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Autore: Ambaraba    13/08/2015    1 recensioni
[Constantine]
Chas era la cosa più simile a una famiglia che avesse mai avuto. Se “famiglia” significava sostegno, calore e fiducia assoluta, allora Chas era la sua famiglia. Senza quel gigante taciturno, che molto spesso si esprimeva a monosillabi quando non addirittura a grugniti, la sua vita sarebbe stata uno schifo.
(John/Chas)
Genere: Generale, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CHASTANTINE 9

    La mattina dopo, John ebbe bisogno di qualche secondo per ricordarsi di dove si trovassero e perché. Aveva trascorso il resto della notte dormendo beato, e la sensazione di familiarità era così forte che si svegliò convinto di essere al mulino. Ma poi aveva spostato lo sguardo sull'orribile carta da parati del piccolo albergo e aveva pensato che sì, Jasper avrà pure avuto tanti difetti, ma di sicuro non avrebbe mai rivestito le pareti del mulino con quel motivo agghiacciante. Sentì il calore e il peso del braccio di Chas attorno alla vita, e lo sentì mugugnare qualcosa nel sonno – sembrava proprio un orso, a volte, col suo modo di emettere versi animaleschi e anche un po' inquietanti.
    Dopo aver fatto colazione ed essersi preparati rapidamente – nessuno dei due menzionò l'episodio della notte appena trascorsa, - si presentarono di nuovo davanti a casa di Geraldine, e stavolta John vide Chas discutere con quell'arpia di Renée. Non ci voleva un genio per capire quale fosse il motivo del litigio: lei non lo voleva lì. Non voleva che quel delinquente farabutto rubamariti alcolizzato pervertito - e magari anche un po' tossicomane - di John Constantine portasse sulla cattiva strada la piccola Gera. La bambina raggiunse l'automobile da sola, sporgendosi dal sedile posteriore per dare un bacio sulla guancia a John. Lui la accarezzò rapidamente sulla testa, sperando che la discussione finisse presto.
    «Mamma dice che sei una brutta persona, ma secondo me non è vero,» disse Gera candidamente.
John sospirò, lasciandosi andare sul sedile.
    «Forse ha ragione,» mormorò, con una leggera punta di disagio nel petto, ripensando all'incubo della notte prima. I bambini tendevano a fare una brutta fine, quando capitavano nel suo raggio d'azione. Decisamente.
    John vide Chas, arrabbiato, chiudere la porta e raggiungerli con poche falcate – uno dei vantaggi di essere alto due metri. Nel breve tragitto dalla porta di casa alla macchina, il più grande si sforzò di assumere un'espressione meno incazzata; ma, quando gli si sedette accanto, John percepì chiaramente quanto fosse nervoso.
    «Tutto bene?» si azzardò a chiedere, anche se sapeva che non andava affatto bene. Chas gli rivolse un'occhiata che diceva No, non riesco ancora a capire come possa essere stato così stupido da aver sposato quella stronza, una volta; ma queste sono le ultime ventiquattr'ore che passiamo tutti e tre insieme e non voglio pensarci, non voglio rovinarle.
    «Tutto bene,» rispose invece, mettendo in moto. John gli accarezzò discretamente la mano e la gamba, mentre partiva, e Chas gli rivolse uno sguardo un po' meno teso.
John si accoccolò sul sedile mentre Gera e Chas chiacchieravano – sentirli discutere era l'esperienza più meravigliosamente normale che John avesse mai provato, - e senza rendersene conto restò a guardarlo, per tutto il viaggio, con un'espressione di vaga adorazione sul viso. Sapeva che Chas aveva preso le sue parti ancora una volta, sapeva che Chas lo avrebbe sempre difeso da chi parlava male di lui: e sperò di essere all'altezza di tanta fiducia. Sperava di poter ricambiare, un giorno, tutto il bene che Chas aveva fatto per lui. Ma non sapeva, davvero, se ne sarebbe stato capace. Forse era davvero una brutta persona. Forse, anche se le sue intenzioni erano buone, non poteva proprio fare a meno di fare del male alle persone che aveva intorno.
Di condannare gli innocenti.
    Astra.
Si obbligò a non pensarci, ma era difficile. A Chas non sfuggì il suo calo di umore.
    «John, resta qui. Con noi. Ora,» disse soltanto, guardandolo dritto negli occhi e restituendogli una lieve carezza lungo il braccio.
John annuì, cercando di riprendere il filo del discorso che Gera aveva cominciato – ma quanto parlava, quella bambina? - e di inserirsi nella discussione. Lei era contenta di parlare con lui: era curiosa, perché lo vedeva poco e perché lo zio John sembrava davvero diverso dalla gente normale, era una miniera di sorprese. Insistette affinché John le facesse vedere altri trucchi, e lui la assecondò. Passeggiarono a lungo, tutti e tre insieme – Gera in mezzo e loro due ai lati, tenendole una mano ciascuno; e per John era davvero strano camminare in quel modo, come se quella fosse anche la sua famiglia, come se fosse normale, come se ne facesse parte, - e con la giornata sfumarono anche le preoccupazioni. Quando fu sera, Gera era stanchissima, e Chas si offrì di portarla in braccio per l'ultimo tratto di strada che la separava da casa. John sorrise obliquo, con la sigaretta – rigorosamente spenta, perché di fumare in presenza della bambina non se ne parlava proprio, - appesa all'angolo della bocca. Chas aveva un sacco di qualità. Il suo continuo preoccuparsi per gli altri, per la loro felicità e il loro benessere, lo rendeva la persona migliore che si potesse avere accanto.
John si sentì fortunato.
    «Quando ci rivediamo?» chiese Gera, mentre il padre la posava delicatamente a terra, sul vialetto d'ingresso.
Chas sembrò preso alla sprovvista. Non sapeva mai cosa rispondere... Non con la vita che faceva. Non sapeva se la volta successiva sarebbe stato tutto così tranquillo, o se avrebbe dovuto rinunciare di nuovo a vedere Gera per qualche missione.
    «Non lo so, piccola,» rispose quindi. Non se la sentiva di mentirle. «Ma spero presto. Lo sai che ci provo sempre.»
    John si sentì in colpa. Restò in disparte, mentre i due si salutavano, pensando che, se non avesse mai coinvolto Chas in quel genere di cose, ora lui sarebbe libero di vedere la figlia quando voleva. Questo tipo di pensieri fu interrotto quasi subito, però, dalla mano di Gera che gli scuoteva un lembo dell'impermeabile.
    «Verrai anche tu?» chiese lei, la testa sollevata per guardarlo.
John si sfilò la sigaretta dalle labbra e la ripose in una tasca, prima di inginocchiarsi per poterle parlare alla sua altezza.
    «Non credo,» disse, accennando un mezzo sorriso. Si sentiva sempre troppo impacciato, quando doveva relazionarsi con i bambini. «Meglio non fare arrabbiare tua madre, love
    Ne aveva abbastanza di essere giudicato, e per giunta sempre male. Ma non poteva farci niente. Era tutta la vita che la gente non faceva che bollarlo come un soggetto dannoso per il resto della società. Era qualcosa con cui poteva convivere.
L'espressione di Geraldine si incupì leggermente.
    «Quindi non ci vediamo più?», chiese ancora.
John non sapeva cosa rispondere. Gli dispiaceva. Quei due giorni che avevano passato tutti e tre assieme erano stati i più normali e tranquilli e... Belli della sua vita. Semplici. Ma non voleva fare il terzo incomodo e infilarsi in una famiglia che non era la sua.
Evitò la domanda.
    «Vuoi ancora sapere qual era il trucco per fare quel giochino di ieri?» le chiese. Gera annuì. John le sussurrò la soluzione nell'orecchio e le fece rapidamente rivedere il tutto, e la bambina ridacchiò.
    «Lo sapevo che c'era il trucco!», disse, soddisfatta. Poi allungò le braccia e, del tutto inaspettatamente, gliele mise al collo, lo abbracciò forte e gli diede un bacio sulla guancia. John subì, del tutto inerme di fronte alla reazione della bambina.
    «Non è vero che sei cattivo, zio John,» disse lei, e le sue parole suonarono come un'assoluzione. John chiuse gli occhi, poi si fece coraggio e prudentemente ricambiò l'abbraccio.
Quanto vorrei che avessi ragione, pensò, mentre la teneva stretta.
    Chas attese che finissero di salutarsi, poi la prese per mano e la condusse alla porta. Si scambiò un'occhiata con John, una di quelle che voleva dire Torno subito, e fu di parola. Probabilmente, quella mattina si era arrabbiato così tanto che Renée non aveva voglia di riprovarci. Chas faceva davvero paura, quando perdeva la calma.
Nel taxi, rimasero in silenzio per un po'.
    «John...»
    «Mh?»
    «Stai... Bene?»
L'esorcista non rispose. Sembrava perso dietro a chissà quali pensieri. Si sfregò un paio di volte la guancia, irruvidita da un leggero velo di barba, col pollice.
    «Sei un papà fantastico,» disse infine, con un tono dolce e un sorriso mite che non erano affatto da lui. Chas lo guardò interrogativo, prima di rendersi conto che John diceva sul serio, che c'era una parte di lui che stava prendendo il sopravvento – un lato più morbido, più incline a manifestare ciò che provava; un lato a cui Chas non era abituato.
    «Dico davvero,» continuò John. «Non sei con lei tutti i giorni, è vero, ma... Quando ci sei, sei perfetto. Seriamente.» Sembrava che parlasse più a sé stesso che con lui, però. «Ci sono padri che ci sono sempre ma che sono dei veri bastardi,» aggiunse; e i riferimenti autobiografici in quella frase erano più che evidenti. «Tu invece ci sei poco... Ma sei speciale.»
Chas gli prese una mano, la strinse nella propria.
    «John, mi dici che hai?», gli domandò, col tono comprensivo e gentile di sempre.
L'altro scosse la testa, si stropicciò gli occhi con la mano libera.
    «Niente... Pensavo, così,» rispose, il tono di chi è leggermente stanco.
La mano di Chas risalì ad accarezzargli la guancia, e a quel punto John si voltò a guardarlo.     «John, tu sei parte della mia famiglia.» La voce di Chas era ferma e calma e non c'era traccia di esitazione, in quelle parole. «Tu e Geraldine siete la mia famiglia.»
Gli occhi di John sembravano ancora più scuri, ancora più caldi.
    «Lo pensi davvero?»
    «Sì.»
John deglutì.
    «Ho così tanta paura di sbagliare,» ammise. «Anche quando cerco di fare qualcosa di buono, finisco col mandare tutto a puttane. Che palle,» ringhiò. Aveva un'aria così smarrita e corrucciata che invitava ad abbracciarlo e non lasciarlo andare mai più.
    «Non succederà,» lo rassicurò Chas, passandogli delicatamente una mano tra i capelli. John inspirò profondamente, poi espirò, con lentezza.
    «Tu sei tutto quello che ho,» confessò infine, e gli sembrò già di aver sbagliato qualcosa, soltanto per averlo detto. Chas strinse di nuovo la sua mano – stava diventando un gesto frequente, segno che entrambi avevano bisogno di contatto – e lo guardò negli occhi per un tempo indefinito, per un istante lunghissimo in cui John si sentì nudo e scoperto.
    «Smettila di aver paura, John,» mormorò Chas, circondandogli le spalle con un braccio. Quando premette le labbra sulle sue, la bocca di John si schiuse docilmente, come se ne avesse abbastanza di tenere alta la guardia. Mentre lo esplorava delicatamente, Chas gli sfiorò il collo e sentì il suo battito sotto i polpastrelli. Forte, veloce. Quando ripresero il contatto visivo, si resero conto entrambi che anche un altro tipo di sentimento, ora, stava affiorando. Si chiamava attrazione, desiderio; li spingeva ad approfondire quel bacio e poi a spingersi un po' più oltre. Ma avevano deciso di procedere un passo alla volta, piano piano; così si costrinsero ad accantonarlo, almeno per il momento, anche se faceva male. John non aveva mai avuto più bisogno di qualcuno come in quel momento, e Chas non aveva mai sentito attrazione più forte di quella che stava provando allora – quando aveva sentito il battito chiaro ed emozionato di John, e lo aveva sentito vivere sotto le sue mani, aveva provato il desiderio di stargli dentro, di sentirlo vivere fino in fondo, di fondersi con lui, di diventare un tutt'uno. Si piacevano, si erano sempre piaciuti ed erano sempre stati attratti in un modo contorto l'uno dall'altro, anche se ci avevano messo una vita a capirlo.
    Il viaggio verso l'albergo fu silenzioso e teso.
Ognuno restò nel proprio letto, quella notte, ma nessuno dei due riuscì a chiudere occhio.



  
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