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Autore: Isobel_Urquart    14/08/2015    0 recensioni
Esattamente un anno fa, una ragazza, scomparsa da vent'anni, ricompare nei pressi del castello di Hogwarts.
Vive la sua nuova vita tra la scuola e la famiglia ritrovata, fino a quando un nuovo vecchio arrivo fa rincominciare tutto da capo.
*
Essendo il secondo "capitolo" della storia, vi metto anche il link dove trovare la prima parte: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3064342
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Minerva McGranitt, Nuovo personaggio, Severus Piton, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4, Più contesti
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- Questa storia fa parte della serie 'Isobel Urquart, Ritorno dal Passato'
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«Salta» mi dice.

E io salto.

 

2

 

Dopo una caduta che sembra infinita, affondo in qualcosa di morbido e profumato.

Pochi istanti dopo sento atterrare accanto a me.

Cerco di togliermi dagli occhi la benda, ma è bloccata, come incollata alla mia testa. Sospiro esasperato. Dove mi sta portando? Abbiamo fatto un salto di almeno dieci metri!

L'aria è fresca e umida, un leggero sentore di muschio mi solletica il naso.

«Siamo nei sotterranei?»

«Più o meno» sento le sue labbra sulla mia guancia in un bacio leggero «Vieni, abbassa la testa».

«Isobel, dove siamo?» domando ancora.

«Ora, nella Stanza delle Chiavi».

«Chiavi?» ripeto.

«Chiavi, hai presente? Quelle cose in metallo che servono ad aprire le porte...»

La sento armeggiare, il rumore è effettivamente quello di una chiave che gira nella serratura. Passando attraverso la porta sfioro con le dita il legno rugoso.

La nuova stanza è grande, sento i passi rimbombare nell'aria. Isobel mi trascina attraverso quello che sembra un percorso piuttosto articolato, zigzagando tra gli ostacoli.

Un rumore ci giunge dalla Stanza delle Chiavi.

«Non ti muovere» mi ordina e la sento allontanarsi.

Tasto con le mani intorno a me. Ci sono delle enormi sculture in pietra fredda e liscia. Ne percorro la forma per provare a capire di cosa si tratti, ma sembrano sculture ritraenti persone o armature. Mi sposto a tentoni, andando a sbattere contro qualcosa che sporge, ritrovandomi disteso a terra, con la testa dolorante.

«Sev!» esclama Isobel, correndomi incontro «Ti avevo detto di non muoverti... Stai bene?» sento le sue dita fredde sulla mia pelle.

«Sì, non mi sono fatto troppo male, ma vorrei poter vedere dove vado» mi lamento rimettendomi in piedi. Prendo dentro nuovamente la sporgenza. Grido esasperato.

«Va bene, ti tolgo la benda» sento la punta della sua bacchetta toccarmi sulla nuca e la stoffa cadere.

Nell'aprire gli occhi, la prima cosa che noto è il pavimento bianco e nero. Con lo sguardo cerco contro cosa ho sbattuto.

É una zampa. Una zampa in marmo nero, la zampa di un cavallo rampante.

Intorno a noi due file di sculture in marmo nero.

«Isobel, come hai trovato questo posto?» domando, mentre lei mi porge la benda, completamente ghiacciata, da mettere sulla testa.

«Per caso» mormora sorridente «Non è stupendo?»

«Pensavo avessero chiuso quest'area».

«Ci ho messo due giorni a trovare un modo per aprire la porta della stanza della botola, infatti» mi spiega, alzando gli occhi al cielo.

Scoppio a ridere divertito «Be', alla fine ce l'hai fatta!»

Ci incamminiamo verso l'altro lato della sala, all'altra porta. La prendo per mano.

«Mi sono fatta aiutare da Gwedh, si è smaterializzato nella stanza e l'ha aperta dall'interno».

«Gwedh?» domando confuso.

«É uno degli elfi domestici della scuola, prepara la più buona torta che abbia mai assaggiato» dice con aria sognante.

«Non è che te ne sei innamorata, vero?» chiedo scettico.

«Ma no, Sev» ride «É un amico».

«Va bene» borbotto fingendomi sospettoso.

Entriamo nella stanza che, a suo tempo, ha ospitato un mostro alto nove metri, si sente ancora la puzza ferruginosa del sangue incrostato sulle pareti.

Percorriamo il corridoio che porta alla penultima stanza, quella dove due anni fa allestii il mio enigma di protezione alla Pietra Filosofale.

É più grande di come la ricordavo e c'è decisamente una porta in più.

«É quella da dove salta fuori?» domando indicandogliela.

«Era stata chiusa, un vero peccato visto quanto è carino quello che c'è dietro» sorride divertita.

La guardo sorpreso.

Lei mi fa cenno di andare, di entrare nella stanza.

Varcando l'ingresso rimango senza parole.

Davanti a me un'ampia corte con un corridoio aperto che segue il perimetro, il suolo ricoperto d'erba. Il soffitto è formato da un'alta cupola in acciaio e vetro che poggia sulla base quadrata. Dietro il vetro, l'acqua verde del lago lascia passare la luce calda del sole. Posso intravedere altre porte nel corridoio e sono tentato di spingermi più in là e scoprire a cosa portano, ma mi volto a vedere dove è rimasta Isobel.

Mi sorride e mi raggiunge.

«É un posto magico» mormora al mio fianco «Ho supposto varie cose su questo luogo, ma ho trovato delle cose nelle stanze interne... Devi vedere» mi spiega eccitata.

Mi prende per mano e mi trascina davanti alle porte indicandomele.

«Guarda quegli affreschi» mi indica i dipinti che ricoprono tutta la lunghezza delle pareti, rappresentanti rampicanti in alcuni punti e animaletti dall'estremo realismo nascosti nella vegetazione. Poi col dito mi mostra dei ghirigori dorati sugli stipiti delle porte. Sono scritte, sono incantesimi «Per ogni porta c'è una camera da letto. Ci sono libri, vestiti, giochi...»

Rimango a bocca aperta.

«E non è tutto» continua emozionata «C'è anche una cucina, una biblioteca, un bagno comune, un laboratorio e una specie di palestra. É come un enorme appartamento di lusso e ogni vetrata dà sul fondale del Lago Nero».

«Mi ripeti come diavolo hai trovato questo posto?»

«Ho trovato una porta chiusa ed ero curiosa di scoprire cosa ci fosse dietro».

«E quest'area? Come hai scoperto che c'era una porta?»

«Era diversa la pietra» spiega soddisfatta «É bastato dare un colpetto».

«Incredibile».

«C'è ancora una cosa» dice in un sussurro «E per questa devi chiudere gli occhi».

«Niente più benda?» domando scettico.

«No, mi fido di te, devi solo tenere gli occhi chiusi»

«Va bene, credo di potercela fare» sorrido e chiudo gli occhi.

Mi porta in una stanza, non so dove, poi ci fermiamo. L'odore è di rame e terra.

«Apri» mi sussurra a un orecchio.

La prima cosa che vedo sono io. É il mio riflesso, il mio riflesso in uno specchio.

É uno specchio meraviglioso, alto fino al soffitto, con una cornice d'oro riccamente decorata che si regge su due zampe di leone. In cima, un'iscrizione: “Erouc li amotlov li ottelfirnon”.

Mi rendo conto di che cos'è e, rapido, richiudo gli occhi, girandomi di schiena. Non voglio guardare, non voglio sapere che cosa mi manca, non voglio sapere cosa voglio, non voglio vedere come potrei vivere meglio, se tanto non posso averlo.

«Isobel, tu sai questo cos'è?»

«É uno specchio» mormora «Sev, ho fatto qualcosa di sbagliato? Non bisogna guardarlo?»

«No, tranquilla, si può guardare».

«E tu cosa stai... Facendo?» domanda confusa.

«Isobel, questo è uno specchio magico, si chiama Specchio delle Brame».

«E cosa succede se ti ci specchi dentro?»

«Ti mostra quello che brami più profondamente nel cuore».

«Davvero?» chiede stranita.

Annuisco, spostandomi da davanti al manufatto.

«E tu non vuoi vedere cosa brami più profondamente nel cuore?» dice con un sorriso, facendomi il verso.

«NO!» esclamo, allontanandomi ancora di più.

«Va bene, va bene, non sei obbligato» mormora confusa «Ma perchè?»

Scuoto la testa, sedendomi su uno dei gradini. Isobel si siede accanto a me.

«Tu cosa vedi?» le chiedo curioso.

Si alza, si mette davanti allo specchio, scrutando attentamente la superficie, sospira sconsolata chinando lo sguardo «Vedo solo me».

«Come?»

«Vedo solo me. A quanto pare non bramo nulla nel profondo del mio cuore...» alza le spalle, risedendosi sul gradino.

«Sai, si dice che solo la persona più felice della Terra riuscirebbe a usare lo Specchio delle Brame come un normale specchio, vedendoci dentro sè stesso esattamente com'è» spiego «Tu, Isobel Camille Urquart, sei la persona più felice del reame?»

«Be', credo di potermi ritenere soddisfatta della mia vita, più di quando non c'ero proprio. Diciamo che mi ritengo fortunata di essere tornata e non morta» borbotta «E poi ho te e la mamma, mi manca papà, ma sono sicura stia bene anche dove è ora».

La stringo forte.

«Torniamo di sopra?» le chiedo piano «Fuori di qua...»

«Andiamo» sorride debolmente, mettendosi in piedi.

Ripercorriamo il percorso attraverso le varie stanze a ritroso. La stanza che allestii io, quella dall'odore ferruginoso, la stanza degli Scacchi e quella delle chiavi. L'ultima, quella che era di responsabilità della professoressa Sprite, con il Tranello del Diavolo, dove abbiamo saltato, è vuota, se non per un cuscino, come quello che ho sul letto, con la differenza che è grande almeno cinquanta volte tanto.

«E questo?»

«L'ho ottenuto trasfigurando una piuma in un cuscino e utilizzando l'incantesimo Engorgio due o otto volte nel momento in cui l'ho portato qua. É molto più comodo della scaletta per scendere» alza le spalle.

«E come si torna su?»

Prende la bacchetta e la punta in alto, una scaletta in corda e legno si srotola dal buco della botola.

«Sembra una lunga salita» mormoro tra i denti, facendo il conto di quanti metri sono, da fare sulla scaletta traballante «Non c'è un altro modo per salire?»

«Al momento non ne ho trovati altri».

«Ci penserò io» dico fiducioso nella mia capacità strategica di trovare soluzioni.

«Nel frattempo ti tocca la scaletta» mi bacia sulla guancia e inizia ad arrampicarsi.

-

Isobel

 

Lo vedo tremante mentre si inespica verso la botola e, circa a metà, una mano gli scivola dalla presa, ritrovandosi a gambe all'aria, mezzo immerso nel cuscino di piume.

Scoppio a ridere, senza riuscire a trattenermi, ma ammutolendomi nell'incrociare il suo sguardo.

«Odio salire su 'sti cosi...» sibila, cercando di tirarsi in piedi, ma sprofondando nel morbido.

«Spostati, imbranato!» esclamo, preparandomi a scendere nuovamente.

Salto, librandomi nell'aria qualche istante «Ho un'idea» annuncio, atterrando accanto a lui.

«E che idea?» mi domanda, buttandosi all'indietro, cercando di mettersi seduto.

«Potremmo prendere un tappeto e sedendoci sopra, potremmo fare una cosa tipo tappeto volante» azzardo.

Mi guarda sorridente «Isy, questa è un'idea geniale, se non fosse che non ho visto tappeti nei paraggi».

«Allora potrei usare te come tappeto» propongo divertita.

Rotola verso di me, agguantandomi e tirandomi a sé.

«Che stai facendo, Sev?» ridacchio.

«Abbraccio uno scricciolo rompiscatole» mi sussurra, tenendomi stretta.

«É uno scricciolo rompiscatole che ti può tirare fuori di qui?»

«Sì, credo di sì» borbotta, facendomi rotolare «Anche se prima dobbiamo trovare un tappeto, oppure un cuscino gigante...»

-

Severus

 

«Credi di riuscire a far levitare il cuscino?» domanda con un sorriso.

«Ovvio che sì, signorina. Per chi mi ha preso, per un pivello del primo anno?»

«Perchè, non sei un pivello del primo anno con uno sviluppo precoce?» continua divertita.

«Non sono un pivello. E non ho uno sviluppo precoce. Sono un ragazzo...»

«Ragazzo, Sev?» mi riprende.

«Sono un uomo, con uno sviluppo perfettamente normale» concludo, fingendomi serio.

«Sei un ometto» mormora ridacchiando «Sei il mio ometto».

Mi sento arrossire.

«Dopo cena lo vuoi il mio regalo di compleanno?» dico, cambiando argomento.

«Un regalo?»

«In realtà sono due, con la speranza che ti piacciano» sorrido.

«A me bastava il fatto che fossi tornato in tempo» borbotta a bassa voce, arrossendo.

«Allora sarei dovuto arrivare con un fiocco in testa, avrei fatto più scena».

«Che scemo» scoppia a ridere «Però ti donerebbe molto» mormora, scompigliandomi i capelli «Un bel fiocco d'argento, metterebbe in risalto i tuoi occhi» continua.

«Ma anche no!» brontolo, mettendomi in piedi e aggrappandomi alla scaletta con una mano, mentre con l'altra prendo la bacchetta.

L'enorme cuscino dopo un leggero scossone, si alza lentamente, levitando, pressoché come un insolito ascensore, arrivando poco a poco fino al soffitto.

«Salta su».

-

Isobel

 

Siamo davanti alla porta dell'appartamento.

Io, nella mia forma adulta, in un abito elegante, come richiesto dalla mamma. Severus, in piedi accanto a me, in camicia bianca e jeans neri, i capelli pettinati e l'aria funerea.

«Che ore sono?» domando confusa.

«Sono le otto...» si guarda intorno con aria circospetta, annusando l'aria «Tua madre ha organizzato una cena coi parenti?»

«Non mi pare» mormoro «Perchè?»

«Perchè sento puzza di Alan McGranitt».

Lo guardo divertita «Ma smettila, Sev!» gli prendo il braccio «Vedrai che andrà tutto bene».

«E allora andiamo...!»


****

Nota dell'Autrice:
A venerdì prossimo con il prossimo capitolo :)

  
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