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Autore: Sara Saliman    09/08/2015    10 recensioni
Dopo un lungo silenzio, la fronte di Zeus si spianò.
-Sta bene, Ade. A me la Superficie, a Poseidone il Mare. A te, qualunque sia il motivo, il Sottosuolo.-
Così si ebbe la divisione del Mondo, come ancora lo conoscono gli umani.
E così ebbe inizio la mia storia, sebbene allora io non fossi ancora nata.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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_Cari tutti, vi invito a tornare un attimo al capitolo precedente: ho aggiunto un paragrafo (lo trovate in rosso) che va letto PRIMA di questo capitolo qui!
 
§§§§
 
BACCA: E che vuol dire che un destino non tradisce?
ORFEO: Vuol dire che è dentro di te, cosa tua; più profondo del sangue, di là da ogni ebbrezza. Nessun dio
può toccarlo.
(Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò)
 
Ti ho dato un nome e tu hai fatto una scelta, e quella scelta era in te prima della storia di tua moglie o di qualsiasi altra. È sempre stata lì, in attesa.
E non hai forse usato quel nome per essere quello che hai sempre voluto diventare?
(True Detective, ep 02x06)
 

 
La sala era enorme, gremita di divinità e geni avernali.
Le fiamme azzurrine delle torce si riflettevano sui pavimenti di marmo bicromo e sulle possenti colonne di alabastro rosa. Ampi bracieri accesi pendevano dalla sommità degli archi: la loro luce si spandeva verso l’alto, specchiandosi sugli stucchi bianchi e dorati e rischiarando il blu siderale delle volte, prima di posarsi sugli astanti in una impalpabile nube di luminosità diffusa, dai riflessi cangianti.
La sala era immersa nel profumo del banchetto: frutta, miele, selvaggina; il sentore aromatico del vino caldo e speziato.
Avrei voluto rimanere su quella soglia, al sicuro, cullata da quella visione e dal mormorio avvolgente dei convitati.
Ade si portò di fianco a me. Il profilo aristocratico e bianco, i capelli di lucida tenebra, e quegli occhi di ossidiana così acuti e vigili, in netto contrasto con l’espressione imperturbabile.
-Aspettano di conoscerti.- mi disse. –Aspettano da moltissimo tempo.-
Trassi un profondo, tremante respiro.
-Allora andiamo.-
Appoggiai una mano sopra il suo braccio e lasciammo insieme l’oscurità della soglia. Avanzammo lungo la navata centrale, lo sguardo fisso verso i nostri posti, al banchetto sul lato opposto del salone. Un’onda di silenzio avanzò insieme a noi, diffondendosi in mezzo ai presenti.
Decine e decine di volti si girarono nella nostra direzione, mentre la moltitudine di invitati si apriva in due ali, lasciandoci passare.
Riconobbi Ecate, ritta e bellissima nel fluente abito color croco, e lei mi sorrise senza schiudere le labbra. Mormo e Lamia si strinsero alla sua veste al mio passaggio, e solo quando rivolsi loro un cenno di saluto accennarono un timidissimo sorriso.
Una donna morbida e bruna, dagli occhi color zaffiro, congiunse le mani in grembo e mi rivolse un profondo inchino. Era avvolta in un abito nero, formato da molteplici veli sovrapposti, e portava sul capo una corona di stelle. Un dio barbuto, dai profondi occhi viola, le scivolò accanto, cingendole la vita con un braccio robusto.
-Sono Notte ed Erebo.- mi sussurrò Ade, senza quasi muovere le labbra.
Continuammo ad avanzare nella folla che si apriva.
Tre donne si genuflessero al nostro passaggio, sfiorando il pavimento con la punta delle ali: i loro capelli erano vipere che si contorcevano e sibilavano, e io serrai le dita attorno al braccio di Ade vincendo l’impulso di ritrarmi.
Quattro dei e una dea, tutti e cinque con gli stessi lineamenti, si fecero da parte, lasciandoci passare. Vidi dell’acqua sotto i loro piedi nudi, e capii che erano Stige, Cocito, Acheronte, Flegetonte e Lete, giunti fin lì dai loro letti e dalla profondità turbinosa delle loro acque per rendermi omaggio.
Cercai nella folla la chioma dorata di Oniro, ma non la scorsi da nessuna parte.
Avanzando lungo la navata, colsi con la coda dell’occhio un unico punto rimasto in ombra. Il contrasto con la sala illuminata a giorno mi spinse a voltarmi in quella direzione: intravidi tre vecchie fragili e curve, abbigliate di cenci, ma Ade stava già scivolando avanti e la folla di invitati mi si stava già chiudendo intorno, celandole alla mia vista. Ancora oggi non posso giurare di non averle solo immaginate.
Raggiungemmo il fondo della sala e i posti a noi riservati per il banchetto. Ipno ci venne incontro reggendo fra le mani una coppa di oro bianco, tempestata di gemme.
-Il vino dell’Averno.- disse, offrendomela. Presi la coppa e me la accostai alle labbra; le mani mi tremavano così tanto che Il Sonno chiuse le dita sulle mie, guidando il mio movimento. Il vino era caldo e rosso e lo sentii molto denso contro la lingua e il palato. In un improvviso momento di panico pensai che potesse trattarsi di sangue. Ipno mi sottrasse in fretta la coppa e la passò ad Ade, che la vuotò.
Prima di scivolare via, Sonno si chinò sulla mia spalla.
-Ci crederesti? Ade ti guarda e sorride. Credevo che nemmeno li avesse, quei muscoli lì!-
Sorrisi e la mia tensione si allentò.
Subito dopo venne avanti Thanatos.
Tra le mani giunte, coperte di minuscole squame, reggeva un melograno diviso a metà. Lanciai ad Ade un’occhiata allarmata: tutti mi guardavano e io non sapevo cosa fare. Si aspettavano che mangiassi un frutto intero, per altro con tutta la buccia?
Ade mi tolse d’impiccio: raccolse pochi chicchi e me li accostò al viso. Sotto il suo sguardo di ossidiana, dischiusi le labbra e mi lasciai imboccare, sentendo contro la lingua la punta delle sue dita, arrossendo per quel gesto e quel contatto così intimi.
Uno scroscio di applausi esplose nella sala; grida di emozione e di giubilo ci travolsero. Ade mi cinse la vita con un braccio e io mi strinsi a lui, sorridendo timidamente a quelle manifestazioni di gioia.
Il dio mi poggiò una mano inanellata sulla guancia e mi fece voltare verso di lui.
I capelli color della notte formavano una corona attorno al volto bianchissimo. Alla luce diffusa delle candele, i suoi occhi scintillavano come le gemme che indossava. Gli premetti una mano sul cuore; sotto la giacca di morbido velluto nero sentii la linea solida del suo petto.
Come in un sogno, Ade mi cinse la vita e mi attirò verso di sé. Aveva un odore buono e rassicurante; il suo viso e il suo corpo erano troppo vicini, e io mi sentivo in fiamme, e allora chiusi gli occhi in preda all’imbarazzo.
La bocca di Ade si posò sulla mia, reclamandola con inesorabile dolcezza, e forse fu il vino che avevo bevuto, o forse fu per la sala gremita di musica, voci, occhi, danzatori, o per le fiamme delle candele che ardevano come stelle… ma serrai le dita sulla sua giacca e mi sciolsi contro le sue labbra.
Non so quanti battiti di cuore durò quel bacio, so solo che, quando sentii le labbra del dio abbandonare le mie, mi sembrò di perdere un pezzo di me stessa.
Riaprii le palpebre, incontrando il volto di Ade: l’oscurità nei suoi occhi non mi era mai sembrata così luminosa e viva.
Il dio si umettò le labbra con la punta della lingua: in un gesto forse involontario, ma che turbò ulteriormente i miei sensi già confusi.
-Mi appartieni.- disse con voce arrochita.
Lo guardai dritto in quegli occhi di ossidiana.
-Anche tu,- osai. –Anche tu mi appartieni.-
 
§§§§
 
Il corridoio del terzo piano appariva ancora più vasto e deserto con solo me e Ade a percorrerlo lentamente.
Il suono della musica e le voci degli invitati giungevano ovattati attraverso le algide curve della scalinata di marmo. I brindisi e le danze si sarebbero protratti fino al mattino.
Ma, aveva gridato Ipno sollevando in alto il calice, nessuno si aspetta che gli sposi presiedano ai festeggiamenti per tutta la durata della prima notte di nozze!
Ade aveva accolto quella frase e altre simili con la consueta compostezza, io mi ero limitata a rigirare il cibo nel piatto, riflettendo sul fatto che presto tutti quei sottintesi avrebbero smesso di essere tali.
Adesso, mentre mi dirigevo con Ade verso le nostre stanze, quella realtà diventava sempre più concreta e cominciava a serrarmi la gola.
-Hai gradito la festa?-
-Molto. Erano tutti molto felici… e gentili.-
Era vero. Nessuno si era scandalizzato per i miei piedi nudi, i miei capelli sciolti o la mia totale assenza di ornamenti.
Mi sentivo a casa, ma non avevo dove fuggire.
Su ciascuna parete del corridoio, per tutta la sua lunghezza, non si apriva né una scala né una porta, solo immense vetrate, e io cercavo di camminare al centro dove l’oscurità era più fitta, nella patetica speranza che Ade non notasse il pulsare delle vene del mio collo, il ritmo concitato del mio respiro o il mio passo sempre più esitante.
Quando la porta dei nostri appartamenti fu ben chiusa alle nostre spalle, mi sembrò semplicemente impossibile che il mio cuore potesse martellarmi in petto a quel ritmo senza sfiancarsi. La mano inanellata di Ade scivolò lungo il mio braccio, stringendo infine la mia.
-Vieni, voglio mostrarti una cosa.-
-Che cosa?-
Emergemmo entrambi alla luce della vetrata, e finalmente fui costretta a guardar fuori.
Il cielo del’Averno era sterminato e buio, privo di astri e di stelle. A fissarlo per più di qualche istante, cominciavi a diventare inquieto e a chiederti se fosse davvero così buio o se piuttosto non fossi tu ad aver perso improvvisamente la vista, o magari entrambe le cose.
La luce di Erebo si irradiava dal suolo: non diluiva l’oscurità del cielo, sembrava piuttosto tenerla a bada, incorniciando i  bastioni e la cittadella di sfumature iridate di indaco, argento e viola.
In lontananza, la superficie immota di Cocito era nera come una macchia d’inchiostro, ma le sue rive ghiacciate scintillavano di riflessi oltremare, come se fossero state coperte di smalto o di pasta di vetro.
Tra un atollo e l’altro, la luce si sfarinava pigramente sulla superficie placida di Lete.
Spaziai con lo guardo fino al perimetro esterno della città degli dei, e oltre, fino alle montagne innevate che nascondevano l'orizzonte.
Sentii la presenza di Ade alle mie spalle, il calore del suo petto contro la schiena, e provai un languore non del tutto sgradevole. Si era chinato ad aspirare l’odore dei miei capelli, e io inclinai il capo di lato senza quasi volerlo, trattenendo il fiato nel sentire le sue labbra così
(lontane)
vicine dalla tenera curva del mio collo.
Vista da qui, la Superficie appariva incomprensibile: un luogo in cui un padre assente barattava una figlia -una qualunque- prima ancora che nascesse. Un luogo in cui la dea della fertilità non poteva proteggere se stessa da una violenza, figurarsi proteggere la propria figlia.
E cosa potevo dire, invece, di questo mondo sotterraneo che mi aveva inghiottita?
L’Averno aveva le sue leggi, talmente rigorose che persino Ade doveva sottostarvi, eppure quando era giunto il momento di reclamarmi aveva fatto il possibile per addolcirmi la caduta.
Pensai a Ecate, madre severa e protettiva di uno stuolo di figlie adottive, fedele ad Ade perché così aveva scelto: perché così sceglieva ogni giorno.
Pensai alla misteriosa Alifto, non-divisa-ma-una.
Pensai a Sogno e alla tragica bellezza dei suoi occhi spaiati; pensai agli umani smarriti nel suo Labirinto: non sapevo dire se fossero prigionieri di Sogno, o se piuttosto il contrario.
Pensai ai prati turchesi dei Campi Elisi e alle timide ninfe avernali, spaventate da me quanto io lo ero da loro.
Pensai al ridente Ipno e all’impassibile e spaventoso Thanatos, e alla devozione che nutrivano per il loro sovrano.
Pensai alla bellezza inaspettata del paesaggio che stavo contemplando.
-Non immaginavo che l’Averno potesse essere anche… così.-
Ade mi scostò i capelli dai lati del viso, accarezzando piano la curva del mio collo.
-Come lo immaginavi?-
Rovesciai il capo all’indietro: il viso di Ade era chino sul mio, capovolto. La sua espressione era così fredda, e il suo sguardo invece così intenso, che provai l’impulso di allungare la mano e togliergli quella maschera dalla faccia.
Fiorisci. Pensai. Fiorisci!
All’improvviso ebbi paura, ma non di lui.
Mi scostai dalla vetrata e lo fronteggiai, stringendomi le braccia attorno al corpo, immaginando che a toccarmi fossero le sue mani forti e affusolate, invece che le mie. Una tensione silenziosa attirava i nostri sguardi l’uno verso l’altro. Era sempre esistita ma, al pari delle gemme e degli anelli che Ade indossava, la sentivo con chiarezza solo adesso. Cercai di immaginare da quanto tempo ne fosse consapevole lui, e arrossii con violenza.
-Quando ero in Superficie, pensavo che l’Averno fosse privo di luce e di vita. Immaginavo un luogo privo di amore, di bellezza e di gioia: un regno di tormento e angoscia.- Scrollai le spalle. –in realtà, non vi ho incontrato più crudeltà e sofferenza che in Superficie. E gran parte dell’angoscia che ho trovato veniva proprio da me: era posata sui miei occhi come un velo scuro, che sfalsava i colori. Adesso vedo con più chiarezza: c’è amore nel Sottosuolo, e c’è bellezza.– Mi voltai verso la vetrata ed ebbi un sorriso quasi allegro. -Anzi: guardando questo spettacolo, riesco persino a capire perché vivi qui!-
-Persefone,- la voce di Ade accarezzò il mio orecchio, serica e indolente. -Io sono “qui”.-
Mi voltai, guardandolo come se lo vedessi per la prima volta.
Mia madre era la terra fertile e generosa, Estia era il focolare e gli affetti, e Ade… Ade…
Ade era il Sottosuolo, e mi guardava felino.
-Per tutto il tempo hai pensato che io fossi Morte. In realtà, come hai visto, Thanatos ed io siamo due divinità distinte.-
Mi premetti le mani contro le guance, mortificata, ma era un gesto così infantile e così poco adatto a una regina, che non appena me ne resi conto mi imbarazzai ancora di più.
-Io… io… Sono desolata!-
Ade scrollò le spalle.
-Non importa, è un errore comune. Probabilmente perché incutiamo lo stesso terrore.-
Un scintilla di garbato divertimento passò negli occhi neri del dio.
C’è amore nel Sottosuolo, e c’è bellezza.
-Ma allora, mentre incontravo le altre divinità dell’Averno e visitavo i luoghi su cui regni, in realtà stavo conoscendo te!-
E quando ti ho detto che tutto sommato il tuo regno non è così male, stavo parlando ancora di te!
A giudicare dalla sua espressione, il dio aveva tratto le stesse conclusioni. Cominciavo a sospettare che l’astuzia con le donne, mio padre l’avesse appresa da qualcuno.
-Ade,- osai. –Tu sei il fratello maggiore: avresti potuto avere... o essere... qualunque Regno. Perché hai scelto proprio l’Averno?-
Mi guardò con quegli occhi neri e antichi, incastonati sul volto bianchissimo. Era un dio oscuro e potente: non doveva spiegazioni a nessuno, e darne non era nella sua indole.
-Non ho davvero “scelto” l’Averno, ma non sono nemmeno stato costretto ad accettarlo. Il Sottosuolo è quello che sono, la mia natura più vera, e io l’ho reclamata.-
-L’hai reclamata perché era il tuo destino?-
Mi guardò intensamente e seppi cosa vedeva: una sposa morbida e fresca, labbra imbronciate da mordere piano, da consumare di baci; fianchi teneri da attirare a sé e in cui affondare fino a smarrirsi. Ma anche –e fu questo il momento in cui capii che mi amava- una fanciulla bianca come un giglio, che aveva appena iniziato ad affacciarsi sul Mondo.
Mi sfiorò uno zigomo con la punta delle dita. Scrutò il mio viso senza supponenza, con un’ombra nello sguardo che mi parve nostalgia.
-Cosa si prova a essere così innocente?-
-Cosa si prova a non esserlo più?-
Il tocco di Ade si trasformò in una carezza contro la mia guancia. Non voleva parlarne, lo sapevo, lo sentivo. La sua risposta fu il suo dono di nozze, il primo di molti.
-Sai cos’è il destino, Persefone? È sapere che la tenebra ti strapperà il cuore dal petto e gli occhi da sotto le ciglia, ti renderà inadatto a vedere alla luce, e tuttavia sceglierla, perché questa è la tua natura e tu non accetteresti di tradirla. È sapere che un giorno incontrerai una fanciulla, e la riconoscerai e la vorrai contro il tuo stesso volere, anche se lei ti ricorda tutto ciò che hai lasciato per diventare te stesso. Cose che non rimpiangi, perché non le hai mai desiderate, eppure a volte ti mancano, per il semplice fatto che non le hai avute. Mi è bastato guardarti per capire chi eri. Mi è bastato sentirti pronunciare il mio nome per capire che avrei dovuto fuggire nel mio Regno e restarci per altri dieci, cento, mille anni. Ma ormai ti avevo incontrata e, dovunque fossi fuggito, tu eri già un’ossessione. Perché, a differenza di ciò che non avrò e non desidero, volevo che tu fossi mia, e in fondo già mi appartenevi come nessun’altra.- Ade si guardò le mani, assorto. Vidi quello che vedeva: il momento in cui mi aveva ghermita e strappata alla luce, trascinandomi nel buio; il momento in cui mi aveva inchiodata al suolo e lacerato la veste, perché smettessi di lottare. Sollevò il mento in un gesto regale. -Così, dolce Persefone, questo è il tuo sposo. Che cosa pensi, quando lo guardi e mi vedi?-
Ti tratterò bene, aveva detto.
E all’improvviso seppi che lo avrebbe fatto: seppi che le parole di questo dio così schivo non erano soffioni che si sfaldavano nel vento: erano roccia, erano giuramenti.
-Tu sei oscuro- sussurrai. -E incomprensibile.-
-Io sono tutte le cose nascoste. Guarda nei miei occhi, e vedrai te stessa: gli Aspetti di te che hai dovuto ignorare, perché non vi era posto per essi in Superficie. Gli Aspetti che hai voluto ignorare, perché ti spaventavano.- Ade prese la mia mano e se la premette contro il petto, all’altezza del cuore. -La tua ombra è qui, insieme a tutte le ombre del Mondo. Aspetta che tu la reclami. Io aspettavo solo che tu mi reclamassi.-
Fidati di te stessa, aveva detto Sogno.
Guardai Ade negli occhi e mi vidi.
Capii perché Oniro avesse paura di me: capii cosa ero e perché mi rendesse sposa di Ade.
-Dalla prospettiva della Superficie, tu sei tutti i semi…-
-…e tu, Primavera, sei colei che trasforma quei semi in fiori.-
-Dalla prospettiva del Sottosuolo, tu sei tutte le cose oscure e nascoste…-
-…e tu, Persefone, sei colei che le porta alla luce.-
Adesso che mi vedevo, non desideravo diventare nient’altro che me stessa, e non volevo altro sposo all’infuori di Ade.
Le labbra del dio cercarono le mie. Mi aggrappai alla sua giacca e anche io cercai la sua bocca, il capo reclinato all’indietro come la corolla di un fiore. Ade mi strinse a sé e io schiacciai il corpo contro il suo, con il bisogno di annullare ogni spazio, ogni distanza.
Mi sollevò tra le braccia. Mi adagiò su un talamo che mi parve grande come il Mondo, scuro come la tenebra che avevo visto negli occhi del mio sposo, e che apparteneva a me e non a lui.
Gli presi il viso fra le mani.
-Se io ti guardo, se io ti tocco, tu… cambierai.-
Ade chiuse le dita attorno ai miei polsi.
-Lo so.-
-Hai sempre voluto essere te stesso. Se cambierai, che cosa sarai?-
-Ancora me stesso. Il seme che fiorisce, diventa ciò che è sempre stato.-
Le sue mani scivolarono attorno ai miei fianchi, mi liberarono del vestito con gesti delicati e impazienti. Rimasi nuda come una calla, lo sguardo di Ade incatenato al mio mentre si spogliava.
Si allungò accanto a me, ferino come un animale selvatico. Sentii le sue mani sul ventre, le sue labbra sul collo, sulle punte dei seni. Sotto le sue carezze, sentii il mio corpo schiudersi come i petali di un fiore.
Mi aggrappai a lui: le dita affondate nelle sue spalle, il capo reclinato all’indietro nella pozza scura della sua ombra.
Non lui fuori di me, ma io dentro di lui.
I suoi occhi erano scuri, come se contenessero tutte le notti del Mondo, ma luminosi, come se racchiudessero anche tutte le stelle. Non l’avevo mai visto così emozionato.
Come un seme che attende da sempre, e finalmente sta per germogliare.
Gli premetti una mano contro la guancia.
Siamo ciò che siamo, pensai. Non mi ero mai sentita così unica, così perfetta, e al tempo stesso così disperatamente mancante. Tremavo sotto le sue dita come la corda di un liuto, il respiro accelerato per il bisogno di essere riempita.
-Cosa devo fare?-
Ade mi baciò con passione, e con tanta dolcezza da spezzarmi il cuore.
Accarezzò l’interno serico delle mie cosce, schiudendomi le gambe. Appoggiò il bacino al mio e spinse dentro di me, zittendo la mia protesta con le sue labbra. Ci fu del dolore, come se l’universo si lacerasse, ma attirai il mio sposo verso di me: il mio corpo lo esigeva.
Ade spinse ancora, e questa volta la vidi: un’esplosione di stelle, mentre mi inarcavo sotto di lui come una spiga nel vento, aperta come un frutto.
Eravamo una cosa sola: io dentro il Sottosuolo, il Sottosuolo dentro di me, cullati da un movimento ondeggiante che ricordava la risacca.
Qualcosa di immenso crebbe nel punto più caldo del mio ventre: lo sentii lungo le braccia, adesso coperte di pelle d’oca, sulle punte dei seni, sulle mani che artigliavano le coperte come fossero terra smossa.
Mi sommerse a ondate, scuotendomi fin dentro le ossa, così forte che avrei voluto piangere e gridare.
Fiorisci, pensai. Diventa ciò che sei.
E ancora oggi non so se lo dicessi al Sottosuolo o alla Kore che ero stata.
Andavo in pezzi, ma non avevo più timore: il Mondo moriva, e mentre moriva nasceva di nuovo; il Sottosuolo cambiava, diventando ciò che era sempre stato.
E io ero ciò che ero: un ponte tra Superficie e Sottosuolo che cavalcava l’infinito.
Quando finì, Ade si sostenne sulle braccia per non crollarmi addosso: l’espressione finalmente vulnerabile, il respiro ispessito. Affondai le dita nei suoi capelli e lo tirai verso di me, e quando perse l’equilibrio e mi cadde fra le braccia gli tempestai il viso di baci, ridendo di gioia.
Ci addormentammo così: uniti, abbracciati.
Sposi.
 
§§§§
 
_Oooooh!!! E finalmente! Ade ha aperto bocca e ha detto e fatto quello che doveva dire e fare! Che sudata, ragazzi!
Adesso però mi piacerebbe sapere cosa pensate di questo dio dell’averno, visto che finalmente si è deciso a entrare a tutti gli effetti nella storia!
 
_La prima parte di questa storia è FI-NI-TA!! E io ne sono felicissima!
Un abbraccio grosso così ai lettori che mi hanno accompagnata in questa discesa, in particolare a coloro che hanno trovato il tempo e la voglia di lasciare una recensione <3
La storia continuerà, lo giuro: ci sono ancora un casino di avvenimenti da narrare, ma per il momento mi fermo: ho bisogno di staccare un po' dalla scrittura (nonché di dedicarmi al mio vero lavoro, che mi dà da mangiare e mi consente di pagare le bollette, EHM ^^; ).
Nel frattempo vi segnalo la mia pagina facebook come autrice, sulla quale possiamo tenerci aggiornati. Se ho ben capito come funziona, dovete iscrivervi cliccando “mi piace” e cercare di condividere i posts per dargli visibilità (altrimenti non ho ben capito cosa succede. Finisce il mondo? Collassa il pc? Viene a prenderci il re dei Goblin? mah o_ò ).
Buone ferie! :)
Un saluto,
 
Saliman
   
 
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