La
mattina dopo, John ebbe bisogno di qualche secondo per ricordarsi di
dove si trovassero e perché. Aveva trascorso il resto della notte
dormendo beato, e la sensazione di familiarità era così forte che
si svegliò convinto di essere al mulino. Ma poi aveva spostato lo
sguardo sull'orribile carta da parati del piccolo albergo e aveva
pensato che sì, Jasper avrà pure avuto tanti difetti, ma di sicuro
non avrebbe mai rivestito le pareti del mulino con quel motivo
agghiacciante. Sentì il calore e il peso del braccio di Chas attorno
alla vita, e lo sentì mugugnare qualcosa nel sonno – sembrava
proprio un orso, a volte, col suo modo di emettere versi animaleschi
e anche un po' inquietanti.
Dopo
aver fatto colazione ed essersi preparati rapidamente – nessuno dei
due menzionò l'episodio della notte appena trascorsa, - si
presentarono di nuovo davanti a casa di Geraldine, e stavolta John
vide Chas discutere con quell'arpia di Renée. Non ci voleva un genio
per capire quale fosse il motivo del litigio: lei non lo voleva lì.
Non voleva che quel delinquente farabutto rubamariti alcolizzato
pervertito - e magari anche un po' tossicomane - di John
Constantine portasse sulla cattiva strada la piccola Gera. La bambina
raggiunse l'automobile da sola, sporgendosi dal sedile posteriore per
dare un bacio sulla guancia a John. Lui la accarezzò rapidamente
sulla testa, sperando che la discussione finisse presto.
«Mamma
dice che sei una brutta persona, ma secondo me non è vero,» disse
Gera candidamente.
John
sospirò, lasciandosi andare sul sedile.
«Forse
ha ragione,» mormorò, con una leggera punta di disagio nel petto,
ripensando all'incubo della notte prima. I bambini tendevano a fare
una brutta fine, quando capitavano nel suo raggio d'azione.
Decisamente.
John
vide Chas, arrabbiato, chiudere la porta e raggiungerli con poche
falcate – uno dei vantaggi di essere alto due metri. Nel breve
tragitto dalla porta di casa alla macchina, il più grande si sforzò
di assumere un'espressione meno incazzata; ma, quando gli si sedette
accanto, John percepì chiaramente quanto fosse nervoso.
«Tutto
bene?» si azzardò a chiedere, anche se sapeva che non andava
affatto bene. Chas gli rivolse un'occhiata che diceva No, non
riesco ancora a capire come possa essere stato così stupido da aver
sposato quella stronza, una volta; ma queste sono le ultime
ventiquattr'ore che passiamo tutti e tre insieme e non voglio
pensarci, non voglio rovinarle.
«Tutto
bene,» rispose invece, mettendo in moto. John gli accarezzò
discretamente la mano e la gamba, mentre partiva, e Chas gli rivolse
uno sguardo un po' meno teso.
John
si accoccolò sul sedile mentre Gera e Chas chiacchieravano –
sentirli discutere era l'esperienza più meravigliosamente normale
che John avesse mai provato, - e senza rendersene conto restò a
guardarlo, per tutto il viaggio, con un'espressione di vaga
adorazione sul viso. Sapeva che Chas aveva preso le sue parti ancora
una volta, sapeva che Chas lo avrebbe sempre difeso da chi parlava
male di lui: e sperò di essere all'altezza di tanta fiducia. Sperava
di poter ricambiare, un giorno, tutto il bene che Chas aveva fatto
per lui. Ma non sapeva, davvero, se ne sarebbe stato capace. Forse
era davvero una brutta persona. Forse, anche se le sue intenzioni
erano buone, non poteva proprio fare a meno di fare del male alle
persone che aveva intorno.
Di
condannare gli innocenti.
Astra.
Si
obbligò a non pensarci, ma era difficile. A Chas non sfuggì il suo
calo di umore.
«John,
resta qui. Con noi. Ora,» disse soltanto, guardandolo
dritto negli occhi e restituendogli una lieve carezza lungo il
braccio.
John
annuì, cercando di riprendere il filo del discorso che Gera aveva
cominciato – ma quanto parlava, quella bambina? - e di
inserirsi nella discussione. Lei era contenta di parlare con lui: era
curiosa, perché lo vedeva poco e perché lo zio John sembrava
davvero diverso dalla gente normale, era una miniera di
sorprese. Insistette affinché John le facesse vedere altri trucchi,
e lui la assecondò. Passeggiarono a lungo, tutti e tre insieme –
Gera in mezzo e loro due ai lati, tenendole una mano ciascuno; e per
John era davvero strano camminare in quel modo, come se quella fosse
anche la sua famiglia, come se fosse normale, come se ne facesse
parte, - e con la giornata sfumarono anche le preoccupazioni. Quando
fu sera, Gera era stanchissima, e Chas si offrì di portarla in
braccio per l'ultimo tratto di strada che la separava da casa. John
sorrise obliquo, con la sigaretta – rigorosamente spenta, perché
di fumare in presenza della bambina non se ne parlava proprio, -
appesa all'angolo della bocca. Chas aveva un sacco di qualità. Il
suo continuo preoccuparsi per gli altri, per la loro felicità e il
loro benessere, lo rendeva la persona migliore che si potesse avere
accanto.
John
si sentì fortunato.
«Quando
ci rivediamo?» chiese Gera, mentre il padre la posava delicatamente
a terra, sul vialetto d'ingresso.
Chas
sembrò preso alla sprovvista. Non sapeva mai cosa rispondere... Non
con la vita che faceva. Non sapeva se la volta successiva sarebbe
stato tutto così tranquillo, o se avrebbe dovuto rinunciare di nuovo
a vedere Gera per qualche missione.
«Non
lo so, piccola,» rispose quindi. Non se la sentiva di mentirle. «Ma
spero presto. Lo sai che ci provo sempre.»
John
si sentì in colpa. Restò in disparte, mentre i due si salutavano,
pensando che, se non avesse mai coinvolto Chas in quel genere di
cose, ora lui sarebbe libero di vedere la figlia quando voleva.
Questo tipo di pensieri fu interrotto quasi subito, però, dalla mano
di Gera che gli scuoteva un lembo dell'impermeabile.
«Verrai
anche tu?» chiese lei, la testa sollevata per guardarlo.
John
si sfilò la sigaretta dalle labbra e la ripose in una tasca, prima
di inginocchiarsi per poterle parlare alla sua altezza.
«Non
credo,» disse, accennando un mezzo sorriso. Si sentiva sempre troppo
impacciato, quando doveva relazionarsi con i bambini. «Meglio non
fare arrabbiare tua madre, love.»
Ne
aveva abbastanza di essere giudicato, e per giunta sempre male. Ma
non poteva farci niente. Era tutta la vita che la gente non faceva
che bollarlo come un soggetto dannoso per il resto della società.
Era qualcosa con cui poteva convivere.
L'espressione
di Geraldine si incupì leggermente.
«Quindi
non ci vediamo più?», chiese ancora.
John
non sapeva cosa rispondere. Gli dispiaceva. Quei due giorni che
avevano passato tutti e tre assieme erano stati i più normali e
tranquilli e... Belli della sua vita. Semplici. Ma non voleva
fare il terzo incomodo e infilarsi in una famiglia che non era la
sua.
Evitò
la domanda.
«Vuoi
ancora sapere qual era il trucco per fare quel giochino di ieri?» le
chiese. Gera annuì. John le sussurrò la soluzione nell'orecchio e
le fece rapidamente rivedere il tutto, e la bambina ridacchiò.
«Lo
sapevo che c'era il trucco!», disse, soddisfatta. Poi allungò le
braccia e, del tutto inaspettatamente, gliele mise al collo, lo
abbracciò forte e gli diede un bacio sulla guancia. John subì, del
tutto inerme di fronte alla reazione della bambina.
«Non
è vero che sei cattivo, zio John,» disse lei, e le sue parole
suonarono come un'assoluzione. John chiuse gli occhi, poi si fece
coraggio e prudentemente ricambiò l'abbraccio.
Quanto
vorrei che avessi ragione, pensò, mentre la teneva stretta.
Chas
attese che finissero di salutarsi, poi la prese per mano e la
condusse alla porta. Si scambiò un'occhiata con John, una di quelle
che voleva dire Torno subito, e fu di parola. Probabilmente,
quella mattina si era arrabbiato così tanto che Renée non aveva
voglia di riprovarci. Chas faceva davvero paura, quando perdeva la
calma.
Nel
taxi, rimasero in silenzio per un po'.
«John...»
«Mh?»
«Stai...
Bene?»
L'esorcista
non rispose. Sembrava perso dietro a chissà quali pensieri. Si
sfregò un paio di volte la guancia, irruvidita da un leggero velo di
barba, col pollice.
«Sei
un papà fantastico,» disse infine, con un tono dolce e un sorriso
mite che non erano affatto da lui. Chas lo guardò interrogativo,
prima di rendersi conto che John diceva sul serio, che c'era una
parte di lui che stava prendendo il sopravvento – un lato più
morbido, più incline a manifestare ciò che provava; un lato a cui
Chas non era abituato.
«Dico
davvero,» continuò John. «Non sei con lei tutti i giorni, è vero,
ma... Quando ci sei, sei perfetto. Seriamente.» Sembrava che
parlasse più a sé stesso che con lui, però. «Ci sono padri che ci
sono sempre ma che sono dei veri bastardi,» aggiunse; e i
riferimenti autobiografici in quella frase erano più che evidenti.
«Tu invece ci sei poco... Ma sei speciale.»
Chas
gli prese una mano, la strinse nella propria.
«John,
mi dici che hai?», gli domandò, col tono comprensivo e gentile di
sempre.
L'altro
scosse la testa, si stropicciò gli occhi con la mano libera.
«Niente...
Pensavo, così,» rispose, il tono di chi è leggermente stanco.
La
mano di Chas risalì ad accarezzargli la guancia, e a quel punto John
si voltò a guardarlo. «John, tu sei parte della mia famiglia.» La
voce di Chas era ferma e calma e non c'era traccia di esitazione, in
quelle parole. «Tu e Geraldine siete la mia famiglia.»
Gli
occhi di John sembravano ancora più scuri, ancora più caldi.
«Lo
pensi davvero?»
«Sì.»
John
deglutì.
«Ho
così tanta paura di sbagliare,» ammise. «Anche quando cerco di
fare qualcosa di buono, finisco col mandare tutto a puttane. Che
palle,» ringhiò. Aveva un'aria così smarrita e corrucciata che
invitava ad abbracciarlo e non lasciarlo andare mai più.
«Non
succederà,» lo rassicurò Chas, passandogli delicatamente una mano
tra i capelli. John inspirò profondamente, poi espirò, con
lentezza.
«Tu
sei tutto quello che ho,» confessò infine, e gli sembrò già di
aver sbagliato qualcosa, soltanto per averlo detto. Chas strinse di
nuovo la sua mano – stava diventando un gesto frequente, segno che
entrambi avevano bisogno di contatto – e lo guardò negli occhi per
un tempo indefinito, per un istante lunghissimo in cui John si sentì
nudo e scoperto.
«Smettila
di aver paura, John,» mormorò Chas, circondandogli le spalle con un
braccio. Quando premette le labbra sulle sue, la bocca di John si
schiuse docilmente, come se ne avesse abbastanza di tenere alta la
guardia. Mentre lo esplorava delicatamente, Chas gli sfiorò il collo
e sentì il suo battito sotto i polpastrelli. Forte, veloce. Quando
ripresero il contatto visivo, si resero conto entrambi che anche un
altro tipo di sentimento, ora, stava affiorando. Si chiamava
attrazione, desiderio; li spingeva ad approfondire quel bacio e poi a
spingersi un po' più oltre. Ma avevano deciso di procedere un passo
alla volta, piano piano; così si costrinsero ad accantonarlo, almeno
per il momento, anche se faceva male. John non aveva mai avuto più
bisogno di qualcuno come in quel momento, e Chas non aveva mai
sentito attrazione più forte di quella che stava provando allora –
quando aveva sentito il battito chiaro ed emozionato di John, e lo
aveva sentito vivere sotto le sue mani, aveva provato il desiderio di
stargli dentro, di sentirlo vivere fino in fondo, di fondersi con
lui, di diventare un tutt'uno. Si piacevano, si erano sempre
piaciuti ed erano sempre stati attratti in un modo contorto l'uno
dall'altro, anche se ci avevano messo una vita a capirlo.
Il
viaggio verso l'albergo fu silenzioso e teso.
Ognuno
restò nel proprio letto, quella notte, ma nessuno dei due riuscì a
chiudere occhio.