Anime & Manga > Free! - Iwatobi Swim Club
Segui la storia  |       
Autore: aturiel    16/08/2015    0 recensioni
Una storia è più semplice iniziarla dalla fine, dal punto in cui tutto si conclude. Ed è così che questa storia va avanti, o meglio indietro, come le vite di Aloïs, Rémy, Stéphane e Maurice.
Le loro vite s'intrecciano con legami diversi, si scontrano e si allontanano, e tutto per trovare la loro felicità nella grande e romantica città di Parigi.
-
Terza classificata al contest "Lunghe, anzi... lunghissime!" indetto da Ili91 sul forum di EFP.
Sesta classificata al contest "I only write free!" indetto da MissChiara sul forum di EFP.
Partecipa al contest "Uno sguardo vale più di mille parole" indetto da Himeko Kuroba sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Haruka Nanase, Makoto Tachibana, Rin Matsuoka, Sosuke Yamazaki
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Mille anni, poi altri cento'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Giorno -98, Parigi
Se gli avessero chiesto quanto denaro avrebbe scommesso sulla fine della loro relazione, probabilmente li avrebbe mandati al diavolo. Quello era uno di quei momenti in cui sentiva che quella testa calda mai l'avrebbe mollato, fosse per desiderio o per amore vero era indifferente per lui, ma sapeva che non avrebbe mai avuto abbastanza fegato. Insomma, chi mai avrebbe avuto il coraggio di andarsene dopo aver fatto tre volte sesso con la stessa persona, e per lo più nella stessa giornata? Non lui, no di certo.
Rémy aveva qualcosa dentro di sé con la capacità di fargli perdere totalmente il controllo delle proprie azioni; smetteva di ostentare quella falsa aria da bel tenebroso o quell'orgoglio assopito, troppo pigro per uscire fuori in ogni occasione, e prendeva possesso di quel ragazzo in ogni modo possibile, senza dargli il tempo nemmeno di fiatare. Era così fra loro: un incontro di genitali, qualche gemito, un paio di baci – sulle labbra o altrove – molti strattoni, molti morsi e due sigarette a testa, una per riprendere il contegno e l'altra per assaporare il gusto del fumo.
Poi, ovviamente, qualcosa cambiava sempre di volta in volta, altrimenti la noia sarebbe stata davvero troppa. E né Stéphane né Rémy sopportavano la noia; chissà, forse era proprio per quello che si erano trovati.
Comunque, tornando al discorso di prima, Stéphane non avrebbe scommesso un mezzo tappo di sughero che quella sua creatura dalla zazzera rossa l'avrebbe lasciato a breve... ed era questo il problema. Il sottile pensiero di poterlo abbandonare per sempre si era insinuato nella testa di Stéphane e, nemmeno mentre era aggrovigliato fra le lenzuola che odoravano di sesso – del loro sesso –, questa infida idea si placava. Avrebbe potuto alzarsi, vestirsi e far finta di nulla, uscire dalla stanza, dall'appartamento, dalla città e poi sparire, così, come se nulla fosse successo. Non ci sarebbe voluto tanto e Rémy non avrebbe potuto mettere becco in alcun modo nella faccenda: se c'era una cosa che apprezzava di lui era che non aveva mai pensato che una relazione più o meno ufficiale gli permettesse di avere una qualche voce in capitolo nella sua vita; loro si desideravano e, sì, probabilmente si amavano anche, ma questo non aveva nulla a che fare con tutto il resto. Era un “a prescindere” a cui Stéphane non avrebbe mai rinunciato.
Se la ricordava ancora la prima volta che si erano incontrati in quell'officina dove lavorava, la Moteurs de nuit, quella che faceva angolo con rue Saint-Sulpice e che aveva chiuso dopo che uno dei dipendenti si era scordato la fiamma ossidrica accesa; l'odore dell'olio per macchine che opprimeva l'aria si mischiava a quello della vernice e del sudore e gli odori, a loro volta, diventavano tutt'uno con una voce. Era strana, quella voce, era acuta per un uomo, ma roca, forte e intensa; a volte diventava quasi stridula, altre pareva fin troppo profonda, ma in entrambi i casi sovrastava il rombo dei motori. Il perché? Era convinto che qualcuno avesse infilato le mani nella tasca del sedile posteriore e gli avesse sottratto – o, come lui si ostinava a dire, fottuto – il portafoglio. Stéphane si ricordava anche che avrebbe voluto dirgli che era proprio un couillon, un coglione, se lasciava i suoi soldi nella tasca del sedile posteriore dell'auto che aveva portato a riparare, ma non l'aveva fatto, un po' perché non era mai stato quel tipo di persona che si impicciava nelle questioni altrui, un po' perché i suoi muscoli tesi dalla rabbia, il leggero velo di sudore sulla fronte, i capelli scarmigliati e il rossore sulle gote fornivano uno spettacolo piuttosto gradito.
Alla fine, però, si era stancato di vedere la povera Elise scuotere la testa imbarazzata e cercare con lo sguardo l'aiuto di qualcuno, quindi era uscito da sotto il ventre della Mercedes su cui stava lavorando e si era diretto al bancone, con la sua solita aria da spaccone; poi aveva detto, con il suo miglior tono da “dimmi una parola sbagliata e scoprirai l'effetto che fa una chiave inglese lanciata sulla tua testa di cazzo”: «Ci sono problemi?»
E il bello era che quella zazzera di capelli rosso fuoco non era rimasta nemmeno un po' impressionata dalla sua comparsa, neanche quando aveva notato i cinque centimetri in più di altezza del suo avversario e i tre in più di circonferenza del bicipite. Anzi, si era voltato, ancora più teso di prima, e gli aveva urlato contro tutti gli insulti possibili, immaginabili e pronunciabili, per poi uscirsene con una minaccia di denuncia per furto.
«Voglio sapere almeno chi è che ha messo le mani sulla mia auto. Sicuramente è lui che si è fottuto il mio portafoglio» aveva gridato, poi, contro la povera Elise. Quindi Stéphane aveva alzato il mento con fare di sfida e aveva risposto, sempre osteggiando un'aria tranquilla e, proprio per questo, ancora più minacciosa: «Penso sia stato il fratello del proprietario, Moïse. Comunque le consiglierei, prima di andare a piantar grane dalla polizia, di guardare che non sia caduto da qualche parte».
Rémy aveva fatto quindi una buffa smorfia e si era diretto a grandi falcate verso la sua auto. Si era guardato tutt'intorno, sbuffando, ma poi, quando aveva infilato una delle mani sotto il sedile, era improvvisamente diventato silenzioso. Stéphane si era avvicinato e, vedendo che l'altro aveva fra le dita proprio il portafoglio che aveva ritenuto rubato, gli aveva sussurrato: «La prossima volta controlli, prima di accusare qualcuno di furto» e poi, godendosi un poco l'espressione di profondo imbarazzo dell'altro, lo aveva guardato con aria di rimprovero.
La cosa più divertente era che ora sapeva che quell'espressione fra l'adirato e l'imbarazzato, le gote rosse e i muscoli tesi era molto simile a quella che mostrava ogni volta che facevano sesso. Era stata una scoperta davvero interessante e forse era per quello che si impegnava ogni volta per provocargli quelle emozioni contrastanti, anche fuori dal letto.
Infine, dopo aver chiarito, Rémy aveva offerto un caffè a lui e a Elise.
«Oh, lei è molto gentile, ma non posso lasciare le mie mansioni» aveva detto la ragazza, defilandosi, probabilmente ancora impaurita dalle minacce del ragazzo. Invece Stéphane aveva accettato di buon grado e l'aveva seguito nel bar di fronte.
Avevano parlato del più e del meno, poi Rémy aveva posto la domanda sbagliata alla persona giusta e tutto era cominciato: «Ma tu ed Elise state insieme?»
Stéphane era certo di aver riso di gusto e il suo divertimento si era prolungato vedendo l'espressione stranita del suo interlocutore. Quindi aveva risposto con un malizioso: «No, certo che no. Io ho altri gusti». Chiunque avrebbe capito subito l'allusione, ma non lui. C'erano voluti alcuni secondi perché realizzasse ciò che gli stava venendo detto e, quando lo comprese, il suo viso si era completamente trasformato; Stéphane aveva pensato che sarebbe diventato rosso come i suoi capelli, o che avrebbe distolto lo sguardo, e invece aveva fissato quegli occhi scuri nei suoi e l'aveva guardato intensamente. Infine – cielo, gli scendeva ancora il sangue al bassoventre a ripensarci! - aveva spostato la sua attenzione altrove, ma, con un gesto allusivo, si era sfiorato le labbra.
A quel punto Stéphane non aveva resistito e, con voce roca, gli aveva detto: «Mh, senti... e se ce ne andassimo da questo posto?» e l'altro, come previsto, aveva acconsentito.
Molti gli chiedevano come facesse a capire con chi provarci e con chi no, anche perché, per quanto Parigi avesse la fama di città libertina, anche tra quelle strade c'era della feccia omofoba e, nonostante sapesse bene come difendersi, avrebbe comunque preferito non avere nulla a che fare con qualcuno di quella stregua. Lui solitamente, come risposta, si limitava a una risata misteriosa, o al massimo con una “non so” vago, ma la verità era che lo capiva dall'odore. Poteva sembrare strano, ma quelli con cui ci provava avevano un forte odore di maschio, di homme, addosso. E, fra tutti quelli con cui aveva cercato di andare a letto, quel Rémy era quello in cui questa caratteristica si sentiva di più.
Stéphane si rigirò nelle coperte, approfittandone per accarezzare con una sorta di venerazione la linea affusolata del fianco del suo amante; era così bello in quella posizione, elegante eppure mascolino. C'era qualcosa di particolare nella curva che formava il suo corpo quando si accoccolava tutto da una parte e gli mostrava le spalle, quasi come se si stesse proteggendo da lui.
Anche allora, appena avevano finito di fare sesso, lui si era girato dall'altra parte e si era addormentato quasi subito, come un gatto.
La cosa lo irritava, quasi: gli dava tutto durante l'atto, perdeva ogni contegno, eppure, appena concluso, si staccava da lui e non lo guardava mai negli occhi finché non veniva il momento di salutarlo. Una volta aveva provato a girarlo di forza, ma la sua espressione era stata così spaventata e adirata che non ci aveva più provato: era un vero peccato.
Chissà perché, poi, quel ragazzo sembrava temerlo tanto in quel momento: che pensasse che avrebbe potuto fargli del male? Eppure ogni volta che si scontravano in qualche modo, che litigavano o si sfidavano mai l'aveva visto retrocedere, nemmeno di un centimetro; non era mai rimasto impressionato dai suoi modi fin troppo burberi e non aveva fatto scenate da ragazzina se, qualche volta, superava un po' il confine tra dolore e piacere mentre facevano l'amore. Era tutto d'un pezzo, Rémy, eppure dopo aveva paura di lui. Scosse la testa, sconsolato: probabilmente non avrebbe mai capito appieno cosa passasse per quella testa rossa.
Finito di pensare a ciò che era e sarebbe stato di loro, si alzò, come sempre, dal letto e accese una delle sue adorate Marlboro rosse. L'odore si diffuse, pungente, in tutta la stanza, tanto che anche Rémy si svegliò. Senza dire una parola, afferrò il pacchetto quasi pieno abbandonato fra le lenzuola sfatte e prese anch'egli una sigaretta portandosela alle labbra. Stéphane, senza guardare, aprì la fiamma dell'accendino e ne bruciò la punta. Ora le sigarette accese erano due e durarono esattamente lo stesso tempo. Era un rito, per loro, quello del tabacco e della nicotina, del fuoco che bruciava la punta della carta e del fumo che sporcava le prime falangi delle loro dita e non vi avrebbero mai rinunciato, anche se Rémy continuava a dire che aveva intenzione di smettere. Appena conclusa la prima, Stéphane ne accese subito dopo una seconda e porse l'accendino al suo amante, ma l'altro, per la prima volta in due anni, lo rifiutò.
Il ragazzo dagli occhi verdi lo guardò, stupito, cercando risposta nell'espressione dell'altro, tuttavia l'unica cosa che vi trovò era tristezza, un'immensa tristezza. Aveva fumato la prima sigaretta, quella per ritrovare il contegno, ma non la seconda, quella per assaporarne il gusto: qualcosa stava cambiando, se non era già cambiato e a Stéphane non piaceva per nulla.

 
****

Maurice si svegliò di buon'ora quel sabato, tanto presto che nemmeno Aloïs aveva ancora aperto gli occhi, e lui era una persona decisamente mattiniera. Si alzò dal letto che condivideva con il suo amato pètit ami e si diresse in cucina, con la volontà precisa di fare qualcosa di gradito per il suo compagno. Si mise a cucinare, il più silenziosamente possibile, dei piccoli muffin semplici, di quelli che, senza niente sopra, non sanno quasi di nulla. Aloïs stava vivendo uno di quei periodi che, nella vita adolescenziale di una ragazzina, probabilmente sarebbe corrisposto alla fine di una relazione con un ragazzo piuttosto importante: ogni volta che passavano per caso in rue Bonaparte, si fermava a fissare la vetrina della pasticceria Pierre Hermé e lasciava che Maurice procedesse, senza preoccuparsi di fermarlo. Quello che ne aveva dunque dedotto era che, sì, Aloïs aveva voglia di dolci.
Sfornò i piccoli muffin, cercando di non bruciarsi, quindi prese il tubetto di panna spray che conservava nel frigo e ne spruzzò una grande quantità su ognuno decorandoli infine con dei frutti di bosco che aveva comprato al mercato proprio il giorno prima. Soddisfatto del risultato, entrò in camera, aprì le tende per farvi entrare qualche raggio di quel caldo sole che stava illuminando le vie parigine e svegliò, quindi, il suo ragazzo. Si godette i suoi occhi che si aprivano lentamente, il riflesso della luce nelle sue iridi chiare, l'espressione un po' scocciata che deformò le sue labbra sottili e i capelli scompigliati. Era bellissimo, anche appena sveglio.
Maurice, dopo aver aspettato il tempo necessario per cui l'altro si abituasse al cambiamento improvviso di luminosità, disse: «Buongiorno, Aru».
Le tre lettere rotolarono dolcemente sulla sua lingua e gli portarono alla memoria – come tutte le volte che pronunciava quel soprannome – il loro breve soggiorno in Giappone. Quando erano ancora semplici amici – quindi circa due anni prima – avevano deciso di partire da Parigi e trascorrere una settimana in quel luogo che, per loro, era così esotico. Avevano preso due biglietti per il volo delle cinque, quello meno caro, e, circa diciassette ore dopo, avevano messo piede sulla terra del Sol Levante. Il primo giorno se l'erano cavata con il loro inglese stentato, il secondo avevano fatto amicizia con un certo Rei, un ragazzo tutto impettito che però conosceva alla perfezione il francese, che aveva fatto loro da guida turistica per il resto della permanenza. La cosa divertente era che, nonostante il giapponese avesse davvero un'ottima conoscenza della loro lingua, non riusciva a pronunciare il nome di Aloïs che, nelle sue labbra, si trasformava ogni volta in qualcosa come “Aruis”, con una “r”, tra l'altro, che di francese non aveva proprio nulla.
Alla sera del secondo giorno, i tre si erano messi d'accordo che, esattamente alle otto e un quarto di mattina, Rei si sarebbe fatto trovare sotto il loro albergo e, insieme, sarebbero andati a visitare il Santuario Meiji. Il problema era stato che, proprio quella sera, Maurice aveva preso tutto il suo coraggio a due mani e aveva chiesto ad Aloïs di farlo entrare per qualche minuto nella sua stanza per potergli parlare prima che andasse a dormire. Era stato un discorso lungo, che era partito dalla loro infanzia insieme, che poi era arrivato a parlare della frequentazione della stessa scuola media e superiore, della breve – e dolorosa – separazione di circa un anno che avevano dovuto subire quando la carriera agonistica di Aloïs aveva avuto un'impennata improvvisa e, infine, del loro nuovo incontro a Parigi. Aveva ricordato mille e un momento felice, alcune litigate, gli scherzi e la loro complicità, e poi aveva detto la fantomatica frase: «Dal momento in cui ti ho rivisto tornare a casa, Aloïs, ho capito che ciò che provo per te non è mai stato solo affetto, che ho sempre desiderato di più da te, da noi... io ti amo, ti ho sempre amato» ed era rimasto, a occhi bassi e con le guance leggermente colorate di rosso, in attesa di una risposta. Il bello era che l'altro, senza dire mezza parola, come al suo solito l'aveva stupito: aveva preso il suo viso squadrato e imbarazzato e aveva costretto le sue labbra a baciarlo. Dopo il primo momento di indecisione, l'altro aveva approfondito il bacio e il resto... era venuto da sé.
La mattina seguente, però, alle otto e un quarto erano ancora nel letto, completamente nudi e con i corpi intrecciati, ed era stato davvero scioccante per loro sentire, alle otto e diciassette, la voce di Rei urlare dalla strada: «Aruuuuu, Mauriiiice, voulez-vous descendre, idiots? (1)». Da quel momento Aloïs era diventato “Aru” per Maurice, anche se sapeva perfettamente che lo infastidiva moltissimo sentire il suo nome storpiato. Ma a lui non interessava: gli portava alla memoria tutti quei bei ricordi e nemmeno l'espressione di disappunto di Aloïs avrebbe potuto impedirgli di chiamarlo in quel modo.
Anche quella mattina Aloïs storse leggermente il naso a sentire quel soprannome, ma, come sempre, non disse nulla. Maurice si chinò quindi su di lui e gli rubò un bacio a stampo che, però, l'altro non ricambiò.
Deve essere ancora un po' nel mondo dei sogni, pensò Maurice alla reazione fredda di lui, perciò non si preoccupò e, anzi, si distese di nuovo nel letto vicino a lui. Ma, quando l'altro cercò di non farsi toccare, non riuscì a fare a meno di chiedergli preoccupato: «Che hai, Aru?»
«Stavo facendo un sogno».
«Un incubo?»
«No, un bel sogno» gli rispose e lo sguardo si andò a posare fuori dalla finestra, lontano come non mai. Maurice non capiva: perché sembrava così triste se il suo era stato un bel sogno?
«Senti, Aru, ti ho preparato la colazione» sviò quindi, con un sorriso rassicurante. Eppure la sua dolcezza non parve avere l'effetto sperato, anzi, l'espressione del suo compagno divenne ancora più tetra. Non si diede per vinto e si diresse in cucina, per poi portargli i suoi muffin con la panna e i frutti di bosco a letto. L'altro lo fissò stupito, quindi chiese: «Perché mi hai fatto dei muffin?»
«Perché tutte le volte che passiamo per rue Bonaparte tu ti fermi sempre a guardare i dolci in vetrina, quindi ho pensato che...-» iniziò, ma si fermò immediatamente appena vide gli occhi di Aloïs: erano spalancati, e non dalla sorpresa positiva che aveva sperato, ma in un modo molto simile al terrore. Sembrava che volesse iniziare da un momento all'altro a piangere, o forse ad urlare. Non lo sapeva.
«Ma non devi mangiarli per forza, eh» disse subito, rassicurante «se non ti vanno, non preoccuparti. Li porto lunedì ai bambini...» ma si interruppe nuovamente, vedendo che Aloïs aveva afferrato uno dei muffin e se lo stava ficcando in bocca come se ne andasse della sua vita. Apparentemente chiunque avrebbe detto che lo stava mangiando con gusto, ma lui lo sapeva che stava solo fingendo, eppure, chissà perché, non disse nulla e stette a guardarlo, impassibile. Quando ebbe finito di divorare il suo dolce, Maurice si sedette accanto a lui e, piano, lo abbracciò. Sperava di sentire le mani fresche di Aru sulla schiena, ma l'unica cosa che percepì furono delle calde lacrime sulla spalla.

 
****

Giorno -1, Parigi
Aloïs si alzò dal sedile comodo e consumato del taxi e si diresse verso la rinomata pasticceria Pierre Hermé che si trovava in rue Bonaparte. Erano trascorsi ormai quattro mesi da quando c'era entrato davvero, in quel locale. Voleva comprare una torta da portare alla sorellina di Maurice che quel giorno compiva quindici anni e, visto che lei era celiaca, voleva andare in un posto in cui potevano soddisfare richieste un po' particolari. L'aveva servito un commesso giovane ed elegante, ma con un'aria un po' burbera; i capelli rossi erano legati in una corta coda. La divisa era completamente nera, tanto che sarebbe parsa simile a quella di un cameriere se non fosse stato per lo sgargiante grembiule giallo zafferano che gli fasciava alla perfezione i fianchi stretti. Eppure la divisa non era di certo fatta su misura e Aloïs se ne accorse subito, notando che gli stringeva un poco sul petto. Il cartellino che portava affisso sulla destra indicava il nome di Rémy.
Era certamente stato gentile con lui: si era preoccupato che il pasticciere facesse attenzione di non mettere nel dolce gli ingredienti che provocavano allergia alla piccola fille (2) e aveva incartato la torta decorata con fragoline di bosco con la massima cura. Dopo aver pagato, Aloïs aveva salutato il commesso dicendo: «Au revoir, Rémy (3)» che aveva lasciato l'altro con la bocca e gli occhi spalancati. Vedendo la sua espressione, Aloïs – che da sempre era un po' restio a dire parole di troppo – aveva alzato il dito e toccato il petto dell'altro in corrispondenza del cartellino che portava, poi aveva fatto un mezzo sorriso e aveva mosso qualche passo per andarsene, ma, poco prima che la porta si chiudesse alle sue spalle, aveva udito la voce del commesso chiedere: «Escusez-moi, monsieur, comment vous vous appelez? (4)» quindi il ragazzo dai capelli neri si era voltato e, con sguardo penetrante, aveva risposto: «Aloïs, Aloïs Neveu» ed era uscito.
Avrebbe mentito se avesse detto che da quel momento il gentile cameriere si era impiantato nella sua mente come se avesse appena subito un colpo di fulmine, anzi, lo aveva – quasi – dimenticato subito. Eppure, quando alcuni giorni dopo era successo quello che era successo, si era ricordato immediatamente il suo nome e dove l'aveva incontrato per la prima volta. E, da quel momento, tutto era cambiato.
Entrò nella pasticceria, ordinò un bignè farcito di crema chantilly come sempre e Rémy arrivò magicamente dal retro del locale. Non ci fu bisogno di parole tra loro, si limitarono a uscire dal negozio e a dirigersi all'appartamento di Aloïs, in rue de Lille. Ci arrivarono come al solito utilizzando la metropolitana; bastava scendere alla fermata di Assemblée Nationale e, dopo pochi minuti a piedi, avevano raggiunto il luogo stabilito.
Non appena Aloïs fu entrato nella stanza, Rémy chiuse la porta dietro di sé e, frettolosamente, incominciò a baciarlo con foga, premendo il suo corpo d'atleta contro il muro del salone d'ingresso. Il giovane dai capelli scuri sapeva che l'altro lo desiderava in modo impellente: sentiva perfettamente il battito accelerato del suo cuore e percepiva la frenesia che, ogni volta, traspariva dai suoi gesti. D'altronde anche lui provava lo stesso nei suoi confronti, anche lui bramava il contatto con l'altro più di ogni altra cosa: il suo odore lo inebriava, la sua bocca sulla pelle lo mandava in estasi, il sapore del suo sesso tra le labbra lo faceva uscire quasi di senno. Non c'era tranquillità fra loro, non conoscevano il significato della parola patience (5). Ogni gesto era pieno di urgenza, forse solo di impazzire, forse dettata dalla paura che qualcuno potesse rientrare in casa e vederli lì. Ma questo non accadeva mai: gli orari di Maurice erano sempre stati molto precisi e raramente c'erano stati giorni in cui tornava a casa prima.
Aloïs fece scendere le mani lungo la schiena di Rémy, poi le passò davanti, fino a toccare la sua erezione che, impaziente, premeva nei pantaloni. Iniziò a stimolarla con le dita, senza aprire la cerniera dei jeans che indossava, facendolo mugolare dal piacere mescolato al dolore provocato dal luogo troppo angusto in cui il suo sesso era rinchiuso. Solo dopo un po' fece scorrere la zip e iniziò a lavorare con le mani, andando su e giù più e più volte. E fu proprio in quel momento che, improvvisamente e senza preavviso, la porta accanto a loro si spalancò.

 
****

Rémy si staccò di scatto dal corpo di Aloïs, che nel frattempo aveva spalancato quegli occhi azzurri che tanto amava. Sulla soglia c'era un ragazzo alto dalle spalle larghe e i fianchi stretti, con un fisico forse ancora più prestante e possente di quello di Rémy. Eppure, nonostante la forza che quel ragazzo emanava, i suoi occhi – anche se sottili di delusione e tristezza – erano gentili e buoni. Nella mano destra teneva le chiavi, mentre la sinistra conteneva un sacchetto di plastica con dentro quella che doveva essere la spesa. Passarono circa dieci secondi, i più lunghi della vita di tutti coloro che si trovavano in quel momento nella stanza. Solo dopo il nuovo arrivato si rese conto di cosa stava succedendo prima del suo arrivo: il suo fidanzato lo stava tradendo davvero, il suo fidanzato desiderava davvero un altro... e quell'altro era proprio lui.
Inizialmente Rémy ebbe paura che Aloïs venisse insultato o, addirittura, colpito da Maurice, ma tutte le sue congetture vennero cancellate dal sorriso storto e amaro del pètit ami del suo amante e dalle lacrime che incominciarono a scendere sulle sue gote, improvvisamente pallide. Non fece nessuna scenata, non reagì con violenza, non fece nulla di tutto quello che una persona normale avrebbe fatto. Semplicemente alzò gli occhi al cielo e poi chiese, guardando Aloïs: «Lo ami davvero, Aru?»
Lui lo guardò, con gli occhi pieni di lacrime che, però, si rifiutavano di scendere e dunque annuì, non fidandosi della sua voce. Poi guardò Rémy e, dopo averlo squadrato per qualche secondo, chiese di nuovo: «E tu... tu lo ami?»
Anche Rémy annuì, lentamente. Poi vide il suo interlocutore piegare il capo in avanti, strusciare il piede per terra e infine prendere una decisione. Si poteva benissimo intravedere il lampo di comprensione nei suoi occhi, quando finalmente li alzò dal suolo: quel ragazzo forse non aveva gli occhi chiari come quelli di Aloïs, ma di sicuro possedevano una trasparenza che il suo amato non aveva. E fu attraverso quello sguardo che Rémy capì ciò che passava nella testa di Aloïs, come di riflesso: non sarebbe mai stato in grado di scegliere da solo uno di loro, non aveva le forze necessarie per allontanare definitivamente Maurice o Rémy, doveva farlo qualcun altro. E Maurice, dopo averli visti insieme, aveva già preso la sua decisione: «Aru, basta. Non voglio stare più insieme a te» disse. E lo fece con un tono talmente serio e distaccato che, per un secondo, Rémy dubitò che l'avesse in realtà mai amato. Ma si dovette ricredere quando aggiunse poi: «Ma, prima che me ne vada per sempre... ti chiedo solo una cosa: m'as-tu jamais aimé? (6)». Aloïs annuì nuovamente, questa volta con le mani che tremavano dallo sforzo di non piangere. Maurice allora rivolse un ultimo sorriso amaro al suo Aru e uscì per sempre dalla sua vita.
Aveva preferito farsi da parte, non perché non poteva sopportare di aver avuto sotto gli occhi un tradimento, non perché la persona con cui aveva trascorso più della metà della sua vita l'aveva deluso, non perché non lo amasse più, ma perché aveva visto negli occhi di Aloïs qualcosa che gli aveva fatto pensare che lasciarlo significasse per lui l'unico modo di trovare finalmente la vera felicità.
E Rémy si sentì piccolo – infinitamente piccolo – di fronte alla grandezza immensa di quell'amore. Ma guardò Aloïs e si accorse che, seppur in modo più egoista, non amava meno di Maurice i capelli color carbone, il naso dritto, gli occhi trasparenti, le labbra sottili, la forma ovale del viso, il sorriso storto che a volte spuntava, il collo lungo, il corpo scolpito dagli allenamenti e dalle onde dell'acqua, le dita affusolate, i silenzi, le rare parole, la viltà, la dolcezza, la freddezza, la rabbia gelida, la debolezza, la forza, i pregi e i difetti di quel ragazzo.
Lo amava in modo diverso, forse sì, ma lo amava davvero e questo bastava.







 

Note:
1 → “Aru, Maurice, volete scendere, idioti?”.
2 → ragazza.
3 → “Arrivederci, Rémy”.
4 → “Mi scusi, signore, come si chiama?”.
5 → pazienza.
6 → “Mi hai mai amato?”.

So che questo capitolo è pieno di distruzione, angst a palate e lacrime di dolore, ma andava scritto. Vorrei solo che non fraintendeste una cosa: per quanto sia enorme il sentimento che Maurice prova nei confronti di Aloïs, non dovete pensare che Rémy sia da meno. Ho cercato di spiegarlo nell'ultima parte del capitolo, e verrà motivato ancora di più più avanti. Con questo non voglio nemmeno giustificare il tradimento di Aloïs, però vorrei che non lo odiaste troppo, ecco xD. So che Maurice non meritava nulla di ciò che è successo, e che quasi sicuramente anche a chi sta antipatico inizierà a provare quasi pena per lui, ma ehi, non ammazzate me e il povero Aloïs xD. Vorrei inoltre che faceste attenzione ad alcune parole di quest'ultimo POV... capirete poi il perché, ma qualcuno credo riuscirà già a intuire la verità e la fine di questa fic.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Free! - Iwatobi Swim Club / Vai alla pagina dell'autore: aturiel