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Autore: SabrinaSala    16/08/2015    9 recensioni
"...Sdraiato supino sul letto, un braccio dietro la nuca e l’altro appoggiato sul ventre piatto, pantaloni e calzari ancora indosso, Johannes accolse così, sfacciatamente seducente, le prime, impertinenti luci dell’alba. «Proteggere una donna, salvaguardare la sua persona, è il compito più difficile e più importante al quale un uomo possa essere chiamato. Ne sarai all’altezza?»"
***
Sacro Romano Impero Germanico. Città di Rosenburg. Anno Domini 1365
Quando Johannes, altero e affascinante capitano delle guardie cittadine, riceve l’incarico di proteggere Madonna Lena, pupilla del Vescovo di Rosenburg, solo Justus, l’amico di sempre, può trovare le parole per chetare il suo animo inquieto.
Pedine inconsapevoli di un gioco iniziato quando ancora erano in tenera età, Justus, Johannes e Lena si troveranno loro malgrado coinvolti in un ordito di peccati e di colpe… Sarà sufficiente lo stretto legame con il Vescovo-conte, reggente della città, loro padrino e benefattore, a salvare le loro anime?
***
"Miserere mei Deus secundum magnam misericordiam tuam" ("Pietà di me, o Dio, secondo la tua grande misericordia") – dal Salmo 51
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo, Inquisizione
Capitoli:
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Capitolo 8 – Il bacio della Rosa
 
 
 
«La nostra ospite è molto cambiata…» osservò serafico Erasmus.
Aveva atteso pazientemente che Hanna tornasse dal mercato, con il suo carico di fili da ricamo e ora, entrambi sulla porta d’ingresso del palazzo vescovile, immersi nella semi oscurità dell’imponente porticato che correva lungo tutta la facciata della costruzione, attendeva che gli rispondesse.
Hanna lo sogguardò, sorpresa da tanta confidenza, maliziosamente interessata all’osservazione così come al giovane segretario del vescovo. Attratta dai suoi lineamenti delicati, dalle labbra ben disegnate e da quegli strani occhi neri.
Sorrise. Ed Erasmus ricambiò il suo sorriso, consapevole del proprio fascino sottile. Abile manipolatore.
«E’ cambiata, sì! » ridacchiò Hanna,  facilmente convinta a confidarsi «Ha perso quella sua alterigia, non trovate? » poi sollevò un sopracciglio «E’ diventata la più pia delle devote… » la schernì con tono leggero, giocando con una ciocca di capelli scuri che le solleticava la guancia rosea. Sembrava divertita.
Erasmus annuì lentamente, fingendo una certa discreta soddisfazione.
«In fondo, non ci si poteva aspettare altrimenti dalla protetta di un vescovo». Tacque. Arso dal desiderio di carpire informazioni ma deciso a giocare bene le proprie carte.
Si era reso immediatamente conto di quel cambiamento…
Maddalena Aicardo parlava poco, si vedeva poco, ma soprattutto aveva un aspetto molto più dimesso e remissivo di quando era arrivata. E quel che al segretario interessava era la causa di quel cambiamento. Soprattutto se riconducibile a Johannes.
«Il capitano sta facendo un ottimo lavoro… » chiosò, tentando di aprirsi un varco sulla relazione tra la straniera e il suo mastino.
Le guance di Hanna si imporporarono involontariamente.
«Il capitano Johannes è impeccabile, come sempre» cinguettò indugiando, come assaporando il nome del bell’armigero.
Erasmus si irrigidì, ma cercò di non darlo a vedere.
Stupida ragazzina, pensò con disprezzo, la tua infatuazione è chiara come il sole.
«Forse il matrimonio la impensierisce… » mormorò con tono volutamente distratto.
Hanna si concesse una breve risata.
«La festa di domani potrebbe farle tornare il buonumore» insinuò sorridendo poi maliziosa e impudente.
Stanca di parlare di quella straniera dagli occhi bruni, sostenne con ostentazione lo sguardo indecifrabile del monaco. Arrossendo infine quando lui abbassò leggermente le palpebre e sembrò fissarla con maggiore attenzione e intensità. Occhi strani, quelli del monaco, pensava Hanna… Tanto diversi da quelli del capitano ma altrettanto affascinanti…
«La Festa della Rosa… » mormorò Erasmus, piegando un solo angolo delle belle labbra sottili e continuando a guardarla negli occhi blu costellati da fitte ciglia scure.
Entrambi conoscevano il significato più recondito del carnevale, sinonimo di divertimento e sregolatezza. Un giorno in cui lasciarsi alle spalle ogni pensiero, ogni timore, ogni remora. Un giorno dedicato alla vita e al vivere il piacere represso per mesi.
Il segretario sospirò, lasciando trasparire una certa inquietudine.
«Ho detto qualcosa che vi ha turbato, fratello Erasmus?» domandò prontamente la ragazza, facile preda delle sue manovre, ricordando di trovarsi al cospetto di un uomo di Chiesa, seppur giovane e piacente.
Erasmus fece un gesto vago con la mano, come ad allontanare un pensiero.
«Sono in ansia per Madonna Aicardo, temo… come uno sciocco! » mormorò schernendosi «Conosco la virtù del nostro capitano e questo mi rassicura. Ma se dovesse capitarle qualcosa… Non me lo perdonerei mai!» concluse.
La vide trasalire.
«Temete che il capitano… »
Il giovane ecclesiastico represse un moto di stizza e di disgusto. Poi continuò la messinscena.  
«Certo che no!» ribatté afferrando le morbide mani della ragazza.
E tenendole strette proseguì «Non era questo il mio pensiero. Ma ho bisogno di potermi fidare di qualcuno, Hanna» mormorò.
La ragazza arrossì. Poi sorrise ancora, maliziosa.
«Volete fidarvi di me?» domandò, accarezzando l’idea di una fruttuosa alleanza che la eccitò sul nascere.
Erasmus portò le sue mani alle labbra e ne sfiorò le nocche con un bacio leggero. Poi la guardò fisso negli occhi.
«Vorrei» mormorò.
Hanna avvertì il suo respiro caldo sulle dita e un brivido.
Lui indugiò, godendo della sua reazione. Lasciandole intendere quel che voleva intendere. Profondamente disgustato dal profumo di donna che gli pizzicava le narici. Sorrise.
«Dovrai essere i miei occhi e le mie orecchie… »
 
***
 
Maddalena Aicardo lasciò il monastero con passo svelto. Non rallentò neppure quando superò il capitano, fermo sul sagrato ad aspettarla. Calando il cappuccio grigio sul capo, proseguì verso quella che da giorni era diventata la sua casa e la sua prigione, il palazzo del vescovo Winkel.
Justus ne seguì ogni passo. Ogni movimento. Ogni sussulto. Fino a quando la sua figura snella non venne inghiottita da un reticolato di vicoli, celata ai suoi occhi da quella più imponente di Johannes.
Un sospiro leggero gli riempì il petto, poi scivolò attraverso le labbra dischiuse. Nonostante il tempo che avevano trascorso insieme, non era ancora riuscito a comprendere appieno il peso della colpa che la ragazza sembrava portarsi addosso. Né ad alleggerirle la coscienza. Lena e Johannes… pensò cercando con un’ultima occhiata la loro immagine tra le ombre blu di quella mattina. I loro rapporti si limitavano a qualche cenno, brevi scambi di battute, occhiate fugaci, aveva notato. E il silenzio del suo amico non prometteva niente di buono. Che tra i due ci fosse qualcosa in sospeso era inequivocabilmente chiaro. Ma né l’uno né l’altra sembravano volerne parlare. Il suo sguardo turchese si infranse sui banchi  ancora vuoti dei mercanti che si preparavano alla festa, poi scivolò sul lungo serpente di gente che dalle campagne e dai villaggi vicini si srotolava lungo le vie della città, partendo da ognuna delle porte d’accesso, fino a riempire la piazza grande. Un serpente chiassoso e colorato, ansioso di prender parte al carnevale di Rosenburg.
Forse, un giorno di festa avrebbe regalato qualche ora di sollievo a quelle anime tormentate, pensò ritirandosi piacevolmente tra le mura fresche e silenziose del monastero.
 
***
 
Da ogni porta, ogni bottega, ogni ponte di pietra la gente non faceva che riversarsi in strada.  Inarrestabile. Come rispondendo a un misterioso richiamo, un inno alla gioia e alla vita. L’intera città era preda e ostaggio di personaggi di ogni genere, tra gli schiamazzi e gli strilli dei mercanti e dei fanciulli, le risate grasse e piene degli uomini e quelle più frivole delle donne. Un’esplosione di colori e di profumi. Mantelli, maschere d’ogni sorta, e rose… Ovunque, le rose. Regine incontrastate della festa…
Lena si guardò intorno stupita. Fagocitata dalla città vestita a festa, profumata e imbellettata come una giovane sposa.
Ovunque regnava confusione. La fragorosa espressione della libertà sociale e morale, come nel più classico Carnevale.
«Chi è quella ragazza? » domandò, incuriosita dalla fanciulla che sedeva al centro del grande palco eretto nella piazza principale di Rosenburg. I suoi capelli biondissimi, legati in lunghe trecce raccolte  sulle tempie, lasciavano libera la fronte e nudo il collo bianco e sottile. Una semplice veste bianca metteva in risalto le forme ancora acerbe, mentre una corona di rose risaltava sul capo chino.
«E’ la Rosa!» proruppe Hanna, ferma al suo fianco, sorridente ed eccitata come non l’aveva mai vista «Per tradizione, ogni anno una ragazza nubile di Rosenburg viene eletta regina della festa e con un bacio la regina esercita il suo diritto di scegliere un compagno» spiegò rispondendo allo sguardo interrogativo della bella straniera. «Se l’uomo ricambia il suo desiderio o i suoi sentimenti, nessuno può impedire la loro unione… » concluse con un sorriso compiaciuto.
Lena tornò con lo sguardo sulla giovanissima regina, la rosa protagonista della festa, e provò invidia. Una struggente invidia.
«Io saprei esattamente chi baciare… E voi?» domandò Hanna, inaspettatamente.
Lena piegò le labbra in un sorriso amaro, cercando di dissimulare la delusione raddrizzando le spalle.
«Io sono promessa…» mormorò con un filo di voce.
Hanna le lanciò uno sguardo malizioso.
«Nessuna promessa vale il “bacio della rosa”! » ridacchiò, scuotendo il capo divertita di fronte alla sua ingenuità. Poi tornò a fissare il palco, curiosa di scoprire su chi fosse caduta la scelta della regina.
Lena serrò le labbra. Colpita dalla semplicità di quell’affermazione. Seguì lo sguardo di Hanna e l’invidia tornò a roderle l’anima. Sprezzante e profonda. Tanto da costringerla a voltarsi, istintivamente, e così incrociare gli occhi grigi di Johannes, fermo alle sue spalle.
Trasalì, avvolta nel suo sguardo indecifrabile. Sentendosi improvvisamente nuda di fronte a quegli occhi capaci di penetrarle l’anima e desiderò di avere indosso quel mantello grigio che per giorni l’aveva protetta, celando agli occhi del mondo lei e la sua colpa: il desiderio.
Le mancò il respiro.
Stretta nella morsa della folla che iniziava a muoversi, tentò disperatamente di allontanarsi, di cercare un rifugio sicuro, lontano da quell’uomo che entrava così prepotentemente nei suoi pensieri. Un satiro le sfiorò un mano, invitandola a seguirlo. Lei sorrise, indugiò, avanzò di un passo, poi la folla fece il resto. E come un’onda la trascinò via. Lontano. Teatrante audace e inconsapevole di una commedia di strada. Qualcuno le porse una maschera colorata perché la indossasse e qualcun altro le intrecciò i capelli. Le mani abili di una donna abbassarono il collo generoso del suo vestito, fin quasi al corsetto. Spregiudicati giullari la coinvolsero in un ballo sfrenato facendole perdere il fiato poi abbandonandola al suo destino. Non prima però di aver bagnato le sue labbra con un dolce nettare di vino.
Sollevò il capo, disorientata. E la maschera. Accaldata. Smarrita. Passò le dita tra i capelli, sulla fronte madida. Qualcuno le camminò sull’orlo del vestito. Sollevò le gonne e abbassò il capo. Le girò la testa e temette di cadere. Di perdere i sensi. Ma rimase in piedi. Sorretta inaspettatamente da due forti braccia d’uomo che tacitamente ringraziò ridendo. Addossata e aggrappata a un petto largo e profondo, stordita e leggera, le orecchie cariche di suoni e richiami, lasciò che il profumo aspro del cuoio le riempisse i polmoni. Rise. Quale errore concedere quel giorno di festa! Pensò. Quale errore lasciare che i sensi prendessero il sopravvento sulla ragione!
Chiuse gli occhi e arrossì, arrendendosi a quel senso di leggerezza, mentre il cuore le martellava in gola, tumultuoso e le faceva dolere i polsi.
L’uomo le cinse la vita, passando un braccio attorno ai suoi fianchi snelli, e l’altra mano si impresse, ardente, sulla pelle candida delle sue spalle, tra le scapole coperte dalla stoffa leggera dell’abito della festa. Maddalena Aicardo stinse appena le palpebre, lasciando che lo sconosciuto la inebriasse, stringendola forte, trasmettendole calore e desiderio. Rise ancora. Desiderando peccaminosamente un corpo che non conosceva. Chiedendosi divertita cosa avesse bevuto.E per un attimo, tutto attorno a lei sembrò svanire. La gente, il fragore… Solo la forza di quelle braccia a tenerla ben salda, a impedire che cadesse, calpestata dalla folla in delirio. Braccia che la cullavano e la custodivano come il più prezioso dei tesori.
Sollevò leggermente il volto, stuzzicata dal profumo amaro della sua pelle. Sfiorando l’incavo del suo collo con la punta del naso.
Arrossì violentemente. Improvvisamente lucida. Si oppose a quella morsa, puntando i gomiti sul giustacuore in cuoio. Sollevò la testa, staccandosi da quel petto accogliente e impallidì. Johannes!
Trattenuta, quasi immobilizzata, Lena si arrese. I pugni stretti, gli occhi sbarrati, il respiro affannoso, vorace, desideroso di cogliere quello più lento di lui, le ciocche di capelli scuri sulle guance in fiamme. E quando i loro sguardi si agganciarono, la resa fu totale e inaspettatamente galvanizzante.
«Non muovetevi» le intimò lui con voce roca, strappandole un gemito impercettibile, sollevato dall’averla ritrovata. Provato dalla voluttà di quel corpo che aderiva al suo. Perfettamente.
Da giorni non vedeva i suoi capelli ora scarmigliati e costretti in una morbida treccia semi disfatta. Da giorni non incrociava quello sguardo fiammeggiante, terribilmente irritante. Da giorni quella giovane donna si negava ai suoi occhi, diventata improvvisamente pudica e morigerata, controllata nei gesti come nelle parole. Da giorni non parlava con lei se non per ricevere ordini dettati con un tono così pacato e dimesso che stentava a riconoscerla. Qualunque fosse stato il motivo che aveva indotto Lena a quel comportamento, ne era stato sollevato, in principio. Ma in quell’istante, in quel maledetto istante, era bastato il tempo di uno sguardo, perché il suo demone tornasse   prepotentemente a farsi sentire.
«Non muovetevi» ripeté, deciso a non perderla di nuovo, mentre la processione dei teatranti ricominciava a muoversi, costringendoli a seguirla.
Lena avvertì l’intensificarsi della stretta. Annuì. Non aveva alcun desiderio di muoversi. Sorrise.
Vinti dalla folla in fermento, trascinati loro malgrado, Lena e Johannes trattennero il fiato fino a quando, espulsi da quel movimento ondeggiante, scivolarono in un vicolo e Lena si ritrovò, ansante, con le spalle al muro. Solo la stoffa leggera a proteggere la pelle dal contatto umido e ruvido della pietra. La stessa pietra che graffiava il palmo aperto di Johannes, le mani appoggiate alla parete, all’altezza delle  spalle di lei, come a imprigionarla. La sua figura a sovrastarla.
I loro occhi si incrociarono, ancora. Incatenandosi gli uni agli altri senza parole, incapaci di lasciarsi andare. Il volto sfiorato a tratti dal reciproco respiro.
Era bella, Lena, i capelli finalmente sciolti sulle spalle e sul seno ammiccante. Le ciocche brune che si alzavano seguendo il ritmo accelerato del suo respiro. Gli occhi accesi, come le guance incandescenti. Il collo lungo, candido, le spalle forti…
Uno strattone e un ubriaco superò  Johannes facendogli perdere momentaneamente l’equilibrio, sospingendolo contro la morbida presenza di lei e per un attimo, i loro corpi si sfiorarono ancora.
Il capitano seguì con lo sguardo l’uomo barcollare, poi allontanarsi annegando tra le braccia di una donna che lo aveva raggiunto ridendo sguaiatamente. Serrò la mascella e sul collo teso avvertì l’alito caldo di Lena, rimasta immobile, addossata alla parete. Stretta tra lui e il muro. Non si volse. Non subito. Temendo quello che i suoi occhi avrebbero potuto vedere. Inebriato dal profumo dei suoi capelli. Un profumo dolce e pungente che sovrastava l’olezzo di quel vicolo seminascosto e buio. Rifugio ideale di solitari peccatori.
Un movimento impercettibile, un fruscio e Johannes trasalì.
Morbide e audaci, le labbra di Lena avevano cercato le sue. Sfiorandole in un bacio inaspettato.  Indugiarono, come suggendole. Poi scivolarono via.
Si volse, arretrando di un passo.
Lei non si mosse. Addossata al muro, esausta, la consapevolezza di quel gesto inevitabile, Maddalena Aicardo lo accolse nel proprio sguardo, stregandolo con un’insolita espressione.
«Ho solo rispettato la tradizione» sorrise. Sconvolta al punto da sentirsi inaspettatamente divertita.
Johannes trasalì per la seconda volta. 



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IL CONFESSIONALE (ovvero, l'angolo dell'autrice):
Prima di fare due chiacchiera, un paio di precisazioni sull'epoca in cui la nostra storia si svolge: 
- nel Medioevo europeo, era la Chiesa a dettare le regole del vivere quotidiano. Uomini e donne vivevano seguendo i dettami del Cristianesimo, temendo, pregando e lavorando per la propria anima, rifuggendo ogni forma di piacere. Anche e soprattutto quello della "carne". Anche i pensieri, quelli più audaci, erano ritenuti peccaminosi... figurarsi gli approcci "diretti". Solo il matrimonio rendeva più accettabili e lecite le relazioni carnali, purché ci si attenesse a determinate regole sul come, quanto e quando avere rapporti con il proprio coniuge.
- sempre per il presupposto di cui sopra, pochi erano i momenti di svago per i cittadini medievali. Il Carnevale o altre tradizionali feste pagane erano l'eccezione alla regola. Libere da ogni pregiudizio o remora, in queste occasioni le persone davano sfogo alle proprie necessità e frustrazioni. Dimenticando per un giorno il peso della vita quotidiana. E la Chiesa stessa sembrava chiudere un'occhio... 
- la donna, il cui peccato originale è all'origine del supplizio degli esseri umani cacciati dal Paradiso Terrestre, continua ad essere giudicata e considerata dagli esponenti ecclesiastici un essere impuro e inferiore dal quale non farsi ammaliare. Pensiero, questo, che condusse la donna ad essere tacciata di stregoneria con le conseguenze che sappiamo

Detto questo, forse vi appariranno più chiari certi atteggiamenti e timori di Lena e Johannes... prede involontarie di un desiderio che non "dovrebbero" provare. 

Ora a noi! Spero che questo capitolo un po' serrato e scarno nei dialgoghi (ma così doveva essere) vi sia gradito e vi permetta di collezionare un altro piccolo tassello per il quadro completo della storia. 
Ritroviamo Erasmus e le sue macchinazioni, salutiamo il nostro Justus e soprattutto accompagnamo Lena e Johannes tra le spire di quel serpente colorato e tentatore che è la nostra FESTA DELLA ROSA!
A presto, 
Sabrina 

 
   
 
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