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Autore: cartacciabianca    28/01/2009    1 recensioni
[…] I due assassini si issarono sui bastioni della fortezza e furono a portata degli arcieri. -Via, via, via!- Altair l’afferrò per il cappuccio e la trascinò di corsa verso l’angolo della fortezza, che culminava con una torre, la quale facciata dava sull’immenso piazzale del distretto nobiliare. -Salta!- Altair la spinse giù e i due assassini, accompagnati dal ruggito di un’aquila, si gettarono nel vuoto. Nel bel mezzo del volo Altair la strinse a sé, ed Elena si avvinghiò a lui che, capovolgendosi in aria, atterrò di schiena nel cesto. Poi fu il silenzio, scortato dal canto delle campane d’allarme, ma almeno le voci dei soldati e le grida degli arcieri erano cessate. […]
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dea tra gli Angeli' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Un nome, per cominciare

-Che scemo, te ne vuoi andare?!-.
-Guarda che lo dico al Maestro!-.
-Halef, hai rotto, vattene!- rise Marhim cercando di spingerlo di sotto. –Vuoi avvertire tutti gli assassini della setta?!- sibilò a denti stretti.
-Va bene, d’accordo, ma non fare cretinate, chiaro fratellone? Non voglio diventare zio così giovane- borbottò.
-Sparisci!- Marhim lo guardò allontanarsi sulle scale, poi si voltò.
Il salone era avvolto dalla penombra del tardo pomeriggio, e le porte delle stanze erano aperte, assieme alle finestre che facevano passare la corrente gelida che solo a quelle quote soffiava.
Marhim vide Elena rannicchiata tra i cuscini e le si avvicinò con passo furtivo.
La ragazza aveva la testa girata di lato, e i capelli le coprivano parte del viso, arruffati. Nella mano destra Elena stringeva il ciondolo di Alice e l’altra era aperta poggiata a terra. Teneva un respiro calmo e regolare.
Marhim la fissò per diversi istanti, affascinato di quanto fosse bella anche quando dormiva. Ma si riscosse.
Il solo fatto che stesse pensando certe cose lo metteva in allarme. Non doveva neppure trovarsi in quell’ala della fortezza, e suo fratello l’aveva avvertito. Suo fratello! Si ripeté.
Marhim le si sedette lentamente accanto, in attesa che magari si svegliasse da sola, senza il bacio del principe azzurro. –Quanto sono spiritoso- mormorò allargandosi le cinghie del guanto, che erano rimaste per troppo tempo strette. Senza pensarsi, il guanto se lo levò proprio, poggiandolo di lato.
Elena dormì ancora per minuti, forse un’ora, ma a Marhim non dolle affatto restarle accanto. Ogni tanto le lanciava uno sguardo, ma poi tornava a fissare l’orizzonte fuori dalle vetrate spalancate ascoltando i suoni di Masyaf che arrivavano fin là su.
Alla fine si appoggiò con la schiena al muro e socchiuse gli occhi. Nel dormiveglia sentì qualcosa muoversi al suo fianco, ma per pigrizia non riuscì a rivenire dal sonno.

Elena, nello stiracchiarsi, sfiorò della stoffa calda e ruvida. Poi riconobbe del cuoio e anche il fodero di una spada.
La ragazza si sollevò e i capelli le caddero sul viso. Si mise le ciocche fuori posto dietro le orecchie e sorrise sbigottita quando vide Marhim steso sui cuscini poco distante da dove stava riposando lei. Il ragazzo sonnecchiava tranquillo con la bocca aperta e le spalle al muro. La testa gli era caduta di lato, e aveva una guancia appoggiata sulla spalla.
-Ma è così stancante vivere qui?- si chiese lei ridendo.
Si alzò lasciando Marhim steso dov’era e andò verso il balcone.
Era calata notte fonda su Masyaf, ed Elena si apprestò a chiudere le finestre senza fare troppo rumore. Coprì alcune vetrate con le tende, per non permettere al calore di disperdersi in pochi minuti. Andò nella sua stanza e si guardò allo specchio.
I capelli attirarono la sua attenzione. Provò ad appiattirseli con le mani, ma tornavano com’erano. Arruffati e gonfi!
-Il pettine!- mormorò e guardò sulle mensole accanto all’armadio. Lo trovò buttato dietro una mantella nera, e cominciò a slegare le centinaia di nodi.
-Ahi!- tra i denti della spazzola contò una ciocca piena.
Dopo fatica e sopportazione del peggiore tra tutti i dolori di una donna, la chioma tornò fluente e lucida.
Sorrise soddisfatta e mise il pettine al suo posto.
Uscì dalla stanza e notò che Marhim aveva cambiato posizione: tra le braccia stringeva un cuscino, ed era scivolato con il corpo steso metà a terra e metà tra altri cuscini.
Elena soffocò una risata, ma la gioia le passò in fretta.
-Come sarebbe a dire?-
-Mia signora Adha, l’ho visto coi miei occhi!- quella di Adha e la voce di uno sconosciuto venivano dal piano di sotto.
Elena scattò verso il ragazzo e lo svegliò con uno schiaffo.
Lui sobbalzò e d’istinto le strinse il polso. –Ehi!- si lagnò con la vista appannata.
-Svegliati, scemo! Devi nasconderti!- gli disse tirandolo su di peso.
Marhim barcollò stiracchiandosi. –Perché?- chiese sbadigliando.
Elena lo spinse nella stanza più vicina e chiuse la porta.
- Cos’è stato?- domandò Adha dopo aver sentito lo sbattere della soglia.
- Non saprei- rispose la voce sconosciuta.
Elena sentì i due salire le scale, poi Adha comparve sul piano con i lembi del vestito nero stretti nei palmi. –Elena, c’è qualcuno con te qui?- chiese la donna severa.
L’uomo alle sue spalle era un assassino, di un certo rango, ma poco abbigliato perché ad Elena sembrasse Altair.
Elena scosse la testa. –Nessuno, sono sola e stavo giusto scendendo per raggiungere Lily e…-.
- Quest’uomo giura di aver visto un assassino salire le scale. Elena, non mentire!- le gridò contro Adha.
-Adha, se ci fosse qualcuno te lo direi, e non ho visto nessuno salire, stavo dormendo!- rispose la ragazza. Il cuore le batteva a mille, e non sapeva chi tra i due, lei o Marhim, ci avrebbe rimesso di più per quella storia.
Adha le venne più vicino. – E la porta? Perché ha sbattuto?- le ringhiò a pochi passi.
-Stavo chiudendo le finestre, tirava vento- fu la sua scusa mentre teneva lo sguardo basso.
Adha fece un passo indietro. – Sai bene che questo posto non può essere frequentato da chi non ha l’autorizzazione, e colui che viene sorpreso deve pagare con la vita. Così scrisse Al Mualim nel suo codice quando la prima assassina firmò quel contratto. Non infrangere le regole come fece tua madre! Tienilo a mente- Adha fece cenno all’uomo di scendere, e l’assassino lasciò gli appartamenti.
Fu allora che Adha le sorrise. –Com’è andata la tua prima giornata lavorativa?- chiese.
Elena curvò le spalle. –Bene e male- disse.
-Come mai?- Adha teneva le mani giunte in grembo.
-Non c’è molto da dire. I preparativi per un funerale mi rattristano- aggiunse Elena.
Adha si lasciò sfuggire un risolino. – sono contenta che nonostante gli avvenimenti, ti piaccia ancora far battutine. Vieni, sarò lieta di accompagnarti a cena- Adha si avviò verso le scale.
-Veramente, non ho fame- confessò lei, e non era una farsa.
Adha si voltò. –sei sicura? Non hai mangiato nulla tutto il giorno- disse premurosa.
Elena annuì e tornò nella sua stanza, prima di chiudere la porta disse solo: -grazie lo stesso-.
Adha lasciò il piano.
Elena contò fino a dieci prima di uscire, e si trovò di fianco a Marhim che aveva aperto la porta nello stesso istante. –Che tempismo, grazie!- rise lui.
-Ma si può sapere perché ti sei addormentato?-.
-E tu perché te ne sei andata?-.
-Non mi andava di restare sotto gli occhi di un milione di assassini, scusa tanto!- borbottò.
-Va bene, hai ragione, avrei dovuto comprendere che non sei tipa da essere sulla bocca di tutti. Proprio non ti piace stare al centro dell’attenzione, eh?- Marhim sorrise incrociando le braccia.
-Parla lui che sa cacciarsi solo nei guai!-.
-Questa è la prima volta che infrango un ordine o una legge, non farmi la predica! Quella che non sa restare al suo posto sei tu- il battibecco finì lì.
Elena tacque ridendo.
Marhim si fece serio. –Perché non sei andata a mangiare?- le chiese. –Mi sono perso l’ultima parte- aggiunse.
-Non ho fame, ma tu dovresti andartene comunque!- lei lo spinse verso le gradinate.
- D’accordo! Vado! Te l’avevo detto che un giorno non mi avresti più sopportato!-.
Elena rimase sola, ridendo ancora per la buffa ed insolita situazione in cui si era cacciata.
Restare ancora nella stanza non le sarebbe servito a molto, quindi lasciò passare una manciata di minuti prima di avviarsi anche lei fuori dagli appartamenti.
Se non avevi le mani impegnate nella carneficina o nello spazzare pavimenti, quel posto deprimeva, si disse Elena scendendo le scale principali.
Trascorse il resto della serata ad assistere ad alcuni degli allenamenti notturni. Poi si spostò nella biblioteca, dove trovò qualcosa da leggere.
Il custode della libreria la scacciò da lì che era passata la mezza notte, ma riuscì a farsi dare il permesso di portare il testo nella sua stanza.
Una volta tra i cuscini, aprì il libro, ma prima che potesse arrivare al dodicesimo capitolo, si addormentò con la bocca aperta.

Sognò le assassine. Le sei assassine che si muovevano come ombre nell’oscurità delle città. Vedeva le ombre assalire le persone e poi perdersi nella folla. Erano ombre spietate, ma bellissime. Poi sognò se stessa, che galoppava su un bellissimo cavallo nero. Accanto a lei, su uno stallone bianco c’era il suo futuro maestro. Erano diretti ad Acri. Seguivano un sentiero tra i boschi di ulivi, e le guardie li venivano dietro gridando: -Assassini!- ma non riuscivano a raggiungerli. Sognò che arrivati ad Acri, il suo maestro veniva colpito da una freccia e moriva davanti alle mura della città. Sognò il volto di Corrado, che più volte aveva visto durante le sue diverse manifestazioni aperte al popolo. Sognò che con la sua lama nascosta, Elena gli tagliava la gola.
Quel sogno le piacque, e molto.

Una settimana dopo…

-Ah! Scotta!- gridò una donna.
Elena rise mentre pelava le patate in un angolo. –scusa, avrei dovuto avvertirti Lily-.
-Maledetta- borbottò la damigella di Adha buttando l’acqua calda nel lavandino.
Nella cucina c’era il solito trambusto di posate e portate, assieme alla confusione delle chiacchiere di cinque donne.
Lily cominciò a tagliare delle verdure, mentre un’altra ragazza riempiva il forno con delle forme di farina abbastanza tozze.
Elena si era abituata ai lavori che Lily le affidava, e aiutare in cucina era diventato il suo passatempo preferito. Le ricordava quando aiutava suo padre ad apparecchiare la tavola all’età di sei anni. Quando imparò a fare il pane a dodici e quando, in fine, preparava lei la cena per la piccola famiglia che erano.
L’atmosfera non era più la stessa. In una settimana la situazione si era ribaltata, e ora Elena era vista di buon occhio da tutte le donne che lavoravano nella fortezza. Tutte tranne una.
Era riuscita a scoprire che il suo nome era Minha, era la bellissima donna dai capelli rossi che più che una cameriera sembrava un donna di malaffare. Elena guardava con stizza come si vestiva. Sempre così scollata, trasandata a mostrare le spalle e il petto.
Minha lavorava spesso in cucina almeno quanto lei, ma nonostante condividessero le stesse occupazioni, non si rivolgevano mai la parola. Nessuna tra le donne di Masyaf con cui Elena aveva scambiato quattro chiacchiere sembrava sapere qualcosa su di lei, e a Minha, pettegolezzi e scaramucce non davano fastidio. Se ne stava per i fatti suoi, a lavorare come tutte ma senza mai proferire una parola una. Solo quella volta che Elena vi si era seduta accanto, aveva avuto l’onore di sentire la sua voce.
Minha non sembrava umana. Anche quando si spostava da una parte all’altra della cucina, i suoi passi erano silenziosi e aggraziati e tradivano l’aspetto che dava di sé. Profumava, e aveva i capelli sempre lucidi e mai arruffati. Portava spesso le stesse vesti. Teneva sempre lo stesso sguardo afflitto, stanco, vinto, sopraffatto.
-No!-
Elena si voltò ed ebbe solo il tempo di vedere una cesta di grano rovesciare il suo contenuto al suolo. –Ma che diavolo!- gridò Minha passandosi una mano tra i capelli, poi a coprirsi il viso.
La donna s’inginocchio tra i chicchi e cominciò a piangere.
Elena lasciò il coltello e la patata che aveva in mano e le corse al fianco. –Vuoi una mano?- domandò.
Tutte le ragazze presenti nella cucina si voltarono a guardare come Minha versava lacrima dopo lacrima.
-Minha, non serve piangere sul latte versato! Avanti, pulisci!- la sgridò una delle cameriere.
Minha si alzò lentamente ed Elena si fece da parte, perché la donna corse fuori dalla cucina in lacrime.
-Che cosa le hai fatto?- chiese Lily avvicinandosi a lei.
-Nulla, le ho solo chiesto se voleva una mano- rispose Elena.
-Be’- riprese una donna. –Qualcuno dovrà pur rimediare. Lily, perché non vai a vedere cosa l’è preso?-.
Lily annuì e lasciò la cucina.
-Tu, Dea, usa un po’ do magia con quella scopa, avanti-.
Elena afferrò il manico e cominciò a raggruppare il grano. Quando ebbe finito, le donne stavano già servendo il pranzo agli assassini nella sala mensa.
La schiena le dolorava per il troppo tempo rimasta curva a raccogliere il grano versato.
Ad un tratto le porte della cucina si aprirono e nella stanza entrò un uomo.
-Elena?-
Era un assassino, e la ragazza si mostrò ai suoi occhi celati sotto il cappuccio. –Sì?- non era Marhim, ma uno che non aveva mai visto, eppure la voce le era familiare.
-Il Maestro vuole vederti- disse lui.
Ecco! Era l’assassino che l’aveva tenuta per le spalle mentre Adha la fasciava. Adel, le parve si chiamasse.
-Certamente- fece lei seguendolo fuori dalla cucina. Prima di uscire lasciò il suo grembiule sul tavolo pulendovi le mani.
Adel la scortò fino al piano terra, dove Elena incontrò gli occhi di Marhim che stava curiosando tra i vari scaffali. –Elena- mormorò lui e provò ad avvicinarsi.
Elena si fermò, ma Adel la prese per il braccio. –Cammina- le disse.
-Che succede?- domandò lei, divincolandosi. –E lasciami!-.
-è importante, e il Maestro vuole che tu sia sola- le spiegò Adel. –Avanti, andiamo- lui si avviò, ma la ragazza non le andò dietro.
Marhim le corse incontro, e le si fermò proprio di fronte. –Elena, cosa?…-.
-Non so, ma ora devo andare. Ti spiego dopo, semmai- la ragazza seguì Adel che era già accanto al Maestro, in piedi davanti alla scrivania.
Quando Elena raggiunse Tharidl e Adel, quest’ultimo li lasciò soli.
-Maestro- s’inchinò lei.
Tharidl la guardò sorridendo. –Sono felice di vederti sorridere, Elena. Questo luogo sta diventando di tuo gradimento?- le chiese.
Elena annuì. –La mia nuova casa, Maestro. Assolutamente sì- era gioiosa, forse il grande momento era arrivato, così anticipò il vecchio. –Perché mi avete fatta chiamare?-.
Tharidl allungò nuovamente il suo sorriso e cominciò a camminarle davanti. –Il Credo di un assassino si basa su tre fondamentali principi, poiché senza di esso noi non siamo nulla e nulla può diventare troppo. Trattieni la lama dalla carne degli innocenti, poiché essi sono tuoi alleati ed ogni vita risparmiata grava meno alla tua anima e ogni goccia di sangue perduta è un dolore insopportabile. Nasconditi alla vista, il nemico è dietro l’angolo, alle tue spalle e colpisce quando meno te l’aspetti. Confondersi tra la gente comune è ciò che ci facilita gli incarichi. Indiscreto, silente, un assassino sa come e dove colpire senza destare alcun sospetto. Elena, non compromettere mai la confraternita, agisci con la mente e segui il cuore solo quando sei cosciente di ciò che le tue azioni possono comportare. Sii clemente con chiunque cercha di ostacolarti, un giorno potrebbero rivelarsi i tuoi alleati, intuito e prontezza saranno le tue qualità-.
Elena taceva, sconvolta e con gli occhi che le luccicavano. –Maestro…- mormorò.
-Sì, Elena, oggi sono felice di conferirti il tuo primo titolo di Ashash. Inoltre- L’uomo la guardò serio. –Ho scelto il tuo maestro-.
Elena fece un respiro profondo, ma la sua mente non riusciva a restare concentrata. Era un’assassina. Una Dea.
Tharidl le venne più vicino. –è stato difficile. Ho cercato di mettere da parte i vostri incontri e scontri, ho tentato di azzerare le vostre divergenze, e spero di aver preso la scelta giusta. Egli ha avuto il coraggio di guardarti in volto e di abbassarsi al tuo livello, nonostante gli sia costato il suo onore. Ora voglio dare a quest’uomo l’opportunità di redimere il proprio animo-.
-No…- Elena aveva capito di chi stava parlando. –No, Maestro, no- balbettò. –sono sicura che egli non accetterà mai, vi prego, e io non riuscirei a sopportare questo peso!- Elena si aggrappò alla sua tunica, quasi abbracciandolo e scongiurandolo.
Tharidl le prese il viso tra le mani. –Negli anni cui ho guidato questi uomini, ho avuto modo di studiarne ogni particolarità, ogni aspetto, difetto e pregio. Nell’Angelo che ho scelto bolle la rabbia, certo, ma egli ha saputo accettare le mie decisioni poiché la sua ragione, sempre lucida, vede il giusto aspetto delle cose- le sussurrò.
-Elena- riprese accarezzandole i capelli. –voglio che davanti a te sorga un assassino che possa essere al tuo pari e oltre. Ho scelto colui che mi ha dimostrato di saperti tenere testa. Elena, come Adha non ha voluto dirti, tu hai davvero le qualità per diventare la migliore. In te scorre il sangue di tua madre e quello di tuo padre, e assieme loro hanno dato la vita ad una Dea che non ha eguali, e io lo so. Ma come tutte le assassine prima di te, devi imparare a moderare le tue abilità e ad usufruirne il giusto dosaggio-.
Elena fece un passo indietro, e il vecchio spostò gli occhi alle sue spalle, su una terza presenza che Elena sentiva dietro di lei.
-Altair, vieni avanti- disse.
Elena tenne gli occhi chiusi e il volto basso quando Altair si mostrò alla luce delle vetrate.
L’assassino aveva il cappuccio ad oscurargli gli occhi ulteriormente, e teneva le braccia lungo i fianchi. La schiena dritta e il portamento austero tradivano i ricordi che Elena aveva del loro ultimo incontro.
-Altair, sei rimosso da tutti i tuoi precedenti incarichi e i tuoi alunni sosteranno alle lezioni di Fredrik. Da oggi Elena è tua discepola, voglio che tu ti prenda cura di lei e che le insegni tutto quello che ha fatto di te l’uomo che ora si trova al mio cospetto. In fine- Tharidl fece una pausa e spostò lo sguardo su di lei.
Elena era schiacciata dall’imbarazzo, che la mangiava pezzo per pezzo a partire dalle gambe, che a malapena teneva composte. Le spalle tese e i pugni chiusi.
-Elena- sentì la voce del suo nuovo Maestro chiamarla.
Alzò il viso e si voltò lentamente verso di lui. –Sì, Maestro- proferì un inchino verso Altair, ma avrebbe pagato oro per non farlo.
-Bene, allora i preliminari sono conclusi-.
Dalle scale comparve Adha, che le venne al fianco. –Andiamo, devi provare una cosa- le disse prendendola sotto braccio. Prima che si allontanassero, Adha incrociò gli occhi di Altair e annuì due volte rassegnata.
Altair e Tharidl rimasero soli.
L’assassino fece un passo avanti. –Spiegatemi, avanti!- ruggì.
-Altair, non sono dovuto a dare spiegazioni né a te né a nessun altro che non sia me stesso. Ora puoi andare-. Il vecchio si sedette allo scrittoi e intinse la piuma nell’inchiostro.
-Perché? Cose ho fatto per meritarmi questo!- insistette l’Angelo.
-Dovresti esserne onorato! Altri assassini mi hanno chiesto questo incarico, e non mi è importato sapere perché. Ma uno di loro ha avuto il coraggio di ammettere che Elena era attraente! Sei l’unico di cui mi posso fidare in questo, quindi, se non ti dispiace… -.
Altair sbatté i pugni sul tavolo e la boccetta d’inchiostro saltò. –Credete che sia opportuno per questo incarico solo perché non sarei capace di metterle le mani addosso?- digrignò.
-Esatto- rispose tranquillo il Maestro.
-Come fate a saperlo?-.
-So che amate Adha, e mi basta come risposta. E se non sbaglio, Elena è troppo giovane per voi. Avrei potuto affidarla ad Angeli più anziani, lo ammetto, ma credo che questa esperienza possa giovare ad entrambi voi-.
-Giovare? Quella ragazza mi ha umiliato di fronte a tutta la confraternita!-.
-Il tuo ego, Altair- lo ammonì il vecchio. –ricordi quanto avanti ti spinse la tua rabbia anni or sono?- gli rammentò.
-Siete tale e quale ad Al Mualim!- borbottò l’assassino. –non sapete scegliere con giudizio e vi fate influenzare dalla prima opportunità!- lo accusò.
Tharidl non si scompose, continuando a scrivere. – Basta, ho preso la mia decisione, e nessuno potrà cambiarla se non io stesso. La discussione è terminata-.
-Non so da dove cominciare! Il suo modo di combattere è rozzo, antico! Kalel poteva insegnarle un po’ meglio, ed io non so come rimediare! Perché non Marhim, con lui la ragazzina ha legato tanto, no?-.
-Egli non è di grado sufficiente per insegnarle ad uccidere!- il vecchio si alzò, senza riuscire a contenere la collera. – Non comprendi che Elena deve apprendere l’arte dell’assassino e non della guardia di pattuglia? Non comprendi?!-.
-Comprendo, e comprendere è doloroso, Maestro- l’assassino parve calmarsi, staccandosi dal tavolo. –Delle volte mi domando- cominciò Altair con tono più quieto. –se sono ancora degno di portare queste vesti- abbassò lo sguardo.
Tharidl tornò a sedersi. –E delle volte dovresti fare meno domande e agire come ti è stato chiesto-.
-Proprio per questo Al Mualim scelse me per i suoi scopi. Sapeva che non avrei fatto domande, ed io non voglio cadere nella stessa tela due volte-.
Tharidl si mise gli occhiali. – Hai saputo nulla di Minha?- gli chiese.
-Cosa c’entra Minha con?…-.
-Ha lasciato la città poche ore fa, le nostre guardie l’hanno intercettata alla fine della valle. Vorrei che Adha le parlasse, puoi chiedere alla tua promessa questo per me?- lo guardò serio.
Altair annuì. –certo, come desiderate Maestro- chinò il capo e si avviò.
-Ah, Altair!- lo chiamò.
Lui si voltò.
-Vorrei inoltre che le trovasse una spada, ad Elena. Non una qualunque, né pesante né leggera, deve adattarsi al pugno fermo che le ha dato suo padre. Potete occuparvene voi, o debbo lasciare che sia Marhim a farlo?-.
Altair sorrise sotto il cappuccio. –Ora comprendo…- mormorò tra sé. –No, Maestro, mi occuperò anche di questo, non scomodatevi-.
-Puoi andare, allora-.
Altair lasciò la sala si corsa e raggiunse le gradinate principali. Salì due gradini alla volta e camminò per gli appartamenti degli Angeli.

-Ti sta benissimo- disse Adha commossa.
-Ma si può sapere che roba è?- domandò Elena girandosi di fianco.
-Come cos’è?- fece Adha. –è la tua veste di assassina!- rise.
Nello specchio Elena sembrava più magra del solito. La sua immagine la mostrava con indosso una veste bianca che le arrivava alle ginocchia. Adha l’aveva vestita di tutto punto come un comune assassino di rango basso, solo che l’abbigliamento si adattava alle sue forme femminili senza esagerare. Al posto di una cintura di cuoio, la ragazza portava alla vita una pezza rossa che le pendeva davanti, simbolo che non aveva ancora raggiunto neppure il primo grado. In più Adha le aveva allacciato una cinghia di cuoio che andava dalla spalla destra al fianco sinistro, con un triangolo di metallo che le toccava il petto. Gli stivali le stavano larghi solo perché non li aveva allacciati per bene, poiché avrebbe perso una mattinata a fissare come si deve tutti i lacci. Il cappuccio era calato sulle spalle e le maniche dello strato inferiore erano morbide e le cadevano a coprirle anche le mani.
-Mi commuovi- disse Adha.
-Come mai?- Elena fece un giro completo per adocchiare anche il posteriore.
-E pensare che avrei dovuto bruciarla, questa era l’ultima, sai?- le confessò.
-Grandioso. Vuol dire che non ci sono ricambi? E se la strappo, la rovino, la sporco? Non mi ammazza nessuno, vero?-.
Adha rise. –No, non preoccuparti. Le nostre sarte ne faranno altre-.
-Mitico- Elena la guardò sorridendo, e Adha ricambiò.
Elena lanciò un’occhiata oltre la donna, e vide che il suo Maestro veniva verso di loro.
-Maestro- Elena s’inchinò.
-Altair!- Adha, sorpresa, fece un passo indietro.
-Possiamo, un attimo…- Altair indicò le scale con la testa.
Adha si voltò verso di lei. –Elena, puoi scusarci?-
La ragazza annuì e i due lasciarono gli appartamenti.
Elena tornò a guardare lo specchio. Quando provò a tirarsi su il cappuccio, non riuscì a nascondervi all’interno la folta chioma di capelli.
-No! No! No!- gridò a denti stretti. –Vuoi vedere che…-.

   
 
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