Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: Ibizase80    13/08/2015    1 recensioni
Annabeth, la ragazza da cento e lode, dovrà mettere la testa in qualcosa di completamente nuovo e fuori dai suoi standard. Un collegio le apre le porte: riuscirà a varcarle, uscendo dai suoi schemi e dalle sue convinzioni più profonde? E se la musica si mettesse in mezzo?
La regina dagli occhi di diamante scenderà dal suo trono per scoprire un nuovo mondo?
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Le verdi colline e i prati fioriti scorrevano veloci fuori dal finestrino. Una leggerissima brezza entrava, facendo odorare la macchina di erba appena tagliata ed altri cento inebrianti profumi. Il signore alla guida, un uomo sulla quarantina, guardava il mondo con fare allegro e distratto, quasi ricordandosi all’ultimo di dover anche guidare; la ragazza al suo fianco, sua figlia, era tutt’altro che distratta, malgrado stesse guardando la macchia verde e fiorita che li circondava. Il vento spostava appena i suoi boccoli biondi, dandole l’aria di una regina che, a bordo di una carrozza, vedeva per la prima volta tutti i suoi possedimenti. Effettivamente era la prima volta che li vedeva, ma non voleva assolutamente possederli. Probabilmente neanche respirarli.
-Manca molto, papà? – chiese, sospirando.
-Annabeth, tesoro, non preoccuparti, dovremmo arrivare in giro di poco – disse l’autista, con sorriso ebete e tono rilassato.
La ragazza chiuse i finestrini, forse comprendendo che il prato poteva essere una droga più che letale. Alzò il sopracciglio destro, mostrando tutta la sua perplessità.
-Dovremmo? Non sai neanche dove si trova questo posto sperduto nel nulla? –
-Non essere così scettica, tesoro! Vedrai, prima o poi arriveremo. –
Lei girò di scatto la testa verso il padre, per poi alzare gli occhi al cielo e sbuffare rumorosamente, appoggiandosi sullo schienale bordò. L’uomo la guardò, ricordandosi di dover evitare di schiantarsi contro un albero per…beh, la durata del loro viaggio. Effettivamente stava durando un po’ troppo.
Annabeth lo lesse nel pensiero. Prese il cellulare, il navigatore e iniziò a pregare che la sua connessione internet prendesse; sfortunatamente, lo schermo rimaneva dello stesso colore verde del prato, indicando in maniera abbastanza cordiale quando brutale che erano dispersi nel vuoto più totale. Forse era solamente un po’ tragica, cosa scaturita dal suo stato d’animo fortemente sconvolto. La settimana prima, dopo la sua solita passeggiata di metà pomeriggio, tornata a casa il padre l’aveva accolta con un sorriso enorme, davvero inusuale. Non lo aveva mai visto così felice, e la cosa le aveva davvero illuminato la giornata..
-Tesoro, ho una splendida notizia! –
Annabeth fremeva, anche se il suo infallibile sesto senso aveva già avvertito qualcosa che le sarebbe andato contro. Rovinosamente.
-Ho trovato un lavoro. Certo, è un po’ fuorimano… ma potrò fare finalmente quello che ho sempre sognato!-
-Ma è bellissimo, papà!-
Era corsa ad abbracciarlo, malgrado il formicolio sospetto che percepiva nel lobo dell’orecchio sinistro. Brutto affare.
Si era fermata, e aveva analizzato nuovamente le parole del padre.
- Aspetta…cosa intendi per fuorimano? E’ fuori città?-
Il signor Chase l’aveva guardata con sguardo colpevole. Anzi, supplichevole.
-A dire il vero, cara Annabeth, non è proprio fuori città…-
 
E brava, a fidarsi del suo infallibile sesto senso. Si era ritrovata, una settimana dopo, in una macchina piena di libri, valigie, spade e scudi della collezione tanto amata da suo padre, scatoloni pieni di scartoffie, una dozzina di cartine mordicchiate agli angoli, e molte altre cose inutili. E lei stava tenendo sulle sue gambe da più di due ore i suoi libri e il modellino in scala del Partenone. Inutile dire che era alquanto scocciata. L’estate era ormai finita, e lei doveva tornare a scuola.
“Ho chiesto se la tua presenza poteva essere un problema in qualche modo, ma mi hanno detto che sono ben contenti di accogliere anche te. Non è fantastico, tesoro?”
Aveva intenzione di urlare “NO, NON E’ FANTASTICO, ACCIDENTI” ma l’unica cosa che era riuscita a bofonchiare era stato “Fantastico, davvero fantastico”. Niente di tutto questo era fantastico.
Non aveva particolari affetti, nella sua vecchia scuola, ma era così…vicina. Vicina al suo sogno.
Così sfumava tutto. Se avesse solo avuto intenzione di scappare, minimo ci avrebbe messo una settimana ad arrivare a casa, e non si credeva dotata di una particolare sopravvivenza. Cercava con gli occhi paesini, città, qualcosa di collegato alla sua fuga. Ma niente, erano circondati da prati, colline e un sacco di fiori. Oltre a corone multicolor, non sapeva proprio che farsene.
La settimana prima avrebbe voluto sbattere i piedi come una bambina viziata – cosa a lei parecchio distante, ma forse sarebbe servito a qualcosa. Allo stesso tempo, però, il sorriso ritrovato di suo padre e gli occhi emozionati la mantenevano coi piedi ben ancorati a terra. Non poteva fargli una cosa del genere.
E così aveva perso senza combattere. Lei non perdeva mai. Forse stava perdendo qualche colpo.
 
Finalmente le ruote della vettura incontrarono qualcosa di diverso dalla strada sterrata.
Ghiaia, sana ghiaia. Annabeth si sentì sollevata. Ma non voleva alzare gli occhi per scaramanzia; continuava a fissare lo schermo del suo cellulare, evitando di fare qualsiasi commento.
Questo finché suo padre non inchiodò di colpo. Colpì lo schienale bruscamente, cosa che la costrinse a guardare il signor Chase. In quel momento avrebbe avuto bisogno di una di quelle sue fantastiche occhiate fulminanti, quelle che zittiscono chiunque nel raggio di cinquanta metri. Ma non fece in tempo ad alzare la testa che si trovò davanti a qualcosa di…stupendo.
Si, stupendo.
Si trovavano davanti a un edificio, rettangolare, bianco e rossiccio. Due enormi colonne sembravano sostenerlo come fosse un filo di paglia. Le finestre donavano un tocco appena azzurro alla superficie splendente; distribuite simmetricamente, alcune si scontravano con il sole, accecando chiunque provasse a guardarle per più di tre secondi. Il nome della scuola, “Dyson Moore’s  School”, campeggiava sopra il portone di legno scuro. La ragazza si sentì osservata, ed incrociò lo sguardo del padre.
-Sono davvero contento ti piaccia, almeno il posto – rise soddisfatto.-
Non si era resa conto di avere la bocca spalancata.
-Si, insomma…meglio di quello che mi aspettavo. –
“Ricomponiti”, si diceva. “Non sembrare una bambina di quattro anni davanti ad un gelato. Ce la puoi fare, Annabeth Chase. ”
Scesero entrambi dalla macchina. Suo padre indicò l’entrata, e in giro di poco sparì tra il legno scuro del portone. Lei si appoggiò alla macchina, dopo aver depositato con la grazia di una vera regina il suo scatolone sul sedile. I suoi occhi grigi scrutavano ogni minimo movimento. Contò tutte le finestre che vedeva, ed erano già parecchie; non osò immaginare quante potevano essere quelle nascoste.
Diede nuovamente un’occhiata all’entrata, e al nome della scuola. Qualcosa non le tornava, ma non aveva voglia di pensare a nient’altro che alla sua incolumità. Ce l’avrebbe fatta. E forse, visto il luogo, avrebbe rimosso i suoi piani di fuga. Forse.
Il padre le aveva detto che doveva avere pazienza. Capiva l’impazienza, che era stata anche la sua diversi anni prima. Era riuscito ad entrare nel college più importante del paese, e aveva esaudito il suo più grande sogno: l’insegnamento.
Annabeth amava l’architettura. Nel vero senso della parola. E l’essersi portata con se il suo modellino preferito le faceva ricordare sempre più il suo, di sogno. Lei voleva studiare. Ma alla fine aveva lasciato correre e aveva dato ragione al padre, considerando che le mancavano ancora all’incirca due anni prima del college. Inoltre, lui le aveva promesso che l’avrebbe iscritta ad una scuola prestigiosa, anche fuori nazione. Annabeth sognava l’Europa, e magari di vedere il vero Partenone. Un altro dei suoi innumerevoli sogni.
Si distolse dai suoi pensieri solo quando vide il padre venire verso di lei, accompagnato da un’altra persona. Era una signora: sembrava avere almeno il doppio degli anni del padre, a primo impatto, ma scorgendola meglio avrà avuto circa cinquanta, sessant’anni. Indossava un completo nero, accompagnato da degli scomodi – ipotizzava Annabeth – tacchi, ovviamente in tinta. Il viso, appuntito, le dava l’idea di una zitella costretta dentro a quella scuola giusto per non farsi vedere in giro. “Che crudeltà, signorina Chase” si disse la ragazza, con finto sguardo contrito. Gli occhietti scuri, appena visibili dietro due spessi occhiali, la fissavano da lontano. Il padre, non facendo caso a tutto ciò, discuteva amabilmente con lei, e Annabeth cercava di capire il loro labiale. Ma, per qualche strana ragione, non ci riusciva.
Strinse appena l’occhio sinistro, per cercare di limitare il fastidio che il sole le dava; ma appena i due furono abbastanza vicini, aprì l’occhio soffrendo in silenzio.
-Annabeth, ti presento la signora Duff, la tua futura preside. –
Il padre sembrava più che soddisfatto della frase appena detta; Annabeth evitò di stringerle la mano.
La signora apprezzò il gesto, e le fece un cenno con il capo.
-E’ un piacere averla qui con noi, signorina Chase. –
Annabeth ricambiò. Ma evitò di aprire la bocca, non voleva farsi conoscere in giro di così poco.
La preside la squadrò per qualche secondo, per poi volgere la testa verso il padre.
-Che ragazza ubbidiente. Non sembra proprio una ragazza da collegio.-
 
Ad Annabeth cadde il mondo addosso.
Il suo sguardo omicida colse in pieno il padre. Lui non capiva, anzi, fingeva di non capire. Ne era più che convinta.
Era sempre stata la prima della classe. Vinto un’infinità di premi. Sempre attenta e mai richiamata all’ordine. Sul serio?
Lei, in un collegio. La morte sarebbe stata la via più veloce e meno dolorosa.
Il padre si avvicinò alla macchina, aprì gli sportelli e iniziò ad appoggiare a terra le loro valigie. Lei avrebbe avuto voglia di fermarlo, ma il panico ebbe la meglio.
Si ricordò di avere la preside a due metri di distanza. La guardò sorridere in maniera sinistra, e girare i tacchi come se nulla fosse successo.
-Benvenuti alla Dyson Moore’s School. –
Già non la sopportava.
Sbuffò, e prese il suo amato scatolone.
 

Angolo autrice: LA SODDISFAZIONE.
Cioè, spero davvero vi sia piaciuto questo primo capitolo. Dubito vi abbia aperto qualche spiraglio su quello che avverrà poi nella trama...cioè, me lo auguro, voglio mettervi addosso tutta la curiosità possibile!
Detto questo, spero di avere dei commenti, ma la vostra lettura sarebbe già un dono più che gradito, perciò...grazie! <3
Elisa
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: Ibizase80