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Autore: Ambaraba    09/08/2015    1 recensioni
[Constantine]
Chas era la cosa più simile a una famiglia che avesse mai avuto. Se “famiglia” significava sostegno, calore e fiducia assoluta, allora Chas era la sua famiglia. Senza quel gigante taciturno, che molto spesso si esprimeva a monosillabi quando non addirittura a grugniti, la sua vita sarebbe stata uno schifo.
(John/Chas)
Genere: Generale, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CHASTANTINE 8

    Astra.
John sentì la tensione crescere. I suoi occhi, la sua pelle scura. La sua voce che lo chiamava.
Quella bambina era innocente.
Quella bambina era all'inferno.
    Per colpa sua.


    John si svegliò di soprassalto, le mani artigliate alle coperte e il cuore che batteva contro il petto come se volesse uscire. Si accorse di aver urlato solo quando vide la grande sagoma scura di Chas emergere dalle coperte, nel letto accanto al suo, e accendere di corsa la luce.
    «John! » L'altro si alzò, fu subito vicino.
John era bianco come un lenzuolo, tremava. Si passò nervosamente una mano tra i capelli, cercando di riprendere a respirare. Chas gli prese una mano, la tenne saldamente stretta, mentre con l'altra gli accarezzava con dolcezza una guancia.
    «Di nuovo?» chiese.
    «Sì.» John annuì, con un filo di voce. «Adesso passa.» Aprì il cassetto del comodino , alla ricerca delle sigarette e dell'accendino. Per tre volte accese la fiamma senza riuscire a centrare la sigaretta, tanto gli tremavano le mani; perciò gettò tutto per terra, frustrato. «Merda!» esclamò, scuotendo la testa e coprendosi la faccia con le mani. Odiava sentirsi così, odiava sentirsi debole, odiava essere perseguitato dagli incubi...
Dalla colpa.
    Chas gliele prese entrambe, le mani, stavolta, obbligandolo a scoprirsi e guardarlo. Non era la prima volta che John si svegliava nel cuore della notte in preda al panico. E ogni volta, la paura aveva a che fare con quella notte in cui aveva stretto il patto con Nergal, quel demonio, e a farne le spese era stata una bambina.
Astra, il nome di una stella. Ora brillava negli inferi, condannata a stare con quel demone finché John non fosse riuscito a batterlo.
    «John...»
    «Non finirà mai, Chas.» John aveva gli occhi lievemente cerchiati di rosso, appena appena inumiditi. Vederlo così era una pugnalata nel cuore.
    «Sì che finirà,» disse Chas, guardandolo negli occhi. Erano entrambi ancora assonnati e confusi per il risveglio improvviso, ma i sentimenti uscivano lucidi e netti. «Ogni giorno in più...» cominciò, liberando una mano per accarezzarlo sui capelli. «Ogni volta che rispediamo un demone al suo posto... Ogni volta, ci avviciniamo un po' di più alla fine di questa storia. E alla liberazione di Astra, hai capito?» John teneva gli occhi bassi. «Guardami,» gli ordinò Chas.
    L'altro obbedì, anche se così si sentiva ancora più scoperto. C'erano momenti in cui non riusciva ad avere controllo sulle proprie reazioni, e questo lo spaventava. Ma se c'era Chas, a guidarlo, allora poteva anche permetterselo. Poteva perdere il controllo di sé stesso, poteva permettersi di sentirsi debole, perché sapeva che c'era Chas pronto a prenderlo, a sorreggerlo, a impedirgli di scivolare. Chas sapeva tutto di lui, sapeva sempre come prenderlo. E l'unico di cui John si fidasse ciecamente era lui.
Era l'unico che non aveva mai approfittato delle sue debolezze, anzi. Lo aveva custodito e protetto quando si era sentito fragile, lo aveva difeso da tutto quello che avrebbe potuto fargli del male. E poi lo aveva rimesso in piedi, tutte le volte: con cura, con pazienza, con amore. Lo aveva aiutato a tornare forte, a riprendere in mano la situazione.
Chas era sempre stato con lui, nei momenti peggiori. Persino a Ravenscar...
    «John, ce la faremo.»
    …Persino a Ravenscar, quando John aveva deciso di farsi ricoverare, Chas era sempre stato con lui. Andava a trovarlo ogni giorno. A volte, gli elettroshock avevano surriscaldato i neuroni di John così tanto che non riuscivano a scambiarsi una parola per ore. Eppure, Chas non aveva desistito. Continuava a presentarsi tutti i giorni, e a portargli i biscotti. Biscotti. Un gesto così normale, così patetico. Ma davvero sperava che potesse risvegliare in lui un qualche tipo di interesse. Torna a casa, avrebbe voluto dirgli Chas. Non hai bisogno di stare qui. Ci penso io a te, te lo prometto.
    «Non sono abbastanza,» mormorò John, affranto. «Ho giocato contro un avversario troppo forte, e ho perso. Stavolta io non so se--»
    «John, tu ce la farai, come hai fatto sempre,» lo interruppe l'altro, con un tono che non ammetteva repliche. «Altre volte ti è sembrato che gli ostacoli fossero troppo grandi, ma poi abbiamo comunque trovato un modo di superarli. O di aggirarli,» gli ricordò. «Perciò non devi dubitare mai, nemmeno per un istante, di potercela fare.»
    John lasciò vagare i propri occhi scuri sull'altro. Le mani di Chas, il suo calore, la convinzione con cui parlava, erano il conforto migliore che potesse ricevere: gli facevano riacquistare piano piano fiducia in sé stesso. Restò in silenzio per un po', cercando di schiarirsi le idee. Infine sospirò, cercando di dimenticare le immagini del suo incubo – la bambina, il demone; gli artigli di lui, le mani di lei. E le richieste di aiuto, aiuto, aiuto...
    «Ok... Ok.» Respirò profondamente. «È stato solo... Un momento,» disse, cercando di sembrare convincente.
Senza attendere che aggiungesse altro, Chas si chinò verso di lui e lo baciò.
John si sentì immensamente sollevato da quel gesto, e lo accettò chiudendo gli occhi, cercando di perdersi nella sensazione – poteva cacciare via il malessere, poteva restituirgli serenità, lo sapeva. Doveva soltanto tenere le palpebre chiuse, sincronizzare il respiro con quello di Chas, e sarebbe andato tutto bene.
    Il modo in cui l'altro lo accarezzava era così attento, così delicato, che riuscì a strappargli ogni brutto pensiero dalla testa. Quando si separarono, John non era ancora pronto. Voleva che Chas continuasse a restargli vicino, ma non aveva idea di come chiederglielo senza doversi vergognare troppo. Si sarebbe sentito un po'... Un po' stupido, a chiedergli di dormire insieme nonostante, in pratica, lo stessero già facendo. C'erano meno di cinquanta centimetri tra i loro letti, a voler essere generosi. Ma erano troppi, continuavano ad essere troppi, perché John voleva stargli addosso come quando dormivano al mulino. Non conosceva sistema migliore per calmare i nervi. Era persino meglio dell'alcol, meglio delle sigarette.
    «Aspetta,» disse Chas, alzandosi. Spostò con un gesto il comodino tra i due letti, poi girò intorno al proprio e, semplicemente spingendo un paio di volte col piede, lo avvicinò a quello di John. L'altro lo guardò e sorrise.
    «Devi essere telepatico, o qualcosa del genere. Davvero,» commentò, ora pienamente tornato in sé.
    «Ora smettila di chiacchierare e dormi,» replicò Chas, spingendogli delicatamente una spalla per invitarlo a distendersi. John obbedì. Quando l'altro si sdraiò accanto a lui, l'esorcista gli si raggomitolò addosso, premendo la guancia sul suo petto. La quiete che apparentemente aveva recuperato duro solo pochi secondi, perché poi ricominciò a parlare.
    «Dico sul serio. Forse, col passare del tempo, hai sviluppato una forma di empatia che--»
    «Sssst
    «Ok, ok. Ora smetto.»
    «Zitto,» gli ordinò Chas, fermo ma dolce, accarezzandogli lentamente la testa, le spalle, la schiena, e poi risalendo. Sapeva che John era drogato di attenzioni semplici come quelle, anche se non lo diceva mai, anche se non le chiedeva mai – mai poi approfittava di ogni occasione per farsi accarezzare un po'. Dopo pochi minuti, entrambi sentirono di nuovo il sonno che premeva sugli occhi.
    «Notte,» disse Chas.
    «Notte,» mormorò John.

  
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