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Autore: Blacket    12/08/2015    3 recensioni
[...]Gli dissi che pioveva e la mia voce strinò, lo chiamai fratello e Impero, e dalla cattedrale giunse tetro il mio respiro morso dalla bile.
Alzai le mani, non lo toccai più.
Mi sarebbe piaciuto farti riposare fra i boschi, aggiunsi, là dove il verde avrebbe coperto il tuo volto livido e l’espressione sofferente, il corpo tempestato di piaghe e malattia. Ricordai il volto teso ed il biondo del grano maturo, il sapore del sangue che aveva sempre fra le labbra- se ne lamentava.
Non lo toccai più. [...]
"Dove vai? Di nuovo la bruma?"
|COMPLETA|
Genere: Angst, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Germania/Ludwig, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In quei di di bruma 2 Noticine: Ecco qui il secondo e definitivo capitolo! Abbiamo quindi la soluzione di ciò che ingarbugliava il capitoletto precedente.
Tutti i riferimenti a “vati” come “Ariovisto” rimandano al personaggio di Magna Germania. Credo inoltre di aver inserito alcuni riferimenti storici, come Ottone I che viene ricordato come uno dei più grandi sovrani del Sacro Romano Impero Germanico (al quale sono dedicati i pensieri di Gilbert all’inizio del primo capitolo, ma credo si sia ben capito).
Ho voluto sottolineare il dettaglio che ha dato l’autore a proposito del loro rapporto: Ludwig fatica a considerare la Prussia suo fratello, tanto da non nominarlo tale (altra parentesi: angst terribile che è pure canon). Nel caso vi fossero dubbi o incomprensioni, nel caso mi sia dimenticata di precisare alcuni dettagli, fatemelo sapere!
Ringrazio di cuore McBlebber, Adeline_Mad, GrandeMadreRussia, H2o e Aranciata_ per le carinissime recensioni e per il tempo che mi avete dato! Un abbraccio anche a chi ha inserito fra le seguite, preferite e ricordate- spero che il capitolo non vi deluda! Infine, grazie al lettore: non esitare a lasciare un commentino e la tua opinione, mi farebbe davvero piacere! Buona lettura :)



In quei dì di bruma
II

-Studi ancora!- e si levò lenta la casacca della divisa blu cucita sul petto, danzante fra la polvere sibillina e vivace- attaccava con cura e carezze la libreria folta di tomi grezzi e vecchi e strofinati dal tempo, impilati sugli scaffali e simili a soldati e file di denti aguzzi.
V’era placido silenzio e odore forte di legno bruno, un paio di tavolacci illuminati dal sole tiepido di Febbraio sbeccati ai bordi. Fra i colori caldi delle rilegature e della pelle, le pupille commosse di Gilbert disintegravano impietose la monocromia rilassante del luogo, -sto iniziando a credere che tu sia troppo intelligente per essere mio fratello, Herr.-
Sorrise, e lo fece male: con quelle labbra più volte spaccate in mulinelli di lame e pugni, la curvatura del sorriso si spezzava crudele rendendo il più semplice dei compiacimenti un ghigno da cui malfidare. Eppure cercò di rafforzare la propria dolcezza poggiando una mano sul capo biondo d’un ragazzetto, lasciandogli poche carezze. Non amava essere toccato.
- Si tratta del diritto romano.-, e gli occhietti chiari si levarono dal vecchio foglio giallognolo, incontrando l’espressione sorpresa del fratello, che più si pregava di non soffocare la Germania con la propria presenza e più le sue mani tentavano di abbracciarne l’ombra.
Si sedette al fianco, scostando la sedia in malo modo e graffiando con impazienza la precedente calma.
-E ieri già studiavi Beethoven, gli spartiti della nona e della quinta.-
Notò ilare che Ludwig osservava più che le sue parole la postura malandata, due gambe gettate fra tavolo e sedie ed il busto a ruotare verso di lui- sogghignò in silenzio, Gilbert, osservando il libro che secoli prima aveva preso in mano con una terribile smorfia e le mani sporche del più nero degli inchiostri.
-Posso aiutarti, Gilbert?- Ludwig aveva un viso perfettamente ovale, i tratti degli angeli delle cattedrali di Veneziano. “Splendidi sotto un sorriso”, pensò il prussiano, poggiandosi al tavolo; sentì il legno scricchiolare e dare a lui il profumo dolce delle foreste.
-Puoi, potresti.- non lo guardò negli occhi, e andò a sfiorare la luce malata che con coraggio fendeva la nebbia, -chiamami fratello.-

---

Aveva mani piccole, troppo per una divisa e dei bendaggi, eppur già iniziavano a far il callo delle baionette e delle briglie da cavalcata; da morbide quali erano si fecero più svelte e ragionate, e presto il sangue di schegge e ferite andò ad imbrattarne il candore.
Fu fermo innanzi allo studio di Gilbert trattenendo a sé delle garze e della menta, un disinfettante che giorni prima aveva preparato tagliandosi le dita e rimuginando sul testo di medicina francese con un broncio contrito e pressato. Aveva sfiorato le pagine con l’intento di penetrarle con occhi e mente, ed ascoltava ora il borbottio e gli urlacci del fratello.
Giunse al giovane il gracchiare della vittoria, le parole dagli spigoli troppo acuti fendere l’aria con ordini secchi e precisi, sino a che non udì il tonfo pesante degli stivali.
Si aprì il portone pesante- che Ludwig aveva osservato con dovizia, scorgendo nel legno la pazienza d’uno scultore e Sigfrido e Brunilde, il triskell celta e volute di foglie e rami e felci imprigionate nella maniglia. Vide la chioma castana e calda di Elizaveta, il sorriso placido che gli rivolse quando lui s’inchinò come il galateo voleva e la sentì cinguettare circa le buone maniere che Gilbert aveva sicuramente lasciato al piccolo fratello, ricevendo un grugnito stanco come risposta. Un ruggito basso e rilassato, spiccio e già indaffarato.
-Németország, tesoro!, stai aspettando tuo fratello?-, sorrise, imbrigliata in abiti femminili che forse ancora non sentiva totalmente suoi – a volte bruciavano sul petto, sul seno-, e Ludwig la trovò bella come una madre, dagli occhi feriti da cerbiatta. Indicò i medicinali che lui teneva con ordine fra le dita, prima che le fauci di Gilbert divorassero il pigolio di lei.
-Brüder,- si avvicinò, e il volto pallido non nascondeva i lividi scuri, il sopracciglio spaccato da un taglio, -mi stavi aspettando?-
Salutò l’ungara con una smorfia, e l’aria diveniva pregna dell’odore ferroso del sangue e delle botte traumefatte- dei nervi e muscoli in tensione, in un corridoio dalle enormi vetrate e dalle volte strepitosamente alte. Le gambe del soldato si ergevano come pilastri secchi, come colonnati immobili piantati sui tappeti più morbidi; ghignava ferino beffandosi astuto dei propri malanni, l’uomo bianco- aveva il volto gonfio tutto preso dagli occhi chiari d’un giovanissimo ragazzo e dalle fasce chiare che aveva per lui.
-Quanta preoccupazione!-
Scoppiò in quella sua brutta risata, tanto consumata che le orecchie dolevano nell’ascoltarla, ora sgretolata e graffiata dalla voce stridula.
-Non devi dubitare delle mie capacità. Ma non rifiuto il tuo regalo.-  fece tintinnare la bottiglietta d’unguento, sedendosi sul davanzale marmoreo e scomodo- nascose lo zoppicare nervoso e il male al tallone, il tendine teso della gamba d’assalto, i palmi delle mani rossi e devastati dalle piaghe che davano le corde incendiarie dei cannoni. Era un gesto inutile, “sciocco”, il prussiano lo sapeva, poiché Ludwig conosceva e tastava il furore e la passione che guidavano il fratello in battaglia; diveniva amante insaziabile e l’acciaio e il fuoco le sue indomabili concubine.
Le mani escoriate venivano quindi analizzate dall’occhio critico delle pinze, piuttosto che dall’occhio spaurito di un giovane che Ludwig. Non più sì infantile ma giovane, dagli occhi già adulti e pregni d’una consapevolezza allarmante per Gilbert, che ancora avrebbe voluto carezzarlo e rincuorarlo quando i tuoni scendevano dal Nord e ululavano con la stessa forza di un Dio.
-Ne hai bisogno, che tu sia capace o meno.-
La menta aveva un profumo forte e acceso, così piegata nella pezza e bagnata d’acqua calda, alitava la propria fragranza sul marmo e il muso contento della Prussia, selvaggia e rossa come un dragone furioso caduto sotto l’incanto di un docile giovinotto. Venne stappato l’unguento preparato da Ludwig, ed una nuova sinfonia di odori e erbe andò ad abbracciare l’aroma precedente.
-Eri preoccupato per me, eh?- si sfilò il giaccone, la camicia oramai inutilizzabile e sporca di giallo e rosso e del nero spiacevole della polvere da sparo. Sarebbe stato bello ricevere risposta sincera- forse spezzata e concisa, ma “non le parole danno forza ad un sentimento”, gli disse Eliza quando ancora faticava ad allacciarsi la sottogonna, “specie se venite dal nord e siete soldatini di legno”.
Ludwig increspò le labbra, trasfigurò la propria maschera in un grugno d’indecisione prima di increspare l’espressione ed osservarlo negli occhi roventi, -Si, Gilbert. Lo ero.-
Si scambiavano forse dolenti effimere felicità dalle note stonate e storte- non v’era una dolce conversazione che non avesse ricetta sbagliata, nota mancata, pausa troppo prolungata per dirsi veramente piacevole. Gilbert odiava il proprio nome sulle labbra del fratello, e ringhiò dispiaciuto di non poter assaporare il gesto tanto gentile di Ludwig, genuino e crudele e colpevole di aver rovinato una sciocca danza alla quale i due parevano abituati.
Vi fu il primo sospirare spazientito, le narici del maggiore si allargarono- la bestia era pronta per sputare fuoco.
-L’ho già ripetuto spesso, e forse sono conscio della mia pesantezza. Ma chiamami fratello!, dovresti già esserti abituato.-
Per quanto fosse possibile, la voce del maggiore si fece più rauca e bassa, ed era ora un fastidioso gracchiare, carico dell’orgoglio di un mulo e della cecità dello stesso: l’istinto dell’uomo bianco era pericoloso solo perché non sapeva ascoltare, ed era ignorante perché non ne voleva sapere di ragionare.
-Ti ho già spiegato cosa ne penso, Gilbert.-
Ludwig rimarcò il nome, sottolineandolo con una pronuncia stretta e marcata- mostrò con decisione i dodici anni che pareva avere, sfiorando un infantilismo che veniva legato a lui solo dalla concezione di onore passata dai suoi padri. Sapeva essere emozionale –non emotivo- e la sua bocca si riempiva spesso delle sue passioni e dei suoi dubbi; all'albino piaceva.
La Prussia rise stanca, borbottando e gorgogliando, ripetendosi “Gilbert, Gilbert”, e sperando di far sentire il piccolo fratello preso in giro- eppure l’uomo bianco deglutì e mangiò le proprie proteste, le annegò in uno sguardo triste e languido, e il suo riso non si fermò.

---

Lo vide montare a cavallo, e già aveva i tratti dell’errante paladino- la mascella squadrata, il viso che pareva tagliato con le lame, gli occhi tanto chiari da poter sfidare l’orizzonte e la volta chiara all’alba. Era ai piedi della Schwartzwald, la osservava timoroso e affascinato, allungando le dita verso i tronchi. Lì Gilbert vide in lui Ariovisto, vide il guerriero ed il Dio pagano, la fulgida bellezza silvana che aveva legato le caviglie di suo nonno di edera ora si specchiava nel volto di Ludwig.
Vide le spalle forti di lui ed i capelli riflettere il biondo del grano, sentì la foresta acclamare il nuovo Re suonando tamburi e trombe, allargando le radici fin al centro della Madre Terra. La foresta iniziò ad ululare, poiché pretendeva che il suo eletto la visitasse a bagnasse i piedi nel muschio e nella rugiada.
Ludwig si voltò preoccupato e confuso, lo sguardo timoroso fasciato dalla divisa a cercare quello del fratello- e Gilbert sorrise, nel vederlo forte ed immenso, nel ricordare le ossa fragili di Sacro Romano Impero e dicendosi di non aver più paura, poiché quelle della Germania non si sarebbero spezzate.
In silenzio, si alzò in piedi di scatto, portando la mano destra sulla fronte ora rigido e impettito –e Ludwig sospirò commosso- salutando il suo unico capitano.

---

Gilbert aveva gli scarponi bagnati, la bottiglia di birra già vuota in mano che penzolava fra le dita e dondolava come un triste pendolo, vicino ai robusti tronchi della foresta.
Era giunto là inciampando nei sanpietrini e zampettando malamente fra le vie, col volto livido di Ludwig che si conficcava impietoso nella sua mente ed il tono basso che colorava le sua guance di vergogna- venne a trovare Sacro Romano Impero più turbato del solito, senza avere l’occasione di sistemarsi o stringere fra le mani qualche timido fiorellino di campo.
“Un posto degno in cui riposare”, ripeteva da anni immergendosi nella foresta, che accoglieva un visitatore conosciuto con sorrisi ed ombre scure e rose e spine fra i rovi. Qui sentirà le fronde spostarsi al vento, si confessò Gilbert, e l’abbraccio di Vati stringersi a lui nell’inverno, quando il gelo ghiaccerà l’erba e i sentieri.
Si volse alla foresta, muovendo pochi passi incerti, ghignando, -Sono arrivato già senza birra, brü-…-
-Brüder!-
Un sussulto, uno spavento, nell’udire una nuova voce, che era bassa e terribile e dolce come cioccolata e caramello- si morse la lingua già tagliata in precedenza, e mugolò sentendosi così punto dal sentimento.
-Brüder!-
Si colorò di imbarazzo, poiché la voce di Ludwig era coperta da ansiti, e strizzò le labbra avendo timore di sentire il tono farsi più duro e crudele- di sentire il riverbero arrabbiato di un genitore, e l’uomo bianco si voltò col cuore balbettante, circondato dal verde caldo dei muschi.
Suo fratello stava ritto poco dopo di lui, ed era una statua comicamente animata- portava il giaccone pesante, il freddo a decorare il naso rosso e due birre sottobraccio. Era un cavaliere ordinato anche nella confusione, e l’osservò tanto bene da potersi impossessare dello sguardo giovane e consapevole, delle labbra serrate e rosee e del portamento che ricordava solo vagamente la schiena ritta dei Re.
-Oggi vengo con te, Brüder.-  


“Era nel ’93, e la mia Foresta conobbe gli echi delle risate e i pianti.
Non ebbi paura delle mie parole, poiché erano accompagnate dalla birra- non ebbi timore del fuoco la sera, quando Ludwig lo creò dalle sue mani e i suoi occhi divennero simili ai miei.
Mi sarebbe piaciuto farti riposare fra i boschi, mio giovane fratello, là dove il verde avrebbe coperto i tuoi occhi blu e il sorriso innamorato, il corpo fasciato dall’aquila dorata di Ottone- ricordai la tua furia e il clangore dell'armatura, la spada ricurva volta al cielo freddo delle nostre terre.

Mi sarebbe piaciuto farti riposare fra i boschi, mio giovane fratello.”
  
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