Capitolo
5 – Lonely People
Part
2/3
Lo
spettacolo di quell’anno prevedeva come tema principale la
celebrazione dell’infanzia, in quanto età
fondamentale per la crescita e lo sviluppo di qualsiasi essere umano.
Claire aveva come principio supremo nella vita e nel lavoro
all’orfanotrofio, quello di rendere la permanenza e la
condizione già di per sé difficile dei bambini,
il quanto più possibile vicina a quella che possa
considerarsi una vita normale. E per fare ciò,
c’era solo una cosa che richiedeva a tutti i volontari che
ogni giorno solcavano i pavimenti di quel posto: sorridere, sempre.
Lasciare qualsiasi cosa ci turbasse al di fuori di quelle mura e
smettere di pensare a sé stessi, per dedicarsi
esclusivamente a chi, in un certo periodo della propria esistenza, era
stato considerato un peso o una disgrazia o un oggetto inutile di cui
disfarsi.
Per questo non si poteva considerare un “lavoro”
per tutti. Qualsiasi cosa succedeva, non si poteva crollare di fronte a
occhi così innocenti e così abbandonati.
La difficoltà è ai massimi livelli e le prime
volte ti ritroverai in gola un groppo talmente pesante che ti
farà chiedere se il pavimento sia abbastanza forte da
reggere tutto quel peso o se invece finirai per sprofondare.
Davvero,
è una prova dura da affrontare. Per quanto riguardava me, la
seconda prova più dura che avessi mai affrontato.
E, mentre lo spettacolo iniziava, sorrisi nel pensare che anche
quell’anno ce l’avevamo fatta nel far sì
che nel cuore di quei bambini non ci fosse stato un giorno, un solo
giorno in cui la solitudine e quel leggero senso di rifiuto, che era
presente ma non ancora sviluppato, avessero superato la gioia di vivere.
Era una sensazione così forte che faccio fatica a trovare le
parole esatte per descriverla, rischiando di non darle la giusta
importanza.
A David, un bambino dal carattere vivace tanto da poter essere
considerato irrequieto, ma dalle straordinarie capacità
artistiche e creative, era stata affidata la parte di Peter.
Wendy sarebbe stata interpretata da Sarah, perfetta in
quell’abito azzurro e le trecce more che ricadevano morbide
sulle spalle, tenute legate da fiocchi di seta, anch’essi
azzurri.
Per la parte di Trilli, invece, non ci furono dubbi a farci perdere
tempo. Quando per la prima volta posammo le ali da fatina sulle spalle
di Katy, sembrò che qualche magia fosse già
avvenuta perché aveva un’espressione in viso
talmente felice da creare un’aura di gioia e
solarità tutto intorno alla sua figura.
In quel preciso momento, se ne stava sul palco ad agitare le braccia
facendo finta di volare, la bacchetta in mano, pronta a spargere la sua
polvere di fata e far volare tutti i bambini che ne venivano ricoperti.
Era una magia impossibile, ovviamente, ma lei ci metteva tutta la
serietà che una bambina di 4 anni poteva avere, quasi avesse
fatto incantesimi da tutta la vita. Ci credeva talmente tanto in quello
che faceva che riusciva a convincere anche chi la guardava.
Con la coda dell’occhio notai anche gli altri spettatori,
anch’essi presi dalla rappresentazione che stava avendo luogo
sul palco.
A Jackson era stato riservato il posto migliore, in prima fila al
centro della scena. Dalla mia postazione non riuscivo a vedere la sua
espressione ma doveva piacergli ciò che stava vedendo
perché ogni tanto batteva le mani, in quello che sembrava
essere l’inizio di un applauso.
Sobbalzai, presa alla sprovvista.
Jay aveva in viso il solito sorriso beffardo, compiaciuto dai suoi
stessi scherzi, quelli che lui chiamava “trovate
geniali”. Gli avevo detto più volte che le sue
“trovate geniali” poteva pure tenersele per
sé, ma dire una cosa a quell’uomo e avere
addirittura la presunzione che tale cosa arrivasse al suo cervello per
essere anche solo presa in considerazione, era un fatto talmente
eccezionale da poterlo catalogare come miracolo.
E non scherzavo, almeno io.
<<
Che fine hai fatto? Lo spettacolo è iniziato da 10 minuti
>>, dissi in tono basso, per non disturbare.
<<
Scherzi? Hai visto che inferno c’è lì
fuori? Se non ci fosse stata quella mandria indemoniata, sarei
sì arrivato in ritardo, ma non così tanto
>>, rispose, facendomi l’occhiolino.
Non avevo nemmeno più la forza di scuotere la testa, mi
limitai solo a sospirare e tornare a guardare lo spettacolo.
Jay, però, non fece altrettanto. Sentivo che aveva ancora la
testa girata dalla mia parte.
<<
Che hai da guardare? >>, chiesi, interrogativa.
Sorrise e si soffermò a contemplare il vestito.
<<
Mi hai dato retta >>.
Alzai le spalle, cercando di fare l’indifferente.
<<
Beh, mi son detta, perché no? Era da tanto che non mettevo
un vestito, questa mi sembrava l’occasione giusta
>>.
Aspettai di sentire la sua risposta ma questa non arrivava.
Continuò a guardarmi, il sorriso di prima adesso era appena
accennato. Passarono pochi secondi riempiti da uno strano silenzio.
<<
Sono contento che tu abbia preso questa decisione >>,
disse, infine, e per la prima volta si girò ad osservare lo
spettacolo.
Jackson si alzò per primo, seguito da tutti noi presenti,
per rendere onore ai piccoli attori che, a quella vista, persero tutta
la loro compostezza, iniziando a saltellare e ridere eccitati.
Jay vicino a me urlava scatenato, facendomi ridere. In fondo aveva una
reputazione da mantenere, visto che all’orfanotrofio era
conosciuto come il buffone di turno.
Claire si precipitò sul palco, felice di tanto successo.
Dopo essersi complimentata personalmente con i bambini,
richiamò su di sé l’attenzione.
<<
Allora che dite, vi è piaciuto lo spettacolo?
>>.
Un’altra ondata di urla colpì le mura.
<<
Sono davvero felice di questo e, soprattutto, che abbiate apprezzato
l’impegno mostrato dai nostri ragazzi e da tutti coloro che
hanno ideato e fatto sì che questo spettacolo potesse avere
luogo. Sono orgogliosa di poter dire di avere tra le mie fila i
volontari con il cuore e anche la pazienza più grandi che
potessi trovare. Ma non voglio dilungarmi oltre, questa per tutti noi
è una giornata speciale. Sono lieta di annunciare
un’importante collaborazione con la Heal The World Foundation
che da oggi si occuperà della manutenzione e del benessere
di questa struttura. Colgo quindi l’occasione per chiamare
qui sul palco il nostro ospite d’onore e ringraziarlo della
sua presenza. Prego Signor Jackson >>.
Michael si alzò appena udito il suo nome, incamminandosi in
direzione di Claire.
Alle sue spalle, tutti i presenti battevano le mani, eccitati quanto e
forse più dei bambini.
Dapprima abbracciò Claire, sussurrandole qualcosa
all’orecchio, poi si premurò di fare una carezza
ai bambini rimasti sul palco dalla fine dello spettacolo. Infine, si
girò a guardare noi del pubblico, prendendosi del tempo
prima di iniziare il suo discorso.
A
quella distanza potevo vedere tutta la sua figura ergersi al centro
della scena e, mentre cercava le parole esatte da pronunciare, ne
approfittai per studiarlo. Si era cambiato d’abito dal
pomeriggio, ora indossava un completo nero. La giacca, di stampo
militare, era aperta, lasciando intravedere al di sotto una semplice
maglietta bianca. In vita, faceva sfoggio una cintura borchiata dal
grande stemma color argento. Mocassini ai piedi e cappello in testa.
Sembrava un soldato dall’anima rock, giunto a compiere la sua
missione. Mi piaceva.
<< Buonasera amici, e grazie per avermi dato l’opportunità di essere qui stasera con voi ad assistere a questa meravigliosa rappresentazione. Mi congratulo con gli ideatori e i piccoli attori che hanno dato vita allo spettacolo, rendendo un degno omaggio alla magica storia di Peter Pan. Forse, non molti di voi sapranno che proprio questa storia, quella di Peter Pan, è la mia preferita. Molte volte ho chiuso gli occhi, immaginandomi di essere un ragazzino capace di volare, libero di essere sé stesso in un mondo nel quale l’unico vero potere a dettare regime fosse l’innocenza. Mio malgrado, è un mondo che scompare non appena riacquisto la vista. Ma c’è una cosa che ho imparato e in cui credo fortemente, l’isola che non c’è non è un luogo così lontano da noi, non la si trova seguendo la seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino, per quanto l’idea sia molto affascinante … >>, ridacchiò piano, divertito dal suo stesso pensiero, e tornò a parlare.
<< Credo che ognuno di noi abbia una piccola
isola che non c’è dentro sé stesso,
è tanto grande quanto il ricordo della nostra infanzia e
della voglia di conservare quella gioia, quella purezza, quella
vivacità che da piccoli sembrano le sole cose a ruotare
intorno al mondo. Ebbene, il ricordo della mia infanzia non
è tanto grande quanto vorrei, semplicemente
perché non ne ho avuta una, ma custodisco quella leggerezza
di spirito con molta gelosia e nonostante, mai come in questo periodo,
il mio modo di fare è stato vittima di speculazione e false
accuse, io continuo a lottare per mantenere intatto, anche da adulto,
il diritto di meravigliarsi, il diritto di giocare, il diritto di
sognare e di non lasciare che alcuno calpesti questi sogni
>>.
Non
aveva più l’aria serena di prima, c’era
tensione fra i tratti scolpiti del viso e anche una certa
determinazione. Si girò verso i bambini e parlò a
loro.
<< Vorrei dire a voi bambini di proteggere questa vostra isola che non c’è, di farla vivere, darle nutrimento finché sarà talmente grande che non dovrete preoccuparvi di diventare adulti e dimenticarvi di chi eravate, perché avrete vissuto al meglio questo straordinario periodo della vostra vita, tanto da renderlo indelebile >>. Tornò a guardare il pubblico, serio come non lo avevo mai visto ma più rilassato.
<< Devo dire che l’orfanotrofio nel
quale stasera mi trovo fa un ottimo lavoro affinché
ciò venga preservato. Ho visto con i miei occhi quanto
questi bambini vengano amati ed accuditi nel migliore dei modi e di
questo ringrazio tutti coloro che spendono tempo della loro vita per
dedicarlo a quella di qualcun altro. Non c’è nulla
di meglio che dare, cari amici. Per questo stasera, è mia
intenzione fare una donazione all’orfanotrofio di Santa
Barbara di centomila dollari >>.
Schiusi di poco la bocca nell’attimo esatto in cui i battiti
delle mani e le urla festose dei presenti invasero le mie orecchie.
Centomila
dollari?
<<
Vi prego, signori, non è nulla di che. Cerco di dare a chi
lo merita ciò che mi è possibile e questo luogo,
protettore di sogni, lo merita più di chiunque altro.
Ringrazio di nuovo la direttrice Claire per avermi ospitato e auguro a
tutti voi una splendida festa di Natale. Dio vi benedica
>>. Annuì, quasi volesse inchinarsi per
ringraziare e scese dal piccolo palco con semplicità.
Io,
invece, non ci stavo capendo nulla. Ero rimasta indietro, ai centomila
dollari.
Non potevo crederci, erano tantissimi, molto più di quello
che realmente ci servisse per rendere l’orfanotrofio un posto
più vivibile.
Claire faceva un ottimo lavoro per non far mancare nulla ai bambini.
Aveva molti amici, ricchi e benestanti, presenti anche quella sera, che
l’aiutavano nei momenti di bisogno e credetemi, quando si
gestisce un luogo come un orfanotrofio, i momenti di bisogno sono
più assidui di quello che si pensa.
Purtroppo, proprio un anno fa, c’eravamo trovati ad
affrontare la nostra difficoltà più grande,
quando un uragano colpì tutta la California. Fortunatamente
non rimase ferito nessuno ma i danni alla struttura furono notevoli.
In particolare la parte dell’infermeria e della sala giochi
cedette e Claire si ritrovò costretta a prendere una
decisione. I fondi non erano abbastanza per coprire le spese di
entrambe le stanze, così scelse per grado di importanza.
L’infermeria venne ricostruita da cima a fondo mentre della
sala giochi non rimaneva che polvere.
Ora finalmente, con quei soldi avremmo potuto ridare ai bambini uno
spazio dedicato solo a loro.
Al mio fianco Jay sorrideva eccitato.
<<
Bee, non che ci siano mosche qui dentro, ma ti conviene lo stesso
chiudere la bocca. È poco igienico, e poco femminile
>>, disse, divertito.
<<
Eh? Si, hai ragione >>, risposi, come un'automa.
Mi guardò stupito. Di solito rispondevo sempre in un modo o
in un altro alle sue battute, stavolta invece avevo lasciato scorrere.
<<
Sembri sorpresa >>.
<<
Lo sono. Centomila dollari, Jay! Ti rendi conto? Possiamo iniziare i
lavori che avevamo lasciato in sospeso e fare anche di più!
E in futuro, dovesse succedere qualcosa, con quei soldi siamo
largamente coperti. È magnifico >>, esclamai,
realizzando finalmente quello che stava succedendo.
<<
È vero, di sicuro è un uomo molto generoso
>>.
<<
Si, questo non posso negarlo >>, dissi, mentre entrambi
lo osservavamo.
Trovai Katy silenziosa in un angolo, intenta a giocare con le sue ali
di fata.
<<
Ehi, sei stata la fatina più bella di tutto il mondo.
Bravissima! >>.
Mi avvicinai e passai una mano tra quei capelli biondi.
<<
Zia Isabella? >>, sussurrò, mantenendo lo
sguardo in basso.
<<
Che c’è Katy? Qualcosa non va? >>,
chiesi, preoccupata. Non era da lei quel tono sommesso.
<<
Pensi che adesso potremmo avere una stanza con tutti i giochi? Mi manca
giocare insieme agli altri in un posto tutto nostro >>.
Per la prima volta si girò a guardarmi. Le brillavano gli
occhi, di eccitazione e di speranza.
<<
Ma certo. Con i soldi donati da Michael possiamo ricostruire la stanza
e comprare tanti giochi nuovi. Promesso >>, le sorrisi,
rassicurandola.
<<
Voglio ringraziarlo! Però puoi dirglielo tu? Io mi vergogno
>>.
<<
Ma come? Dov’è finita la bambina coraggiosa che
conosco? >>, chiesi sorpresa.
<<
Ti prego. Ha fatto una cosa importante per noi bambini ed io non so
come ringraziarlo, fallo tu al posto mio. Ti prego! >>.
Mi prese la mano, stringendola con tutte le sue forze.
Si vedeva che si trattava di una questione importante per lei, in
fondo, quell’anno era stato duro per tutti i bambini. Non
avere uno spazio dove sfogarsi giocando, dove sentirsi liberi di
esprimere sé stessi, doveva essere stato difficile da
sopportare. Nonostante l’amore che si potesse loro dare,
erano anche persone individuali e con un alto grado di
creatività. Trovarsi in un luogo che non garantiva spazio
sufficiente per esprimere questo lato intimo non era per nulla
l’ideale.
<<
E va bene, lo farò io, ma tu mi accompagnerai,
d’accordo? >>.
Annuì vigorosamente, lasciandomi intravedere tutta la sua
gratitudine.
Se ne stava vicino al tavolo del buffet, probabilmente indeciso su
quale pietanza buttarsi, sorvegliato dalla sua personale guardia del
corpo e avvicinato da qualche amico di Claire.
A pochi passi da lui feci un sorriso di cortesia al bodyguard che non
appena mi vide, prese a squadrarmi attentamente.
Ma non gli avevo già detto di non essere una serial killer?
Tossii, per attirare l’attenzione, e Michael si
girò all’istante, alternando gli occhi da me a
Katy, la quale si era nascosta dietro la mia gamba destra, per la prima
volta timorosa di non so cosa.
<<
Michael, una bambina molto timida mi ha chiesto di ringraziarti per la
generosa donazione a favore dell’orfanotrofio. Ora molte cose
potranno essere messe apposto. Sono sicura tu l’abbia resa la
bambina più felice del mondo in questo momento
>>.
Sembrò aver capito la situazione perché ci
sorridemmo, complici.
<<
Oh, davvero? Mi piacerebbe conoscere questa bambina, sai dove posso
trovarla? >>.
Assunsi un’espressione dispiaciuta, attenendomi al gioco.
<<
Come ho già detto, è molto timida, preferisce non
farsi vedere. Ma ti ringrazio io da parte sua >>.
Mossi un piede, facendo finta di volermi allontanare, quando sentii una
leggera forza premere sulle gambe, intimandomi di riporle attenzione.
Mi abbassai trovandomi il viso arrossito e di Katy. Le sorrisi per
incoraggiarla e finalmente uscì allo scoperto. Si pose
davanti a Michael, inizialmente indecisa sul da farsi, poi lo
abbracciò, circondandogli le gambe.
Fu
strano assistere a quella scena.
Mentre Michael si abbassava per fare una carezza sul capo di Katy e
lasciarle un bacino sulla guancia, aspettavo il momento in cui avrei
sentito montarmi la rabbia e il ribrezzo che avrei dovuto provare.
Quell’uomo accusato di pedofilia stava abbracciando
impacciato la bambina più importante della mia vita.
E invece, mi sorpresi nel guardare quegli occhi, ogni tanto oscurati da
qualche ciocca ribelle, riempirsi di uno strato sottile di lacrime non
versate.
Lo guardavo meravigliata e confusa.
Ma chi era realmente?
Come riusciva a commuoversi per il semplice ringraziamento di una
bambina?
E perché oltre quel guizzo di felicità sembrava
nascondersi sempre una nota di tristezza?
Ad un certo punto, mi sentii costretta a distogliere lo sguardo, non
riuscivo più a guardarlo, a scontrarmi con quel muro fatto
di solitudine e fragilità.
Perché era quello che mi era sembrato, per un attimo, ebbi
il dubbio di essermi guardata allo specchio e di aver visto riflessa la
mia immagine, le mie stesse paure, il mio stesso dolore.
Il solo pensiero mi fece tremare le gambe.
Non sapevo come spiegarmelo, ma aveva ragione mia madre,
quell’uomo sembrava terribilmente solo.
Grazie come sempre a chi legge la mia storia e, dato che non
aggiornerò prima della settimana prossima, vi auguro buon
ferragosto =)
Un bacio,
Martina.