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Autore: Cinnamon_Meilleure    12/08/2015    1 recensioni
Angels e devils hanno iniziato il loro secondo anno alla Golden School, e sono più pronti che mai alle nuove sfide che li attendono.
Raf, ancora innamorata di Sulfus, ha deciso di dimenticarlo per il bene di entrambi, nonostante ciò la distrugga.
Sulfus, invece, è ben deciso a non rinunciare a lei, a qualunque costo. Ma il prezzo che ha scelto di pagare è molto caro, il gioco che ha scelto di giocare potrebbe essergli fatale. Può l'amore andare oltre le regole e le convenzioni, oltre i peggiori ostacoli? Persino oltre... la morte?
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Ho scritto questa storia molto tempo fa, ai tempi in cui esisteva ancora il forum di angel's friends, forse i fan di vecchia data se ne ricorderanno. Mi chiamavo Dolce-Kira, e grazie a questa storia ho conosciuto una persona meravigliosa che è tuttora la mia migliore amica online. Lei insisteva sempre affinché la pubblicassi su EFP, e ora ho deciso di farlo.
La storia si collocatemporalmente dopo i 52 episodi della prima stagione.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti, Raf, Sulfus | Coppie: Raf/Sulfus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ehm, lo so che avrei dovuto aggiornare una settimana fa... chiedo perdono! Questo è un periodo un po' incasinato perché stiamo per portare in scena un musical, perciò capirete che non ho molto tempo libero. Ad ogni modo spero che il capitolo denso di avvenimenti sia sufficiente per compensare.
Il prossimo aggiornamento sarà puntuale, promesso!
Aching heart (Beta-reader)

15. Salva il tuo cuore
    
“Quando siamo in pericolo noi, viviamo nel terrore, ed è orribile. Ma quando temiamo per qualcun altro, qualcuno che amiamo, ed abbiamo la certezza che sia in pericolo, cosa fare? Rischiare a costo di rimetterci la pelle? O lasciar perdere?
Bisogna avere coraggio... Perché bisogna scegliere.”
 
 
Alcuni giorni dopo, Sulfus capì che era pronto, capì che era ormai giunto il momento di tornare dalle creature della Terra Sospesa per la fase finale della trasformazione. Era pronto.
Lanciò una veloce occhiata alla sveglia che era sul comodino, con il suo schermino rotto. Le  tre del mattino. Poi si avvicinò alla finestra: era una cupa notte senza luna. Sospirò, e sentì una fitta ai polmoni. Incredibile, ma gli faceva male anche respirare.
Le creature gli avevano promesso, gli avevano assicurato che sarebbe bastata solo una notte per tutto il processo. Riguardo a questo punto lui era stato parecchio dubbioso, ma non aveva alternative. Con tutto se stesso desiderava cambiare, e ci sarebbe riuscito... ma le creature lo avevano messo in guardia: se, quella notte, leggendo il suo cuore non lo avessero trovato puro, lui sarebbe morto. Non voleva assolutamente pensare a quest’eventualità, ma doveva per forza metterla in conto.
Accidenti!
E non voleva morire senza salutare una persona...
Prese dal cassetto del comodino un foglio ripiegato e se lo strinse fra le mani, portandosele al cuore. Chiuse gli occhi e poi li riaprì. Sospirò ancora, piano. Diede un’ultima, fugace occhiata a Gas per accertarsi che dormisse e mentalmente salutò anche lui, il suo fedele peggior amico.
Infine sgattaiolò fuori dalla stanza. Gli dispiacque di non poter volare: gli avrebbe fatto risparmiare tempo, e sarebbe stato molto vantaggioso, perché lui non ne aveva più, di tempo.
A passo felpato come un felino oltrepassò il corridoio dell’incubatorio e giunse nel padiglione. Arrivò nel corridoio degli angel, e si sentì leggermente a disagio. Fuori posto.
Del resto, immaginava fosse normale per un devil sentirsi così intrufolandosi nel sognatorio… ma il fatto era che ormai lui aveva ben poco dei devil. No, il disagio era causato dal volersi insinuare nella stanza della persona che amava di notte, mentre dormiva. Ma non aveva altra scelta. Non poteva semplicemente sparire senza salutarla, o senza almeno lasciarle un messaggio.
Perciò Sulfus afferrò la maniglia fredda e liscia e la spinse verso il basso. E poi aprì la porta, piano e senza fare rumore.
Si ritrovò nella stanza. Era immersa nel buio, proprio come la sua nell’incubatorio. Era bello pensare a com’erano diversi lui e Raf, eppure la luce che li illuminava o il buio che li circondava erano li stessi.
Rimase per alcuni secondi immobile, ascoltando i respiri lenti di Urié e Raf nel sonno. Sperò che le angel avessero il sonno pesante e che non si accorgessero di lui. Avrebbe voluto essere un’ombra per potersi confondere con il buio e non  farsi notare. Si avvicinò, piano. Raf dormiva beata, girata su un fianco, con un’espressione dolcissima  sul volto: l’espressione di chi sogna qualcosa di bello. Urié invece sembrava mugolare infastidita. Chissà cosa stavano sognando... forse qualcosa di un mondo per lui inaccessibile. Sulfus s’inginocchiò accanto al letto di Raf e la osservò più da vicino, attento a non fare il minimo rumore. Temeva troppo di essere scoperto. Chissà se qualcuno si era accorto della sua assenza? Forse no. Non ancora.
Tornò a guardare Raf. Allungò una mano, piano, per sfiorarle la guancia con le nocche delle dita... ma ritrasse subito la mano quando sentì un rumore dietro di lui. Si calmò solo quando constatò che era solo Urié che si era girata nel letto.
Come è strana una persona, mentre dorme. Sembra così... vulnerabile.
Il ragazzo si rilassò un pochino. Osservò ancora il suo angelo, le palpebre chiuse e gli occhi spalancati su un mondo che per lui era invisibile. Non riusciva a smettere di guardarla, distrutto dall’idea di perderla per sempre. Poggiò sul lenzuolo la mano che stringeva il bigliettino. Poteva lasciarlo sul comodino? Lo avrebbe letto lei? Poteva...
Si irrigidì, quando si sentì afferrare la mano. La prima cosa che gli venne da pensare fu che era stato scoperto, anche se era impossibile. Poi si rese conto che era stata Raf, nel sonno, a stringergli la mano. Si sentì agitato. Avrebbe voluto restare così per sempre, senza mai mollare quella mano calda che lo faceva sentire più vicino alla vita. Il cuore gli si strinse. Sciolse con dolore la propria mano da quella di lei, e Raf serrò le dita sul bigliettino, accartocciandolo. Per un attimo Sulfus temette che il rumore della carta la potesse svegliare, ma non accadde.  Sorrise, triste, ricacciando indietro le lacrime.
“Spero di tornare...” le sussurrò, piano, e la sua voce era così sottile, nel dire quelle parole, così delicata da sembrare un soffio leggero contro la sua pelle. Che lei non sentì, almeno non consciamente.
Lui, con gli occhi lucidi, mordendosi le labbra per impedire alle lacrime di scorrere, le accarezzò ancora una volta la guancia e parte dei capelli. Infine si alzò, ma non riuscì a resistere. Si chinò su di lei e con estrema delicatezza, badando bene a non svegliarla, le baciò la guancia, lasciando anche scorrere su di lei una fugace lacrima.
E poi si allontanò, le lacrime che gli rigavano le guance dalla paura e dal dolore. Piangeva, ma discretamente. Senza singhiozzi. Solo lacrime. E non di sangue, lacrime vere. Mentre si allontanava, lei biascicò qualcosa sottovoce, nel sonno. Erano parole fragili, strane e confuse, il cui significato era poco chiaro, ma Sulfus le aveva sentite benissimo. Avrebbe potuto anche giurarci, su quello che aveva sentito. Si trattava di due parole brevi, dal suono delicato, ma che almeno davano forza di vivere. Due parole che almeno davano un baluginio di speranza, in tutto quel dolore. Due parole che facevano sorridere.
Ti amo.
 
Quando Sulfus giunse nella Terra Sospesa, le sirene lo circondarono. Tutte.
Non era normale, loro non erano per niente normali! Avevano sguardi poco rassicuranti, espressioni crudeli tinte sui volti di pietra.
Lui deglutì.
-Sei qui, di nuovo... ormai è la parte finale...
Lui tacque, limitandosi ad annuire.
Loro iniziarono a ridere. Un paio di creature lo spinsero a sedersi dinanzi ad una sorta di masso elevato che somigliava ad una colonna. Lui provò ad opporre resistenza, ma era troppo debole.
Un attimo dopo aveva le mani legate dietro il masso. Era incatenato da gelide catene ad una fredda roccia.
-Ma perché? Cosa ho fatto? Voi avevate detto che... che...
-Cambio di programma - gli sussurrò una creatura, in tono crudele.
-Il mio cuore non è puro?
-Al contrario - sibilarono un paio, crudelmente. – Lo è troppo! Tu non puoi vivere più.
-Co-come? Vi state sbagliando, non...
- Layadda ha deciso! Lei vuole te. Dice che tu gli servi. E noi rispettiamo il volere di Layadda. Il tuo non conta, per noi.
-Ma...  
-Ti siamo grate per la sfera, giovane sempiterno. Peccato che forse lei ci costringerà ad usarla contro di te.  
Lui le fissò allibito, senza parlare. Si sentiva confuso. Molto, molto confuso. E le creature sembravano ancora non contente.
-Lasciatemi stare, almeno! Statemi lontano!- intimò loro. Ma esse avanzavano, gli occhi carichi di odio. L’odore della sua paura riempiva la grotta, e per le sirene era una cosa adorabile.
-Vi prego… - il tono di Sulfus divenne supplichevole, quando le vide così vicine.
Fu inutile. Tentò di dare uno strattone alle catene per liberarsi, ma non ce la faceva. Era troppo debole, aveva perso tutte le sue energie. Una creatura rise, anzi, sghignazzò, e gli si avvicinò pericolosamente. E poi all’improvviso gli afferrò la testa per i capelli e la sbatté contro le sue stesse ginocchia. Una, due, tre volte.
Le tempie gli pulsavano dal dolore, e si sentiva intontito. Un’altra creatura gli sferrò un pugno sugli occhi. Il dolore fu atroce. Vide un pulsare di luci in un mondo spento e confuso da dietro le palpebre; gli occhi erano già talmente tumefatti da impedirgli di vedere in faccia i suoi aggressori.
Una fitta lo colpì in pieno petto, mozzandogli il respiro e facendolo piegare su di sé. Qualcuno gli schiacciò le dita delle mani, ma il ragazzo non ce la faceva più neppure ad urlare.
Sentì qualcosa di freddo sfiorargli lo zigomo, e poi qualcosa di caldo e denso che gli scorreva lungo la guancia. Trasalì.
Sangue. Lo avevano ferito.
Sulfus gemette. Sentiva dolore dappertutto e faceva male, malissimo. Quel branco di mostri lo stava pestando. Era il primo pestaggio che subiva in tutta la sua vita. E non era una bella sensazione.
I colpi che gli avevano dato e continuavano a dargli erano fortissimi, e sarebbe già stata una fortuna che non gli si fosse staccata la retina.
Ma quale retina? Ma quali occhi? Presto sarebbe morto, non ne avrebbe più avuto bisogno.
Ma forse era importante vedere perché sperava di guardare un’ultima volta la luce, perché sperava di guardare in faccia la Morte.
Morire.
Morire!
Se lo sussurrò, fra le labbra, per convincersene. Diamine. Faceva paura solo da pronunciare. Era difficile da accettare. Forse era capitato anche a Tyco. Anche lui era morto per...
E Sai, perché era morta? O, se non erano morti, cosa gli era successo? Non lo sapeva.
E non lo avrebbe saputo mai, perché tra poco sarebbe morto.
Morto.
No!
 
 
Il mattino dopo Raf si svegliò sentendo qualcosa che le pizzicava la schiena. Chissà perché, quando dormi, se nel letto c’è qualcosa ti finisce sempre dietro la schiena e pizzica.
A Raf venne voglia di buttare quel qualcosa che le pizzicava, quando vide che era un pezzo di carta. Ma per fortuna non lo fece, perché il suo settimo senso le disse di non farlo. E allora lo aprì, e lo lesse... ed i suoi occhi si spalancarono dallo stupore e dall’orrore.
 
Ti ascolto nel buio
In un ricordo passato
 
Ancora non posso dimenticare
Ma continuo a ricordare
Ora so che nulla potrà mai cambiare.
 
Non ce la faccio a dirlo... forse è per vigliaccheria, o forse voglio solo dirlo in modo originale... non me lo so spiegare neppure io, perché l’ho scritto e non te l’ho detto a voce. Curioso che io non trovi neppure il coraggio di scriverlo chiaramente, vero? Ma a volte, scrivere significa constatare una realtà, e constatare una realtà significa ammetterla... e questo fa paura.
Leggi le iniziali, angelo mio, non posso più sopportare di non averlo detto mai. Raf, io voglio guardare in faccia il Sole, e non lo so se posso farlo senza farmi del male.  Non so se posso sopravvivere. Però ci proverò. Sei il mio Sole, Raf. Ma non so se posso amarti senza... morire. Spero tanto di sopravvivere, spero tanto di tornare. Lo spero così tanto, che tu non puoi nemmeno immaginare quanto io lo voglia.
Questa potrebbe essere la prima notte della mia nuova vita... o l’ultima di quella che ho vissuto finora, quella che tu hai illuminato con i tuoi grandi occhi blu.
Grazie. Se non sarò là con te domattina non ci sarò più... per sempre.
Quindi... semmai... addio.
Sulfus
 
Quanto tragica può essere la lettura di un bigliettino? Tutto dipende da cosa c’è scritto, in quel bigliettino. E quello che c’era scritto in quello di Raf non era né divertente, né felice, né allegro.
Era dolce e romantico, questo sì, ma terrificante.
Se quel discorso faceva paura da scrivere, era ancora peggiore da leggere. Perché, mentre leggeva, Raf vedeva gli eventi scorrerle davanti agli occhi come con un film, dove gli eventi accadono senza che chi guarda possa cambiare le cose. Anche se lo vorrebbe. Anche se lo desidera più di ogni altra cosa al mondo.
E Raf si sentiva esattamente così. Ma era impotente ed inutile.
E rimase in silenzio, in tutta la sua impotenza ed inutilità.
 
Sulfus non c’era. Non si trovava da nessuna parte.
Le atroci parole scritte nel biglietto bruciavano nella mente di Raf come fiamme vive.
Ma era veramente possibile che... che...
No. Non ci voleva neanche pensare. Era troppo orribile anche da pensare.
L’unica cosa che aveva trovato Raf era una rosa bianca, con le spine accuratamente staccate una per una. Una candida rosa poggiata sul suo comodino.
Da parte di chi fosse, era fin troppo chiaro.
E quello era tutto quello che le restava di lui?
Una splendida e pura rosa bianca, un biglietto e una manciata di dolci ricordi?
 
Quella notte stessa, Raf non riusciva a prendere sonno. Le veniva troppo da pensare a Sulfus. Al fatto che non c’era. Lei l’aveva cercato alla spiaggia, Kabalé lo aveva cercato in ogni stanza dell’incubatorio, Dolce lo aveva cercato al centro commerciale (anche se Raf le aveva detto che di certo non era là). Gas lo aveva cercato in ogni pizzeria o ristorante della città, Miki e Raphytia, insieme lo avevano cercato nelle periferie, Urié e Ang-li lo avevano cercato in tutti i luoghi frequentati dal suo terreno, Matteo. Cabiria lo aveva cercato con Kaiwir in tutti i locali notturni delle vicinanze. E nessuno lo aveva trovato, naturalmente.
… o l’ultima di quella che ho vissuto finora…
…addio, Raf, addio…
…addio…
Quando qualcuno ti scrive un biglietto, la parola “addio”, se tieni a quella persona, è l’ultima che vorresti leggere. Anzi, non la vorresti leggere affatto. Mai, in tutta la tua vita.
- Raf!
La ragazza si girò. Davanti a lei, c’era Urié. – U-Urié?
-Non sono Urié! - Disse la ragazza. La voce era quella della madre di Raf, e lei la riconobbe. Infatti la ragazza aveva gli occhi lucenti. Era momentaneamente posseduta dalla madre dell’angel bionda, per darle un messaggio importante. -Raf! Non c’è più tempo! La notte è senza luna! Adesso, bambina! Il tuo momento è giunto!
-Il mio momento? La luna...?
-Il momento per mostrare cosa sai fare. Raf, in questa notte senza luna, il tuo cuore sta per morire! Raf, tu lo devi salvare!
-Dove? Chi?- Chiese Raf.
- Il tuo cuore, Raf! Il tuo cuore! Il tuo cuore è nella Terra Sospesa! Devi andare, devi andare adesso! Tu non puoi lasciarlo morire!
- Sulfus!- esclamò Raf.
La non-Urié annuì. -Proprio così. - disse.
-Sta per morire? Ma allora è ancora vivo!
-Sì! Ma devi muoverti. Devi andare adesso. Se non vai ora... morirà prima di vedere il nuovo giorno.
Un brivido gelido percorse la spina dorsale di Raf. -Come lo sai, mamma?
-Anche io sono prigioniera nella Terra Sospesa.
-Ma io sono la Minaccia e la Salvezza! Mi rapiranno! - Disse Raf.
Ma la non-Urié era tornata Urié e si stava avviando verso il letto per rimettersi a dormire.
Non importava.
La notte era senza luna, e Sulfus aveva bisogno di lei.
O sarebbe morto.
 
Qualche minuto dopo, Raf bussava incessantemente alla porta del professor Arkan. Quando lui uscì, dopo un’eternità, era mezzo intontito.
-Cosa c’è di tanto urgente?- Biascicò, la voce impastata dal sonno, sistemandosi gli occhiali sul naso e dandosi una veloce rassettata alle ali.
Raf, parlando velocemente, gli spiegò la  situazione.
-Si rende conto? Mia madre! Questo significa che è importante! E Sulfus è in pericolo, sta per morire! I sempiterni non possono morire! Chissà cosa succederebbe se accadesse!
-Sarà meglio andare in fretta dalla professoressa Temptel!
Raf roteò gli occhi. Ancora quella scocciatura della professoressa dei devil!
Arkan afferrò la sfera bianca e si avviò in corridoio, ancora insonnolito.
-Professore... ma come si arriva nella Terra Sospesa?
Il professore, ancora intontito, non colse l’astuzia della domanda di Raf e rispose subito.
-Occorre la sfera bianca, o la sfera nera, o il ciondolo della Terra Sospesa, che consente il teletrasporto.
-Ma come può aver fatto Sulfus per arrivarci? Cosa può aver fatto?  - Chiese lei, con aria innocente.
-Ha sicuramente usato la formula orale... deve aver chiesto di viaggiare nella Terra Sospesa...
Raf camminò ancora per un po’, in silenzio, accanto al professore. Ad un certo punto, si scusò con il professore.
-Perché? - Chiese lui, che non capiva.
-Per questo!- Disse Raf, e all’improvviso gli strappò di mano la sfera bianca. -Mi perdoni, professore, ma io devo andare! IO CHIEDO DI VIAGGIARE NELLA TERRA SOSPESA!- gridò, con la sfera verso l’alto.
-No, ferma! Tu non puoi andare lì!
-Sì che posso, professore! Sono l’unica che lo può salvare, adesso!- e, mentre la luce la circondava urlò, con tutta la sua forza:-Io sono una angel. Combatto per la giustizia, per l’onestà... e per l’amore! E così sia! Per sempre!
E con queste parole scomparve.
 
 
Sulfus sapeva che non avrebbe dovuto desiderare che lei arrivasse perché era troppo pericoloso, ma non poteva fare a meno di sperare che lei fosse lì.
Raf.
E le sussurrò una silenziosa preghiera, con gli occhi chiusi.
- Raf, Raf... ti aspetto, Raf.... salvami, ti prego, non resisterò ancora a lungo... voglio vederti un’ultima volta, Raf...- Sussurrò Sulfus, e le parole gli scivolarono dalle labbra, leggere come i rivoli di lacrime che gli rigavano le guance, ormai roventi dal dolore.
   
 
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