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Autore: Manto    14/08/2015    18 recensioni
Colli Albani, 754 a.C.
Nella terra che i Greci chiamavano Esperia, nel Lazio, si nascondono uno specchio d'acqua di pura bellezza e la sacra selva di Nemi dove dimora la Cacciatrice.
Qui, all'ombra delle querce, durante la festa per l'avvento della Primavera ha inizio la storia di un amore immortale e triste, di Eternità e Tempo; qui, una Dea ed un uomo decisero la Storia e la loro stessa sorte.
Canto per Egeria e per il suo re, Numa Pompilio.
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Immortali'
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L'Ombra della Luce




I - La Dea del Lago




Ricordo la prima volta che vidi il lago. Era il crepuscolo e ogni cosa riluceva degli ultimi raggi del Sole: scorsi lo scintillare delle sue acque dal fiume in cui mi stavo bagnando, e tramutandomi in acqua penetrai nella terra e lo raggiunsi.
Quando infine riemersi compresi di trovarmi nel liquido, cristallino cuore dell'area sacra alla Cacciatrice, nei pressi del sussurrante bosco di Nemi. Mentre l'astro dorato moriva lontano e la grande Luna saliva, pensai che una parte dell'immenso cielo fosse caduta e si fosse tramutata in quello splendore; quindi sentii il freddo ferro mordermi la schiena, e voltandomi incontrai gli occhi infuocati di un giovane cacciatore.
Questi mi afferrò per un braccio, mi trascinò fuori e io urlai spaventata, temendo che mi facesse del male, che mi volesse violare.
“Conducila da me, Virbio [1]. La voglio vedere”, sentii allora dire una voce, potente e come sprigionata dal suolo stesso, mentre venivo trascinata all'ombra del bosco e gli alberi si chiudevano su di me, come fossi un uccello preso al laccio.
Il giovane mi portò in una radura luminosa, e mi lasciò andare. Caddi a terra e feci per trasformarmi e fuggire, ma i fiori si strinsero intorno al mio collo, quasi mi soffocarono.
La luce sembrò aumentare, quando la Luna passò sopra di noi e comparve lei, la Regina del Bosco, che in una terra al di là del mare chiamavano Signora delle Fiere. [2] Essa mi guardò attentamente e posò una mano su di me. “Una Camena, una divinità delle fonti. Sei una Ninfa antica e potente, ma non così tanto da penetrare in questo bosco senza il mio permesso.”
Deglutii e per la prima volta nella mia vita ebbi paura, mentre la Dea corrugava la fronte e sentiva i miei pensieri. Sorrise, quando comprese il motivo che mi aveva portato a violare la sacralità di quel luogo. “Il tuo cuore è puro come l'acqua di cui sei figlia, Egeria, e per questo non ti farò del male; ma in cambio tu mi servirai.”
Fu da allora che iniziai a vivere sotto Diana, all'ombra delle profumate querce; fu grazie a lei, seguendola e servendola, che conobbi loro, quegli umani da cui ero sempre fuggita per paura e ribrezzo.

Ricordo la prima volta che vidi gli occhi di una donna.
Era prossima al parto, e bastava un solo sguardo al corpo troppo magro, agli occhi incavati e resi lucidi dalla malattia, per comprendere che non ce l'avrebbero fatta né lei, né il piccolo che portava in grembo. La vidi fermarsi nei pressi del bosco e gettarsi al suolo, implorando la protezione di Diana.
La Dea, mossa a pietà, stava per alzare la mano, ma io la precedetti. Una forza estranea a me mi spinse ad abbandonare l'ombra della Dea e ad avvicinarmi alla donna.
Mi inginocchiai davanti a lei e le presi delicatamente il viso. La fissai negli occhi, vidi in essi scorrere tutta la sua vita. Per la prima volta, seppi cosa voleva dire essere un Mortale: essere felici con pienezza, perché ogni istante per lei poteva essere l'ultimo, e quindi ringraziava quell'attimo di vita concessa con tutta sé stessa.
Fui io, e non Diana, a benedire il suo bambino; e quando lei se ne andò, guarita, la Dea venne da me, che ancora ero inginocchiata. “Ho visto nei suoi occhi”, le sussurrai, lo sguardo perso all'orizzonte, “non so quello che ho fatto. Ho solo pensato che non era giusto che morissero, lei e il bambino. E la malattia l'ha abbandonata.”
La Dea sorrise, mi accarezzò i capelli. “Imparerai ad amare gli uomini, se lo vorrai.”
Alzai lo sguardo verso la mia Signora. “Lo voglio.”
Di nuovo, lei sorrise. “Veglieremo su di loro fin dal concepimento. Sarai, come me, protettrice del parto, e grandi gioie verranno a te... ma anche sofferenze, quando la Morte vincerà, e tu non potrai niente contro le sue nere mani.
Ricordati: il dolore non risparmia nemmeno noi Immortali. E questo potrebbe ucciderti.”
Tacqui, per qualche istante. “Sono pronta a soffrire con loro. Non li abbandonerò.”

Ricordo quando tutto ebbe inizio, quando scelsi di condividere la mia vita con gli uomini.
Noi Immortali non siamo capaci di rallegrarci in certi momenti più che in altri, noi non comprendiamo la fine; eppure anche per me quel giorno fu diverso.
Come ogni anno tutta la Sabina si riunì presso il bosco; la primavera stava per schiudersi, e il popolo ci pregò a lungo di concedere i fiori e i frutti, di lasciar risvegliare la Natura.
Rimasi accoccolata tra le acque del placido lago per tutta la cerimonia, a guardarli danzare e cantare, gli Umani, a levare inni e preghiere in nostro onore; rimasi ferma, sorridente, nella mia azzurra dimora, anche se il desiderio di unirmi a loro era feroce.
Ecco che poi si avvicinarono le giovani madri e le future spose, e il loro canto riempì l'aria. Unii il battito del mio cuore al loro, come spesso faccio, perché mi piace sentire la musica che ne scaturisce, l'unione insolita ed emozionante dell'eternità e della mutevolezza; e allora, udii il suo.
Molto più forte degli altri batteva, superava anche il mio; e per questo io mi fermai, rimasi in ascolto. Quello strano cuore rallentò e una voce mi raggiunse attraverso la terra: “Egeria.”
Qualcuno mi chiamava, la sua voce era piena di tempo, di cambiamento: era umana... un Mortale mi sentiva e, lo sapevo, mi vedeva.
Emersi in superficie prendendo la forma di un'onda, gettai il mio sguardo lontano. I miei occhi incontrarono quelli di un bimbo, che con lo sguardo pieno di trepidazione fissava il lago, e me.
Percepiva la mia presenza... e nessuno lo aveva mai fatto.
Ebbi un tremito, quando vidi il bambino sfuggire all'attenzione degli adulti e dirigersi alle mie rive. Mi ritrassi, mentre lui continuava ad avanzare; poi con orrore compresi che la sua sorte sarebbe stata segnata, se avesse varcato la soglia di Nemi, violando i limiti sacri. Penetrai nel sottosuolo, e vi rimasi fino a sentire i passi del bimbo sopra di me.
Questi gridò, quando mi sollevai dalla terra in tutto il mio splendore e bloccai l'entrata del bosco; poi ci guardammo, e...
Mai il mio cuore creò una musica così intensa. Lo guardavo, e intanto gli alberi intorno si caricavano di fiori, ninfee dai mille colori scaturivano dalle acque, e gli uccelli cantavano la musica degli Dèi. La folla si fermò, sbigottita, mentre l'inverno retrocedeva e la vita si risvegliava, potente e incontenibile. Ma le loro voci stupite, allarmate e infine gioiose mi giungevano fioche; io continuavo a fissare gli occhi del piccolo.
Cercai di indietreggiare, quando lo vidi alzare una mano verso di me; ma non riuscii, e anzi mi ritrovai a terra, in ginocchio, a poca distanza dal suo volto. Non tremai mentre le sue piccola dita si stringevano intorno ai miei capelli e scendevano seguendo la curva dei riccioli.
Poi mi riscossi, balzai indietro. Il bimbo si spaventò e corse via da me, dalla propria madre; io rimasi a fissarlo per qualche istante, quindi rientrai nel lago, tremante, e da lì non mi mossi.

E ora sono qui con me stessa, e ancora non riesco a calmarmi, a togliermi il pensiero di quegli occhi infantili, innocenti, pieni di una luce che vedo solo nelle immobili stelle.
Alla Luna chiedo se quegli occhi non siano stati creati per me e fosse sempre stato nel mio Destino... innamorarmene.


*************


Chino il capo, mentre la Ninfa parla. Sono più potente, sono la Signora di Nemi, ma davanti alle sue lacrime furiose non posso che retrocedere.
Camenia osserva l'orizzonte, inquieta e tremante, e scuote il capo.
Sospiro. “Non sei l'unica a soffrire.”
La Ninfa si volta, gli occhi che luccicano per l'ira. “Il suo posto è accanto a Virbio. Non può... deve stare lontano dagli umani.”
“Lo sai che non è così. Tu hai visto.”
“Io posso sbagliare!”
L'urlo scuote il bosco e io alzo il capo e contraccambio lo sguardo infuocato. “Basta così, Camenia.”
Il mio tono duro non concede repliche; gli alberi tremano, sento le loro grida di sofferenza mentre la mia ira si sprigiona e la Ninfa china il capo, mordendosi le labbra. Getta uno sguardo al lago, chiude gli occhi. “Non voglio perderla. Non potrei sopportarlo.”
Corrugo la fronte, e il mio furore si attenua. “Le tue parole sono vane. Rassegnati: il Fato ha mosso i suoi fili, ed è giunto il momento che tua sorella diventi quello che è nata per essere.”
“Egeria è la protettrice della Fertilità. Questo è destinata ad essere, per sempre.”
Volgo lo sguardo altrove per non rispondere, e il pianto di Camenia diventa senza freni. “Ti prego... grande Dea... tutti noi soffriremo.”
Singhiozzo con lei. “Sì, soffriremo... anche se niente sarà, il nostro dolore, in confronto al suo.”
Camenia smette di piangere e digrigna i denti. “Lo vedremo, se questo accadrà.”
Mi volto di scatto. “Non osare...”
La Ninfa non c'è più.
“Mia Signora.”
Mi volto, e Virbio avanza, silenzioso e triste. Non ho il coraggio di guardarlo, di mostrargli quanto sia debole, io, la Signora della Vita. “L'avresti amata, Virbio?”
Il cacciatore annuisce, e io accenno un sorriso. “Accada quello che il Fato ha deciso e che noi non possiamo mutare... ma non lasceremo sola la nostra bambina. Vero, che non la abbandoneremo?”
Lui annuisce di nuovo. Non parla, il dolore è troppo grande.
Io mi accascio tra le sue braccia, e fiori bianchi come neve scaturiscono dalla terra nel punto in cui le mie lacrime cadono.



NOTE

[1] Virbio: Altro nome di Ippolito, datole da Diana dopo averlo riportato in vita e condotto a Nemi (significa infatti “uomo due volte”, rinato).

[2] Signora delle Fiere: in greco, Potnia Theron, epiteto omerico di Artemide.


ANGOLO DELL'AUTRICE


Salve a tutti!
Chi mi segue già da un po' sa che sono assidua frequentatrice del fandom mitologico e che sono “specializzata” nelle storie tristi, o con buona parte di tragedia.
La storia di Egeria e Numa la conobbi nel mio primo anno di liceo e in tutto questo tempo ha continuato a rimbalzarmi in giro per la mente l'idea di scriverla per farla conoscere a più persone possibili; ho deciso di personalizzarla anche un po', cambiando qualche cosa del mito, approfittando del fatto che si sa molto poco della vita di Egeria prima di conoscere il futuro Re di Roma e quindi della possibilità di avere ampi spazi di manovra... tuttavia, senza mutare la parte centrale e più importante.
Spero che vi abbia interessato... e a presto!


Manto

   
 
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