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Autore: _memories_    11/08/2015    4 recensioni
[ TrunksxPan - Rating Arancione: Tematiche ]
Fare i conti con il passato e seppellire le illusioni che hanno segnato la sua vita non sarà facile.
Questa è la storia di Pan, reduce da una vita che non voleva, che vuole ricominciare, speranzosa di trovare un appiglio. La storia di una donna che trova l'amore in chi meno se lo aspetta. Un amore sincero, genuino. Un amore che prende e travolge nella sua semplicità, di cui non si leggerà abbastanza, di cui non si scriverà mai abbastanza...
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bra, Goten, Pan, Trunks | Coppie: Pan/Trunks
Note: OOC | Avvertimenti: Triangolo
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V

 
 
Trunks, il primogenito di casa Brief era sempre stato un ragazzo coraggioso e molto forte.
Mio padre mi raccontò, quado ero bambina, che lui e Goten erano riusciti a tener testa ad un mostro spaventoso di nome Majin Bu. Io ho un lieve ricordo della sua parte buona, ma quella malvagia era potente quanto quella di mio nonno Goku.
Da piccola chiedevo loro di raccontarmi quella battaglia stupefacente e ricordo come se fosse ieri il modo in cui Trunks mi prendeva tra le braccia e mi sollevava in aria quando era giunto al punto conclusivo della vittoria.
C’era sempre stato un insolito rapporto tra noi due.
Una strana attrazione reciproca che crebbe e ci unì ancor di più durante quell’anno incredibile alla ricerca delle sfere nella galassia.
Quando la terra raggiunse una pace definitiva la mia vita quotidiana divenne casa Brief, io e Bra diventammo migliori amiche ma con Trunks l’interesse crebbe.
Io non lo chiamavo interesse, per me era pura e semplice amicizia. Forse un’amicizia un po’ fuori dal comune, vista la differenza di età e alcuni nostri passatempi discutibili per un pubblico alquanto bigotto.
Passatempi che, ebbero inizio in una sera di pioggia autunnale, era buio pesto e l’unica illuminazione proveniva da un lampione all’angolo della strada. Io ero particolarmente felice, Trunks si lasciò trasportare dalla mia risata contagiosa correndo dietro di me verso quel lampione insolitamente caldo.
Fu un attimo.
Mi sentì strattonare da dietro. La sua presa era sicura e forte. Ebbi come l’impressione che volesse portarmi via di lì per un motivo sconosciuto, ma i miei pensieri furono interrotti da un inconsueto movimento delle sue braccia, mi cinse i fianchi e fece ruotare il mio busto sollevandomi da terra.
I suoi occhi gentili e affettuosi mutarono in due iridi serie, leggermente velate dalla tristezza.
Non parlammo, forse per molti minuti, restammo a guardarci negli occhi. Nei suoi pozzi blu riuscivo a vedere i miei occhi nero pece così diversi dai suoi. L’unico rumore era quello della pioggia che batteva incessantemente sui nostri volti.
Due parole, forse le parole più inutili di questo mondo, ruppero quel meraviglioso silenzio.
«Scusami tanto Pan»
Quelle parole le pronunciò con una lentezza disarmante, la stessa lentezza con cui un secondo dopo cominciò a baciarmi. Le sue labbra erano morbide e stranamente calde, il maltempo le aveva rese leggermente screpolate. Io rimasi basita per un po’, ed esitai prima di rispondere al bacio aprendo le mie labbra e lasciando entrare la sua lingua. Le sue mani si spostarono sul mio viso, e le mie seguirono i suoi stessi movimenti. Sorrise quando mi sentì sospirare e a quel punto mi liberai dolcemente da quella situazione assurda, avevo bisogno di spiegazioni. Sapevo che quel bacio mozzafiato sarebbe stato solo l’inizio di una lunga serie di cose ben più grandi, ma…
«Perché?» riuscì a dire.
Lui si limitò a sorridere, e per anni non ho ricevuto alcuna risposta a quell’importante domanda.
Ad ogni nostro incontro finivamo a letto insieme, senza dire la minima parola ci ritrovavamo l’uno sull’altra e a me andava bene così. Ero felice e non credevo di ferire i suoi sentimenti.
Ma lo facevo.
Ogni dannata volta che permettevo alle sue mani di toccarmi, di spogliarmi, lo ferivo.
Lo ferivo nel profondo del suo orgoglio quando non gli dichiaravo tutto il mio amore, quell’amore che lui provava nei miei confronti da forse tutta la vita. Ma all’epoca ero giovane e stupida, e neanche iscrivermi al college era servito a farmi crescere.
Per me era davvero difficile ammettere di amarlo, forse perché non conoscevo il significato di quella parola o perché ero troppo testarda per confessarlo.
Ad un certo punto della mia vita decisi di buttare via quel giocattolino ormai rotto e lo feci nel peggiore dei modi. Le mie azioni provocarono una forte frattura nel nostro rapporto ed io ne soffrì così tanto da abbandonare la mia vecchia vita e partire all’insegna di una nuova.
Ma ogni giorno mi mancava sempre più.
Mi mancavano i suoi occhi.
Mi mancavano le sue labbra.
Mi mancavano le sue carezze.
Mi mancava tutto di lui.
E in quella sera di inizio estate, quel forte abbraccio risvegliò in me tutta la tristezza che avevo provato.
Fu mio padre a separarci.
«Andiamo Trunks, lasciala un po’ agli altri, non vorrai tenerla tutta per te» disse guardandolo in modo severo.
Trunks mi guardò negli occhi prima di lasciarmi andare e prendere posto a tavola.
Inutile dire che la cena fu deliziosa e che tutti furono molto dolci con me. Alla fine dei pasti Trunks si avviò verso il terrazzo e mi fece cenno di seguirlo. Due secondi dopo mi congedai, e lo raggiunsi.
Il sayan si trovava di spalle, la camicia candida dava risalto ai suoi muscoli, i suoi capelli erano cresciuti molto ed erano stati legati in un codino basso.
Arrivai al suo fianco e senza guardarlo aspettai che mi parlasse.
«Allora come vanno le cose?» chiesi, non sentendo arrivare la sua voce.
«Esattamente come cinque anni fa» si limitò a dire.
«Odi sempre il tuo lavoro?»
«Con il tempo ho imparato a conviverci, ma non ti nascondo che ogni tanto volo via da quell’inferno»
«Eheh» risi ai vecchi ricordi «e ora quando voli via dove vai?»
«Ad allenarmi, non ho più alternative, sono cinque anni che la finestra di casa tua è chiusa» rispose con un velo di amarezza «Ma non pensiamoci… il passato è… passato… no?»
«Sii Hakuna Matata» dissi fra i denti.
«Sai scimmietta, non sei più divertente come una volta» disse alla fine girandosi verso di me lasciandomi senza fiato.
«Ehhh» ero alla ricerca di parole ma non trovai nessuna risposta intelligente.
Cominciò a scrutarmi come se mi vedesse per la prima volta, quelle iridi color cielo registrarono ogni mio centimetro di pelle e per un attimo mi sentì nuda sotto il suo sguardo.
Poi mi prese la mano destra e piano sfilò il cardigan dal mio braccio. Analizzò i miei tatuaggi senza fiatare e piano subì la stessa tortura l’altro mio braccio.
«Mi spaventi sai?» gli dissi con voce tremante.
«Ogni tatuaggio ha un significato preciso?»
«Ma certo!» rispondo di getto.
Toccò il mio braccio sinistro, che era pienamente occupato dalla figura di un enorme drago.
«Lui è il Drago Shenron.» disse.
«Esatto» risposi «Principalmente mi ricorda nonno Goku, ma comunque vedi…» indico le sfere raffigurate sotto «Per me Shenron significa anche speranza per i miei cari, con lui, posso esaudire qualunque mio desiderio di riaverli qui con me.» concludo.
«Molto profondo» commenta portandosi il pollice e l’indice al mento «Questo invece?» indica un teschio messicano nella parte inferiore del mio polso destro.
«Oh beh, ho letto su internet che recava onore ai morti, e la cosa mi sembrava carina» sorrido piano.
«Mmm… e questa invece è Taiga» abbozzò un sorriso, accarezzando la parte superiore del mio braccio, dove avevo tatuato un felino snello dal manto tigrato.
Io mi limitai ad annuire «La mia dolce gattina resterà sempre nel mio cuore» dissi.
«Nei nostri» mi corresse «Aveva imparato ad amare anche me, se non ricordi» mi canzonò.
«Ah, e chi se lo dimentica, passava le giornate a dormire sulle tue gambe» risi al ricordo.
Lui spostò di nuovo lo sguardo sulle mie braccia e ritornò serio «Questa è la mia spada…» sembrava senza parole.
«Oh, ehm… si.» risposi frettolosamente, spostando lo sguardo così da non guardare i suoi occhi.
«Questo significa che ti sono mancato, eh?» rise e poggiò le sue mani sulle mie spalle, io continuai a guardare oltre.
«Piccola… cosa c’è?» insistette.
Poi lo osservai ancora una volta.
Io ero pietrificata davanti a lui, incapace di muovere un muscolo. Le sue iridi così profonde mi chiesero ancora una volta di essere penetrate. Le sue labbra chiare continuavano a chiedermi di essere baciate.
Quell’uomo così dannatamente seducente mi stava di nuovo attirando nella sua piacevole ma pericolosa trappola.
Resistetti ad ogni impulso che il mio corpo mi comandava e chiusi gli occhi cercando di concentrarmi su altro. Una volta riaperti, riacquistai il controllo di me stessa.
Io non lo amavo, non potevo prendermi gioco di lui ancora una volta… e pure… l’attrazione era forte.
Ma non dovevo, non potevo.
Così sospirai «Nulla Trunks tutto bene, adesso scusami devo andare».
Gli voltai le spalle ancora una volta, lo lasciai solo per l’ennesima volta.
La mia testa mi suggeriva che era la cosa giusta.
Ma il mio cuore urlava dal dolore.
 

 
   
 
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