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Autore: Porsche    13/08/2015    1 recensioni
"Ok, ti dirò quello che ho capito di te dopo la discussione con tua madre. Ma se ci azzecco, allora devi essere sincera e dirmelo, d'accordo?".
Feci cenno di si con la testa, curiosa di sapere che cosa avrebbe detto riguardo la sottoscritta.
"Ho capito che sei una persona introversa, che difende il suo mondo interiore attraverso una corazza. Che preferisce restare nell'ombra, invisibile agli occhi degli altri, come se fossi soltanto anima e non corpo. Che non ha dei sogni nel cassetto per cui impiegare tutte le proprie forze, ma che si lascia trasportare dalla vita, come se non le appartenesse... E credo... di aver intravisto una ferita di molti anni fa che la corazza non è riuscita a rimarginare, ma che è ancora lì, ad attendere di essere guarita".
Non mi girai a guardarlo nemmeno una volta.
Ero stata sconfitta e ciò era umiliante.
Ma quello che volevo nascondere erano le lacrime che continuavano a scendere senza che niente e nessuno potesse fermarle.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Michael Jackson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Dietro ad un sorriso

Capitolo 5 – Lonely People

Part 2/3

 

 

 

Lo spettacolo di quell’anno prevedeva come tema principale la celebrazione dell’infanzia, in quanto età fondamentale per la crescita e lo sviluppo di qualsiasi essere umano.
Claire aveva come principio supremo nella vita e nel lavoro all’orfanotrofio, quello di rendere la permanenza e la condizione già di per sé difficile dei bambini, il quanto più possibile vicina a quella che possa considerarsi una vita normale. E per fare ciò, c’era solo una cosa che richiedeva a tutti i volontari che ogni giorno solcavano i pavimenti di quel posto: sorridere, sempre. Lasciare qualsiasi cosa ci turbasse al di fuori di quelle mura e smettere di pensare a sé stessi, per dedicarsi esclusivamente a chi, in un certo periodo della propria esistenza, era stato considerato un peso o una disgrazia o un oggetto inutile di cui disfarsi.
Per questo non si poteva considerare un “lavoro” per tutti. Qualsiasi cosa succedeva, non si poteva crollare di fronte a occhi così innocenti e così abbandonati.
La difficoltà è ai massimi livelli e le prime volte ti ritroverai in gola un groppo talmente pesante che ti farà chiedere se il pavimento sia abbastanza forte da reggere tutto quel peso o se invece finirai per sprofondare.

Davvero, è una prova dura da affrontare. Per quanto riguardava me, la seconda prova più dura che avessi mai affrontato.
E, mentre lo spettacolo iniziava, sorrisi nel pensare che anche quell’anno ce l’avevamo fatta nel far sì che nel cuore di quei bambini non ci fosse stato un giorno, un solo giorno in cui la solitudine e quel leggero senso di rifiuto, che era presente ma non ancora sviluppato, avessero superato la gioia di vivere.
Era una sensazione così forte che faccio fatica a trovare le parole esatte per descriverla, rischiando di non darle la giusta importanza.

Per la scelta della storia da raccontare durante la recita c’era stato un lungo dibattito. Volevamo qualcosa nella quale tutti i bambini potessero partecipare avendo ognuno una parte di una certa importanza e che rappresentasse in pieno lo stato di spensieratezza, innocenza e purezza che si trova solamente in una certa età della nostra vita. Alla fine, la scelta è ricaduta unanime sulla storia di Peter Pan.
A David, un bambino dal carattere vivace tanto da poter essere considerato irrequieto, ma dalle straordinarie capacità artistiche e creative, era stata affidata la parte di Peter.
Wendy sarebbe stata interpretata da Sarah, perfetta in quell’abito azzurro e le trecce more che ricadevano morbide sulle spalle, tenute legate da fiocchi di seta, anch’essi azzurri.
Per la parte di Trilli, invece, non ci furono dubbi a farci perdere tempo. Quando per la prima volta posammo le ali da fatina sulle spalle di Katy, sembrò che qualche magia fosse già avvenuta perché aveva un’espressione in viso talmente felice da creare un’aura di gioia e solarità tutto intorno alla sua figura.
In quel preciso momento, se ne stava sul palco ad agitare le braccia facendo finta di volare, la bacchetta in mano, pronta a spargere la sua polvere di fata e far volare tutti i bambini che ne venivano ricoperti. Era una magia impossibile, ovviamente, ma lei ci metteva tutta la serietà che una bambina di 4 anni poteva avere, quasi avesse fatto incantesimi da tutta la vita. Ci credeva talmente tanto in quello che faceva che riusciva a convincere anche chi la guardava.
Con la coda dell’occhio notai anche gli altri spettatori, anch’essi presi dalla rappresentazione che stava avendo luogo sul palco.
A Jackson era stato riservato il posto migliore, in prima fila al centro della scena. Dalla mia postazione non riuscivo a vedere la sua espressione ma doveva piacergli ciò che stava vedendo perché ogni tanto batteva le mani, in quello che sembrava essere l’inizio di un applauso.

Mentre osservavo quell’uomo inconsueto dai capelli ricci, lo spostamento della sedia alla mia destra catturò la mia attenzione. 
Sobbalzai, presa alla sprovvista.
Jay aveva in viso il solito sorriso beffardo, compiaciuto dai suoi stessi scherzi, quelli che lui chiamava “trovate geniali”. Gli avevo detto più volte che le sue “trovate geniali” poteva pure tenersele per sé, ma dire una cosa a quell’uomo e avere addirittura la presunzione che tale cosa arrivasse al suo cervello per essere anche solo presa in considerazione, era un fatto talmente eccezionale da poterlo catalogare come miracolo.
E non scherzavo, almeno io.
   << Che fine hai fatto? Lo spettacolo è iniziato da 10 minuti >>, dissi in tono basso, per non disturbare.
   << Scherzi? Hai visto che inferno c’è lì fuori? Se non ci fosse stata quella mandria indemoniata, sarei sì arrivato in ritardo, ma non così tanto >>, rispose, facendomi l’occhiolino.
Non avevo nemmeno più la forza di scuotere la testa, mi limitai solo a sospirare e tornare a guardare lo spettacolo.
Jay, però, non fece altrettanto. Sentivo che aveva ancora la testa girata dalla mia parte.
   
<< Che hai da guardare? >>, chiesi, interrogativa.
Sorrise e si soffermò a contemplare il vestito.
   << Mi hai dato retta >>.
Alzai le spalle, cercando di fare l’indifferente.
   << Beh, mi son detta, perché no? Era da tanto che non mettevo un vestito, questa mi sembrava l’occasione giusta >>.
Aspettai di sentire la sua risposta ma questa non arrivava. Continuò a guardarmi, il sorriso di prima adesso era appena accennato. Passarono pochi secondi riempiti da uno strano silenzio.
   << Sono contento che tu abbia preso questa decisione >>, disse, infine, e per la prima volta si girò ad osservare lo spettacolo.

Appena si concluse l'ultima scena l’applauso che riecheggiò all’interno della stanza era super meritato. Non c’era stato un solo sbaglio o una sola incertezza che avesse spezzato la magia di ciò che poco prima stava avvenendo sopra il palco. L’impegno concesso aveva dato luogo ad una rappresentazione perfetta e il risultato finale non poteva che essere magnifico. 
Jackson si alzò per primo, seguito da tutti noi presenti, per rendere onore ai piccoli attori che, a quella vista, persero tutta la loro compostezza, iniziando a saltellare e ridere eccitati.
Jay vicino a me urlava scatenato, facendomi ridere. In fondo aveva una reputazione da mantenere, visto che all’orfanotrofio era conosciuto come il buffone di turno.
Claire si precipitò sul palco, felice di tanto successo. Dopo essersi complimentata personalmente con i bambini, richiamò su di sé l’attenzione.
   << Allora che dite, vi è piaciuto lo spettacolo? >>.
Un’altra ondata di urla colpì le mura.
   << Sono davvero felice di questo e, soprattutto, che abbiate apprezzato l’impegno mostrato dai nostri ragazzi e da tutti coloro che hanno ideato e fatto sì che questo spettacolo potesse avere luogo. Sono orgogliosa di poter dire di avere tra le mie fila i volontari con il cuore e anche la pazienza più grandi che potessi trovare. Ma non voglio dilungarmi oltre, questa per tutti noi è una giornata speciale. Sono lieta di annunciare un’importante collaborazione con la Heal The World Foundation che da oggi si occuperà della manutenzione e del benessere di questa struttura. Colgo quindi l’occasione per chiamare qui sul palco il nostro ospite d’onore e ringraziarlo della sua presenza. Prego Signor Jackson >>.
Michael si alzò appena udito il suo nome, incamminandosi in direzione di Claire.
Alle sue spalle, tutti i presenti battevano le mani, eccitati quanto e forse più dei bambini.
Dapprima abbracciò Claire, sussurrandole qualcosa all’orecchio, poi si premurò di fare una carezza ai bambini rimasti sul palco dalla fine dello spettacolo. Infine, si girò a guardare noi del pubblico, prendendosi del tempo prima di iniziare il suo discorso.

A quella distanza potevo vedere tutta la sua figura ergersi al centro della scena e, mentre cercava le parole esatte da pronunciare, ne approfittai per studiarlo. Si era cambiato d’abito dal pomeriggio, ora indossava un completo nero. La giacca, di stampo militare, era aperta, lasciando intravedere al di sotto una semplice maglietta bianca. In vita, faceva sfoggio una cintura borchiata dal grande stemma color argento. Mocassini ai piedi e cappello in testa. Sembrava un soldato dall’anima rock, giunto a compiere la sua missione. Mi piaceva.

Si schiarì la voce, concentrato a guardare la platea di fronte a sé. Infine prese parola.

   << Buonasera amici, e grazie per avermi dato l’opportunità di essere qui stasera con voi ad assistere a questa meravigliosa rappresentazione. Mi congratulo con gli ideatori e i piccoli attori che hanno dato vita allo spettacolo, rendendo un degno omaggio alla magica storia di Peter Pan. Forse, non molti di voi sapranno che proprio questa storia, quella di Peter Pan, è la mia preferita. Molte volte ho chiuso gli occhi, immaginandomi di essere un ragazzino capace di volare, libero di essere sé stesso in un mondo nel quale l’unico vero potere a dettare regime fosse l’innocenza. Mio malgrado, è un mondo che scompare non appena riacquisto la vista. Ma c’è una cosa che ho imparato e in cui credo fortemente, l’isola che non c’è non è un luogo così lontano da noi, non la si trova seguendo la seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino, per quanto l’idea sia molto affascinante … >>, ridacchiò piano, divertito dal suo stesso pensiero, e tornò a parlare.

   << Credo che ognuno di noi abbia una piccola isola che non c’è dentro sé stesso, è tanto grande quanto il ricordo della nostra infanzia e della voglia di conservare quella gioia, quella purezza, quella vivacità che da piccoli sembrano le sole cose a ruotare intorno al mondo. Ebbene, il ricordo della mia infanzia non è tanto grande quanto vorrei, semplicemente perché non ne ho avuta una, ma custodisco quella leggerezza di spirito con molta gelosia e nonostante, mai come in questo periodo, il mio modo di fare è stato vittima di speculazione e false accuse, io continuo a lottare per mantenere intatto, anche da adulto, il diritto di meravigliarsi, il diritto di giocare, il diritto di sognare e di non lasciare che alcuno calpesti questi sogni >>.

Non aveva più l’aria serena di prima, c’era tensione fra i tratti scolpiti del viso e anche una certa determinazione. Si girò verso i bambini e parlò a loro.

   << Vorrei dire a voi bambini di proteggere questa vostra isola che non c’è, di farla vivere, darle nutrimento finché sarà talmente grande che non dovrete preoccuparvi di diventare adulti e dimenticarvi di chi eravate, perché avrete vissuto al meglio questo straordinario periodo della vostra vita, tanto da renderlo indelebile >>. Tornò a guardare il pubblico, serio come non lo avevo mai visto ma più rilassato. 

   << Devo dire che l’orfanotrofio nel quale stasera mi trovo fa un ottimo lavoro affinché ciò venga preservato. Ho visto con i miei occhi quanto questi bambini vengano amati ed accuditi nel migliore dei modi e di questo ringrazio tutti coloro che spendono tempo della loro vita per dedicarlo a quella di qualcun altro. Non c’è nulla di meglio che dare, cari amici. Per questo stasera, è mia intenzione fare una donazione all’orfanotrofio di Santa Barbara di centomila dollari >>.
Schiusi di poco la bocca nell’attimo esatto in cui i battiti delle mani e le urla festose dei presenti invasero le mie orecchie.

Centomila dollari?

   << Vi prego, signori, non è nulla di che. Cerco di dare a chi lo merita ciò che mi è possibile e questo luogo, protettore di sogni, lo merita più di chiunque altro. Ringrazio di nuovo la direttrice Claire per avermi ospitato e auguro a tutti voi una splendida festa di Natale. Dio vi benedica >>. Annuì, quasi volesse inchinarsi per ringraziare e scese dal piccolo palco con semplicità.

Io, invece, non ci stavo capendo nulla. Ero rimasta indietro, ai centomila dollari.
Non potevo crederci, erano tantissimi, molto più di quello che realmente ci servisse per rendere l’orfanotrofio un posto più vivibile.
Claire faceva un ottimo lavoro per non far mancare nulla ai bambini. Aveva molti amici, ricchi e benestanti, presenti anche quella sera, che l’aiutavano nei momenti di bisogno e credetemi, quando si gestisce un luogo come un orfanotrofio, i momenti di bisogno sono più assidui di quello che si pensa.
Purtroppo, proprio un anno fa, c’eravamo trovati ad affrontare la nostra difficoltà più grande, quando un uragano colpì tutta la California. Fortunatamente non rimase ferito nessuno ma i danni alla struttura furono notevoli.
In particolare la parte dell’infermeria e della sala giochi cedette e Claire si ritrovò costretta a prendere una decisione. I fondi non erano abbastanza per coprire le spese di entrambe le stanze, così scelse per grado di importanza. L’infermeria venne ricostruita da cima a fondo mentre della sala giochi non rimaneva che polvere.
Ora finalmente, con quei soldi avremmo potuto ridare ai bambini uno spazio dedicato solo a loro.

Michael scese i pochi scalini che lo dividevano dal resto dei presenti ed io lo seguii con lo sguardo, dominata da uno strano senso di meraviglia e incredulità, la bocca non ancora chiusa. Ero felice. Felice ed emozionata.
Al mio fianco Jay sorrideva eccitato.
   << Bee, non che ci siano mosche qui dentro, ma ti conviene lo stesso chiudere la bocca. È poco igienico, e poco femminile >>, disse, divertito.
   << Eh? Si, hai ragione >>, risposi, come un'automa.
Mi guardò stupito. Di solito rispondevo sempre in un modo o in un altro alle sue battute, stavolta invece avevo lasciato scorrere.
   << Sembri sorpresa >>.
   << Lo sono. Centomila dollari, Jay! Ti rendi conto? Possiamo iniziare i lavori che avevamo lasciato in sospeso e fare anche di più! E in futuro, dovesse succedere qualcosa, con quei soldi siamo largamente coperti. È magnifico >>, esclamai, realizzando finalmente quello che stava succedendo.
   << È vero, di sicuro è un uomo molto generoso >>.
   << Si, questo non posso negarlo >>, dissi, mentre entrambi lo osservavamo.

Sopraffatta dalle emozioni andai a congratularmi con i bambini. Abbracciai ognuno di loro, rendendomi conto di quanto ogni anno diventassero sempre più grandi, sempre più padroni di sé stessi, ma sempre bisognosi di ricevere una carezza.
Trovai Katy silenziosa in un angolo, intenta a giocare con le sue ali di fata. 
   << Ehi, sei stata la fatina più bella di tutto il mondo. Bravissima! >>.
Mi avvicinai e passai una mano tra quei capelli biondi.
   << Zia Isabella? >>, sussurrò, mantenendo lo sguardo in basso.
   << Che c’è Katy? Qualcosa non va? >>, chiesi, preoccupata. Non era da lei quel tono sommesso.
   << Pensi che adesso potremmo avere una stanza con tutti i giochi? Mi manca giocare insieme agli altri in un posto tutto nostro >>.
Per la prima volta si girò a guardarmi. Le brillavano gli occhi, di eccitazione e di speranza.
   << Ma certo. Con i soldi donati da Michael possiamo ricostruire la stanza e comprare tanti giochi nuovi. Promesso >>, le sorrisi, rassicurandola.
   << Voglio ringraziarlo! Però puoi dirglielo tu? Io mi vergogno >>.
   << Ma come? Dov’è finita la bambina coraggiosa che conosco? >>, chiesi sorpresa.
   << Ti prego. Ha fatto una cosa importante per noi bambini ed io non so come ringraziarlo, fallo tu al posto mio. Ti prego! >>.
Mi prese la mano, stringendola con tutte le sue forze.
Si vedeva che si trattava di una questione importante per lei, in fondo, quell’anno era stato duro per tutti i bambini. Non avere uno spazio dove sfogarsi giocando, dove sentirsi liberi di esprimere sé stessi, doveva essere stato difficile da sopportare. Nonostante l’amore che si potesse loro dare, erano anche persone individuali e con un alto grado di creatività. Trovarsi in un luogo che non garantiva spazio sufficiente per esprimere questo lato intimo non era per nulla l’ideale.
   << E va bene, lo farò io, ma tu mi accompagnerai, d’accordo? >>.
Annuì vigorosamente, lasciandomi intravedere tutta la sua gratitudine.

Mano nella mano, ci incamminammo verso il Re del Pop.
Se ne stava vicino al tavolo del buffet, probabilmente indeciso su quale pietanza buttarsi, sorvegliato dalla sua personale guardia del corpo e avvicinato da qualche amico di Claire.
A pochi passi da lui feci un sorriso di cortesia al bodyguard che non appena mi vide, prese a squadrarmi attentamente.
Ma non gli avevo già detto di non essere una serial killer?
Tossii, per attirare l’attenzione, e Michael si girò all’istante, alternando gli occhi da me a Katy, la quale si era nascosta dietro la mia gamba destra, per la prima volta timorosa di non so cosa.
   << Michael, una bambina molto timida mi ha chiesto di ringraziarti per la generosa donazione a favore dell’orfanotrofio. Ora molte cose potranno essere messe apposto. Sono sicura tu l’abbia resa la bambina più felice del mondo in questo momento >>.
Sembrò aver capito la situazione perché ci sorridemmo, complici.
   << Oh, davvero? Mi piacerebbe conoscere questa bambina, sai dove posso trovarla? >>.
Assunsi un’espressione dispiaciuta, attenendomi al gioco.
   << Come ho già detto, è molto timida, preferisce non farsi vedere. Ma ti ringrazio io da parte sua >>.
Mossi un piede, facendo finta di volermi allontanare, quando sentii una leggera forza premere sulle gambe, intimandomi di riporle attenzione. Mi abbassai trovandomi il viso arrossito e di Katy. Le sorrisi per incoraggiarla e finalmente uscì allo scoperto. Si pose davanti a Michael, inizialmente indecisa sul da farsi, poi lo abbracciò, circondandogli le gambe. 

Fu strano assistere a quella scena.
Mentre Michael si abbassava per fare una carezza sul capo di Katy e lasciarle un bacino sulla guancia, aspettavo il momento in cui avrei sentito montarmi la rabbia e il ribrezzo che avrei dovuto provare.
Quell’uomo accusato di pedofilia stava abbracciando impacciato la bambina più importante della mia vita.
E invece, mi sorpresi nel guardare quegli occhi, ogni tanto oscurati da qualche ciocca ribelle, riempirsi di uno strato sottile di lacrime non versate.
Lo guardavo meravigliata e confusa.
Ma chi era realmente?
Come riusciva a commuoversi per il semplice ringraziamento di una bambina?
E perché oltre quel guizzo di felicità sembrava nascondersi sempre una nota di tristezza?
Ad un certo punto, mi sentii costretta a distogliere lo sguardo, non riuscivo più a guardarlo, a scontrarmi con quel muro fatto di solitudine e fragilità.
Perché era quello che mi era sembrato, per un attimo, ebbi il dubbio di essermi guardata allo specchio e di aver visto riflessa la mia immagine, le mie stesse paure, il mio stesso dolore.
Il solo pensiero mi fece tremare le gambe.
Non sapevo come spiegarmelo, ma aveva ragione mia madre, quell’uomo sembrava terribilmente solo.

 

 

*Spazio autrice:

Stavolta sarò breve XD
Grazie come sempre a chi legge la mia storia e, dato che non aggiornerò prima della settimana prossima, vi auguro buon ferragosto =)
Un bacio,
Martina.

  
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