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Autore: _diana87    14/08/2015    4 recensioni
Non ricorda più il panorama prima che quell’ondata di fumo nero invadesse la sua visuale.
Neanche nelle sue teorie più assurde avrebbe mai immaginato di vedere il cielo sopra New York tingersi di nero.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Quasi tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Dopo la notte insonne, passata a rimuginare sulla lettera di Kate, Castle torna al Dodicesimo, accolto da quella sensazione di pietà e mezzi sorrisi tirati, che dovrebbero fungere da conforto, ma che invece gli fanno solo rabbia.
Quanto odia la compassione delle persone in quel momento.
Non gli è d’aiuto pensare di essere il povero Richard Castle, famoso scrittore di gialli, rimasto vedovo dopo il folle gesto di sua moglie.
Si ricorda di stringere i pugni, mettere in risalto i muscoli da sotto la camicia blu scura, e digrignare i denti per impedire a se stesso di lasciarsi andare alle emozioni.
“Ehi, Castle, come va?”
Una pacca sulla spalla lo fa sussultare.
“Siamo tutti addolorati per la tua perdita. Beckett era una di noi.”
Una mano sfiora il suo braccio e si sente spaventato.
I volti degli agenti lo circondano facendosi sempre più numerosi. Deve fuggire da quel senso di soffocamento. Vede visi che conosce diventare solo figure nere e intorno a sé percepisce oppressione.
Qualcuno lo tira per il braccio e ritrova la luce. Javier Esposito e Kevin Ryan lo hanno tratto in salvo.
“Dobbiamo farti vedere una cosa.”
Rick segue le parole dell’ispanico e poco dopo i suoi due colleghi gli porgono una cartellina gialla. Dall’espressione che ha sul volto, Castle ricorda bene il contenuto di quell’oggetto di carta.
“A volte quelli dell’FBI sono un po’ tonti”, dice Ryan, facendo lo sguardo complice verso Esposito.
“Sai Castle, capita che lascino dei documenti incustoditi per qualche istante,” continua l’amico, ammiccando verso lo scrittore che aguzza lo sguardo, “senza che se ne accorgano, e questo ci consente di sfruttare quei minuti preziosi per fotocopiarli.”
“Sarebbe illegale, ma basta stare attenti”, sentenzia Ryan.
“Ah, la tecnologia!”
Lo scrittore li abbraccia, senza dir nulla. Si sorprendono entrambi, ma non più di tanto. Quando i due detective sentono le loro giacche inumidirsi, lo avvolgono, ricambiando quell’abbraccio.
“Grazie, amici”, sussurra Castle tra le lacrime di commozione.
Non c’è niente di più bello nel vedere l’unione di tre uomini adulti legati da una forte amicizia. È proprio vero che i gesti valgono più di mille parole.
Quando si ricompongono da quel momento tenero, forse troppo per loro, persone dure, Esposito e Ryan stringono le mani dello scrittore, suggellando un patto.
“Buona fortuna, Castle.”
 
Esce dal Dodicesimo e sale sul primo taxi. La destinazione è una piccola moschea sulla 97esima, come indicato sui documenti dell’FBI.
Secondo il rapporto scritto dall’agente Turk, tre mesi fa Beckett stava conducendo un’indagine su un gruppo di islamisti, sospettati di avere forti contatti con un’organizzazione terroristica. Lei stava indagando da sola perché mirava a far bella impressione proprio sull’FBI, dove sperava di far domanda nel caso l’esame da Capitano non fosse andato a buon fine. Questo spiegava il motivo del perché fosse nervosa negli ultimi periodi, proprio come Castle aveva sospettato. Kate era riuscita a contattare l’imam della moschea, tale Mohammed, per farsi dare qualche indizio sul caso.
Chiude la cartellina, indignato. Si porta il dito indice tamburellando sul mento e osserva la strada. Quante bugie avrebbe continuato a trovare negli ultimi mesi di vita di Beckett?
Qualche ora dopo è arrivato a destinazione. Paga il taxista con una banconota da 50 dollari, senza pretendere il resto, però gli chiede la cortesia di aspettarlo dopo la sua visita. La moschea che sorge vicino a Ground Zero ha creato un po’ di indignazione nei newyorkesi, i quali si sono sentiti presi in giro dopo gli attentati dell’11 settembre.
Rick lo sa bene e ricorda quei giorni successivi alla sua costruzione con grande furore. Erano momenti di fuoco per lui che muoveva i primi passi come romanziere di gialli in un periodo non del tutto favorevole agli americani. “Pessimo tempismo, Richard!” lo aveva rimproverato scherzosamente sua madre per smorzare un po’ i toni.
Abbandona il cammino dei ricordi per introdursi nella moschea. Un cartello invita i visitatori a togliersi le scarpe e rispettare il silenzio. Castle resta a piedi scalzi e si incammina per l’imponente salone decorato senza indugiare. Alza lo sguardo verso una specie di balcone – il minareto – ma cammina altrove, trovando una stanza socchiusa e una voce provenire dal suo interno.
Non ha dubbi. È l’uomo che sta cercando, e anche lui sembra riconoscerlo appena alza lo sguardo dall’enorme libro che sta leggendo. Ha barba e capelli ricci scuri e folti, e da sotto le grandi sopracciglia i suoi occhi emergono come due fari nella notte. Si alza per farlo entrare e gli indica una sedia, ma prima che Castle possa presentarsi, lui lo precede.
“Lei è il signor Castle. Ho sentito parlare del suo lavoro. Io sono l’imam Mohammed. Benvenuto nella mia moschea. Posso offrirle qualcosa?”
Il suo sorriso è rilassato, l’espressione è pacata.
Rick percepisce un senso di serenità.
“Dell’acqua, grazie. Come fa a conoscermi?”
“Sua moglie, la detective Kate Beckett, non faceva altro che parlare di lei”, spiega mentre gli versa l’acqua dentro una tazza colorata. Lo scrittore guarda fisso l’imam e fruga nella sua cartellina gialla per trovare la foto di Kate.
“Non deve aggiungere altro.”
Annuisce con la testa, afferra la tazza per bere e attende che Mohammed si sistemi sulla sedia. L’imam pensieroso incrocia le mani davanti a sé, unisce gli indici e si li porta sopra le labbra, socchiudendo gli occhi.
Castle lo studia, incuriosito.
“Mi ha raccontato del vostro problema del non riuscire ad avere figli.”
Lo scrittore sospira, consapevole che quel segreto celato è stato portato sotto i riflettori. Si porta una mano sugli occhi e lentamente la fa scivolare su tutto il volto.
Mohammed sorride a malapena. “Non se ne deve vergognare. Tutte le coppie hanno i loro problemi”, fa una pausa chiudendo il libro davanti a sé.
Quel fatto della loro vita privata, Rick non lo aveva rivelato a nessuno. Neanche a sua madre, sebbene Martha sia sempre stata una donna intelligente e perspicace, quindi qualcosa aveva già intuito di suo. Lui e Kate avevano provato di tutto pur di concepire un bambino, ma l’ultima visita ginecologica, risalente a qualche mese fa, era stata chiarificatoria: non potevano avere figli. Lei non era fertile. La detective non aveva versato una sola lacrima di fronte a quella rivelazione, chiedendo piuttosto altri chiarimenti scientifici e alternative, ma al ritorno a casa, lei Kate era scoppiata in un pianto liberatorio, stretta al suo uomo. I giorni successivi, Rick avanzò anche l’ipotesi di adozione, ma Kate si era già creata un muro invisibile attorno a sé e mancava solo quell’input che l’avrebbe fatta esplodere.
Castle poggia la tazza sul tavolo e si diverte a farla ruotare con le dita.
“So che lei e mia moglie vi siete incontrati durante un’indagine.
“Sì, e immagino che nella cartellina che tiene stretto, lei sappia di cosa si tratti. Tuttavia, signor Castle non è qui per svolgere il lavoro da detective. Lei vuole capire perché sua moglie si è fatta esplodere.”
Questo imam riesce a leggerlo nel profondo. Forse a tradire lo scrittore è il linguaggio del corpo, a partire da quello sguardo perso, gli occhi azzurri spenti, le rughe sul volto più marcate e quelli mani che si torturano tra loro senza trovare pace. Prende un gran respiro e getta la cartellina gialla sul tavolo. A che serve continuare a girarci intorno?
“Signor Mohammed, lei è l’unico che può aiutarmi.”
Quell’uomo gli sorride e lo tranquillizza.
“Venga con me. Devo mostrarle una cosa.”
 
Mohammed conduce Rick al di fuori della moschea dove poco distante c’è un piccolo campo profughi per bambini. E ce ne sono tanti che giocano allegramente, almeno in apparenza. Anche Castle è bravo a leggere le persone e ancor meglio se si tratta di bambini. Essi sono soli, senza genitori.
Giocano come se fosse l’ultima cosa che resta da fare.
Giocano perché domani potrebbero non farlo più.
L’imam si avvicina allo scrittore, rimasto ad osservare con sguardo attento ai dettagli, mentre l’animo è già irrequieto.
“Nel corso delle indagini, io e Kate siamo passati qui davanti”, inizia a spiegare Mohammed, “e lei era rimasta colpita dalle storie che gli raccontavano questi bambini che si erano avvicinati a lei con una pura genuinità. Scappati dal loro paese natale e dagli orrori della guerra che aveva strappato loro i genitori. Non hanno più una casa se non questo posto.”
Ed è allora che Castle realizza qualcosa.
Si guarda le sua mani pulite e osserva quelle sporche dei piccoli.
Macchiate di una colpa che non hanno, ma perché costretti a sporcarsi dagli eventi.
Qualcosa si muove dentro di lui e si rende conto di aver sempre vissuto su un altro pianeta.
Finora aveva avuto una benda sugli occhi che gli copriva gli orrori.



Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Penultimo capitolo di questa breve storia, in cui spero potete riuscire a trarre qualche conclusione sul perchè Kate ha fatto quel folle gesto di farsi esplodere. Visto che tutti qua su EFP la mettono sempre incinta, io ho detto GIAMMAI e quindi ho reso le cose ancora più angst u__u 
La cosa 'positiva' è che Rick ci è quasi arrivato a capire il perché Kate si è uccisa, ma manca ancora un capitolo per concludere il cerchio.
Che bel modo di arrivare a Ferragosto, vero? *-*
Grazie per essere arrivati fin qui e aver continuato a leggermi anche se ho rischiato il linciaggio più volte :p
Alla prossima e buone vacanze *-*
D.

 
   
 
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