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Autore: Ibizase80    16/08/2015    1 recensioni
Annabeth, la ragazza da cento e lode, dovrà mettere la testa in qualcosa di completamente nuovo e fuori dai suoi standard. Un collegio le apre le porte: riuscirà a varcarle, uscendo dai suoi schemi e dalle sue convinzioni più profonde? E se la musica si mettesse in mezzo?
La regina dagli occhi di diamante scenderà dal suo trono per scoprire un nuovo mondo?
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Annabeth raggiunse il portone ed entrò. L’interno era piuttosto semplice: attraversato da una moquette rossa, ospitava solamente tre sedie e una cabina trasparente, nella quale stava seduto dietro un tavolo un uomo minuto – un omino. Indossava degli occhiali circolari, ed era completamente pelato; la fronte rifletteva lo schermo del computer vecchio di secoli.
La ragazza si sedette in una delle sedie, che cigolò appena poggiò una mano. Incrociò le gambe, mise lo scatolone vicino alla sua valigia e rimase in silenzio. L’unico rumore udibile era la tastiera che l’omino utilizzava incessantemente. L’orologio ticchettava, ma era come se non volesse interrompere quel clima che si era creato, ed evitava di farsi sentire troppo spesso. Il cellulare era quasi scarico, ed Annabeth aveva deciso di non usarlo più, se non una volta in carica, anche se suo padre continuava a dirle che avrebbe potuto prendere qualche scossa o radiazioni.
Si ricordò quindi dell’esistenza del signor Chase; stava ancora svuotando la macchina. Allora la ragazza bussò nel vetro che aveva davanti agli occhi per attirare l’attenzione dell’instancabile lavoratore. Lui alzò gli occhi, e sollevò un piccolo scomparto plasticato, utile per avere un minimo contatto con l’esterno.
-Si? Desidera?-
-Mi scusi, è possibile lasciare qui la mia valigia?-
Lui rifletté per qualche secondo sulla risposta, per poi ritornare a fissare la ragazza.
-Sarebbe meglio di no, signorina. Il dormitorio non si trova qui, e potrebbe essere scomodo recuperare le sue cose poi.-
“Caspita, allora questo posto è grande sul serio” realizzò senza entusiasmo Annabeth. Ringraziò, e prese le sue cose. Si trascinò fuori dall’edificio, inciampando due o tre volte nella moquette scarlatta nel tentativo di trasportare nello stesso momento scatola e valigia. Sbuffò, e raggiunse il padre, momentaneamente scomparso tra i sedili della macchina.
Lei scosse la testa e alzò gli occhi al cielo.
-Potrei avere un’illuminazione su quello che staresti facendo, papà?-
-Ah, tesoro, eccoti! Vieni un attimo qui…-
La ragazza appoggiò per terra la scatola, per poi avvicinarsi. Lui indicò i tappetini scoloriti.
-Credo…credo di aver perso la mia spatha in miniatura…tu la vedi per caso, Annabeth cara?-
Si sentì rivolti su di lui degli occhi freddi come ghiaccio, sperò la figlia. Non poteva aver perso così tanto tempo per una…si, una spada in miniatura. Gemette, ma non disse nulla; aveva già dato abbastanza grattacapi al padre; non voleva essere una di quei figli assillanti, che fanno i capricci finché non ottengono quello che vogliono. Si piegò in avanti, e sollevo con cautela i tappetini. Non aveva nessunissima intenzione di ritrovarsi davanti insetti o ragni vari. Ma, dopo diversi ciuffi di polvere – “che schifo, che schifo, che schifo”, si ripeteva in continuazione – e qualche minuto riuscì finalmente a scorgere un bagliore estraneo alla sporcizia che respirava,e allungò la mano. Afferrò qualcosa di freddo, e si sentì sollevata. Era proprio la spatha di suo padre. Si rimise in piedi, e sternutì più di una volta a causa della polvere. Poi prese la sua maglia, e pulì al meglio la piccola arma. “Chissà quanto può essere bella a grandezza naturale” pensò la bionda, e ticchettò sulla spalla del padre, che nel frattempo era finalmente riuscito a svuotare la macchina.
-Grazie tesoro, ero così in pensiero! - ridacchiò il signor Chase, prendendo in mano il suo pezzo da collezione e infilandolo in tasca.
La ragazza lo guardò. Era così felice del suo nuovo lavoro. Da anni, ormai, non facevano altro che vivere di rendita, o del denaro che lui riusciva a guadagnare dalle decine di lavori differenti che faceva. Purtroppo, l’insegnamento era solamente un sogno nel cassetto; e questo non lo rendeva triste, ma Annabeth notava la scintilla assente nei suoi occhi scuri. A dire il vero, lei, quella scintilla non l’aveva mai vista…forse solo sua madre lo aveva fatto. La madre che non aveva mai conosciuto.
Ma quel giorno, tornata a casa…aveva notato qualcosa di diverso. Suo padre era felice. Veramente felice. Non come quando avevano le giornate padre-figlia a scuola, in cui non riusciva bene a definire che tipo di lavoro facesse. “Mio papà è un maestro bravissimo! ” tentava di far capire ai suoi compagni la figlia, ma lui scuoteva sempre la testa divertito, e diceva di essere un maestro un po’ pazzo, ma in senso buono. E la piccola Annabeth metteva il broncio, perché era davvero convinta che suo padre fosse l’insegnante migliore mai visto sulla faccia della Terra.
Era piena di orgoglio, ora più che mai. Avrebbe dimenticato il suo sogno, almeno per un po’. In fondo lo faceva per suo padre, non per il primo straniero incontrato per strada.
-Tesoro, mi dai una mano? Dai, tra poco forse vedrai la tua stanza!-
Quella notizia la riportò alla realtà. Annuì, ed afferrò le cartine ingiallite.
 
Nel giro di un’ora erano riusciti a trasportare tutto nella struttura principale. Pallidi e ansimanti com’erano, i due si abbracciarono, e il cuore di Annabeth si scaldò. Il signor Chase la sciolse dall’abbraccio e, con un sorriso furbo, le prese il suo modellino del Partenone.
Se lo mise sottobraccio, noncurante di tenerlo in maniera stabile, e corse fuori dal portone. La figlia, sconvolta, lo seguì, lasciando le loro cose incustodite nel corridoio principale.
Corsero per almeno cinque minuti senza sosta, fino a che Annabeth vide il padre crollare a terra, sotto un albero. Lei, agile com’era, non si era stancata particolarmente; ma il gracile professore non proveniva esattamente dalla stessa scuola, e stava boccheggiando cercando di respirare in maniera controllata e regolare. Lo raggiunse: per prima cosa, prese il suo modellino, alzandolo sopra la sua testa per controllare che non si fosse rovinato o anche solo scheggiato durante il percorso. Poi lo appoggiò sull’erba, osservando che non ci fossero formiche o qualsiasi tipo di insetto in giro – non voleva avere il suo tesoro infestato da mostriciattoli schifosi. Per terza cosa, di sedette accanto al padre, prima di scoppiare in una enorme risata. Era da diverso tempo che non si lasciava andare.
Una settimana, forse anche mesi. Il signor Chase la guardò, per poi ridere a sua volta.
Era qualcosa di cristallino, chiaro, come acqua sgorgante da una roccia, in qualche monte lontano.
La ragazza si distese completamente a terra, e guardò il sole tra le fronde dell’albero.
Era senza pensieri. In quel momento, non voleva pensare proprio a nulla; erano lì, lei e suo padre, si stavano divertendo, e lo stavano facendo sul serio. Non voleva svegliarsi da quel sogno così surreale.
 
Rimasero nella stessa posizione qualche minuto. Il signor Chase attinse a tutta la sua energia rimasta e si alzò; Annabeth lo guardava, sperando cambiasse idea e si rimettesse seduto accanto a lei.
-Credo sia ora, tesoro…-
La ragazza si stiracchiò, e lentamente piegò le gambe per tornare in piedi. Rimasero per qualche secondo in silenzio, il tempo necessario ad Annabeth per rendersi conto che il padre attendeva la sua risposta.
-Uhm, si, direi che possiamo portare…-
“Le mie cose in camera” si disse, senza però riuscire a pronunciare una singola parola.
Il signor Chase apprezzò il suo tentativo, e si incamminò di nuovo verso - lo stramaledetto - portone
di legno, lasciando prendere alla figlia il suo modellino.
Quando lei era ancora sulla ghiaia, lui le aveva già trascinato le sue valigie vicino, e portato la scatola con i suoi libri. La ragazza ripose con cura il Partenone in essa, ed afferrò in trolley. Si diressero verso un altro edificio, molto simile a quello principale, solo che giallognolo e leggermente più piccolo. Le finestre erano contorniate da una leggerissima decorazione turchese, che spiccava solamente grazie al sole.
Entrarono attraverso un portone identico al primo, solo che più chiaro e decisamente più piccolo.
“Il legno è sicuramente diverso” realizzò in molto poco Annabeth. Non erano delle realizzazioni così argute, a dire il vero, ma il concentrarsi su qualcos’altro l’avrebbe sicuramente aiutata a sentirsi meglio. Una strana sensazione le stava invadendo il petto; agitazione, ansia, paura. Non riusciva a distinguerle in paniera precisa. All’entrata c’era solamente una cabina trasparente, identica a quella dell’omino, posta alla sinistra di chiunque entrava; davanti agli occhi del signor Chase e di sua figlia, invece, prendeva posto una grande scalinata, ricoperta dalla ormai inconfondibile moquette rossa.
Annabeth rimase vicino alla scalinata, mentre il padre bussava sul vetro della cabina. Chiese due o tre cose al massimo, per poi tornare dalla figlia.
-Secondo piano, ala Ovest, stanza 62. Mettiamoci in marcia!- ululò contento il signor Chase, mentre la figlia sbuffava divertita.
 
Persero la cognizione dello spazio e del tempo, totalmente. Impiegarono un’eternità a salire tutte le scale – che erano davvero tante, anzi, troppe – , e prima di imboccare l’ala Ovest sbagliarono due volte direzione. Dal momento in cui riuscirono a leggere i numeri sulle porte delle camere, capirono di essere andati troppo avanti, e dovettero ricominciare tutto da capo. Il signor Chase imperlava di sudore, ed Annabeth era spazientita a livelli estremi. Solo quando vide il numero 50 iniziò a calmarsi. Prese le valigie, le scatole, e guardò il padre dritto negli occhi.
-Da adesso vado avanti da sola, non preoccuparti.-
Si sporse sulle punte dei piedi, e diede un bacio a suo padre. Lui la guardò riconoscente, e borbottando qualcosa di incomprensibile tornò indietro.
“Spero non si perda per strada, ora” pensò preoccupata la ragazza.
Sentì ancora quella sensazione stranissima. Ansia, mista a paura, con una leggera spruzzata di agitazione. No, niente, un’ abbondante dose di agitazione. Praticamente non si reggeva più in piedi a causa del tremore delle sue gambe.
Prima di trascinarsi dietro le valigie, andò a cercare la sua camera. Continuava a ripetere il numero 62 in maniera insistente, finchè non lo vide scritto. Sospirò, e tornò indietro. Trasportò con tutta la calma del mondo le sue cose, per ritrovarsi ancora una volta davanti alla stessa porta.
Inutile fingere, era davvero agitata. Aveva paura. Non voleva aprire quella porta.
In una percentuale molto alta, la sua compagna di stanza non era ancora arrivata. Le lezioni, da come le aveva detto sue padre, sarebbero iniziate solo una settimana dopo, all’incirca. Tranquillizzata da ciò, aprì la porta senza indugio.
La camera era davvero carina, pensò la ragazza. Vi erano due letti, uno perfettamente accanto all’altro, disposti sulla sinistra; la porta del bagno, collocata dalla stessa parte, era poco distante dal primo comodino. Una finestra si trovava perfettamente al centro; avvicinandosi, Annabeth scoprì dare sullo spiazzo principale. Un armadio, molto grande, si trovava al fianco destro della finestra. Oltre a quello, c’era una scrivania molto grande, sulla quale erano già attaccate foto varie. “Probabilmente della mia coinquilina” pensò la ragazza.
Fortunatamente, vi erano anche tre scaffali, lo spazio necessario per i suoi libri e il suo modellino adorato. Lanciò un’occhiata all’unica sedia della stanza, quando si accorse che, accatastati su di essa, vi erano un dizionario, diversi libri di testo e all’incirca sei quaderni. Annabeth si stupì parecchio; in teoria, la ragazza che abitava in quella stanza lo faceva da due anni – sempre se non aveva fatto la sua stessa fine – e trovare i libri di testo che le sarebbero dovuti servire per i compiti delle vacanze lì, con un dito di polvere, non era proprio il massimo. Non per lei.
“Iniziamo con il piede giusto” ridacchiò.
Osservò per un po’ i due letti, cercando di capire quale fosse quello della sua coinquilina. Scoprì, nella spalliera del primo, due fotografie, perciò andò sul sicuro buttandosi sul secondo.
Chiuse gli occhi, stravolta. Aveva sonno, davvero molto sonno. Diede un’ultima occhiata alle valigie, chiuse la porta della stanza e si tolse le scarpe. Troppo sonno.
 
Annabeth aprì gli occhi sobbalzando. Aveva sognato di cadere nel vuoto, e di essere arrivata in un collegio sconosciuto pieno di gente mai vista. Affacciandosi dalla finestra, capì che era un sogno molto più reale di quello che credeva. Se non per il fatto dell’essere “pieno di gente”, considerando che da quando era arrivata non aveva incrociato praticamente nessuno. Per quanto tempo aveva dormito? Chissà. Il cielo stava iniziando a scendere dal cielo, assumendo un colore rosato.
Iniziò ad avvicinarsi alle sue scatole, e le svuotò sopra il nuovo letto. Non fece in tempo a mettere in ordine alfabetico i libri, che sentì un cigolio e un tonfo improvviso.
Alzò la testa, e rimase di sasso. Davanti ai suoi occhi c’era qualcuno, qualcuno che non si aspettava minimamente.
 
Deglutì lentamente, spalancando gli occhi grigi. Davanti a lei una ragazza, accompagnata da due valigie e una borsa, la stavano fissando, probabilmente cercando qualcosa da dire in giro di poco.
 


Angolo autrice: Finalmente qualcosa di più interessante accadrà e non vedo l’ora di aggiornare, uhm-
Cioè! Spero vi sia piaciuto questo capitolo, anche se dai prossimi aggiornamenti prometto di abbandonare le descrizioni infinite per dedicarmi a qualcosa di più divertente :D
Grazie per essere arrivati fin qui, dal profondo del mio cuore! <3
Al prossimo aggiornamento!
Elisa
 
  
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