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Autore: RLandH    12/08/2015    3 recensioni
Da capitolo II:
[...]“E quindi hai pensato che abbandonarmi era meglio?” domandò irascibile lei, “Tesoro, nasciamo, viviamo e moriamo soli. Non è mia abitudine aiutare i mortali, mai, neanche i miei figli. Neanche quelli divini, se per questo” aveva detto con un tono infastidito, continuando a limarsi le unghia.[...]
Da capitolo IX:
[...]Era il figlio al prodigo, aveva bisogno di quel padre a cui aveva voltato le spalle, per uno stupidissimo corvo che non avrebbe potuto fare nulla contro un gigantesco uomo alto venti piedi. Le sentì brucianti le lacrime sulle guance.[...]
July vorrebbe aspettare la fine in pace, Carter si sente perso come mai è stato, Heather è in cerca di qualcosa e Bernie di quella sbagliata.
Se si è cosa si mangia: Arvery è una bella persona; Alabaster, lui è quello furbo. Marlon è un anima innocente e Grace è un mostro dal cuore d’oro.
E quando gli Dei decidono di invocare l'aiuto di quegli stessi figli dannati a cui non hanno mai rivolto lo sguardo, non c'è da stupirsi se il mondo intero va rotoli ...
Buona lettura,
Genere: Angst, Avventura, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altro personaggio, Dei Minori, Le Cacciatrici, Mostri, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Eccomi! In ritardo, con un capitolo scritto di fretta e furia ne betato ne letto da lamascherarossa, quindi si sarà un disastro. Ed il finale è stato riscritto un numero di volte indecente, ma sembra che io non ami molto concludere i capitoli. E va bene, dai.

Una nota da fare è che il capitolo presenta all'inizio un Bonus, ovvero un pezzo narrato da qualcuno che probabilmente non avrà mai un capitolo dal suo POV.

Voglio come sempre ringraziare tutti quelli che leggono e seguono ed ovviamente summer_time che mi rende una persona profondamente felice.

Buona lettura

RLandH









 

Il Crepuscolo degli Idoli




 

Il dietologo dei mostri consiglia: pesce affumicato, crudo di mezzosangue e acqua di palude.



 

Arvey II
(Bonus)

 

 

 

Osservò le sue dita ceree, lunghe ed affusolate, che a primo acchito non parevano di una guerriera, svelte giocare con due monete, una tonda d'argento con il la civetta incisa su un lato, l'altra era di rame esagonale, su una faccia c'era il profilo di un bel giovane, sull'altra era incisa una fiaccola. Fece cadere le due monete senza battere ciglio, lasciandole vibrare sulla mappa degli stati uniti, un suono profondo e ferruginoso.

Lanciò uno sguardo vacuo e spento alla moneta d'argento, sua madre le aveva fatto quel dono – se in tal modo poteva essere chiamato – tanto tempo prima, era una richiesta in verità, una missione. Ma lei ne aveva un'altra, una più grande.

Ricordava ancora lo sguardo serioso di sua madre, occhi grigi e spaventosi, “Dimenticati dei mortali, onora me” aveva ruggito. Era un onore essere scelti da Atena in persona per La Missione, per il recupero della statua, e dell'onore rubato dai Romani, nel corso dei secoli solo i più meritevoli erano stati scelti, ma a differenza dei suoi fratelli lei non era mai andata.

Era allora, quando sua madre s'era palesata, con il viso granitico, gli occhi severi e crudeli, adornata dalle serpi della gorgone, lei aveva risposto senza grazia che era un altro l'onore che voleva recuperare, ad altro era devota la sua fedeltà ed il viso dei nemici non coincideva con i romani.

Era stata l'ultima conversazione con sua madre, per tanto tempo …

Fino al confinamento dell'Olimpo, alla divinità bipolari e vaganti, matte come cavalli.

Poi qualcuno che doveva essere una pallida imitazione delle temibile Atena era apparsa nuovamente, farneticando di Romani, offese e della statua.

Lei aveva riso, ignorandola, “Hai alti figli, madre, figli che ti amano” aveva risposto infastidita, aveva pensato alla famosa Annabeth Chase, con gli occhi grigi ed il cipiglio, l'amica, amante e compagna di Percy Jackson.

“Mi hai chiamato” - una voce la risveglio dal suo torpore - “Jeha l'Arpia?”aveva chiesto gentile il ragazzo seduto dall'altro lato del tavolino da picnik, “Anche tu, con quest'orrido nomignolo?” sindacò lei, sollevando un sopracciglio pallido, con sguardo accusatorio il giovane. Quello sorrise di rimando, “Ne hai avuti nel corso degli anni tanti appellativi che ho creduto non ti turbassero più” aveva aggiunto quello, senza smettere per un attimo di sorridere, aveva un viso glabro, androgino ma ugualmente attraente, l'incarnato caucasico ed il crine liscio come la seta bruno, libero fino alle spalle, indossava una polo bianca su cui era scritto in nero Mantieni la calma ed mangia del nettare. “No, è solo questo che mi altera particolarmente” confidò, recuperando la moneta di Atena dalla cartina per infilarla nel fondo dei suoi pantaloni dalla tintura mimetica. Il ragazzo alzò le spalle, “Quando ti ho dato quel Betilio(1) non pensavo l'avresti usata così spesso” aveva scherzato lui, facendole l'occhiolino, aveva occhi cangianti, il cui colore sembrava mutare ad ogni battito di ciglia del ragazzo ed anche del suo, in quel momento la fissava con luminose iridi di lilà, “Se non ti sei ancora dissolto è perché ci sono io” aveva ribattuto lei, “Che continuo ad esserti devota” aveva risposto lei con una certo osteggiarsi, per nulla intimorita dal dio, “Non sei di certo l'unica, ma sei la mia protetta preferita” aveva canticchiato lui, allungando una mano verso il suo volto e premendo l'indice sulla punta del suo naso, “O a quest'ora ti avrei strappato la lingua per tanta impudenza” aveva detto quell'ultima frase con un tono dolce e carezzevole, le labbra aperte in un sorriso quasi il viso non corrispondesse alla minaccia.

“Ho bisogno del tuo aiuto” disse alla fine lei, neanche troppo turbata dalle parole, il dio sbuffò appena, “Sai la novità! Ed io che pensavo mi avessi chiamato per fare due chiacchiere” aveva commentato.

 

 

 

 

 

Arvey rise per un suo stesso pensiero.

Distraendosi un attimo dalla visione delle grandi cascate d'acqua a ferro di cavallo che s'apriva davanti lui.

La figura femminile al suo fianco aveva inclinato il capo perplessa, la fronte aggrottata, il crine scuro come l'inchiostro agitato come i flutti del mare, spessi e pesanti, con la scriminatura nel mezzo ed a cornice del viso tondeggiante, lunghi fino ai seni minuti. “Pensavo ad una cosa divertente” s'era difeso il lestrigone, sorridendo leggermente imbarazzato, sotto gli occhi scuri della mezzosangue. “A cosa?” aveva chiesto Bernie abbozzando un sorriso appena, “A Zotico Joe … il mio padre surrogato” aveva spiegato poi, “Lui mi ha insegnato a combattere, a cacciare. Il suo primo insegnamento era stato che dovevo puntare ai mezzosangue giovani” aveva cominciato a spiegare, ignorando l'espressione confusa sul viso della compagna, “Sai sia per la tenerezza della carne, sia perché è più facile uccidergli. Ma lui si è fatto accoppare da un tredicenne” aveva spiegato divertito.

Poteva sembrare sconvolgente ridere delle disgrazie di una persona a cui aveva voluto davvero bene, ma insomma erano mostri no?

“Era Percy Jackson” aveva detto Bernie dopo qualche istante di silenzio, sputando quel nome come fosse stata una sentenza di morte, “Aveva comunque tredici anni” aveva rimarcato Arvey.

Si non si era mai trovato a doversi confrontare contro il Salvatore dell'Olimpo, ma nel corso della sua lunga vita – o sarebbe stato meglio dire, lunghe vite? – s'era ritrovato ad affrontare qualche figlio di Poseidone, che poteva essere definito in qualsiasi modo tranne che speciale, e neanche troppo gustoso.

La ragazza seduta al suo fianco sulla panchina, fece battere fra loro i talloni degli stivaletti di camoscio, “Sai mi rincuora sapere i tuoi gusti alimentari” aveva provato a scherzare a disagio. “Tranquilla LaFayett non ti mangerei mai” aveva ripetuto con un certo sorriso, per tranquillizzarla; Bernie aveva ricambiato il gesto sorridendo a sua volta, onesta e consapevole, “La cosa preoccupante è che ti credo” aveva scherzato lei.

Arvey era sincero, non avrebbe mai mangiato Bernie – e probabilmente neanche Bells – a dispetto di qualsiasi altro mezzosangue, che fosse stato sulla Principessa Andromeda o no. Il motivo per cui non l'avrebbe fatto, che per molto tempo era stato giustificato come l'attaccamento di un bambino al proprio coniglietto, che finiva poi per tale motivo a non riuscir più a mangiare carne di coniglio, s'era andato tristemente a dissiparsi nell'ultimo periodo prima della Battaglia di Manhattan e a confermarsi per qualcos'altro durante lo scontro a Vernon contro i fratelli Sanguinaccio. Arvey adorava l'odore di limoni che impregnava Bernie, amava guardarla, parlare e fare altre cose che non si sarebbe mai permesso di dire alla mezzosangue neanche per loto(2).

 

“Perchè siamo venuti alle Cascate del Niagara?” aveva chiesto alla fine la figlia di Nyx dopo un certo tempo speso in silenzio con la sola compagnia del vociare dei turisti, “Uhm … Non c'è luogo più sicuro di casa propria” aveva risposto con onestà lui, sebbene leggermente titubante. Dopo aver raggiunto la destinazione dei biglietti che Arvey aveva sottratto ai due ragazzi alla stazione, avevano preso qualche altro treno per arrivare al confine con il Canada. Arvey era stato spinto dalla paura, in un certo senso, un sentimento che l'aveva pungolato nel raggiungere il primo luogo sicuro a cui si fosse appellato, la sua casa. “Sai quando l'Ombelico del mondo si sposta, tutto si sposta. Quando gli Dei soggiornavano in Grecia, noi eravamo in Trinacria, quando erano in Germania, noi in Fracia e così via, fino all'America ed il Canada” aveva spiegato poi, sentendosi stranamente intelligente e colto. Aggettivi che nessuno avrebbe mai appioppato ad un lestrigone.

Bernie lo stava guardando con gli occhi sbarrati, come quelli un animale, l'iride così scura da sembrare corvini come la pupilla, “Siamo praticamente a Mostrolandia?” aveva chiesto sconvolta, con le labbra semi aperte, “Per nasconderci daI Lestrigoni?” aveva aggiunto. Arvey non era riuscito a resistere al ridere, con i suoi denti seghettati, davanti il viso preoccupato di Bernie, “Tranquilla LaFayette, non c'è niente di più saggio che nascondere qualcosa in bella vista” aveva ribattito lui sicuro di se.

La ragazza aveva sbuffato, posando le mani piccole sulla sommità del capo tra i riccioli corvini, leggermente seccato, “Nefasti numi, com'è che esistono lestrigoni come te?” aveva chiesto poi, con un sorriso serpeggiante sul viso. Arvey sollevò le spalle come a sminuire la questione, non si era mai ritenuto troppo diverso dai suoi compagni, da non riuscire proprio a comprendere cosa Bernie trovasse di così eclatante in lui, “E da che hai tredici anni che pensi che in me ci sia qualcosa di strano?” aveva chiesto alla ragazza. La mezzosangue aveva irrigidito le spalle, stringendo una mano sul taumacoso che aveva posato sulle cosce, un oggetto sinistro, oscuro, che rifulgeva dello stesso alone della notte, puntellato che chiare luci, che nel giorno sembravano affievolirsi per brillare invece come quasar nella notte. Arvey sorrise appena al comportamento della mezzosangue, Bernie aveva comunque preferito eludere la domanda, “Sai ho sempre pensato che i Canadesi fossero carini e gentili” aveva preferito dire la figlia della Notte, “Come scusa?” aveva indagato lui, aggrottando le sopracciglia, “Sicuro non come Giganti Lestrigoni Cannibali” aveva rincarato lei, beccandosi una risata di scherno da lui, “Grazie, grazie tante, LaFayette” aveva rimbeccato Arvey.

 

La ricerca dell'arma – o quel che era – si era arenata al zoccolo delle cascate del Niagara, dove ancora una volta Bernie aveva cercato di spiare dentro il suo magico cannocchiale regalato dalla Dea Nyx in persona. Non era riuscita a vedere nulla a detta di lei, se non luci, colori e ambigue forme geometriche, nonostante passasse giornate a ruotare le lenti. “Non vedo armi” aveva sentenziato, “Ne Bells, ne altro” aveva soffiato, anche arrabbiata, con i denti a martoriare il labbro inferiore, carnoso e dipinto del colore del caffè. Era in piedi vicino al parapetto, un occhio chiuso e l'altro posato sull'oggetto, con la lente puntata verso le cascate, da perdersi fra i turisti. Per un essere umano non era minuta, era piuttosto alta, snella, senza eccessive formosità, tranne il sedere carnoso e tondo – specie in quei pantaloni di pelle – che Arvey si sforzò di non fissare per poter conservare una parvenza di decenza. Bernie era bella.

La ragazza si scosse appena, il lestrigone poté percepire un cambiamento nella ragazza, con le dita sottili stritolare, lo sguardo acute, il viso aperto però in un sorriso rilassato se non speranzoso. “Hai visto qualcosa” aveva notato Arvey, quando ancora con il viso quasi spensierato Bernie s'era voltata verso di lui, scostato il taumacoso dal volto. Era corsa verso di lui, quasi saltellante, “Alabaster! Ho visto Alabaster!” aveva gracchiato, non riuscendo ad arrestare il suo fremito, continuando a saltellare con le sue gambe lunghe. Il lestrigone aveva arricciato le labbra, cercando di rimembrare chi fosse il viso da accostare a quel nome, poi riuscì a districare nella sua memoria, il viso lentigginoso di un ragazzo con occhi verdi brillanti e capelli d'inchiostro, circondato da un alone di luce violacea, “Il figlio di Ecate” commentò, percependo il ricordo del suo profumo, qualcosa che ricordava la sangria. Bernie era sorridente, con le dita annodate attorno al cannocchiale, con un sorriso fanciullesco sul viso, “Si!Si! Al è vivo! Devo contattarlo” aveva esclamato; rinata.

 

Avevano dovuto cercare una fontanella, “Pensi possa aiutarti?” aveva chiesto Arvey, leggermente amareggiato da quella intrusione, se avesse visto Bells, il lestrigone pensava sarebbe stato meglio. La ragazzina s'era arrestata dietro un piccolo bambino, mettendosi in coda per la fontana. “Se non può Al, non può nessuno” – era piuttosto ammirata – “Poi se l'ho visto un motivo ci sarà” aveva chiarito immediatamente lei, mentre se ne stava irta come una stecca lungo la fila.

Un turista giapponese, un ragazzo dalla cresta blu ed un bambino sporco di gelato dopo erano arrivati in prossimità della fontanella, era concava di un materiale, una scodella tenuta su da un unico piede spesso con ghirigori poco affascinanti, screziati d'arancio. Il getto d'acqua zampillava continuo ma piuttosto lieve. Bernie si voltò verso di lui, prima di chinarsi per prendere qualche sorsata d'acqua, poi s'era raddrizzata, fissandolo, aveva un rivolo cristallino che le scendeva dall'angolo della bocca, percorrendo l'incarnato d'ebano. “Non n'è che per caso hai una dracma?” aveva chiesto leggermente titubante, ed imbarazzata anche, Arvrey aveva trattenuto appena il sorriso davanti a quel bel visino, prima di infilare le mani nelle tasche della tenuta mimetica, trovandosi a frugare tra i resti delle carte di caramelle, qualche osso di falange e ...si, qualche monetina. Aveva un quarto di dollaro e qualche dracma, era stato decisamente fortunato, “Per te, LaFayette” disse scanzonato allungandone una verso la ragazza, che l'aveva accolta un sorriso grato.

L'aver toccato gli ossi, gli aveva però ricordato che era davvero un bel po' di tempo che non mangiava qualcosa di sostanzioso, dal puma cacciato con i fratelli Sanguinaccio. “Qualcosa non va?” aveva chiesto giustamente Bernie, con le sopracciglia scure come il carbone, arricciate, una ruga solcava la fronte per evidenziare la sua perplessità, “Ehm … ho … tutto apposto” alla fine disse, ritenendo poco saggio dire ad una squisita mezzosangue che era un lestrigone affamato, anche se era Bernie. La figla di Nix distese la fronte, ma alzò un sopracciglio, come a lasciar intendere che non era così facile fregarla, “Facciamo così: tu chiama Alabaster, io mi faccio una passeggiata per godermi un po' della quasi aria(3) di casa” disse Arvey sbrigativo, cercando di non fissarla negli occhi, Bernie arricciò le labbra ma lo lasciò andare, concentrandosi sul misero getto d'acqua della fontanella chiedendosi come avesse dovuto fare per direzionarlo in modo che creasse un arcobaleno con il sole.

 

 

S'era allontanato poco cercando di visualizzare tra tutta quella gente una possibile preda. Una ragazza stava mangiando un gelato poco lontano, non era molto sottile, aveva capelli rossi fiammanti ed indossava un prendisole viola, che lasciava scoperte le gambe bronzee. Aveva occhi chiari, lo aveva guardato appena prima di abbassare lo sguardo piuttosto intimidita. Arvey aveva inquadrato un uomo poco distante da lui, aveva un viso fanciullesco, capelli corti che davano l'accenno di riccioli ed un completo di classe, camicia firmata, pantaloni di batista e scarpe di vernice, tutto rigorosamente in bianco acido, masticava una gomma alla fragola e sorrideva verso Arvey come se avesse saputo perfettamente chi era lui e non lo temesse affatto. Il lestrigone distolse, con sua somma vergogna lo sguardo, per controllare se con Bernie andasse tutto bene, la ragazza le dava le spalle, ma di fronte lei s'era aperta una sorta di finestra sfumata che la metteva in comunicazione con Al, di cui Arvey riusciva appena a vedere i contorni, abbandonato la guardia s'era accorto che l'uomo interamente vestito di bianco era scomparso.

Il resto era accaduto così velocemente che Arvey non era certo di averlo realizzato del tutto, l'odore di sangue e sudore era stata la prima cosa che aveva annusato, assieme all'odore acre di Pasticcino Sanguinaccio, la seconda cosa era stata la spada bastarda della suddetta che scavava la sua carne all'altezza della spalla, mettendo fuori uso il braccio destro, quello con cui brandiva la sua mazza da battaglia, “PUTTANA” riuscì a dire, prima di intercettare il viso della lestrigona e ricacciarlo indietro con un pugno, che le fece saltare qualche dente da squalo.

“Traditore bastardo” ringhiò lei, sollevandosi dalla posizione supina, il naso impiastricciato e colante di sangue. Nessun mortale sembrava essersi accorto di due lestrigoni che s'azzannavano di fronte le Cascate dei Niagara.

Arvey non aveva perso tempo a guardare la donna, limitandosi ad estrarre con un colpo netto la spada, maledicendosi l'attimo dopo, quando il sangue aveva cominciato a sgorgare senza sosta, con un disperato raccoglimento d'energia l'aveva usata contro la stessa proprietaria, troppo accecata dalla rabbia e furente come una fiera, Pasticcino non era stata lucida, essendosi ritrovata ben presto con due dita in meno alla mano sinistra che aveva intelligentemente usato per proteggersi il viso. “Maledetto figlio d'una ninfa” aveva ringhiato la donna, tirandosi su, con gli occhi corvini spalancati ai moncherini della mano, il naso ridotto a poltiglia e l'incarnato di bronzo macchiato di vermiglio vivo.

Arvey s'era allontanato molto poco eroicamente, liberandosi dalla spada dietro un cespuglio, cercando di estrarre dal fodero fatto di lacci la sua mazza chiodata, trovando in quell'azione più difficolta del solito. “Ehm … ehm” tossì qualcuno al suo fianco, l'uomo in bianco era al suo fianco, “Proteggerai quella ragazzina?” chiese l'uomo ammiccando a Bernie che ignara di tutto parlava con Al, molesto ed attento, come un animale a caccia, Mickey si stava avvicinando, “Morirei per lei” confidò senza esitazione lui, approssimando qualche passo dolorante verso il precedente amico, con il dolore alla spalla in fiamme, “Oh meraviglioso olimpo” esordì l'uomo in bianco, “Quanto mi entusiasmo per le passioni amorose” confidò tutto sicuro di se, prima di toccare la dolente spalla a Mickey ed la fitta si era dissipata, “La ferita c'è, solo che per un po' non la sentirai” aveva confidato quello, “Chi, orco, sei?” aveva rantolato lui confuso, quello aveva riso, l'alito odorava di fragole zuccherose, “Oh che importa” aveva esclamato, “Conta solo che tu sia animato da tanto ardore!” aveva aggiunto, “È quello a darmi forza” aveva aggiunto tutto soddisfatto, ghignante ed in qualche modo ridicolmente malefico. Oh be, Arvey non aveva tempo – ne voglia – di interrogarsi su buone divinità che si mettevano a sparpagliare favori a Lestrigoni a casaccio. Numi nefasti, aveva da allungare la barzelletta ancora con qualche altro improbabile aneddoto, sempre se ne fosse uscito vivo.

Aveva estratto la mazza con vigore, raggiungendo Mickey, che con il suo naso svelto s'era già accorto di lui, l'aveva anticipato con un pugno nudo nello stomaco, “Divi! Deve essere una vera delizia se l'hai voluta tutta per te” disse irrisorio Sanguinaccio, con il viso aperto in un pessimo sorriso malato, con gli occhi scuri come la pece ben centrati sulla snella figura di Bernie, “Troppo magra, troppo secca” aveva sentenziato critico, “Massimo la userò come stuzzicadenti” aveva stabilito, tirando un calciò all'addome di Arvey, in modo che non potesse rialzarsi, “Ho sempre sospettoso tu fossi un depravato” aveva constato Mickey, chinandosi per raccogliere la mazza dell'altro che era caduta per terra, grosso sbaglio! Arvey aveva afferrato con ambedue le mani il braccio dell'altro e con una forza disumana l'aveva tirato sfilacciando la carne e rompendo l'articolazione del braccio. Un rumore secco s'era udito nell'aria seguito da un disumano grido di dolore. Arvey aveva frettolosamente recuperato la sua mazza e l'aveva sfracellata con tutta la forza contro il viso di Mickey, senza il minimo rimorso, senza pensare che giusto una manciata di giorni prima viaggiavano assieme ridendo del pessimo senso dell'umorismo di Arvey e delle battute indecenti di Mickey, accompagnati dai ringhi di Pasticcino. Senza pensare che i Sanguinaccio erano stati i suoi amici, la sua famiglia, per quasi mezzo secolo, l'unico pensiero era stato il sorriso bianco di Bernie, come la falce di una luna sul suo viso bruno.

“Scusa amico, davvero” aveva sussurrato Arvey, senza però vero pentimento, mentre Mickey Sanguinaccio si disgregava in fine polvere, scomparendo da quella terra per un po', in cuor suo il lestrigone sperava fosse più tempo.

 

“Berenyx” strillò a gran voce, attirando l'attenzione della giovane, che era ancora intenta a parlare con il figlio di Ecate, “Siamo sotto attacco! Sarebbe il caso di filarsela” aveva commentato, voltandosi appena per scorgere Pasticcino coperta di sangue, il viso massacrato ed il fuoco vivo negli occhi. La rabbia tatuata sul viso che Zotico Joe aveva amato, “La vedi come bella” diceva, colpendolo appena con delle gomitate e la lestrigona si voltava verso di loro, sorridendo in maniera arcigna e tirata e Mickey al suo fianco rideva di gusto. Ed Arvey aveva privato Pasticcino di un'altra persona importante.

S'era avvicinato a Bernie, aveva il viso spaventato, pallido e le labbra tremolanti, con gli occhi vacui e scuri, persi oltre le spalle del mostro ad osservare il viso animato da odio e dolore di Pasticcino e la furia implacabile marchiata sulla pelle. “Dove sei, Al?” aveva chiesto concitata e nervosa la ragazzina, volgendo lo sguardo in ultima volta alla figura all'interno dell'arcobaleno, un ragazzo allampanato, puntellato di lentiggini, con le guance scavate e l'incarnato livido, “Keesville” aveva sussurrato, prima che la spada di Pasticcino fendesse l'aria e per poco il viso di LaFayette, se Arvey non l'avesse afferrata alla svelta spostandola di qualche centimetro, lasciando che la lama vibrante della lestrigona sfiorasse il crine corvino.

Bernie tremò appena, spaventata, poi allungò svelta una mano verso Arvey e prese quella del lestrigone; lui notò quanto piccola fossero le dita della ragazza in contrasto con le sue. La figlia di Ecate saldò la presa, “Reggiti forte!” strillò, prima che Pasticcino potesse abbassare nuovamente la lama su di loro e tentasse di affettargli ancora; Arvey percepì chiaramente il dolore più forte che avesse mai provato nelle sue lunghe vite, mischiato ad un potente stordimento e nausea.

Quando ebbe la sensazione che i piedi tornassero a toccare la terra, finì per piegarsi sulle ginocchia per riprendere fiato, vomito della bile prima di riuscire a comprendere cosa fosse successo e realizzare di non trovarsi più alle cascate del Niagara.

Bernie collassò al suo fianco, affatticata, quasi malata, con un rivolo di sangue bruno a correrle giù da una narice sulle labbra piene fino al mento spigoloso. “Co...cos-ah … è su...cce...ssO?” riuscì a rantolare a fatica, con l'aria bruciante nei polmoni, quasi si fossero dimenticati come è che si respirava, la ragazza prese due profondi respiri, mentre un altro rivolo aveva cominciato a scendere dall'altra narice, “Viaggio nell'Ombra” aveva risposto poi a fatica, premendosi una mano sul costato, “Ero fin troppo fuori allenamento e con poche cartucce” aveva confidato, stendendosi sul marciapiede con noncuranza, “Non sono mai stata molto capace, trovo sorprendente che non ci siamo sciolti nell'ombra” aveva confidato, recuperato colore sul viso e la vena chiacchiericcia, ma ancora abbastanza provata, da avere le epistassi e non riuscire a tirarsi in piedi.

Arvey percepì pregnante nelle narici un odore paludoso, di fango ed acqua fluviale, “Dove, per l'Orco, siamo?” chiese a fatica, riuscendo a recuperare bene, cominciando a sentir pizzicare la spalla, dove l'Uomo Vestito di Bianco aveva rimosso il dolore, dove Pasticcino l'aveva colpito. “Leesville, luisiana, dove altro dovremmo essere?” aveva chiesto retorica lei, riuscendo a tirarsi sui gomiti e rimanendo seduta per terra. Arvey aggrottò le sopracciglia decisamente confuso, “Leesville? Il figlio di Ecate aveva detto Keesville” aveva ribattuto lui, sconvolto ed anche piccato. Il viso di Bernie s'era tinto di bolgia, “No, no! Aveva detto Keesville” aveva ribattuto sicura di se lei, riuscendo anche a sistemarsi sulle ginocchia, con le mani sui pantaloni scuri.

 

Anche se erano nel luogo sbagliato, non che Bernie lo pensasse, erano entrambi fin troppo provati per poter riprovare il viaggio delle ombre, così s'erano ritrovati a vagabondare a zonzo per Leesville, con Arvey ancora più provato dalla fame e dal dolore e la mezzosangue con un occhio piantato all'interno del tautacoso senza alcuna vaga capacità di vedere qualsiasi cosa. E nello socntro avevano anche perso tutte le dracme che avevano, quindi caso mai avessero voluto avvertire Alabaster che ero ancora vivi, ma avevano semplicemente sbagliato città, non potevano.

D'altro canto, Arvey trovava che Leesville fosse un posto più o meno detestabile, pieno di zanzare, umido e di gente in infradito con i pantaloni arrotolati fino alle ginocchia ed un caldo da fornace.

“Spero Al non si convinca che io sia morta o che so” aveva commentato tutta spenta Bernie, ciondolando al suo fianco, con una mano premuta sotto il naso, dove cercava di raccogliere il sangue in un fazzoletto e con l'altra teneva la giacca di pelle, bottiglia, che s'era dovuto togliere per il caldo, il sudore correva lungo le braccia nude scure assieme a qualche sottile linea di cicatrici, residuo di battaglie. E l'umore di entrambi era sotto i tacchi.

Avevano imboccato una strada che percorreva il fiume, dove l'odore paludoso era più forte e pullulava di pescatori con cappelli assurdi e barche improbabili che si davano alla raccolta di conchiglie o che altro. Bernie aveva cominciato a slacciarsi gli stivaletti di cuoio nero, dalla suola di carrarmato e lacci stretti, “Fa caldo” aveva commentato, mentre tenendosi in bilico su un piede solo era riuscito a togliersi una scarpa, rimanendo come un fenicottero, le braccia aperte a volo d'angelo per mantenere l'equilibrio; il naso aveva smesso di sanguinare.

Si era sfilata poi l'altra scarpa ed i calzini bianchi, rimanendo con i piedi nudi sull'asfalto, prima di raggiungere la banchina per sedersi e lasciare le gambe appese al vuoto, dove sotto un'acqua verdastra scorreva. Arvey s'era seduto al suo fianco, tra loro c'era solo gli stivaletti; “Quindi cosa facciamo?” aveva chiesto giustamente lui.

Non sapevano dove fossero, chi potessero contattare, come poterlo contattare.

Bernie aveva preso un lungo respiro, muovendo appena i piedi, tenendo le ginocchia appiccicate tra loro, “Devo recuperare le forze, poi proveremo il grande salto” aveva risposto con sicurezza.

 

L'aria s'era impregnata d'odore piuttosto buono, in una barchetta da quelle parti un uomo di una certa età stava arrostendo del pesce con della cipolla e qualche altra spezia piuttosto forte. Sembrò accorgersi di loro vagamente, sollevando appena gli occhi scuri, intrecciati tra ciglia grigie, sotto spesse ciglia sale e pepe. “Ho fame sai?” aveva bisbigliato Bernie, con gli occhi rivolto al pesce, che cominciava a scurirsi sul dorso, mentre l'aroma si faceva più pregnante, “Non sai quanto ne ho io” aveva bisbigliato Arvey che invece dello sfrigolare del pesce era più attratto dall'odore del fumo sulla carne dell'uomo, percependo il suo languore nella bocca.

Per un attimo Arvey si era davvero visto scendere nel fiume, salire sulla piccola barchetta dell'uomo, gustare la carne dell'uomo e riportare il pesce a Bernie e perdersi nel guardala sorridere. Allora avrebbe davvero dovuto ridere, perché sarebbe stata davvero una fottuta barzelletta! Un lestrigone che tradisce tutto e tutti per una mezzosangue e viene aiutato da una strana divinità?

La sua intera vita non aveva senso, ammise a se stesso Arvey, o forse aveva cominciato ad averla da quando aveva mangiato quel gruppo di ragazzi che tormentavano quelle due ragazzine.

“Cosa sta facendo?” aveva chiesto la mezzosangue attirando la sua attenzione, il lestrigone aveva seguito il dito della ragazza, trovando in quella direzione, dall'altro lato del fiume, sulla banchina, una bella donna era in piedi, che allungava le dita sottili verso le spalline di un vestito morbido di un colore tenue, per farle scendere e lasciar scivolare il vestito lungo il corpo snello e le gambe lunghe, rimanendo solo in un colorato costume da bagno a due pezzi, sandali alla schiava ed una sottile corno d'oro sulla sommità del capo, “Una dea?” aveva chiesto Bernie confusa, con gli occhi stretti e la fronte crucciata, “No” aveva risposto Arvey, afferrando la ragazza, piantandola sul suo petto ed avvolgendola tra le braccia in una morsa difficile da sciogliere.

La sconosciuta aveva cominciato a cantare una canzone piuttosto lenta e dolce, quasi avesse avuto la voce incantevole – ed ingannevole – di una sirena, tutti i mortali sulle navi erano stati attratti da quel candore, compreso l'uomo del pesce e Bernie che aveva cominciato a lottare contro le ferree braccia di Arvey, che non la lasciavano andare.

S'era lasciata, la donna, cadere nelle acque verdastre del fiume e senza smettere di cantare aveva preso a nuotare sul dorso come una foca, aveva occhi d'un lucido azzurro, che aveva rivolto verso di loro, sorridendo appena, gentile anche, poi gli uomini avevano cominciato a scavalcare i parapetti per raggiungerla.

“Lasciami andare! Bells mi sta chiamando” aveva languido la ragazzina, cercando di sgusciare da quella forte presa, “Lasciala a-andare-e” aveva cantato la donna, fermandosi non lontano da loro, rimanendo a mollo, con i fili dorati sparsi sull'acqua verde e sul corpo seminudo, non aveva arrestato il suo canto, “Cosa sei?” aveva ringhiato Arvey, cercando di trattenere Bernie più a se possibilmente, troppo spaventato all'idea di perderla, ma fin troppo bloccato per poter affrontare la creatura, “Così cantava Parthenope, che provava un dolore dolce … La sua voce era una freccia che colpì il mio cuore(4)” cantò con estrema dolcezza la creatura, allungando una mano verso di loro, muovendo un dito, come ad invitargli a raggiungerla.

Bernie assestò una gomitata sullo sterno di Arvey, che allentò la presa, di poco, di qualche momento, sgusciando così da quelle forti braccia. Il lestrigone sentì il mondo finire, distaccarsi dalla gravità stessa quando percepì il vuoto sul suo torace ed il rumore dell'acqua smossa, abbassò lo sguardo trovando spuma mossa dove qualcosa era affondata, come un gatto bagnato, Bernie era riemersa qualche istante dopo, gli occhi neri erano tinti di ipnosi e senza riuscire a fermarsi aveva cominciato a nuotare verso Parthenope. Arvey s'era lanciato presto dietro di lei, cercando di frenare la corsa della ragazza, ma nell'acqua Bernie s'era fatta più fuggevole d'un anguilla e difficilmente afferrabile, lui che invece appariva così imbranato.

“Lasciala ti prego” si ritrovò ad implorare il lestrigone, con l'acqua alla gola, quando Bernie, assieme agli altri pescatori avevano raggiunto la donna, ma questa non aveva occhi che per la figlia di Ecate, aveva accarezzato il viso di Bernie e immerso il naso spigoloso tra i capelli corvini della ragazza, “Figlia di una divinità protogenea” aveva sussurrato lasciva, “Un profumo così dolce” aveva bisbigliato poi Parthenope, schiacciandosi il viso di Bernie sul petto, non stava più cantando, ma l'incanto era persistente, “Puoi avere tutti i mortali che vuoi, ragazzone, ma lei è mia” aveva chiarito, allontanando appena il viso della mezzosangue dalla sua pelle per guardarla bene da vicino, s'era avvicinata ed aveva leccato una guancia di Bernie, “Davvero squisita” aveva aggiunto irriverente. “Stai lontano da lei” sibilò Arvey, avvicinandosi con un movimento netto alle due.

Parthenope sbuffò appena, infastidita, “Normalmente amo la dedizioni di voi Lestrigoni per il cibo, ma sei inopportuno” aveva chiarito quella, prima di schioccare le dita, tutti i mortali nell'acqua s'erano voltati verso di lui, “Prima che tu abbia finito con loro, avrò già finito con lei” aveva chiarito con un cenno di divertimento la creatura, prendendo sollevando dall'acqua un braccio di Bernie, che restava lì immobile, mentre i mortali avevano cominciando ad addossarsi contro Arvey, che non aveva remore nel fal crollare la mazza su di loro e colorare di rosso il fiume. Parthenope aveva sorriso, non aveva denti aguzzi o altri, sembravano abbastanza normali, “Di norma ti cucinerei per bene, ma vado di fretta” , aveva addentato il braccio di Bernie e strappare una piccola porzione di carne e pelle, la mezzosangue aveva appena recepito il fatto, con un semplice sussulto, ma era rimasta con gli occhi vacui ed il rosso aveva cominciato a scorrere sulla pelle scura. “Divi, potrei avere un orgasmo” aveva commentato Parhenope con il sangue a macchiarle il viso bello, “Posso comprendere perché la volevi tutta per te, ragazzone” aveva ghignato, la donna aveva infilato le dita all'interno del colletto della maglietta nera di Bernie, strappando in maniera netta il vestito, scoprendo la pelle nuda della spalla dove spiccavano le spalline di un reggiseno e quelle spesse di una canottiera e si chinò nell'incavo tra la clavicola ed il collo quasi volesse depositarle un bacio, ma invece strappo un altro lembo di pelle. La ragazza sussultò appena, ma sorrideva, incurante della realtà. Arvey affogò un uomo con la sola forza della mano, mentre percuoteva il capo d'un altro con la sua mazza, “Lasciale! Bastarda!” ringhiò.

Parthenope rise divertita, la carne pallida orribilmente macchiata di vermiglio, con i denti bianchi coperti di rosso.

Un colpo secco raggiunse la fronte della creatura, quando ancora il riso arcigno adornava ancora il volto, un singolo rivolo di sangue scuro scivolò da un foro sulla fronte, fino a che Parthenope s'era disintegrata in polvere sottile, riconsegnando in tale modo a tutti la lucidità, Bernie battè le palpebre diverse volte, prima di percepire il dolore dei morsi e cominciare ad urlare, confusa la gente ma non più minacciosa, Arvey era riuscito a nuotare fino a lei per avvolgerla in un abbraccio, “Va tutto bene” le disse, baciandole la fronte, mentre la ragazza continuava a tremare, lui invece s'era ben allarmato, alla ricerca di chi avesse ucciso Parthenope.

 

“Pensare che ci sono ancora mezzosangue che si ostino ad usare spade e frecce” commentò qualcuno, Arvey gli vide, due ragazzi erano in piedi vicino la banchina, vestiti in abiti mimetici e giacce di pelle, armati con quelle che sembravano armi da fuoco – semiautomatiche? Arvey riconosceva di avere una grave mancanza. Uno era alto, rasato, non un filo di barba o di capelli, scuro come un chicco da caffè con occhi gialli come quelli di una lince ed alcuni tatuaggi da scarnificazioni più chiari sul braccia nude e muscolose, l'altro era più bassino, con un naso dritto ed un sorriso corrosivo, aveva l'arma puntata verso di loro, gli occhi verdi infastiditi. “Signori mantenete tutti la calma” aveva urlato il ragazzo rasato, alzando le mani, lasciando cadere il fucile che era appeso ad una cinghia di cuoio che era appeso alla spalla, “Qualche fiore di loto ed avrete dimenticato tutto” aveva aggiunto, aveva una voce sicura, piuttosto autoritario, ma sapeva come parlare alla gente. L'altro aveva sbuffato, perdendo il sorriso sornione sulle labbra, “Lei ci serviva viva” aveva commentato infastidito, con le braccia incrociate al petto, “I mortali hanno la precedenza” aveva ribattuto qualcun'altra, era una voce femminile, ma Arvey non aveva individuato chi avesse parlato ne dove fosse.

Il ragazzo dagli occhi verdi era rimasto frustrato per qualche momento, prima di voltare lo sguardo verso di loro, notando lui per la prima volta, che teneva le mani attorno al piccolo corpicino sottile della mezzosangue, “Oh, la nostra cantante non è l'unico mostro qui” aveva commentato con veemenza, alzando l'arma verso di loro, lucida e grigia.

“Aspetta!” nel campo visivo di Arvey era apparsa una ragazza dai capelli biondi come il grano ardente, ma lo scoppio del colpo dell'arma da fuoco aveva catalizzato tutta la sua attenzione. Bernie sembrava aver realizzato la situazione, risvegliandosi, solo quando aveva sentito il colpo partito, Arvey l'aveva stretta forte, guardandola negli occhi se, se proprio doveva morire, sperava fosse vedendo il suo viso.

“No!” urlò la mezzosangue, un suono acuto e terrorizzato.

 









(1)Il betilo o (bétile - bethel) è una pietra a cui si attribuisce una funzione sacra in quanto dimora di una divinità o perché identificata con la divinità stessa. In questo caso io la immagino come una moneta e con la funzione di un cerca-persone.

(2) Un modo fantasioso per dire Neanche per cavolo.

(3) Arvey è canadese ed in quel momento si trovano proprio a confine con il Canada.

(4)Johann Gottfried Herder, Parthenope, 1796.

Il mito di Parthenope è un mito riguardo ad una sirena atipica (viene sempre rappresentata con corpo umano), qualcuna dice che era una mortale suicida per un amore non ricambiato di Ulisse, qualcun'altra che era stata maledetta da Afrodite che l'aveva trasformata in sirena, altre che era sempre stata sirena e che Orfeo l'avesse condotta alla morte durante la traversata dell'Argo. E la mortale della favola è che Parthenope è morta un certo numero di volte, che sembrava assurdo tenerla in vita.

   
 
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