sepolto per il quindicesimo anno di Killian con la promessa di riaprirla al diciottesimo, il primo ballo che avevano danzato senza musica nel buio dei loro dormitori, le parole sussurrate per non farsi sentire dagli altri, il loro primo appartamento, i film sul divano, i bagni insieme.
Si ripeteva che non lo stava perdendo, erano solo sei mesi di lontananza, mesi in cui non avrebbe nemmeno potuto sentirlo frequentemente. Sarebbero passati però, ed allora perché non poteva smettere di vedere tutti i loro momenti scorrere nella sua mente?
Rimase immobile e non seppe nemmeno per quanto tempo, lì a fissare una vetrata ed il nulla oltre questa.
 
***
 
C’era qualcosa di profondamente doloroso nel vederlo seduto in quello sgabello mentre la aspettava. La luce che irradiava in quel momento misto al senso di felicità che provava lei nell’averlo lì erano una miscela davvero pericolosa.
Sentiva il senso di colpa crescere ad ogni sguardo, ad ogni sorriso sentiva dei pugni contro il suo stomaco ed al pensiero del modo in cui si erano baciati, toccati o solo sfiorati questo si contraeva in una morsa come se le budella le si intrecciassero tra loro facendo milioni di nodi che non sarebbe riuscita a sciogliere.
Sarebbe potuto essere tutto perfetto in quel momento, se lei non avesse avuto dentro quel segreto che la torturava. Il pensiero di mentirgli, di ricostruire ciò che avevano prima ma non fondandolo sulla più profonda sincerità le faceva male.
Si tolse il grembiule e lo mise nel piccolo armadietto vicino al mobile della cucina, prese un bel respiro e tornò da lui.
“Sei pronta? Cosa vogliamo fare?” Chiese l’uomo sorridendo, alzandosi in piedi e ripiegando il giornale che aveva trovato sul bancone e che stava leggendo.
“Siamo a Storybrooke non è che ci sia molto da fare” mormorò lei, stringendo la mano che quello le offriva.
“Ragazzi, vi ho preparato qualcosa per il pranzo” Granny sbucò dalla cucina con una grande busta di carta dalla quale proveniva un odore piuttosto invitante.
“Sei un tesoro” le disse Killian, facendole un occhiolino ed afferrando quanto questa le porgeva.
Sapeva di certo come affascinare le signore, in quelle poche ore aveva chiacchierato alacremente con lei mentre da dietro il bancone serviva bevande e dolci. Lei gli aveva raccontato un po’ dei primi tempi con Ruby, gli aveva confessato che aveva parlato molto di loro, dei suoi strambi amici e del rapporto magnifico che avevano.
Poco dopo trascinò Emma fuori dal locale offrendole il braccio, mentre passeggiavano tra le vie alberate della città.
“C’è un bel posto dove potremmo mangiare” ricordò Emma, una bella panchina davanti all’oceano era di certo un panorama ideale.
Camminarono per qualche minuto prima di trovarsi davanti ad una schiera di barche a vela, Killian sentì una fitta dentro. L’ombra di una chiamata che aveva ricevuto quella mattina, giusto in quel momento che le cose sembravano procedere per il verso giusto.
Cercò di scacciare quella sensazione e si accomodò accanto a lei.
“E’ rilassante l’orizzonte, non trovi?”
“Lo è” confermò quello con uno strano cipiglio, era rimasto così tante volte sul ponte della nave a guardare l’orizzonte immaginando di essere con lei. Cominciarono a mangiare un po’ delle prelibatezza che Granny aveva preparato per loro, mantenendo il silenzio mentre masticavano quasi in un mistico senso di relax.
“Mi piacerebbe vedere la tua radura dopo, se la pausa pranzo lo permette” chiarì guardando l’orologio che portava al polso.
Lei si accese per un attimo pensando al momento esatto in cui aveva voluto condividerla con lui, c’era sempre qualcosa però che non le permetteva di godersi il momento pienamente.
“Se ci sbrighiamo possiamo farcela” si alzò dalla panchina e gettò tutti i resti in un cassonetto lì vicino. Proprio in quel momento le arrivò un messaggio di Ruby: “Copro io il tuo turno, divertitevi! ;)”
Sorrise leggendolo e rispose velocemente per ringraziarla.
“Abbiamo tutto il pomeriggio” lo informò poi, tendendo la mano verso di lui e tirandoselo addosso.
Si incamminarono così lungo la strada che portava ad un piccolo sentiero, le mani intrecciate ma ognuno con i propri pensieri, temendo che questi potessero inclinare ciò che avevano riavuto a fatica.
 
 
 
 
  
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