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Autore: Kiki75    29/01/2009    3 recensioni
"Sst... buona, piccolina, buona", sussurrò Jack, continuando a cullare C.J., anche se quello che avrebbe voluto fare sarebbe stato appoggiarla sul divano, sedersi ai suoi piedi, prendersi la faccia fra le mani e piangere insieme a lei. Sentire una neonata piangere a quel modo senza capire cos'avesse era qualcosa di davvero straziante... (da "I segreti di Brokeback Mountain", seguito di "Thunderbird")
Genere: Generale, Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Cassie Cartwright, Ennis Del Mar , Jack Twist, Quasi tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Come sei veramente
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Capitolo 2 - Everything burns

Aprile 1972

Era una notte di pioggia, come ce n'erano state molte in quella primavera, e Jack se ne stava alla finestra aperta della cucina, in pigiama, vestaglia e ciabatte, ascoltando il rumore delle gocce che cadevano sul tetto e godendosi il profumo dell'erba bagnata, incurante dell'aria fredda. Erano trascorsi esattamente sette anni da quando sua madre era morta, uccisa per sbaglio da suo padre: e come ogni anno, malgrado il tempo che passava, si trovava incapace di prendere sonno, come se temesse che Ada potesse tornare per...
Per dirgli qualcosa?
E che cosa?
E cosa doveva temere da sua madre, che come unica colpa aveva avuto quella di non averlo mai difeso da quel figlio di puttana di suo padre?
Da bambino, Jack era stato in collera con lei, per non averlo mai difeso. Poi, aveva capito che lei non ci sarebbe mai potuta riuscire, non era nella sua indole, e allora aveva deciso che sarebbe stato lui a proteggerla.
E ci aveva provato, Dio solo lo sapeva, ma i suoi sforzi non erano serviti granché.
Poi, aveva deciso di andarsene.
Non era mai riuscito a proteggere sua madre, poi se n'era andato lasciandola al suo destino, e questo era uno dei cattivi pensieri che ogni tanto gli giravano per la testa, impedendogli di dormire sereno o torturandolo con spaventosi incubi.
Come il pensiero di K.E., che da quella sfortunata sera ad Evanston non aveva più voluto sentir parlare del fratello, cosa che sembrava angustiare Ennis più di quanto volesse far credere. Janice aveva provato a telefonare a K.E., e Kat a parlargli, ma era stato come affrontare un muro di cemento armato. Diamo tempo al tempo, aveva detto Katherine, quella sera: ma Jack credeva che, per convincere K.E., l'eternità non sarebbe stata sufficiente.
Lui ed Ennis erano andati avanti. Fra alti e bassi, come tutti - chi non ne ha? Ne hanno a bizzeffe le coppie eterosessuali e regolarmente sposate, come Matt e Jan e K.E. e Kat, figurarsi una coppia di checche con i caratteri diametralmente opposti che cercano in qualsiasi modo di nascondere la propria relazione. Ma malgrado tutto, erano andati avanti, e le cose sembravano andare più che bene, meglio di quanto avessero potuto sperare. Jack, che al contrario di sua madre non era mai stato un gran credente, più di una volta si era chiesto se qualcuno li stesse guardando da lassù o da chissà dove, e avesse messo loro una mano sul capo: forse, sua madre stessa, o addirittura Dio in persona. La sua idea di Dio era vaga e indefinita, ma se un Dio esisteva, cattolico o metodista o protestante, o buddhista o shintoista o cos'altro, ed era puro amore come spesso gli aveva detto Ada, perché mai doveva essere contro un amore così profondo come quello che lo legava ad Ennis, malgrado la chiesa decretasse che era sbagliato? Forse era stato proprio Dio a farli incontrare.
La loro fattoria era cresciuta, e nella primavera del 1972, quasi nove anni dopo essersi conosciuti, erano proprietari di un allevamento composto da una quarantina di capi, che producevano carne e latte, tre pregiati tori da monta, un piccolo maneggio con una dozzina di cavalli e due ettari di frutteto a completamento dell'opera: Ennis gestiva il bestiame e Jack il maneggio e per lo più la contabilità, aiutati da un personale fisso di cinque operai, una segretaria part-time e un'insegnante di equitazione, più altra manovalanza in quantità variabile nei momenti di maggiore lavoro.
Naturalmente, qualcuno a Casper ed Edgerton aveva iniziato a mormorare: Ennis aveva avuto ragione, dopo che lui e Jack furono andati ad abitare nella stessa fattoria, senza mogli, i pettegoli ebbero pane per i loro denti. Ma anche Jack si accorse di avere visto giusto, al pari di Ennis: non si era più negli anni cinquanta, e non abitavano in una piccola cittadina: per la maggior parte, la gente si faceva gli affari propri, purché non venisse messa di fronte alla verità nuda e cruda, e loro non infastidissero nessuno, in nessun modo: l'identico atteggiamento di K.E., con la differenza che a K.E., essendo fratello di Ennis, a un certo punto era venuta voglia di conoscere la verità nuda e cruda, qualunque essa fosse.
Jack era convinto che molti sapessero di lui ed Ennis, o quantomeno l'immaginassero, ma che nessuno avesse il coraggio di domandare niente: a tutti faceva comodo considerarli grandi amici, lontani parenti, legati come fratelli, punto e basta. Faceva comodo ai loro fornitori, faceva comodo ai loro clienti, e a quelli degli Hamilton. Faceva comodo ai genitori dei compagni di classe di Hope, Ken e Pete. Faceva comodo a conoscenti ed amici - non che ne avessero molti, in verità: si erano trovati ad accettare inviti a cena, qualche volta, e a ricambiare l'invito, più che altro con amici degli Hamilton, o con alcuni fornitori o clienti, ma la natura del loro rapporto non permetteva loro di eccedere con le pubbliche relazioni.
Non permetteva ad Ennis di eccedere, si era ritrovato più volte a considerare Jack. Ennis era ancora terrorizzato da quello che sarebbe potuto succedere se qualcuno avesse saputo di loro: ancora oggi, dopo nove anni, neanche si sognava di sfiorargli la mano in pubblico, tranne che in casi particolari, come quella volta al funerale della moglie di uno dei loro operai, Don Wroe, l'anno precedente. Don era distrutto e sconvolto, la moglie era morta all'improvviso a causa di un incidente d'auto, e vedere quell'omone piangere come un bambino aveva commosso Jack, che a sua volta non era riuscito a trattenere le lacrime. Ennis l'aveva abbracciato, proprio come al funerale di Ada, e non l'aveva lasciato nemmeno quando Jack si era aggrappato a lui e aveva nascosto il viso nell'incavo del suo collo, singhiozzando: anzi, l'aveva stretto più forte.
Jack lo rispettava. Conosceva perfettamente Ennis, pregi e difetti, e sapeva che se voleva continuare a stare con lui, avrebbe dovuto continuare ad accettarlo e rispettarlo così com'era. Del resto, da quando lo aveva conosciuto, il suo pessimo carattere si era ammorbidito in un modo che Jack non avrebbe mai creduto possibile: e non era di quell'Ennis intrattabile e scorbutico che si era innamorato, tanti anni prima?
Avrebbe voluto potergli tenere la mano in pubblico, certo. Camminare per strada abbracciati. Scambiarsi un bacio fra l'altra gente. Baciarsi sotto il vischio alla festa di Capodanno. Ma non era possibile, per loro. E allora, meglio non pensarci: a che serve rodersi per una cosa che non puoi e non potrai mai fare? Come spesso diceva Ennis, se non puoi farci niente, devi prenderla così com'è.
E Jack aveva molte altre cose per cui essere grato alla vita che conduceva. C'era chi si baciava in pubblico e fra le mura domestiche si detestava; a lui non era permesso mostrare il proprio amore alla gente, ma in casa propria poteva fare ciò che gli pareva. La cosa che più gli piaceva era potersene stare sul divano con Ennis, in inverno, dopo cena, entrambi sotto alla stessa coperta, vestiti con abiti vecchi o in pigiama, l'uno fra le braccia dell'altro, al caldo, con il camino e la televisione accesi: era una cosa che raramente avevano potuto fare a casa degli Hamilton. Oppure, nelle sere più calde, sedersi nel portico dietro casa, abbracciati, a fumare e chiacchierare e guardare il cielo, come avevano fatto tanti anni prima sulla Brokeback. O concedersi, durante la giornata, un piacevole intermezzo, come lo definiva Ennis: giusto cinque minuti, o anche meno, di coccole, carezze, sussurri e piccoli baci, rintanati in un angolo delle scuderie quando gli altri stavano per tornare dalla pausa pranzo, o nella cucina mentre lo spezzatino finiva di cuocere, o nella lavanderia, mentre la lavatrice terminava la sua centrifuga.
Tutte cose che Jack immaginava facesse una qualsiasi coppia innamorata, la cui passione iniziale si era trasformata in qualcosa di diverso, ma molto più profondo: qualcosa che con il tempo non faceva altro che crescere e stabilizzarsi.
Quel giorno a Signal, Jack era stato sicuro di avere fatto la scelta giusta, tornando indietro a riprendere Ennis, malgrado tutte le difficoltà che sapeva avrebbe dovuto affrontare. E ora, quasi dieci anni dopo, con il viso lievemente più scavato, senza però avere perso quell'aria da ragazzino, ne era più che mai convinto: non rimpiangeva di essere tornato indietro, non rimpiangeva un solo giorno trascorso accanto ad Ennis.
Aveva voglia di bere qualcosa. Si diresse al frigorifero in cerca di una birra, ma cambiò idea e richiuse lo sportello, una birra non era sufficientemente forte. Raggiunse la vetrinetta dei liquori in salotto, prese uno dei bicchieri e la bottiglia del Jack Daniel's e si versò tre dita di whisky: quello l'avrebbe aiutato a dormire.
Lo bevve liscio, senza aggiungere ghiaccio, e subito sentì il liquido che gli infiammava lo stomaco, per raggiungergli poi la testa, facendola girare. Jack sapeva che presto gli sarebbe nuovamente disceso lungo il corpo, per arrivare alle gambe e infine ai piedi: dannazione, non era proprio capace di reggere l'alcol. Tornò in cucina e posò il bicchiere nell'acquaio, poi richiuse la finestra. Lui ed Ennis si erano scolati delle quantità di whisky, quell'estate su alla Brokeback, e ricordò con un sorriso come avesse cercato di bere più del collega per impressionarlo, malgrado reggesse l'alcol neanche la metà di quanto lo reggesse lui, e fosse regolarmente finito ubriaco.

Era ora di raggiungerlo a letto. Se anche non fosse riuscito a dormire, sarebbe rimasto ad ascoltare il suo respiro regolare, accoccolato nel suo calore e nel suo profumo, con il rumore della pioggia in sottofondo e Kes, la cucciolona di dieci mesi di Australian Kelpie dal pelo blu fumé che avevano adottato dal canile municipale cinque mesi prima, sdraiata dietro alla sua schiena.
Una prospettiva nient'affatto malvagia.

Luglio 1972

Quel sabato pomeriggio l'aria era torrida e afosa, non certo l'ideale per recarsi in città, ma non avevano potuto evitarlo: il giorno dopo Hope avrebbe compiuto dodici anni, e dovevano ancora comprarle il regalo. Avevano girato in lungo e in largo per il centro di Casper, osservando le vetrine e cercandovi ispirazione - cosa diavolo si regala ad una ragazzina che compie dodici anni? - e l'insofferenza di Ennis, che non sopportava di avere caldo e sentirsi sudato e appiccicoso almeno quanto Jack non sopportava il freddo, era aumentata di minuto in minuto. Alla fine, erano entrati in un negozio di dischi, e conoscendo la passione di Hope per i Doors, le avevano acquistato il loro ultimo doppio LP, che lei ancora non possedeva.
"Almeno, qualcosa di buono l'abbiamo trovato", aveva sospirato Ennis, mentre la commessa impacchettava il disco. "E qui c'è l'aria condizionata. Se penso che dobbiamo tornare là fuori..."
Appena raggiunto il parcheggio, Ennis si era lamentato di nuovo, togliendosi il cappello di paglia e asciugandosi la fronte con l'avambraccio: "E adesso, chi ha voglia di salire su quel furgone? Ci saranno almeno sessanta gradi, là dentro."
"Esagerato", ribatté Jack, che con il caldo non aveva problemi. Peccato che l'estate fosse così breve... e che dovesse costantemente sorbirsi le lamentele di Ennis. D'altro canto, durante i lunghi mesi invernali, Ennis doveva sorbirsi le sue.
"Cinquantanove di sicuro. La prossima volta, dobbiamo comprarcene uno con l'aria condizionata."
"Perché non ci fermiamo a bere qualcosa?" suggerì Jack: il Wolf's Ear era proprio lì di fronte, e dopo una birra ghiacciata, Ennis avrebbe affrontato le dodici miglia di viaggio fino alla fattoria con uno spirito diverso, senza lagnarsi in continuazione. Era uno stoico, poteva essere in punto di morte e non gli sfuggiva un lamento: ma quando Ennis aveva caldo, non riusciva proprio a trattenersi e la sua irritazione riusciva immancabilmente a contagiare Jack.
"Buona idea."
Jack ricacciò le chiavi nella tasca dei jeans e s'incamminarono verso il locale: entrando, vennero investiti da aria fresca, ed Ennis sorrise, ribadendo: "Proprio una buona idea."
Jack rabbrividì, stringendosi le braccia intorno al corpo: "Perché non restiamo nei tavolini fuori?"
"Ma sei pazzo?"
Il locale era ancora pressoché deserto, eccetto per tre tavoli, più qualche cliente al banco: niente a che vedere con l'affollamento che ci sarebbe stato più tardi, verso le sei, le sette di sera, l'ora dell'aperitivo; e poi ancora verso le dieci o le undici, quella dell'ultimo drink prima di andare a dormire.
"Ciao, ragazzi", li salutò Cassie Cartwright, appoggiata dietro al bancone,
i soliti capelli permanentati e ossigenati trattenuti a fatica dalla cuffietta bianca, la solita minigonna ascellare e il solito sorriso rosso vermiglio e bianco avorio.
"Ciao, Cassie", fece Jack, "Ciao", fece Ennis, e presero posto nel tavolo proprio di fronte.
"Cosa vi porto?" domandò Cassie, raggiungendo il loro tavolo.
"Una Bud ghiacciata", rispose Ennis.
"Per me un caffè, grazie", rispose Jack.
"Un altro?" lo rimproverò Ennis. "E' già il quarto, oggi. Ne bevi troppi."
"E tu bevi troppa birra."
"Allora siamo pari", sbottò Ennis.
"Per niente", dichiarò Jack. "Io non ti rompo le scatole ogni volta che ne bevi una."
Osservandoli battibeccare, Cassie ridacchiò. "Faccio in un secondo", disse, tornando dietro al banco a preparare la loro ordinazione.
"Porti un'altra birra anche a noi, bella?" domandò un ragazzo con i capelli lunghi, in maglietta
e jeans e stivali da motociclista, al tavolo accanto a quello di Jack ed Ennis, il giubbotto di pelle abbandonato sullo schienale della sedia. Con lui sedeva un altro ragazzo, vestito allo stesso modo ma con i capelli rasati.
"Quante ne avete già bevute, Frank?" domandò Cassie.
"Coraggio, bellezza. Te le paghiamo."
"Vorrei anche vedere", rispose Cassie. "Okay, ve ne do un'altra, ma che sia l'ultima. Non sono neanche le cinque e mezzo."
Dopo poco, portò le ordinazioni: prima quella di Ennis e Jack, poi quella dei due motociclisti.
"Perché non resti a farci un pò compagnia, bella?" chiese quello che si chiamava Frank.
"Scordatelo, bello", replicò Cassie. "Devo lavorare."
Lui la prese per un polso: "Eddai, non vedi che non c'è nessuno?"
Lei si divincolò con uno strattone: "Ho detto che devo lavorare." Tornò dietro al banco, a svuotare la lavastoviglie che aveva appena terminato il suo ciclo, togliendone fuori tazze e bicchieri e piatti e cucchiaini.
"La principessa fa la difficile", commentò il ragazzo rasato. "Principessa dei miei stivali", assentì Frank, e i due continuarono a confabulare, a bassa voce.
"Già ubriachi a quest'ora del pomeriggio", grugnì Ennis.
"Alla loro età, noi non eravamo meglio", ribatté Jack, aggiungendo due cucchiaini di zucchero nella tazza.
Ennis bevve un sorso di birra: "Noi non molestavamo le cameriere."
Jack si sporse verso di lui e bisbigliò, sorridendo: "Già, noi ci arrangiavamo da soli."
"A volte sei simpatico come un calcio nelle palle, Twist."
Jack mescolò il suo caffè, e il suo sorriso si allargò: "A volte mi chiedo se alla notte dormi, o se invece ti inventi questi paragoni idioti."
Cassie intanto aveva finito di svuotare la lavastoviglie. "Ehi, ragazzi", chiamò, rivolgendosi a Jack ed Ennis. "Volete qualcos'altro?"
"Per ora no, grazie", rispose Jack.
"Allora vado in magazzino a prendere un altro fusto di birra", disse lei. "E' meglio che ne approfitti adesso, fra mezz'ora questo posto diventerà una bolgia infernale." Buttò un'occhiata al grande orologio con i numeri romani sulla parete opposta. "E Susan e Nancy non sono ancora arrivate."
"Vai pure tranquilla."
Cassie uscì da dietro il bancone, dalla parte sinistra, dove c'era la porta che dava su un breve corridoio che conduceva prima alle toilettes, poi, proseguendo, al magazzino sul retro. Alla destra del bancone stava invece la porta della cucina, dove il cuoco e i suoi due aiutanti si stavano preparando per la serata. Appena Cassie ebbe richiuso la porta dietro di sé, Frank si alzò e la seguì. D'istinto, Jack fece per alzarsi: "Devo andare in bagno."
"Resta qui", disse Ennis.
"Quello lì non mi piace", sibilò Jack.
"Non è affar tuo."
"Non me ne frega un accidente", rispose Jack, e si diresse verso la porta di sinistra.
"Cristo Gesù", sospirò Ennis, ma si alzò a sua volta e lo seguì.
La porta del magazzino era chiusa,
ma la voce di Cassie arrivò loro chiara e forte: "Lasciami in pace."
"Su, non fare la difficile", disse Frank. "Sappiamo tutti come sei fatta, Cassie."
"Smettila, ho detto!"
Jack aprì la porta, e si trovò davanti la scena di Frank che spingeva Cassie contro il muro, stretto a lei, tenendole i polsi con una mano, l'altra infilata sotto la gonna. "Ehi, cosa vorresti fare?" domandò Jack.
"Jack..." fece lei.
"Di che t'impicci, tu?" sbottò Frank.
"Lasciala in pace", disse Jack, in tono tranquillo ma deciso, avanzando verso Frank, seguito da Ennis. "Ti ha detto che non vuole. Cos'è, sei sordo?"
"Bella forza, due contro uno", mugugnò Frank, lasciando i polsi di Cassie e indietreggiando di qualche passo, le mani sollevate. "E comunque, lei ci sarebbe stata."
"A me non pareva", ribatté Jack.
"Tu non la conosci", replicò Frank. "Questa ci sta sempre con tutti."
"Ma non ha voglia di stare con te, adesso", intervenne Ennis. "Avanti, smamma, ragazzino."
Frank se ne andò, brontolando: "Froci di merda", a voce abbastanza alta perché sia Ennis, sia Jack, sia Cassie potessero udirlo.
Ennis lo prese per il collo della maglietta e gli fece compiere un mezzo giro, voltandolo verso di sé: "Cos'hai detto?"
"Che siete due froci di merda", ripeté Frank. Era ubriaco, notò Jack, o quantomeno brillo: la sua voce era malferma e i suoi occhi tradivano i capogiri. E magari, da sobrio non si sarebbe lasciato andare a certi tipi di offesa, da solo contro due uomini adulti. "Voi siete quelli che gestiscono quel ranch sulla strada che va ad Edgerton. Potrei metterci tutt'e due le mani che siete due finocchi."
Jack temette la reazione di Ennis, ma Ennis rimase calmo. Trattenne Frank per il collo della t-shirt, lo avvicinò a sé, gli occhi negli occhi, e sibilò, minacciandolo con l'altro pugno chiuso sotto il mento del ragazzo: "Ti conviene filartela, ragazzino, e andare a smaltire la sbornia, o te la faccio smaltire io a suon di calci in culo."
Ennis dovette essere convincente, perché Frank biascicò: "D'accordo". Ennis lasciò la presa, e il giovane se ne andò, a testa bassa.
"Ragazzi..." mormorò Cassie, pallida ma sollevata, ravviandosi i capelli con una mano.
"Bé", fece Ennis, stringendosi nelle spalle, ma non aggiunse altro.
"Tutto bene, Cassie?" domandò Jack.
"Sì... grazie, ragazzi. Se non ci foste stati voi..."
"Che figlio di puttana", disse Ennis. "E codardo, pure. Gli è bastato poco, per filarsela con la coda fra le gambe."
Cassie si strinse le braccia intorno al corpo, rabbrividendo. "Non è l'unico, purtroppo. Non è il primo che ci prova, ma non sarà neanche l'ultimo, temo. E anche lui, ci riproverà, la prossima volta."
"Una birra di troppo, e pensano di avere il mondo ai piedi", commentò Ennis, duro. "E di poter dire e fare tutto quello che gli passa per la testa."
Si guardarono, tutti e tre a disagio. Poi Cassie ruppe il silenzio: "Mi dispiace per quello che vi ha detto."
"Non è il primo che lo dice, e non sarà neanche l'ultimo", disse Jack, grattandosi la nuca.
"Ma non v'infastidisce?" domandò Cassie. Poi si rese conto di avere fatto una gaffe, e cercò di rimediare: "No, voglio dire..."
"Certo che ci infastidisce", rispose Ennis. "Specialmente, detto da qualcuno che non ne sa un cazzo."
Jack lo guardò, pronto a sentirlo dichiarare per la milionesima volta che lui, assolutamente no, non era un finocchio, pronto a sentire il proprio orgoglio vacillare, come ogni volta che Ennis faceva affermazioni del genere, malgrado Jack ormai sapesse che se si ostinava a smentire il loro rapporto era solo per proteggerlo. Ma Ennis tacque: il suo discorso era terminato, senza sbilanciarsi: non aveva confermato la propria relazione con Jack, ma questa volta non l'aveva neppure negata.
Altro silenzio imbarazzato, e di nuovo Cassie lo ruppe: "In ogni caso, vi sono debitrice. Che ne direste se vi offro qualcos'altro da bere?"


Accompagnarono Cassie fuori dal magazzino, e il tavolo di Frank e del suo amico era vuoto, si erano portati via anche le due bottiglie consumate a metà, senza prendersi la briga di pagare la consumazione.
"Tanto, i conti li regolano sempre i loro padri, al venerdì", commentò Cassie, acida. "Quello di Frank fa l'avvocato, e quello di Michael è un pezzo grosso in una banca."
"Figli di papà", borbottò Ennis.
"Già", tagliò corto lei. "Allora, cosa posso offrirvi?"
"Siamo a posto così, Cassie, grazie", rispose Jack. "
Non abbiamo ancora bevuto quello che abbiamo preso prima."
"Allora resto in debito. Vi offrirò la consumazione la prossima volta."

Dopo avere terminato la birra e il caffè ed essere usciti dal pub, accertandosi che Frank e il suo amico non fossero nei paraggi per tornare dentro e molestare nuovamente Cassie, s'incamminarono verso il parcheggio ed Ennis esplose: "Che cavolo ti è saltato in mente?"
"Non potevamo non aiutarla", ribatté Jack, che se l'era aspettata.
"Io l'ho aiutata. Io ho cacciato via quel bastardo."
"Era un ragazzino ubriaco. Ti è bastato minacciarlo, ed è scappato a gambe levate."
"No, voglio dire... tu hai preso e sei andato a fare il Lancillotto, e alla fine è toccato a me difendere Cassie."
"Se tu non fossi intervenuto, stai tranquillo che l'avrei difesa a dovere anche da solo."
Ennis sospirò. "E' per questo che sono intervenuto."
"Cosa intendi, che non ne sarei stato capace?" Jack iniziò a scaldarsi.
"Intendo che ho paura che ti metti nei guai", disse Ennis. "Tu hai questa tendenza a voler proteggere i più deboli,
anche quando non sarebbe affar tuo."
"Ma non potevo lasciare che quel tipo..."
"Ci sarà qualcun altro che ci proverà", disse Ennis. "E tu non potrai essere sempre lì a difenderla.
Conosci bene la reputazione di Cassie."
Jack si strinse nelle spalle: "Però questa volta è andata bene."
"A volte mi chiedo se sei coraggioso, o solo incosciente."
"Tu cosa credi?"
"Io credo che voglio vivere tranquillo", ammise Ennis. "Voglio cercare di non attirare l'attenzione di nessuno, soprattutto su noi due... e se questo significa lasciare che una cameriera che conosciamo appena venga molestata... bè, mi sta bene, che la molestino pure."
"Alla faccia dell'egoismo", l'apostrofò Jack, disgustato. Sapeva che uno dei motti di Ennis era "Vivi e lascia vivere", ma non l'avrebbe mai creduto capace di seguirlo fino all'estremo.
"E' realismo", precisò Ennis. "Quello ci ha chiamato finocchi, e neanche ci conosce. Significa che sospetta qualcosa."
"Certo che sospetta qualcosa. Cosa credi, che la gente non abbia iniziato a nutrire dei sospetti, soprattutto dopo che siamo andati ad abitare insieme?"
"Certo che lo credo. Era per questo che ho cercato di resistere, quando mi hai chiesto di farci una fattoria per conto nostro."
"Però alla fine ti sei lasciato convincere", osservò Jack.
"E' sempre la solita, vecchia storia", disse Ennis. "Riesci sempre a convincermi, perché sono io che non aspetto altro di essere convinto. Anch'io volevo venire ad abitare con te, ma avevo troppa paura persino per ammetterlo."
"Comunque sia, mi sembra che le cose non ci vadano male, se tralasciamo qualche pettegolezzo dietro le spalle, e quel grosso affare
che non siamo riusciti a concludere con i McFly, l'anno scorso." tacque un attimo, poi soggiunse: "Purtroppo, non a tutti sta bene di avere come fornitori due uomini che vivono insieme."
"Possiamo tranquillamente fare a meno di stronzi come quelli."
"Ben detto."
Continuarono a camminare, ma Ennis rimase pensieroso. Arrivati al furgone, Jack non resistette e domandò: "Tutto bene?"
Ennis lo guardò. "Sì... anzi, no. Per niente."
"E' per prima?"
"Anche", sospirò Ennis. "Non so perché, ma sto iniziando di nuovo ad avere paura.
Abitiamo insieme da più di cinque anni, e non viviamo in un deserto, la gente ci conosce abbastanza per poter pensare che siamo una coppia, che non siamo solo soci in affari, anche se non andiamo in giro a esibirci..."
"Quindi, che vorresti fare?" Jack iniziò a inalberarsi: stava andando tutto benone, meglio di quanto avessero mai potuto sperare, ed Ennis, anziché essere felice, iniziava a tirarsi le solite, antiche paranoie. "Traslocare? Andare ad abitare in un altro stato, dove nessuno ci conosce, e magari comprarci due fedi nuziali e raccontare che siamo fratelli, ed entrambi vedovi? E poi, quando la gente inizierà a sospettare che non è vero niente,
traslocare di nuovo, e così all'infinito?"
"No... ma..."
"Vuoi mollarmi, allora?" Jack non riuscì a trattenersi. "Divorziare?"
"Cristo, Jack, finiscila!"
"Ennis, ascolta", Jack si accorse di avere esagerato, e abbassò il tono. "N
essuno ci è mai venuto a cercare armato di cacciacopertoni, e nessuno lo farà. Ognuno si fa gli affari propri, non ha tempo da perdere a cercare le prove che siamo finocchi per poi venire a rovinarci di botte, almeno finché non diamo spettacolo e onoriamo i nostri debiti."
"Io non voglio perderti", mormorò Ennis. "Non in quel modo. Quel Frank, lui e il suo amico, sembrano poco di buono... e sanno di noi... e ce li siamo tirati contro... quanti altri ce ne saranno, come loro? Potenzialmente, potrebbero..."
"Sst", l'interruppe Jack, stringendogli brevemente una mano, intrecciando le proprie dita nelle sue, per poi lasciarla, a malincuore: lì per strada, anche un piccolo gesto di tenerezza come quello sarebbe stato proibito. E non avrebbe voluto solo stringergli la mano: avrebbe voluto abbracciare Ennis, stringerlo a sé e magari baciarlo, rassicurandolo con tutto il calore e l'amore di cui era capace. "Quei due erano solo ragazzotti viziati.
Tu ti preoccupi troppo, cowboy."
"Mi preoccupo anche per te, visto che tu non lo fai."
"Io mi preoccupo quando ho il motivo per farlo", precisò Jack. "Tu invece ti tiri delle paranoie inutili. Mia mamma avrebbe detto che ti fasci le dita prima di tagliartele."


Dopo l'episodio di Frank, diventarono amici di Cassie Cartwright. Niente di troppo serio o troppo vincolante, tuttavia Cassie fu una delle poche persone che non si trattassero di clienti o fornitori, o di amici degli Hamilton e in presenza di questi ultimi, che invitarono al ranch per una cavalcata e una cena, ben quattro volte durante quell'estate. Lei ricambiò gli inviti nel suo appartamento al terzo piano in un condominio in Tulip Street, piccolo e arredato con mobili da poco, ma ordinato e accogliente.
Cassie non domandò mai nulla sul tipo di rapporto che li legava, né sulla loro reale parentela, né sulla fidanzata di Jack, né su eventuali, attuali ragazze, e Jack vi lesse una conferma del fatto che lei sapeva, ma per evitare di metterli in imbarazzo, taceva.
D'altro canto, a meno che Cassie non tirasse fuori il discorso da sé, non le domandarono mai delle sue relazioni amorose, né del suo passato. Cassie aveva la reputazione di mangiauomini, pronta a farsi sbattere dal primo che glielo chiedesse, pronta a sedurre con qualsiasi mezzo chiunque non cadesse ai suoi piedi nel giro di cinque secondi; si diceva addirittura che avesse un figlio abbandonato in un orfanotrofio da qualche parte nel Montana.
Cassie non faceva nulla per evitare che le malelingue sparlassero sul suo conto: non si era mai presa la briga di smentire le storie che circolavano su di lei, se un uomo la interessava non glielo mandava certo a dire, e il suo abbigliamento a dir poco succinto, a giudizio dei pettegoli, non faceva altro che confermare la sua condotta.
Inizialmente, Jack era rimasto un pò perplesso dell'amicizia che stava nascendo fra loro: già da un pò si era accorto che Cassie aveva un debole, e neanche troppo nascosto, per Ennis. Poi aveva smesso di preoccuparsi. Ennis era innamorato di lui, e di lui solamente, e ogni giorno che passava gliene dava conferma, in un modo o nell'altro: se Ennis si fosse interessato a qualcun altro, o qualcun'altra, Jack era certo che se ne sarebbe accorto subito. E quanto a Cassie, confessò loro di avere instaurato una relazione clandestina con il proprietario del Wolf's Ear, George Thompson,
un cinquantenne con moglie e tre figli, grosso e tozzo e untuoso, dai capelli ispidi che sembravano stoppie di grano, che a Jack ricordava Joe Aguirre senza baffi, e non solo nell'aspetto fisico: anche l'atteggiamento era identico, da io-sono-Dio-in-terra-e-voi-siete-tutti-delle-merde.
Jack più volte si chiese come facesse Cassie a provare la seppur minima attrazione per un uomo di quel tipo, ma non le domandò mai niente. Non gliel'avrebbe chiesto, almeno finché lei non gli avesse chiesto conferma di lui ed Ennis.

Dicembre 1972

Quando Jack ci pensava con il senno di poi, all'inizio tutto si era svolto come in quel film di Frank Capra che piaceva tanto a Janice e Hope: e la metà di dicembre, con il Natale alle porte, era proprio l'atmosfera adatta per quel genere di avvenimenti.
Cassie lavorava al Wolf's Ear come cameriera da quasi quattro anni, ed era una stacanovista peggiore di Ennis, non assentandosi se non in punto di morte: quindi, quando quel venerdì sera non si presentò al loro tavolo, armata di block notes e penna, pronta a prendere la loro ordinazione, trovarono la faccenda molto strana.
"Mah, non so dove sia", rispose  Susan, una delle altre quattro cameriere, con una scrollata di spalle, alla domanda di Ennis. "E' da almeno tre settimane che non viene a lavorare."
"E tu non ne sai niente?" chiese Jack. Da un mese a quella parte, a causa di svariati impegni di lavoro che li avevano fatti arrivare alla sera stremati e senza alcuna voglia di uscire, lui ed Ennis non erano riusciti a recarsi al pub, come di solito facevano al venerdì sera o più raramente durante la settimana, preferendo starsene in casa a vegetare davanti alla televisione, per addormentarcisi davanti e raggiungere il letto alle due o alle tre di notte, o per andare addirittura a dormire prima delle dieci e mezzo. 
"Già", Susan si sporse in avanti appoggiandosi al tavolo, mostrando un'apprezzabile scollatura. "Ho provato a chiedere a Thompson, ma lui dice che non ha idea di dove sia, è sparita senza farsi più sentire e basta. Del resto, lo sapete anche voi, Cassie è sempre stata... diciamo così... strana."
"Strana?" domandò Jack, ben sapendo cosa Susan intendesse.
"Massì. Volubile. Inaffidabile. Promiscua." la faccia di Susan assunse un'espressione di malcelato disgusto. "Correva sempre dietro a un sacco di uomini, anche sposati. Io non voglio dire male, ha sempre fatto il suo lavoro, anzi, ma..."
"Ma la sua vita privata è solo affar suo", terminò per lei Jack, sfoderando quella che sapeva essere la sua arma migliore per chiudere una conversazione che non gli piaceva, soprattutto quando l'interlocutore era una giovane donna: occhioni languidi e sorriso ruffiano. "Giusto?"
"Giusto. Che vi porto, ragazzi?"
Fu George Thompson a portare loro il conto: nei giorni e negli orari di punta, lavorava nel pub alla stregua dei suoi dipendenti. Jack ne approfittò per domandargli di Cassie, ma Thompson, acido ed evasivo, replicò che non ne sapeva niente. E anche lui aveva tutta l'aria di volere chiudere quell'argomento al più presto, ma senza occhioni languidi e sorriso ruffiano. Forse non aveva voglia di parlarne, perché lui e Cassie avevano rotto alla fine di ottobre.
"Ma lavora per te, dovrai pure..." insisté Ennis, ma Thompson lo interruppe, sbrigativo: "Ho provato a chiamarla, ma non risponde mai al telefono, e io non l'andrò certo a cercare, se lei non vuole presentarsi. Posso benissimo trovare un'altra, per fare quello che faceva lei."
La conversazione era chiusa. Regolarono il conto, ma a Jack quella storia di Cassie suonò davvero inusuale. A pensarci, era da un pò di tempo che non la sentivano: il loro ultimo invito a cena risaliva a prima del Ringraziamento, quando lei aveva rivelato loro di essersi lasciata con Thompson, e l'ultima volta che le avevano parlato, lì al locale, era sembrata davvero strana, ma non nel senso che aveva inteso Susan. Piuttosto, era sembrata persa, distratta, con la testa fra le nuvole. Triste, forse.
Avevano pensato che la causa fosse Thompson, non avevano indagato oltre, e la questione era finita lì.
Stavano tornando al ranch, costeggiando il fiume Platte sulla strada che andava verso Edgerton, quando Jack disse: "Che dici? Domani le faccio uno squillo."
"Eh?" Ennis stava controllando lo scontrino, come faceva di solito dopo essere uscito da un locale o avere fatto acquisti.
"Ho detto, domani mattina provo a chiamarla."
"Chi, scusa?"
"Cassie. Chi, sennò? E' da un pò che non la sentiamo. Ti va se l'invito a cena, domenica? Le ultime volte che l'abbiamo vista
, era strana. Ma voglio dire, strana davvero. Era triste, svagata..."
"E' una donna, le donne sono strane", sentenziò Ennis. "Non credo ci sia da preoccuparsi."

"Boh, non lo so", disse Jack. Abbassò il volume della radio, dove Linda Ronstadt cantava che era così facile innamorarsi. "Non so perché mi preoccupa. Forse perché è come noi. La gente le parla dietro."
"A noi, la gente non parla dietro."
"Sì, invece. Sei tu che non vuoi sentirla, ma ci parla dietro eccome."
Ennis appallottolò lo scontrino e lo cacciò nel portacenere, brontolando qualcosa su quanto cavolo costava un litro di birra. "La gente ci parla dietro, okay. Noi però non diamo motivo alla gente di parlarci dietro."
"Il solo fatto che abitiamo insieme da così tanto tempo..."
"Però non ci esibiamo. Lei invece... mi secca dirlo, perché con noi è sempre stata carina, ma va vestita in un modo... e se è vero quello che dicono in giro, sembra che si sia fatta i tre quarti degli uomini di questa città, e forse l'ultimo quarto non è riuscita a farselo perché si tratta di finocchi."
"Ennis." Jack lo guardò storto.
"Okay", Ennis alzò una mano in segno di resa.
"E quello che fa della sua vita privata, sono affari suoi. Come la nostra vita privata, è affar nostro."
"Okay", ripeté Ennis. "Va bene, hai ragione. Non dico più niente. Ma perché se non parlo ti lamenti, e se parlo non ti va mai bene quello che dico?"
Jack l'ignorò. "Spero che vada tutto bene" tacque un secondo, poi riprese: "Hai visto come ne parlava Thompson?"
"Lui non mi è sembrato per nulla strano", rispose Ennis, "considerato che sono stati insieme e hanno rotto da poco. E amanti o no, lei era una sua dipendente, e se uno dei nostri lavoranti se ne andasse senza avvisarci..."
"Chissà se è vero, poi, che se n'è andata senza dire niente. Quel Thompson non mi piace, mi ricorda Aguirre."
"Tutti i proprietari di qualcosa sono dei gran figli di puttana. E Thompson lo è di più, perché lo è anche di natura."
"Ti ricordo che anche noi possediamo un ranch", Jack sorrise, lanciando un'occhiata ad Ennis, poi tornò con lo sguardo alla strada. L'acqua del fiume era scura e turbolenta a causa delle ultime piogge.
"Noi facciamo un'eccezione", ribatté Ennis.
"Io faccio un'eccezione", precisò Jack. Al bivio svoltò a sinistra, verso il ponte che attraversava il fiume: la strada a destra, che dopo un centinaio di metri diventava ghiaiata e polverosa, avrebbe portato alla fattoria dei Browne. "Tu sei un gran figlio di puttana." 
"Ha-ha, che simpatia", l'apostrofò Ennis, ma Jack quasi non lo udì: la sua attenzione era stata attirata da una sagoma nera, in piedi sull'argine di cemento sulla destra, a duecento metri da loro.
La sagoma nera di una donna, i lunghi capelli ricci sciolti al vento. "Ehi, che ca...", esclamò Jack.
Ennis volse lo sguardo verso la shilouette: "Cazzo, ma che vuol fare quella?"
Jack non perse tempo in chiacchiere: schiacciò a tavoletta l'acceleratore, raggiunse la donna frenando secco qualche metro prima, e scese dal furgone come un invasato, agitando le braccia e gridando: "Ehi, signora, aspetti!"
Ennis lo seguì, con altrettanta furia: "Signora, aspetti, signora!"
Jack fu il primo a raggiungere la donna, che si era voltata e li stava guardando. Era Cassie, in equilibrio precario, tremante dal freddo in jeans e maglietta, scalza. Aveva abbandonato la giacca a vento, il maglione e gli stivali dal tacco alto sulla strada, ai piedi dell'argine su cui era salita.
"Cassie, aspetta", esclamò Jack, fermandosi a pochi passi da lei e tendendole le mani aperte. "Che vuoi fare?"
Cassie si voltò e guardò in basso, verso il vuoto sotto di lei. Era un bel salto, di almeno quindici metri, e l'acqua doveva essere profonda - e molto, molto fredda.
"Cassie!"
Cassie si lasciò cadere.
Senza pensare, Jack si tuffò verso di lei e riuscì a prenderla per la vita. Lei era completamente sbilanciata in avanti, e anche lui perse l'equilibrio, e per un istante pensò che sarebbero precipitati nel fiume entrambi; ma subito sentì Ennis che lo acchiappava per le spalle, tirandolo indietro, e ruzzolarono tutti e tre sull'asfalto.
"Ahiahiahi..." gemette Ennis, che aveva addosso il peso di Jack e Cassie.
In quel groviglio di braccia e gambe, Jack sentì Cassie che si toglieva dal suo stomaco e a propria volta ruzzolò via dallo stomaco di Ennis, pronto a trattenere Cassie se avesse tentato di scappare. Lei però era in ginocchio, testa e schiena curve,
una mano appoggiata sull'asfalto per sostenersi, l'altra alla faccia, e singhiozzava.
"Cassie..." fece Jack. Non ci capiva più niente, non sapeva cosa pensare. Cassie stava tentando di buttarsi giù dal ponte? Di suicidarsi? E perché? "Diosanto, Cassie... cosa cercavi di..."
"Stronzo!" gridò lei, rabbiosa. "Non dovevate intromettervi!"
"Ehi, modera i termini", fece Ennis. "Ti abbiamo appena salvato la vita."
"Ma io volevo morire!" singhiozzò lei, e riprese a piangere più forte, gli occhi cerchiati dal nero del mascara sbavato. "Avevo trovato il coraggio, e adesso non lo ritroverò più!"
Ennis si rialzò in piedi e si spolverò il giubbotto e i jeans, poi andò a recuperare i cappelli, caduti da qualche parte sull'asfalto. Jack si tolse il piumino, avvertendo il freddo che lo investiva, lo mise sulle spalle di Cassie, avvolgendola, e la strinse piano. "Su, coraggio... non c'è niente per cui valga la pena togliersi la vita."
"Sì invece... io... io... non so più cosa fare... dove andare... non ho più un lavoro, e mi hanno appena sfrattata perché non ho i soldi per pagare l'affitto... e..."
"Per ora vieni da noi", decise Jack. "Ti offriamo un bel bagno caldo e un bicchiere di qualcosa di forte, e un letto per dormire."
"Questo non sistemerà le cose."
"No. Ma potrai ripensarci. Troverai un altro lavoro, e..."
"Non credo proprio. Chi mai potrà dare un lavoro a una donna incinta di un bastardo?"
"Cosa?"
"Hai capito benissimo, Jack Twist", lei lo fissò, con aria di sfida. "Sono incinta di tre mesi, di un uomo che non è mio marito e non ha alcuna intenzione di riconoscere il bambino."
"Chi è quel figlio di..." iniziò Ennis. "E' Thompson? E' stato lui, non è vero?"
"Non me lo chiedete", Cassie chinò la testa. "E' solo colpa mia, avrei dovuto starci più attenta."
"Colpa tua, un accidente", fece Jack. "Per restare incinta, di solito bisogna essere in due."
"Sì. Però a rimanere fregate siamo noi donne. Alla fine, siamo noi che dobbiamo starci attente."
Jack sospirò. Gli stava girando per la mente un'idea... ma Ennis, sarebbe stato d'accordo? Forse avrebbe prima dovuto parlargliene.
No. Sarebbe stato d'accordo, non poteva non esserlo. Non c'era bisogno di chiedergli il consenso.
"Senti, Cassie, che ne dici di venire a stare da noi?" esordì. Guardò Ennis, e vide i suoi occhi spalancarsi, la bocca aprirsi: la stessa espressione che stava assumendo Cassie.
"Cosa vorresti dire, stare da voi?" domandò lei, dubbiosa.
"Venire ad abitare da noi", spiegò Jack. "Il posto c'è, tu potresti passare una gravidanza tranquilla, e poi si vedrà."
"Voi... mi ospitereste, senza niente in cambio?" Cassie era l'immagine della diffidenza. "E perché?"
"Non ho detto che non voglio niente in cambio", disse Jack. "Ennis ed io siamo molto impegnati con il maneggio e la fattoria, casa nostra è sempre incasinata, e in cucina siamo uno peggio dell'altro. Potresti aiutarci a tenere in ordine, passare l'aspirapolvere, pulire i pavimenti, fare il bucato... prepararci qualche pasto decente... vero, Ennis?"
"S... sì", balbettò Ennis.
"Per la cucina non c'è problema", disse Cassie, ancora incerta. "Ma per le pulizie... per ora è okay, ma man mano che la gravidanza va avanti..."
"Non preoccuparti per questo", Jack scrollò le spalle. "Quando non ti sarà più possibile fare qualche cosa, smetterai di farlo. In fondo, ci siamo arrangiati fino adesso."
Lei era commossa. "Jack... perché?"
"Come, perché?"
"Perché... volete aiutare una che praticamente non conoscete? Una come... come me?"
Jack guardò Ennis, che era incredulo e confuso quanto, se non più di Cassie, ma non aveva il coraggio di esprimere le proprie perplessità di fronte alla donna. "Perché non è vero che non ti conosciamo, anzi sei una delle persone che conosciamo meglio in tutta Casper. E perché... anche noi abbiamo avuto dei grossi problemi, all'inizio", spiegò, più rivolto al compagno che a Cassie. "Non sapevamo dove andare, non avevamo un lavoro, e se nessuno ci avesse aiutato, se nessuno si fosse fidato e ci avesse dato una possibilità, non so dove saremmo, a quest'ora. Vero, Ennis?"
"Bè..."
"Vero?"
"Sì", concesse Ennis. "E' così."
"Allora, che dite di andare verso casa?" esclamò Jack, alzandosi in piedi e al contempo aiutando Cassie a rialzarsi. "Qui fa un freddo cane."

Una volta al ranch, Jack preparò una vasca piena di acqua calda e sali profumati, mentre Cassie ed Ennis preparavano la camera degli ospiti per la prima notte di Cassie alla fattoria. Il bagno era adiacente alla stanza, e Jack non udì il minimo segno di conversazione fra i due: brutto modo di iniziare la convivenza. Fin da subito, Jack si era reso conto che l'offerta che aveva fatto a Cassie non era affatto piaciuta ad Ennis.
Avrebbe potuto rifletterci, essere meno impulsivo, parlarne prima al suo compagno: all'uomo con il quale divideva l'abitazione. Ma offrire il proprio aiuto a Cassie gli era davvero sembrata la cosa migliore da farsi, e non avrebbe mai creduto che Ennis si sarebbe arrabbiato.
Avrebbero discusso, forse litigato, quando Cassie fosse stata in bagno. O almeno, così Jack si augurava: avrebbe significato che Ennis non era incazzato nero, bensì solo... lievemente alterato.
Perché quando Ennis s'incazzava di brutto, si chiudeva a riccio e anche parlargli diventava un'impresa impossibile.
La vasca era piena a sufficienza, l'acqua lievemente colorata, profumata di muschio, calda e invitante. Jack uscì dal bagno e chiamò: "Cassie? Il bagno è pronto."
Lei uscì dalla stanza accanto, seguita da Ennis. Sembrava più tranquilla. "Anch'io ci sono. Grazie mille, Jack."
"Di niente. L'accappatoio pulito è quello azzurro, piegato sopra al termosifone. Ti ho lasciato anche un mio pigiama, visto che non hai niente da metterti per la notte, un paio di ciabatte e un maglione da usare come vestaglia. Domani mattina ti accompagnamo a prendere le tue cose."
"Io vado giù", disse Ennis, e si avviò per le scale.
Cassie lo seguì con lo sguardo. "Non sembra molto felice che io resti qui."
"Sciocchezze", minimizzò Jack. "E' solo che Ennis non è di molte parole, e ha sempre quell'aria imbronciata. Sembra sempre incavolato, anche quando sprizza gioia da tutti i pori."
"Sarà. Ma se pensate che io possa dare fastidio..."
"Nessun fastidio", disse Jack. Ormai aveva proposto a Cassie di restare, e non si sarebbe rimangiato tutto. "Casa nostra è grande abbastanza per tutti e tre."
"Jack, davvero. Posso andarmene in qualsiasi momento, semmai..."
"Goditi il bagno e stai tranquilla", tagliò corto lui con un sorriso. "Noi ti aspettiamo giù in cucina... anche se mi sa che dovrò ritirare l'offerta di qualcosa di forte da bere, visto come stanno le cose. Forse una tazza di tè, o di latte, per te è più indicata."
"Mi sa di sì", confermò lei.
Ennis era in cucina, stava armeggiando per accendere la stufa a legna e si era già versato tre dita di whisky in un bicchiere, sul tavolo insieme alla bottiglia.
"Buona idea", commentò Jack, per tastare il terreno, avvicinandosi alla stufa con le mani tese. "Sono completamente assiderato. Quasi quasi, dopo faccio un bel bagno caldo anch'io."
Ennis si voltò verso di lui: "Cosa diavolo ti è saltato in mente?"
Almeno, ne parlava. E la sua espressione era collerica, ma non quella che Jack associava ai suoi rari ma esplosivi scatti d'ira furibonda.
"Scusa se non te ne ho parlato, ma mi è sembrata la cosa più giusta da fare."
"Metterci in casa un'estranea? Incinta? E... lo sai cosa si dice sul suo conto?"
"Adesso basta con questa storia", disse Jack. "Si dice qualcosa anche sul nostro conto."
"Appunto, che mettendoci lei in casa... chissà cosa dirà la gente... cosa penserà... e quando si vedrà che aspetta un bambino..."
"Che pensino quello che gli pare", sbuffò Jack. "Hai paura che pensino che sia figlio mio o tuo? Dovresti esserne contento, almeno la smetteranno di pensare che siamo dei finocchi."
"Jack!"
"Allora cosa? Hai paura che pensino che ce la spassiamo in tre? O di cos'altro hai paura, Ennis?"
"Non lo so", ammise Ennis. "Cristo, non lo so di cos'ho paura. Ma so che sono terrorizzato. Ogni giorno... non so, ogni giorno mi aspetto che tutto quello che ho mi crolli addosso."
"E questo che discorso sarebbe?"
"Stiamo troppo bene, Jack. Non abbiamo praticamente mai avuto noie, da quando stiamo a Casper, neanche da quando abbiamo iniziato a vivere insieme... ed ho una fifa boia che un giorno il destino mi presenterà il conto, chiedendomi pure gli interessi."
"La vita non è una partita doppia", asserì Jack. Il discorso di Ennis non gli piaceva affatto e desiderava chiuderlo in fretta. Meglio non tirarsi addosso la sfiga. "Non è detto che se oggi sei felice e ti va tutto bene, poi per forza ti debba capitare qualcosa di brutto per compensare."
"No, però... ogni tanto, ho questa paura. E più andiamo avanti, e più le cose continuano ad andarci bene...."
"Cos'è, vuoi che le cose inizino ad andare male, per poi aspettarti che prima o poi migliorino?"
"No... ma..."
Jack gli carezzò una guancia: ogni tanto, Ennis gli dava l'impressione di un bambino spaventato, bisognoso di rassicurazioni, di qualcuno che lo proteggesse. "Vedrai, andrà tutto bene. Anche con Cassie."
"Ma perché cavolo ti è venuto in mente di chiederle di stare da noi?" domandò Ennis. Il tono non era arrabbiato, era una semplice domanda. "Non la conosciamo bene. Ha fama di mangiauomini, quasi di prostituta. Non so se..."
"Ennis, è disperata", rispose Jack. "E' in una situazione terribile, da non sapere dove sbattere la testa. Se posso aiutare una persona in difficoltà, lo faccio con piacere. Ti ricordo che anche noi, se non avessimo avuto l'aiuto di tua sorella e di Matt..."
"Jan è mia sorella."
"Ma ha accettato anche me", asserì Jack. "Io ero un estraneo, per lei, e un estraneo finocchio. Per quanto ne so, poteva anche considerarmi come il depravato che ha traviato suo fratello, come ha fatto K.E.. Ma mi ha accolto in casa sua, si è fidata di me, mi ha dato una possibilità. E per Matt, deve essere stato ancora più difficile, ma l'ha fatto lo stesso."
"Tu avevi questa paura?"
"Certo che ce l'avevo." E ne ho anche altre, se è per questo. Come che qualcuno possa ammazzare te, a causa mia.
"Jack... perché non me ne hai mai parlato?"
"Perché non aveva senso parlartene", Jack sorrise. "Tu hai già le tue paure, ti bastano e ti avanzano."
"Mi dispiace", mormorò Ennis. "Quando io ho bisogno di rassicurazioni, tu ci sei sempre. E tu invece, neanche mi dici le tue, di paure, per paura che io..."
"Sst", Jack lo baciò sulla bocca, zittendolo. Gli sfilò la camicia e la canottiera dai jeans, sollevandole insieme al pullover, e gli passò le mani sulla pancia calda, poi più giù. Ennis rabbrividì e gemette, ritraendosi: "Cazzo, sei gelato!"
"Sono ancora ibernato da prima", bisbigliò Jack stringendosi a lui. "Aiutami a scaldarmi, non vorrai che mi venga una polmonite..."

Mezz'ora dopo, Cassie scese, indossando il pigiama di flanella scozzese di Jack e il suo grosso cardigan di lana bianca, al quale aveva risvoltato i polsi. Ennis era seduto a capotavola, Jack ancora in piedi, vicino alla stufa, con in mano una tazza di latte bollente a cui aveva aggiunto un dito di whisky e due cucchiaini di zucchero; finalmente, stava iniziando a riscaldarsi.
"Tutto bene?" chiese Ennis, per primo.
"Sì, grazie", disse lei, stringendosi i lembi del cardigan intorno alla vita.
"Vieni, accomodati vicino alla stufa", fece Jack. "Cosa posso prepararti? Un tè? Una tazza di latte?"
"Una tazza di latte andrà benissimo, grazie", Cassie si sedette sulla sedia che Jack le offriva. "Te lo scaldo subito", disse Jack, e andò al frigorifero per prendere la bottiglia.
"Aspettate", disse Cassie. "Io... ci ho pensato, e dal momento che accetto di venire a stare con voi, voglio che tutto sia chiaro. Io non sono certo una santa, ma non sono nemmeno quella puttana che dice la gente. Non ho un figlio abbandonato chissà dove..."
"Cassie..." iniziò Ennis.
"So che genere di voci circola sul mio conto. Non ho un figlio bastardo nascosto in un orfanotrofio, e non mi sono fatta tutti gli uomini di questa città, anche se non posso negare di essermene fatta molti, anche sposati. E quello che porto in grembo è il figlio di Thompson, che mi ha mollata e licenziata dopo averlo saputo."
"Lo sapevo", sbottò Ennis. "Il nostro George è proprio un grande. Sposato, tre figli, in chiesa tutte le fottute domeniche. Pensa un pò."
"Non è solo colpa sua", disse Cassie.
"No", convenne Ennis. "Ma per almeno un cinquanta per cento, sì. Cristo santo, perché continui a difenderlo?"
"Forse perché la colpa è soprattutto mia", ammise lei.
"La colpa è soprattutto sua", decretò Ennis. "Un uomo sposato non dovrebbe andare con altre donne."
"Io l'ho sedotto."
"Lui si è lasciato sedurre", ribatté Ennis. "Magari non aspettava altro."
Jack ridacchiò, versando il latte nel pentolino.
"Non c'è da ridere", osservò Ennis, torvo.
"No", convenne Jack, accendendo il fornello. "Ma tu sei piuttosto esperto di come vanno queste cose."
"Ha-ha."
"Comunque", intervenne Cassie, "Io non voglio che si sappia.
Lo so io, lo sapete voi, lo sa George, ma la cosa finisce qui. Lui ha minacciato di ammazzarmi, se lo dico in giro, e so che non scherza."
"Che grandissimo stronzo", borbottò Ennis. "Dovresti denunciarlo."
"A che pro? Lui può benissimo dire che il bambino che aspetto non è il suo... come poi ha detto a me."
"Ma tu sei sicura..." fece Ennis.
"Sì che lo sono", dichiarò lei, risentita. "Hai ogni motivo di dubitare di me, Ennis del Mar, ma per quello che vale, posso darti la mia parola."
"Scusa, io..."
Lei alzò le spalle, come a significare che non importava, era abituata a quel genere di offese. "George avrebbe voluto che abortissi", continuò. "M
i ha offerto di pagare le spese, e ad essere sincera, ci ho pensato... ma..." lei sollevò la testa, li guardò, prima uno, poi l'altro. "Non potevo. Non ce l'ho fatta. Non potevo uccidere il mio bambino, per uno sbaglio mio."
"Però ti volevi suicidare", Jack non riuscì a trattenersi. "Sareste morti tutti e due."
"Sì, saremmo morti tutti e due", ripeté Cassie. "E, in qualche modo,
avrei pagato il mio errore con la vita, anziché liberarmi semplicemente di lui. Forse suona assurdo, ma..."
"Ognuno ha le proprie ragioni", sentenziò Ennis. "E se per lui sono giuste, gli altri possono anche non capirle."
Rimasero un momento in silenzio, come a digerire quell'affermazione, riflettendo al significato che ognuno di loro le dava, Ennis mangiucchiandosi una pellicina, Cassie guardandosi le ciabatte di panno blu di Jack, di almeno tre misure più grandi, Jack controllando il latte che stava per bollire.
Poi Cassie riprese: "Promettetemelo. Promettete che non direte mai a nessuno chi è il padre del mio bambino. Quando si vedrà che sono incinta, verranno fuori abbastanza pettegolezzi anche senza che si sappia chi è stato."
"Promesso", disse Ennis.
"Non hai bisogno di chiederci una cosa del genere", disse Jack, spegnendo la fiamma. "Anche noi non amiamo attirare l'attenzione."
Cassie lo guardò, mentre Ennis gli scoccò un'occhiata minacciosa.
Jack lo ignorò, versando il latte nella tazza. "Dal momento che verrai a stare da noi, è meglio che tu sappia una cosa che ci riguarda. Zucchero? Miele?"
"Miele, grazie. Un cucchiaino."
Jack versò un cucchiaino di miele nella tazza di Cassie, mescolò e gliela porse. "Ecco."
Cassie prese la tazza fumante con entrambe le mani. "Grazie."
"Hai già capito di cosa si tratta, vero?" domandò Jack.
Cassie annuì. "Voi due state insieme", disse, ed Ennis avvampò. "No, scusate", si corresse lei. "Voglio dire... qualcuno, in città, lo mormora... sapete, lavorando in un locale sento la gente chiacchierare... e anch'io, a volte, ho pensato... ma se anche fosse..."
"Hai pensato giusto", dichiarò Jack, interrompendola, e vide gli occhi di Ennis allargarsi, a metà fra lo sbalordito e l'infuriato: Twist, come hai potuto? "Ennis ed io stiamo insieme. Se la cosa non ti piace..."
"Non mi pare di essere in una situazione in cui posso fare tanto la schizzinosa", disse Cassie. "Ma la cosa non mi disturba. E non andrò certo a sbandierarla ai quattro venti, potete starne sicuri."


Marzo 1973


Fino alla fine di marzo, le cose andarono lisce: neanche Jack, che per natura era un ottimista e cercava di non incerottarsi le dita prima di tagliarsele, avrebbe mai creduto che potessero andare lisce fino a quel punto. La gravidanza di Cassie proseguì tranquilla, e lei li aiutò con le faccende di casa, rivelandosi una perfetta massaia. Anche la convivenza, malgrado tutti i tentennamenti di Ennis, non si mostrò troppo impegnativa: la casa era grande, e ognuno aveva i propri spazi. I primi giorni, Jack si stupì di trovarsi insolitamente geloso di Ennis: nell'ospitare Cassie, non aveva considerato il debole che questa sembrava avere per il suo compagno, unito alla sua fama di seduttrice. Presto però scoprì che poteva fidarsi di entrambi: c'era una sola persona di cui Ennis sembrava essere innamorato, e non era certo Cassie Cartwright; e quanto a Cassie, la gravidanza l'aveva cambiata. Se mai era stata una mangiauomini, conoscendola ora non lo si sarebbe mai detto: passava le sue giornate fra i lavori di casa, come una qualsiasi madre di famiglia, e nel tempo libero non faceva che sferruzzare completini a maglia e ricamare bavaglini. Aveva stretto amicizia con Janice, che si era impegnata a prestarle tutto ciò che le sarebbe servito per il piccolo, dall'abbigliamento alla culla alla biancheria, e più volte le aveva promesso che l'avrebbe aiutata, quando il bambino fosse nato.
Un'altra cosa che cambiò profondamente, fu che il Wolf's Ear diventò un luogo tabu. Cassie non voleva vedere George, né essere vista da lui con la pancia in crescita, ed Ennis avrebbe gradito fin troppo dargli una lezione a proprio modo, per quello che quel bastardo aveva combinato.
Non che Jack non sarebbe stato lieto di poter fare la stessa cosa. Era sempre stato convinto che fra persone civili bisognasse parlarsi, discutere e ragionare sulle questioni, senza arrivare alle mani se non in casi particolari, ma uno come George Thompson non poteva essere considerato una persona civile.
Però, non potevano nemmeno prenderlo da parte e spiegargli, con le buone o con le cattive, che quello che aveva fatto era da figlio di puttana: era meno che mai il momento di attirare l'attenzione su di loro.
Caso però volle che l'incontrarono un giovedì pomeriggio, nel parcheggio dell'emporio degli Higgins, a metà strada fra la loro fattoria e Casper. Jack considerò quanto fossero stati fortunati ad incontrarlo proprio lì, di fronte al minuscolo emporio a quell'ora deserto,
dove si erano recati per qualche piccola spesa: se l'avessero incontrato all'affollato supermercato di Edgerton, dove si recavano di solito al sabato, per i rifornimenti settimanali, allora sì che sarebbe scoppiato un vero e proprio finimondo.
Avevano appena caricato le provviste nel retro del furgone, ed Ennis stava chiudendo il bagagliaio mentre Cassie si stava accomodando al suo solito posto, sul sedile anteriore in mezzo a loro. Jack si era allontanato per riportare a posto il carrello, e stava per tornare indietro, quando vide George Thompson avvicinarsi ad Ennis e Cassie e commentare: "Guarda un pò chi si rivede. Allora quello che si dice in giro è vero."
Cassie impallidì, una mano sulla portiera del furgone, l'altra sulla pancia di sei mesi. "George..."
Ennis si parò davanti a lei, protettivo: "Cosa si direbbe in giro, sentiamo."
Oh, Cristo, pensò Jack, affrettandosi dai tre.
"Si dice che Cassie si sia trasferita da voi perché uno dei due l'ha messa incinta", fece Thompson, con la sua solita aria strafottente, sebbene il casino che avesse combinato con Cassie fosse per metà, se non di più, colpa sua. Povera moglie e poveri figli, pensò Jack. "E conoscendola..." proseguì Thompson, guardando Cassie con sfida.
Ennis si fece scuro in viso. "Un galantuomo non si dovrebbe permettere di parlare dietro ad una signora. Ma del resto, non vedo galantuomini, qui."
"Ennis..." Cassie gli mise una mano sul braccio.
"Se è per quello, io non vedo signore", asserì Thompson.
"Lurido figlio di..." Ennis si gettò in avanti per colpirlo, ma Jack arrivò in tempo per bloccarlo, trattenendolo per la vita, mentre Cassie si portava tutte e due le mani sulla bocca.
"Ennis, calmati", fece Jack. "Non abbiamo certo bisogno di pubblicità."
"Io questo lo rovino", ringhiò Ennis. "Andrò a dire a tutti chi è stato a mettere incinta Cassie, e non mi frega un cazzo se ho promesso..."
"Ennis, finiscila", disse Jack.
"Sì, finiscila", fece Thompson. "Dai retta alla mogliettina."
Jack s'infuriò. No, non proprio: fu investito dalla rabbia più incendiaria che avesse mai provato. Spinse da parte Ennis, coprì rapido i due passi di distanza che lo separavano da Thompson e gli tirò un diretto, tecnicamente contestabile per la verità, ma sufficientemente efficace per far finire Thompson a terra, lungo e disteso nel parcheggio.
Senza pensare, Jack gli fu addosso, lo prese per il collo del giubbotto e sibilò: "Adesso ci chiedi scusa. Alla signora, a me e al mio amico."
"Non è tuo amico", precisò Thompson. "Ci ho visto giusto, vero? E Cassie non è rimasta incinta di uno di voi, perché quello che piace a voi non fa molti figli."
"No", s
ussurrò Jack, con gli occhi inchiodati nei suoi. Sentiva il sangue ribollirgli nella testa, nella pancia. "Non è rimasta incinta di uno di noi due. Ma tu lo sai bene, George, chi è il padre del bambino di Cassie."
"Quella bugiarda vi ha detto che sono stato io", alitò Thompson. "Ma non è vero. Non può provarlo."
"Vedo che non riesci ad afferrare il concetto", disse Jack, sempre a bassa voce. "Tu ora ti alzi e le chiedi scusa, per oggi e per tutto quello che le hai fatto, altrimenti, anche se Cassie ci ha fatto promettere di non farlo, giuro sulla testa di mia madre che andrò a dire a tutto questo dannato paese chi è che l'ha messa incinta, e non sto scherzando."
"Per quanto ne so io, potrebbe essere andata contemporaneamente con altri tre o quattro."
"Per quanto ne sai tu, sai benissimo chi è stato. Perché ti sei offerto di aiutarla ad abortire, altrimenti?"
George Thompson impallidì. Poi mormorò: "Non finirà qui, Twist."
"Infatti. Prima devi chiedere scusa." Jack lo lasciò e si rialzò. Thompson lo seguì. "Scusa", biascicò, a testa bassa, accennando a Cassie.
"No, non così", fece Jack. "Mi scusi, signora."
"Mi scusi, signora", ripeté Thompson. Poi, a voce ancora più bassa, un bisbiglio appena udibile: "Ma non finisce qui. Giuro su Dio." Poi, girò i tacchi e se ne andò.
Ennis e Cassie avevano assistito alla scena senza proferire verbo, allibiti.
"E bravo Twist", esclamò Ennis. "Per fortuna che non avevamo bisogno di pubblicità."
"Qui intorno non c'era nessuno", disse Jack. "E quello meritava una lezione. Tu stavi per fare lo stesso."
"L'avrei fatto più che volentieri", Ennis gli diede una pacca sulle spalle. "Ma tu ci sei riuscito molto meglio."
"Cristo santo", sbottò Jack. Si sentiva ancora sottosopra, accecato dalla rabbia. "Mi ha chiamato mogliettina."
"Su, non te la prendere per una cosa del genere."
"Ma perché deve esserci per forza uno che fa la donna?" insisté Jack. "E
perché devo essere proprio io?"
"Te lo stai dicendo da solo", fece Ennis.
"No, non è vero. Me l'ha detto quello stronzo proprio adesso, e..."
"E te l'ha detto tuo padre quel giorno al funerale di tua madre", finì per lui Ennis. "E' questo che ti rode?"
"Sì, accidenti!" esplose Jack. Ennis aveva colto nel segno, facendogli perdere del tutto il controllo. "E' questo che mi rode, va bene? Siamo due maschi, porca miseria, due maschi tutti e due con l'uccello, e perché proprio io devo essere considerato la donna della coppia? Io non sono una donna! Se anche in camera da letto..."
"Cristo, Jack, non urlare!" l'interruppe Ennis, un dito sulla bocca. Nel parcheggio non c'era nessuno, ma quello era un tipo di discussione che non era il caso di fare in un luogo pubblico - e forse, nemmeno in uno privato.
"Non mi dire di non urlare!" gridò Jack. Quella storia lo snervava, lo esasperava. "Cos'ho di femminile, dannazione? Cos'ho meno di te? Perché mio padre ha pensato prima che tu fossi la mia guardia del corpo, e poi che io fossi la donna dei due? Perché non ha pensato il fottutissimo contrario?"
"Ehi, piccolo..."
"Non chiamarmi piccolo! Io non sono piccolo!"
"Scusa. Credevo che ti piacesse."
"Non quando lo fai a sproposito", mugugnò Jack. Riconobbe di essersi comportato come un mocciosetto che fa le bizze, malgrado avesse appena gridato di non essere piccolo, e questo lo calmò. "Gesù, l'avrei ammazzato. Ma perché deve esserci una donna fra di noi, e devo essere proprio io?"
"Forse perché sei quello carino e sorridente", azzardò Ennis. "Mentre io sono il figlio di puttana sempre incazzato."

Verso casa, né Ennis né Cassie osarono parlare di quello che era appena successo, e Jack, immusonito e ancora visibilmente nervoso, si concentrò sulla guida, sulla strada che conosceva a memoria, guardandosi bene dal sollecitarli. Appena arrivati al ranch, si dileguò, nascondendosi dietro un soffocato "Devo andare in bagno", senza aiutare Ennis e Cassie a sistemare la spesa: un comportamento piuttosto Ennisiesco, ma al diavolo la buona educazione.
Andò in bagno, chiuse la porta, raggiunse il lavandino e si sciacquò la faccia con acqua fredda.
La scenata che aveva piantato nel parcheggio gli aveva lasciato uno strano rimescolio nello stomaco.
Che vergogna.
Jack non era tipo da legarsi i torti alle dita, da rimuginare eccessivamente sul passato, ma Ennis ci aveva visto giusto: quello che gli aveva detto suo padre al funerale di sua madre gli era rimasto impresso come un marchio a fuoco. Suo padre lo considerava un debole, un perdente, una donnetta.
Che c'era di strano, poi? L'aveva sempre saputo. Per tutti gli anni che aveva trascorso in casa dei suoi, suo padre non gli aveva certo risparmiato gli insulti, picchiando il chiodo soprattutto su quel punto.
Ma gliel'aveva detto di fronte ad Ennis
, di fronte al suo compagno, e per giunta in un momento in cui Jack, sconvolto per la morte improvvisa di sua madre, si era davvero sentito debole e vulnerabile.
Era così? Era veramente una donnicciola?
Lui non si sentiva tale. Forse era per questo che sentirselo dire lo faceva imbufalire.
Ed Ennis? Lo considerava una donna, Ennis?
Lo chiamava piccolo, spesso aveva un atteggiamento protettivo nei suoi confronti, e
temeva per la sua vita, e non per la propria, perché era convinto che se qualcuno l'avesse aggredito non sarebbe stato in grado di difendersi... e per quanto riguardava la camera da letto, le volte in cui Jack, per dirla come l'aveva detta John, era stato dietro, in dieci anni si potevano a fatica contare sulle dita di due mani - ma solo perché Ennis aveva questo maledettissimo timore di lasciarsi andare, di sentirsi posseduto anziché possedere... o no?
Dannazione, Ennis lo considerava... una donna? La metà debole della coppia?

Era ormai passata l'una di notte, ma Jack non riusciva a dormire. L'atmosfera, quella sera a cena, e anche dopo, era stata tesa e imbarazzata, benché nessuno avesse più parlato dell'accaduto.
E Jack sentiva la mente e lo stomaco ancora in subbuglio.
Guardò Ennis, sdraiato sul fianco destro, con la schiena rivolta verso di lui, il respiro regolare di una persona addormentata. 
Jack si alzò, infilò ciabatte e vestaglia e decise che una boccata d'aria non avrebbe potuto che schiarirgli le idee, insieme ad una sigaretta: da quando Cassie abitava con loro si erano impegnati a non fumare dentro casa, e non fumarle troppo vicino all'esterno, per evitare di nuocere in qualsiasi modo a lei e al piccolo.
Nel portico sul retro, trovò Cassie, seduta a luce spenta sui gradini, in camicia da notte e cappotto, con Kes ai suoi piedi. Niente sigaretta. Pazienza.
"Cassie...?"
"Jack", lei si voltò, senza alzarsi. "Ciao. A volte, il bambino scalcia troppo e non riesco a prendere sonno. Non ti ho svegliato, vero?"
"No, non preoccuparti", Jack premette l'interruttore accanto alla porta, accendendo il lampadario sopra di loro, ma lei disse: "No, non accendere. Si sta bene così, al buio. Si vedono tutte le stelle, c'è un cielo bellissimo."
"Già", approvò Jack, e spense nuovamente la luce. "Quasi come quello..." iniziò, per poi fermarsi.
Lei lo guardò con aria interrogativa.
"Ah, niente", lui le sedette accanto, e accarezzò Kes sulla schiena. La Kelpie lo guardò, poi riaccomodò la testa sulle zampe. "E' stato tanto tempo fa. Quando Ennis ed io ci siamo conosciuti, facevamo i guardiani di pecore alla Brokeback Mountain, su da Signal, e quando non pioveva o era nuvoloso, c'era un panorama da mozzare il fiato."
"Tanto tempo... quanto?"
"Dieci anni."
"E' da dieci anni che state insieme?" Cassie sembrava incredula. "O è successo solo dopo?"
"No, sono dieci anni", confermò Jack. "Praticamente, ci siamo messi insieme quando ci siamo conosciuti. Non è stato sempre facile, anzi... ma sembra che siamo ancora qui."
"Che storia. Tu e lui... voglio dire..." lei esitava, giocherellando con i riccioli sciolti sulle spalle. "Avete sempre avuto certe tendenze? Siete sempre stati..."
Jack tentò di toglierla dall'imbarazzo: "Omosessuali?"
Lei annuì.
"No. Io ho avuto qualche storia con delle ragazze, prima di lui, e devo dire che andare con le donne non mi dispiaceva affatto. Ennis invece era fidanzato e si doveva sposare."
"Ma non ti manca, una donna?"
"Sai che non me lo sono mai chiesto?" Jack si strinse nelle spalle e cercò di radunare i pensieri. "Certo, per quanto riguarda il sesso, la cosa è ben diversa. Voglio dire, fra due uomini... anatomicamente parlando..." si morse la lingua, avvampò. Che razza di discorsi stava facendo, con una donna incinta? 
"Ti ho messo in imbarazzo? Scusami, non volevo."
"No, va bene", Jack continuò a carezzare Kes. Il concetto era ben chiaro nella sua mente, doveva solo scegliere le parole più adatte per esprimerlo con delicatezza. "E' che... con Ennis non si tratta solo di sesso. Certo, lui mi piace, mi piace farci l'amore... ma il punto è che lo amo, lo amo proprio." guardò Cassie, come per sottolineare la propria affermazione. "Ho fatto sesso con una dozzina di ragazze, prima di conoscere Ennis, mi è piaciuto e loro mi piacevano, ma non mi sono mai innamorato di nessuna. Con Ennis, invece, è scattato qualcosa di diverso, qualcosa in più. P
er quel che mi riguarda, in poco più di un mese sono passato dall'odiarlo allo stimarlo all'esserne attratto, poi innamorato. Sinceramente, ero più scioccato dall'essermi innamorato di uno con un caratteraccio del genere, che dal fatto che si trattava di un ragazzo... e pensa che quando l'ho conosciuto era ancora peggio."
"Posso confessarti una cosa?"
"Certamente."
"Anche a me piaceva Ennis", ammise lei, le guance rosse come una ragazzina alle prime cotte, gli occhi sfuggenti. "Spero che non ti dia fastidio, se te lo dico."
"Un pò me n'ero accorto. Al pub, gli servivi sempre delle porzioni di torta doppie, per non parlare di come lo guardavi."
"Jack!" Cassie finse di tirargli un pugno su di una spalla.
Lui ridacchiò, riparandosi dietro le mani aperte: "Ma è vero!"
Lei ritornò seria: "E tu mi hai proposto di stare qui, anche se sapevi che io avrei potuto provarci con Ennis? Viste le voci che girano sul mio conto..."
"Io mi fido di Ennis", dichiarò Jack. "Trovo che sia uno spreco di energia essere geloso quando non ne ho affatto il motivo. E poi, è lui quello geloso."
"Lui... non si fida di te?"
"Non è questo. E' molto possessivo, e la sua paura più grande è perdere le persone a cui tiene... quindi, io posso considerare un complimento il fatto che sia geloso di me."
"Sai, io..." iniziò Cassie. Poi fece una strana espressione e si toccò la pancia. Sorrise. "Vuoi sentirlo?"
"Cosa?"
"Il mio bambino. Si muove."
Titubante, ma allo stesso tempo curioso, Jack allungò la punta delle dita fino a toccare la pancia di Cassie, al livello dell'ombelico sporgente, ben visibile sotto la sottile camicia da notte. "No, non lì", fece lei. Gli prese la mano e la portò verso il basso, premendola nel punto in cui normalmente avrebbe dovuto trovarsi il fegato, e Jack sentì qualcosa che si muoveva sotto il suo palmo aperto, come tirandogli dei leggeri calci. 
Qualcuno, non qualcosa.
"Cavolo", esclamò. "E'... strano. Voglio dire... se pensi che c'è un bimbo, qui sotto, che magari sta ascoltando quello che diciamo." tolse la mano. "E' strano, ma bellissimo."
Cassie sorrise di nuovo. "E' grazie a voi. Io volevo ammazzarmi, e lui con me. Voi... mi avete dato una possibilità."
"Lascia perdere."
"No, grazie davvero, Jack. Mi dispiace di averti insultato, quando mi hai salvato la vita. Ma ero disperata, non sapevo dove andare a sbattere la testa."
"Scuse accettate."

"Quello che volevo dire prima", riprese lei, pensierosa. "Vivendo qui... ho scoperto che avevo un debole anche per te, non solo per Ennis."
"Cosa?"
"Non fraintendermi", spiegò lei. "Ho scoperto di avere un debole per tutti e due... per quello che vi lega, per il vostro tipo di rapporto. Io non troverò mai un uomo che mi ama come vi amate voi."
"Non è detto."
"Sì invece. Io non sono una signora. Non troverò mai nessuno che mi accetti per quello che sono."
"E' solo questione di fortuna", disse Jack. "Non capita a tutti di incontrare l'anima gemella al momento giusto. Per questo, ho fatto di tutto per restare con Ennis, per fare sì che lui accettasse di restare con me."
"Ennis non voleva?"
"Accidenti, no", Jack sorrise, ripensando a come Ennis, all'inizio, avesse cercato di negare quello che provava, sia a Jack sia a sé stesso. "Era innamorato di me quanto io lo ero di lui, ma non accettava l'idea di esserlo. Voleva convincersi che scopassimo solo per passarci il tempo in modo divertente, e che una volta scesi da lassù, tutto sarebbe tornato come prima. Era un fottuto finocchio omofobico, e lo è ancora adesso."
Cassie rise di gusto. "E' proprio da lui."

"Già. Ma io sentivo che avevamo avuto una fortuna sfacciata ad incontrarci, e non potevamo buttarla alle ortiche. Anche se poi abbiamo avuto i nostri problemi.
"Ti riferisci a quello che è successo oggi?" la voce di Cassie suonò preoccupata.
"Anche."
"Mi dispiace per quello che ti ha detto George."
"Non è la prima volta che qualcuno fa delle insinuazioni del genere su me ed Ennis, e non sarà l'ultima." Jack si strinse nelle spalle. "Ennis ha una fifa blu che qualcuno possa farci del male, ma io credo che non succederà. La gente è troppo impegnata a farsi gli affari propri... al massimo, può parlarti dietro le spalle, ma chi ha voglia di rischiare la galera per togliersi lo sfizio di fare la festa a noi, che non diamo fastidio a nessuno, e stiamo bene attenti a non sfiorarci nemmeno, in pubblico?"
"Però dovete starci attenti. George è davvero un grandissimo stronzo, e te l'ha giurata."
"Se è un grandissimo stronzo, perché ci stavi?" sfuggì a Jack.
"Perché non credevo che lo fosse. O non volevo rendermene conto. O forse tutte e due. Noi donne siamo bravissime a non vedere quello che ci fa soffrire."
"Non solo voi donne lo siete."
"Ma noi donne ci riusciamo meglio. George Thompson è un grandissimo stronzo sposato, con tre figli, ma io ci sono stata perché..." esitò, come per raccogliere i pensieri. Poi proseguì: "Perché credevo che potesse funzionare, come ogni altra volta che ho avuto un uomo. E perché avevo bisogno di sentirmi amata, anche se sapevo benissimo che non poteva funzionare. Anche se sapevo benissimo che lui non mi amava, stava con me solo per una scopata ogni tanto."
"Voi donne siete strane", ghignò Jack.
"Anche voi uomini", ghignò Cassie in risposta.
Jack ridacchiò. "Dopo una conversazione del genere, ti offrirei un bel bicchiere di whisky, ma dato che tu non puoi..."
"A dire la verità, c'è una cosa di cui avrei voglia..."


"Cosa state facendo, voi due?" la voce bassa di Ennis, alle loro spalle, dieci minuti dopo.
Jack e Cassie si voltarono, con le facce di due ragazzini colti con le dita nella marmellata. In effetti, Ennis li aveva colti con i cucchiaini nel barattolo della crema di nocciole e cacao: la differenza stava solo nel contenuto.
"Mangiamo", rispose Jack con aria innocente, il cucchiaino pieno di crema in una mano e il barattolo nell'altra. Cassie ridacchiò, la bocca piena dietro il pugno.
"Vuoi favorire, Ennis, prima che ce la finiamo tutta?" domandò Jack, con un largo sorriso. "Vado a prendere un cucchiaio anche per te."
"Santa pazienza, Twist", sbuffò Ennis, le mani sui fianchi. Indossava un paio di calzoni da pigiama grigi a righe verdi, una canottiera bianca a coste, un paio di ciabatte di flanella a pois, aveva il giubbotto sulle spalle, e i capelli spettinati e gli occhi pesti di chi si è appena svegliato: una visione davvero comica. "Posso capire che Cassie abbia bisogno di calorie in più, ma quanto a te..."
"Cos'avresti da ridire, quanto a me?"
"Per carità, fa' finta che non abbia parlato. Ma non venire a lamentarti con me se ti ritroverai con la pancia grossa quanto un dirigibile e il culo largo come una portaerei."
"Finora, mi pare che nessuno dei due abbia avuto mai da lamentarsi del mio culo", ribatté Jack, e subito si pentì di essersi lasciato sfuggire una battutaccia del genere davanti a Cassie - quello era il genere di battute che raramente si lasciava sfuggire anche quando era solo con Ennis. Ma lei scoppiò a ridere, una risata sonora e divertita che riempiva il silenzio della notte.
Jack ed Ennis si scambiarono uno sguardo. Ennis sorrise, con la bocca e con gli occhi e con tutta la faccia. Jack ricambiò il sorriso.
Quella era la loro casa.
Era la loro famiglia.
Cassie e il bambino sarebbero rimasti con loro per tutto il tempo che Cassie desiderava, decise Jack. Prima di proporlo a Cassie ne avrebbe parlato ad Ennis, questa volta, ma era certo che Ennis non avrebbe avuto nulla da ridire.
E che la gente pensasse quello che più gli pareva.

Tre quarti d'ora dopo, Jack era in bagno, a lavarsi i denti prima di andare a letto. Ennis aveva declinato l'invito per la crema di nocciole, ma era tornato in casa a prendere una birra, per poi tornare nel portico con loro, e alla fine, la serata si era conclusa in maniera gradevole. L'incidente del pomeriggio era quasi dimenticato.
Quasi.

"Che stai facendo?" Ennis fece capolino con la testa dalla porta del bagno, senza bussare: raramente bussavano, fra di loro, se non quando erano in contumacia. Buon segno. 
Jack era in piedi davanti allo specchio, aveva già riposto lo spazzolino e si stava sciacquando la bocca con il colluttorio. Sputò il liquido verde nel lavabo, poi esordì: "Mah, pensavo. Che ne diresti se mi facessi crescere i baffi?"
"Che cosa?"
"Sì", confermò Jack, asciugandosi la bocca. Non aveva per niente voglia di farsi crescere i baffi, ma era curioso di sentire l'opinione di Ennis al riguardo, sebbene potesse immaginarla. Senza considerare che aveva voglia di stuzzicarlo un pò. "Un bel paio di baffi, come quelli di Matt, ma senza la barba. Sono di moda, no? E non dovrebbero starmi male."
"Ti starebbero da cani", tagliò corto Ennis.
"Grazie del complimento", brontolò Jack, fingendosi offeso.
"Se è per quello che è successo oggi", insisté Ennis, "un paio di baffi non serviranno certo a rendere il tuo viso più maschile. Anzi, lo renderanno solo semplicemente ridicolo."
"Grazie di nuovo", ripeté Jack. Hai voluto pungolarlo? Eccoti servito.
"Non c'è di che."
"Non è che non vuoi che me li faccia crescere perché non vuoi sentire i baffi di un uomo quando mi baci?"
"E questa che razza di insinuazione sarebbe?"
"Mi spiego meglio: non è che, quando baci me, tu immagini di baciare una donna?"
Ennis si accigliò: "Se avessi voluto una donna, non sarei certo stato con te."
"Quindi un paio di baffi non ti farebbero una grande differenza."
"Sì invece", Ennis si portò dietro a Jack e l'abbracciò, stringendogli leggermente la vita, passandogli le mani sotto il pigiama, sull'addome, sulla pancia. "
La tua faccia mi piace così com'è. Dolce e carina e sorridente, senza baffi." per sottolineare la propria affermazione, Ennis gli baciò una guancia. "E poi, ti invecchierebbero, quando hai la fortuna di sembrare più giovane."
"Seguirò il tuo consiglio", sapendo quanto Ennis si crucciasse del proprio viso, già precocemente segnato da profonde rughe e macchiato dalle lentiggini, risultato di lunghe ore trascorse a lavorare all'aperto, Jack decise di terminare la discussione. Si abbandonò all'abbraccio, alle carezze, appoggiandogli la nuca sulla spalla, allungando le mani all'indietro, sui suoi fianchi, per stringerlo ancora di più a sé.
"Non te li saresti mai fatti crescere", disse Ennis. "Anche se io ti avessi detto Okay, fai pure. L'hai detto solo per provocarmi."
"Cosa te lo fa pensare?"
"Ormai ti conosco, Twist", le mani di Ennis si spostarono languide verso il basso. "Oh oh, senti cosa c'è qua. E tu che hai paura che qualcuno ti scambi per una donna."
"Non ho detto proprio così", Jack si voltò verso di lui, le sopracciglia aggrottate. Ennis lo baciò, piano, sulla bocca, slacciandogli la cintura della vestaglia, trafficando con i bottoni del pigiama. "Come sei puntiglioso", bisbigliò. Continuò a baciarlo, scendendo al mento, al collo, al petto, all'addome, all'ombelico, inginocchiandosi a poco a poco, abbassandogli calzoni e slip, e infine lo accolse. Jack sospirò, deliziato, chiudendo gli occhi, reclinando il collo all'indietro, passandogli le mani fra i capelli mossi che avevano bisogno di una spuntata.
"Non sei una donna", ribadì Ennis, malizioso, staccandosi. "Nonnonno. Non mi pare proprio."
"Lo so che non sono una donna", Jack riaprì gli occhi, e fu compiaciuto nel vedere Ennis ammirarlo, ammirare il suo corpo, come si ammira una preziosa opera d'arte, come si ammira ciò che di più prezioso ci sia al mondo, malgrado le sue caratteristiche maschili, malgrado tutti i suoi difetti e imperfezioni.
"Allora perché tanti problemi?" domandò Ennis, rialzando lo sguardo verso il viso di Jack. "Per quella carogna di tuo padre?"
"Anche."
"Anche, e poi cosa?"
"Tu cosa pensi di me? Mi consideri la metà debole della coppia?"
"E' questo che ti preoccupa?"
Jack annuì. "Mi snerva che non puoi immaginare."
Ennis lo prese per i fianchi, lo attirò a sé e lo prese in bocca, bramoso e impetuoso e vorace, e questa volta Jack gemette, impreparato, appoggiandosi con le mani alle sue spalle per non cadere.
"Ti basta come risposta?" domandò Ennis, il respiro contro la pelle bollente di Jack.
"No", ansimò Jack. "Dimmelo di nuovo."

Quella notte fecero l'amore, ed Ennis lasciò che fosse Jack a condurre il gioco. Quando questo succedeva, Jack adorava stare sopra di lui, fra le sue gambe lunghe, tenendolo abbracciato e baciandolo, i corpi a stretto contatto, muovendo appena il bacino per evitare di fargli male, perché Ennis non era abituato a fare sesso in quel modo, arrivando lentamente alla fine fra baci, sussulti, bisbigli e sospiri. Non che non lo facessero mai dolcemente e lentamente, ma di solito, a un certo punto, perdevano entrambi il controllo e giungevano al culmine fra morsi, spinte, grugniti e gemiti.
Qualche sedicente esperto in psicoanalisi da quattro soldi avrebbe potuto obiettare che quella posizione gli piaceva, perché gli ricordava com'era fare sesso con una donna, rassicurandolo sulla propria virilità. A Jack invece piaceva, semplicemente, perché era il modo in cui più si sentiva una cosa sola con Ennis, il modo in cui più sentiva di appartenergli, in cui più sentiva che Ennis si fidava di lui, metteva da parte il suo maledetto timore di sentirsi posseduto e si lasciava anche e finalmente possedere.
Prima di staccarsi da lui,
Jack gli accarezzò la fronte sudata, i capelli scarmigliati: "Ehi."
"Mmm?" Ennis aveva gli occhi socchiusi, l'espressione appagata e distesa.
"Non è che smetterai di chiamarmi piccolo, dopo quello che ti ho detto oggi pomeriggio, vero?"
"Se ci speravi, scordatelo pure", l'apostrofò Ennis. "Piccolo sei, e piccolo rimarrai, Twist."
Però mi pare che questo piccolo ti abbia fatto divertire, stanotte, pensò Jack. Decise però di non ribattere e lo baciò, piano, tenendogli la faccia fra le mani, sorridendo fra sé.
Per fortuna, la tempesta è passata senza fare troppi danni. Anzi, se come risarcimento arriva una notte come questa, ben venga anche una tempesta alla settimana.
Non immaginava che la vera tempesta doveva ancora arrivare, e sarebbe stata distruttiva quanto un uragano.


Credits: "Leave out all the rest" è una canzone dei Linkin Park, "Everything burns" è di Anastacia + Ben Moody, e le altre canzoni che ho usato per questa storia sono tutte della colonna sonora di "I segreti di Brokeback Mountain".

Disclaimer: I personaggi di Jack Twist e i suoi genitori, Ennis del Mar e i suoi genitori e fratelli, Don Wroe, Cassie Cartwright, Joe Aguirre e Linda Higgins appartengono ad Annie Proulx, così come il Wolf's Ear. 
Se qualcuno riconoscesse nella mia storia idee che ritiene di sua proprietà, mi creda se gli dico che non l’ho fatto apposta, e spero non si offenda.
Infine, preciso che questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


   
 
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