Astra.
John
sentì la tensione crescere. I suoi occhi, la sua pelle scura. La sua
voce che lo chiamava.
Quella
bambina era innocente.
Quella
bambina era all'inferno.
Per
colpa sua.
John
si svegliò di soprassalto, le mani artigliate alle coperte e il
cuore che batteva contro il petto come se volesse uscire. Si accorse
di aver urlato solo quando vide la grande sagoma scura di Chas
emergere dalle coperte, nel letto accanto al suo, e accendere di
corsa la luce.
«John!
» L'altro si alzò, fu subito vicino.
John
era bianco come un lenzuolo, tremava. Si passò nervosamente una mano
tra i capelli, cercando di riprendere a respirare. Chas gli prese una
mano, la tenne saldamente stretta, mentre con l'altra gli
accarezzava con dolcezza una guancia.
«Di
nuovo?» chiese.
«Sì.»
John annuì, con un filo di voce. «Adesso passa.» Aprì il cassetto
del comodino , alla ricerca delle sigarette e dell'accendino. Per tre
volte accese la fiamma senza riuscire a centrare la sigaretta, tanto
gli tremavano le mani; perciò gettò tutto per terra, frustrato.
«Merda!» esclamò, scuotendo la testa e coprendosi la faccia con le
mani. Odiava sentirsi così, odiava sentirsi debole, odiava essere
perseguitato dagli incubi...
Dalla
colpa.
Chas
gliele prese entrambe, le mani, stavolta, obbligandolo a scoprirsi e
guardarlo. Non era la prima volta che John si svegliava nel cuore
della notte in preda al panico. E ogni volta, la paura aveva a che
fare con quella notte in cui aveva stretto il patto con Nergal, quel
demonio, e a farne le spese era stata una bambina.
Astra,
il nome di una stella. Ora brillava negli inferi, condannata a stare
con quel demone finché John non fosse riuscito a batterlo.
«John...»
«Non
finirà mai, Chas.» John aveva gli occhi lievemente cerchiati di
rosso, appena appena inumiditi. Vederlo così era una pugnalata nel
cuore.
«Sì
che finirà,» disse Chas, guardandolo negli occhi. Erano entrambi
ancora assonnati e confusi per il risveglio improvviso, ma i
sentimenti uscivano lucidi e netti. «Ogni giorno in più...»
cominciò, liberando una mano per accarezzarlo sui capelli. «Ogni
volta che rispediamo un demone al suo posto... Ogni volta, ci
avviciniamo un po' di più alla fine di questa storia. E alla
liberazione di Astra, hai capito?» John teneva gli occhi bassi.
«Guardami,» gli ordinò Chas.
L'altro
obbedì, anche se così si sentiva ancora più scoperto. C'erano
momenti in cui non riusciva ad avere controllo sulle proprie
reazioni, e questo lo spaventava. Ma se c'era Chas, a guidarlo,
allora poteva anche permetterselo. Poteva perdere il controllo di sé
stesso, poteva permettersi di sentirsi debole, perché sapeva che
c'era Chas pronto a prenderlo, a sorreggerlo, a impedirgli di
scivolare. Chas sapeva tutto di lui, sapeva sempre come prenderlo. E
l'unico di cui John si fidasse ciecamente era lui.
Era
l'unico che non aveva mai approfittato delle sue debolezze, anzi. Lo
aveva custodito e protetto quando si era sentito fragile, lo aveva
difeso da tutto quello che avrebbe potuto fargli del male. E poi lo
aveva rimesso in piedi, tutte le volte: con cura, con pazienza, con
amore. Lo aveva aiutato a tornare forte, a riprendere in mano la
situazione.
Chas
era sempre stato con lui, nei momenti peggiori. Persino a
Ravenscar...
«John,
ce la faremo.»
…Persino
a Ravenscar, quando John aveva deciso di farsi ricoverare, Chas era
sempre stato con lui. Andava a trovarlo ogni giorno. A volte, gli
elettroshock avevano surriscaldato i neuroni di John così tanto che
non riuscivano a scambiarsi una parola per ore. Eppure, Chas non
aveva desistito. Continuava a presentarsi tutti i giorni, e a
portargli i biscotti. Biscotti.
Un gesto così normale,
così patetico. Ma davvero sperava che potesse risvegliare in lui un
qualche tipo di interesse. Torna
a casa, avrebbe voluto
dirgli Chas. Non hai
bisogno di stare qui. Ci penso io a te, te lo prometto.
«Non
sono abbastanza,» mormorò John, affranto. «Ho giocato contro un
avversario troppo forte, e ho perso. Stavolta io non so se--»
«John,
tu ce la farai, come hai fatto sempre,» lo interruppe l'altro, con
un tono che non ammetteva repliche. «Altre volte ti è sembrato che
gli ostacoli fossero troppo grandi, ma poi abbiamo comunque trovato
un modo di superarli. O di aggirarli,» gli ricordò. «Perciò non
devi dubitare mai, nemmeno per un istante, di potercela fare.»
John
lasciò vagare i propri occhi scuri sull'altro. Le mani di Chas, il
suo calore, la convinzione con cui parlava, erano il conforto
migliore che potesse ricevere: gli facevano riacquistare piano piano
fiducia in sé stesso. Restò in silenzio per un po', cercando di
schiarirsi le idee. Infine sospirò, cercando di dimenticare le
immagini del suo incubo – la bambina, il demone; gli artigli di
lui, le mani di lei. E le richieste di aiuto, aiuto, aiuto...
«Ok...
Ok.» Respirò profondamente. «È stato solo... Un momento,» disse,
cercando di sembrare convincente.
Senza
attendere che aggiungesse altro, Chas si chinò verso di lui e lo
baciò.
John
si sentì immensamente sollevato da quel gesto, e lo accettò
chiudendo gli occhi, cercando di perdersi nella sensazione – poteva
cacciare via il malessere, poteva restituirgli serenità, lo sapeva.
Doveva soltanto tenere le palpebre chiuse, sincronizzare il respiro
con quello di Chas, e sarebbe andato tutto bene.
Il
modo in cui l'altro lo accarezzava era così attento, così delicato,
che riuscì a strappargli ogni brutto pensiero dalla testa. Quando si
separarono, John non era ancora pronto. Voleva che Chas continuasse a
restargli vicino, ma non aveva idea di come chiederglielo senza
doversi vergognare troppo. Si sarebbe sentito un po'... Un po'
stupido, a chiedergli di dormire insieme nonostante, in pratica, lo
stessero già facendo. C'erano meno di cinquanta centimetri tra i
loro letti, a voler essere generosi. Ma erano troppi, continuavano ad
essere troppi, perché John voleva stargli addosso come quando
dormivano al mulino. Non conosceva sistema migliore per calmare i
nervi. Era persino meglio dell'alcol, meglio delle sigarette.
«Aspetta,»
disse Chas, alzandosi. Spostò con un gesto il comodino tra i due
letti, poi girò intorno al proprio e, semplicemente spingendo un
paio di volte col piede, lo avvicinò a quello di John. L'altro lo
guardò e sorrise.
«Devi
essere telepatico, o qualcosa del genere. Davvero,» commentò, ora
pienamente tornato in sé.
«Ora
smettila di chiacchierare e dormi,» replicò Chas, spingendogli
delicatamente una spalla per invitarlo a distendersi. John obbedì.
Quando l'altro si sdraiò accanto a lui, l'esorcista gli si
raggomitolò addosso, premendo la guancia sul suo petto. La quiete
che apparentemente aveva recuperato duro solo pochi secondi, perché
poi ricominciò a parlare.
«Dico
sul serio. Forse, col passare del tempo, hai sviluppato una forma di
empatia che--»
«Sssst.»
«Ok,
ok. Ora smetto.»
«Zitto,»
gli ordinò Chas, fermo ma dolce, accarezzandogli lentamente la
testa, le spalle, la schiena, e poi risalendo. Sapeva che John era
drogato di attenzioni semplici come quelle, anche se non lo diceva
mai, anche se non le chiedeva mai – mai poi approfittava di ogni
occasione per farsi accarezzare un po'. Dopo pochi minuti, entrambi
sentirono di nuovo il sonno che premeva sugli occhi.
«Notte,»
disse Chas.
«Notte,»
mormorò John.