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Autore: AnnaB99    09/08/2015    1 recensioni
Il 18 agosto 1984, nel teatro di St. Rose, si è consumato un terribile omicidio. L'odio sprigionato da tale evento creò una potente maledizione. Trent'anni dopo la maledizione si risveglia e si scatena sul paese. I primi a subirne le conseguenze saranno tre strambi ragazzi, che non sembrano per niente essere coinvolti in nessun modo con tutta questa storia... ma un sottile filo connette tutti i pezzi di un puzzle che sembra impossibile da ricomporre...
Genere: Comico, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~Capitolo 2: Scoperte a dir poco piacevoli
Sono stata a Londra per una settimana. Sono rimasta affianco a lei per due giorni, parlandole e cercando di scherzare anche se avrei preferito piangere. Lei continuava a sorridere nonostante tutto. Mike mi è sempre stato accanto. Korinne e Juan ci hanno raggiunto il giorno in cui è morta. Proprio qualche ora prima. Abbiamo organizzato un piccolo funerale, tra pochi intimi, niente rinfresco, solo una breve cerimonia. C’era il sole, brillava così forte. Sembrava volesse salutare la mamma. Mi mancherà così tanto. Abbiamo aperto anche il suo testamento. Abbiamo ereditato la casa e tutti i suoi averi. Tutto. Macchine, vestiti, gioielli. Tutti i soldi che teneva nelle varie casseforti in casa. Con tutti quei soldi potremo tranquillamente fare la bella vita. Ma per ora li abbiamo trasferiti sul nostro conto corrente. Sono partita il lunedì e sono ritornata a casa la domenica sera ma sono andata a dormire da Mike, in quanto Korinne e Juan sono rimasti su un po’, per vedere se papà si sarebbe fatto vedere. Papà era così innamorato di mamma. Ma lei ha chiesto il divorzio. Ho come l’impressione che sia colpa mia. Quando il lunedì sono tornata alla biblioteca, ho visto il teatro aperto, le finestre spalancate e dall’interno proveniva un gran vociare. Non mi fermo a vedere chi c’è e in quanti siano. È pomeriggio inoltrato ormai. Non vedo l’ora di tornarmene a casa. Mi fermo davanti alla porta d’ingresso o meglio, m’immobilizzo. Qualcosa di estremamente arrabbiato e cattivo se ne sta in casa. Non vorrei entrare ma qualcosa mi spinge l’interno. La porta si chiude di scatto e la chiave gira nella toppa. DA SOLA. Ok Atena, mantieni la calma.
< Vieni >.
Un bisbiglio. Una voce di bambino. Tolgo le chiavi dalla serratura. Accendo la luce. In quel preciso istante delle impronte di piedini ricoprono il pavimento. Vanno in tutte le direzioni. Si vede da qua che è sangue. Sfilo le scarpe e lascio le valigie all’entrata. Mi giro e provo a riaprire la porta. Maledizione, mi sembra di essere in uno di quei film dove il protagonista va a cacciarsi nei guai per salvare i suoi amici. Che peccato! Io sono una egoista del cazzo quindi… POSSO USCIREE?! E ora cosa faccio?! Devo attraversare il corridoio e poi tutta la libreria prima di arrivare all’entrata principale… Cazzo. Faccio alcuni passi per l’atrio, verso il corridoio. I passetti si sono fermati. Mi sento osservata, ma non ci faccio caso. Non mi giro. Attraverso il corridoio a passo veloce, la chiave giusta già in mano. Sento i passi che mi seguono. Devono essere una decina di bambini, i piedini che fanno un piccolo squittio ogni volta che incontrano il parquet. Sfreccio silenziosamente verso la porta. Infilo la chiave nella serratura. Ed ecco.
Una risata.
Una risata di cuore, di quelle che ti fanno scendere le lacrime. Peccato che l’essere che la sta emettendo non sia di certo l’essere più contento della terra. Lo percepisco perfettamente... deve essere da molto in casa. Che mi aspettasse? Delle catene risuonano in lontananza. La porta non vuole aprirsi. E ora? Sono assediata da piccoli fantasmi imbrattatori di pavimenti (di cui al momento non mi preoccupo) e da qualche mostro che, al momento, sta facendo il giro della casa (del quale ho una paura che metà basterebbe). La biblioteca è strutturata su due piani. Il piano terra è quello per gli adulti, il primo è quello per i bambini. Al momento il mostro sembra trovarsi nel reparto magia, in quanto tutte le sfere di cristallo di Juan al momento si stanno sfracellando al pavimento. Riprovo ad aprire la porta. La risata va e viene. Riprovo a girare la chiave ma niente da fare. All’improvviso regna il silenzio. Un brivido freddo mi percorre la schiena e un gran terrore mi pervade. Atena, mantieni la calma e ricordati quello che ti diceva mamma! Mantieni la calma e non disperare. Posso prevedere le mosse di quelle creature … Non so che cosa ci sia al piano di sopra e la mia calma sta andando a farsi benedire. Mamma… grazie mille del consiglio, sai. Peccato che non mi hai spiegato COME fare. Grazie. Le impronte di sangue si girano tutte verso le scale che portano al primo piano. Mi giro lentamente anch’io. Tutto quello che vedo emergere dall’oscurità del piano di sopra sono due occhi bianchi e luminosi. Grazie alla luce da loro emessa riesco a distinguere un largo sorriso, i denti aguzzi e mal messi, le labbra rosse, non so se di sangue o di rossetto. Gli occhi sono sbarrati, i capelli radi e sporchi. La pelle ha un sanissimo colorito verdastro. La bestia ansima e mi fissa. Non riesco a muovermi. Sempre guardandola provo a spingere la porta, a girare la maniglia, a fare qualsiasi cosa, in preda al panico, alla paura più nera.
Scende le scale, anche abbastanza velocemente.
Provo a pensare ad un’altra uscita, ma le finestre non si aprono abbastanza per farmi uscire. La porta del bar è chiusa e non ho la chiave con me. Se l’aggiro, considerando che è veloce, potrebbe raggiungermi. E poi non so se ha un’arma con sé. Ok, ci vedremo al mio funerale.
Ansima.
Non capisco quello che dice.
Sta cercando di dire qualcosa ma la bocca cucita in un’eterna smorfia non può permetterglielo.
È ormai giù dalle scale. Ora la vedo. Il vestito che una volta doveva essere giallo, tutto sbrindellato, l’addome è completamente aperto, riesco a vederle gli organi interni, delle ferite rosse e macilente su tutto il corpo, le catene alle caviglie. Un’infinità di altre cicatrici si estendono su tutto il corpo. Una gamba è più lunga dell’altra e se la trascina, come se facesse male. Un braccio è lasciato penzoloni di fianco, l’altro impugna un’accetta sporca di sangue. Panico. Meno male che non mi sono mossa. O forse dovevo muovermi? Dovevo andarmene?
Ansima ancora.
< U…C…D…LA… >.
Non c’è bisogno di un genio per capire che dice “UCCIDILA” … il problema però è un altro... ma non posso pensarci adesso. Più si avvicina, più il panico mi assale, come il terribile tanfo che l’accompagna. Spingo la porta, la calcio, la graffio ma ormai c’è poco da fare. Non riesco a guardarla, non riesco a capire come mai mi sento mortificata. Mi salgono dei conati di vomito, gli occhi mi diventano lucidi e la vista diviene sfocata, le mani che si ricoprono di graffi. Non capisco più niente. Voglio solo uscire, voglio sono andarmene. Cosa ho fatto per meritarmi questo?! Nonostante le mie condizioni sia indecenti, continuo a riprovare. Continuo a sperare che qualche miracolo accada. E all’improvviso si ferma.
< TI… O… DI…O > dice lei.
< P-perché? > mormorò tra me e me.
< Vieni >.
E la porta si spalanca, qualcosa mi spinge fuori. Vado a sbattere contro qualcuno. La testa mi gira e il mio stomaco fa una capriola. La persona che mi sta reggendo mi porta velocemente a un cestino lì vicino. Vomito l’anima mentre quella persona mi tiene i capelli lontani dalla faccia. La mia vista è ancora annebbiata, gli occhi che continuano a lacrimare. La mia mente è confusa e non riesco a pensare lucidamente. Quando ormai nello stomaco non rimane nemmeno la bile, mi scosto con malagrazia dal cestino. Gli occhi stanno lentamente recuperando la loro abilità. Perdo l’equilibrio ma il mio soccorritore mi sostiene.
< Ti senti bene? > mi chiede una voce distante. Scuoto la testa in diniego, la bocca impastata. Rischio di cadere nuovamente, ma il mio soccorritore mi tiene per le spalle.
< Vieni >.
A sentire quella parola il mio cervello va in panne. Non di nuovo, non di nuovo! Mi divincolo dalla sua stretta ma sono così debole che non mi muovo nemmeno di un centimetro. Mi fa sede sulle gradinate del teatro e mi chiede di aspettare. Dove dovrei andare in queste condizioni? Ho ancora la nausea e non riesco nemmeno a tenermi in piedi. Devo avere un aspetto orribile. Il mio soccorritore ritorna con un bicchiere d’acqua e una coperta. Siamo a giugno ma sto tremando come se fossi in pieno dicembre, vestita come ora, nella neve fresca. Sorseggio l’acqua e mi sento rigenerata. La sento scendere giù, dritta nello stomaco. Osservo l’uomo seduto affianco a me. Ha il viso sciupato, gli occhi azzurri stanchi, i capelli sale e pepe e il completo elegante. Ha un’espressione dolce sul viso, nonostante tutto.
< Ti senti meglio? > mi chiese, stringendomi di più la coperta attorno al petto.
< Direi di sì… > mormoro io. Lui sorride. Non so perché ma mi sembra di conoscerlo… perlomeno di averlo già visto da qualche parte.
< Cos’è successo là dentro? Sei uscita così velocemente! > mi dice lui.
< Non era mia intenzione andare a sbatterle addosso, giuro! È solo che… Bah, non mi crederebbe! >.
< Giuro che qualsiasi cosa tu mi debba raccontare ti ascolterò, senza ridere o fare commenti… tu racconta tutto >.
Lo guardo sbalordita. Senza aggiungere altro comincio a raccontare quello che ho visto. Lui rimane serio e mi osserva dritto negli occhi, ogni tanto annuisce.
< Dalla descrizione… sembra proprio mia moglie… > mi dice, pensieroso. Io lo guardo sconvolta.
< Se è sua moglie potrebbe dirle che forse non questo il modo in cui ci si fa conoscere ai vicini?! Cristo, se la vada a riprendere quella matta travestita! > gli urlo addosso. Lui mi guarda senza capire.
< Mia moglie è morta trent’anni fa… > mi dice con un mezzo sorriso.
< Scheiβe… > sussurro, passandomi una mano tra i capelli. Le osservo. Sono tutte graffiate, il sangue che ha lasciato scie rosso scuro sui palmi e sulle dita.
< Mi spiace… è solo che non… voglio crederci… > gli dico, lo sguardo basso. Un fantasma? A me sembrava qualcosa di diverso… di più potente… devo ancora la mente annebbiata.
< Ti capisco, non ti preoccupare > mi dice lui. Mi alzo. Lui mi guarda interrogativo.
< Grazie di tutto signore, ora levo il disturbo > dico, mentre tolgo la coperta.
< A-aspetta! … I tuoi vestiti… > dice l’uomo. Abbasso lo sguardo. Sono tutti sporchi di sangue e stropicciati. Sembra che i fantasmini si siano divertiti a stringersi a me. Le gambe sono ricoperte di stampi di manine. In alcuni punti sembra che si siano addirittura appoggiati con il viso. Guardo l’uomo con un mezzo sorriso.
< Non fa niente, non ho problemi con i vestiti… > gli dico, incamminandomi verso la biblioteca.
< Hai intenzione di tornare là dentro!? > mi urla. Sembra preoccupato. Che sia stato padre?
< Sì, perché è casa mia > gli rispondo, leggermente stizzita.
< No, tu stai qua per questa sera! > mi dice perentorio.
< Dalla padella alla brace… > borbotto stizzita mentre roteo gli occhi.
< Cosa?! >.
< Ascolta, sento perfettamente cosa si nasconde in questo teatro e lasciamelo dire, non è niente di carino e coccoloso! > urlo, infervorata. Lui rimane lì a fissarmi. Come mai più lo guardo più mi pare famigliare? Devo essere confusa, non ci sono altre spiegazioni. Ma la mia mente sembra essersi ripresa completamente.
< Vado a casa di un mio amico… > gli dico in tono monocorde. Scendo le scale velocemente. Ma lui mi ferma. Ci fissiamo per un po’ negli occhi. Come mai ha un viso così famigliare! Non assomiglia nemmeno lontanamente a papà, né a qualsiasi altro uomo cinquantenne che conosco… come mai allora? ...
< Io sono Ephram, Ephram Ellison… >. Io annuisco. Quel nome non mi è nuovo.
< Io sono Atena e basta sapere questo > gli dico, tornando sulla mia strada.


[L'angolino della fallita]
Ciao a tutti ragazzi! Scusatemi se continuo a modificare i capitoli ma veramente, essendo il mio primo racconto horror continuo, soprattutto grazie a voi, a scoprire le mie falle! Vi ringrazio moltissimo!
Baci
-Anna

 
   
 
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