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Autore: _Frame_    16/08/2015    3 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
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[On going: dicembre 1941]
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[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
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48. I cieli di Londra e La nostra battaglia

 

 

Cerchi neri racchiudevano le città di Liverpool, Manchester, Cardiff e Bristol. Una linea rossa partiva dalla scritta ‘Luftflotte 3’, la freccia attraversava la Manica e mirava su Warmwell. Una croce rossa marchiava la scritta della base d’aviazione inglese.

Germania camminò verso la parte destra del tavolo, spostandosi lungo il bordo e tenendo gli occhi bassi sulla mappa. 

Un’altra freccia partiva dall’insegna ‘Luftflotte 2’ su territorio belga. La linea curvava verso destra e indicava la porzione di costa inglese affianco alla scritta ‘LONDON’.

Germania strinse le mani dietro la schiena. Il metallo del modellino avvolto dalle dita premette sul palmo, lasciando profondi segni rossi sulla pelle.

Ormai...

Croci rosse tagliavano anche le basi di Manston, Canterbury e Hawkinge.

Non può mancare molto.

Germania sollevò il pugno da dietro la schiena e lo portò vicino alle labbra. Riuscì a percepire il leggero odore metallico proveniente dalla vernice del modellino stretto nella sua mano. Germania aggrottò le sopracciglia.

Ho colpito ogni suo punto nevralgico, ho spianato ogni sua minima possibilità di difesa. Ridotto in quello stato...

Rivide l’immagine di Inghilterra che ciondolava davanti a lui nello spazio nero senza pareti o fondo. Le ginocchia piegate, le gambe traballanti, le braccia dondolanti sui fianchi, il capo basso, e il respiro pesante e affaticato. Fiumi di sangue correvano lungo il suo corpo, inzuppavano i vestiti, li rendevano neri, incollavano alla fronte le ciocche di capelli diventati color rame; scivolavano dal viso, dalle labbra, lungo le mani fino a gocciolare dalle dita.

Non può resistere a lungo.

Germania strinse di più il pugno sulla miniatura del Messerschmitt. La presa si fece rabbiosa e violenta. Il braccio tremava.

Ma allora perché?

Germania trattenne un sibilo tra i denti e sbatté il pugno che stringeva il Messerschmitt contro il bordo del tavolo. Tutto il banco vibrò producendo un suono basso e pesante.

Perché continua a reggersi in piedi? Lo colpisco a morte ma la volta dopo sembra non avere neanche un graffio.

Gli occhi di Germania scorsero una seconda volta le basi marchiate dalle croci rosse.

Ho abbattuto ogni singola base di produzione aerea, e i suoi caccia continuano comunque a uscire a centinaia, come se sbucassero direttamente dal terreno. Come fa...

Strinse i denti, lo smalto stridette.

Come fa ad avere sempre la forza di rialzarsi?

“Già a corto di idee?”

La voce di Francia gli fece staccare gli occhi dalla mappa, e Germania riprese a respirare. Si voltò, inquadrò la parete nella penombra della camera di comando, e incrociò lo sguardo di Francia. Lo fissava tenendo il capo leggermente piegato, le braccia incrociate al petto, le gambe accavallate. Le sopracciglia sollevate e le labbra inarcate in un sottilissimo sorriso di sfida. Belgio e Olanda in silenzio vicino a lui. Un lieve fischio metallico tintinnava nella parte sinistra dell’angolo di stanza in ombra.

Germania raddrizzò la schiena. Inspirò lentamente, refrigerando i bollori. “Ora non è più questione di inventiva, ma solo di azione.” Mosse le dita che chiudevano la presa sul modellino, fece tornare sensibilità alla mano informicolata.

Danimarca sfilò le dita da sotto il filo d’acciaio che gli stringeva il polso. Le unghie diedero un’ultima grattata lasciando tre solchi scarlatti sulla pelle screpolata e irritata dai bracciali. Gettò lo sguardo di lato e fece schioccare la lingua con tono di disprezzo. Norvegia gli lanciò una rapida occhiata vuota, senza dire nulla. I pugni stretti sulle cosce.

Germania rigirò il Messerschmitt tra le dita. Gli occhi tornarono bassi sulla mappa, inquadrarono l’insegna della capitale inglese. “Dopo il mio attacco su Londra, Inghilterra non si farà di certo trovare impreparato.”

Il sorriso di Francia tornò piatto. Gli occhi seri persero il velo di sfida.  

“Perché hai voluto colpire Londra?” chiese Francia. “Stai davvero osando parecchio, ultimamente.”

Germania spinse le unghie contro il profilo del caccia. Restrinse le palpebre, il viso rimase nella penombra della lampada a cono che illuminava la tavolata. “Perché voglio arrivare al punto che mi ero prefissato quando ho iniziato questa guerra.” Fece un passo di lato. “Una battaglia lunga e logorante non mi farà ottenere mai quello che voglio. Adesso proverò un ultimo colpo unicamente contro il suo cuore, cosa che Inghilterra non potrà fare verso di me, dato che per lui è impossibile attraversare lo stretto di mare.” Continuò a camminare lungo il profilo del tavolo. Aprì il palmo e fece rimbalzare il modellino di aereo nella mano aperta. “Ucciderlo, o farlo entrare in stato di incoscienza come Polonia...” Lo riacciuffò stringendo forte il pugno, fino a far sbiancare le nocche. “A questo punto mi va bene tutto pur di riuscire a mettere le mani su di lui.”

Belgio lanciò un’occhiata allarmata a Francia. Lui le strizzò un occhiolino, come per rassicurarla, e tornò a rivolgersi a Germania.

“E se non dovessi riuscirci?” Francia lanciò una ciocca dietro la spalla e sollevò la punta del naso. Il sorrisetto tornò a piegargli le labbra. “Ti arrenderai, finalmente?”

Germania scosse il capo. “Non ho motivo di arrendermi.” Si piazzò davanti ai cinque. La sua ombra stesa su di loro, la luce artificiale che contornava il suo profilo era come un’aureola. “Preferirei la morte che la resa.” Li squadrò uno a uno. Gli occhi gelidi come ghiaccio. “Voi lo sapete meglio di me.”

Danimarca si chiuse nelle spalle e ringhiò a denti stretti, facendo tremare la schiena. Norvegia si sporse dalla sua sedia e gli rifilò una gomitata sul fianco.

Germania tornò a voltarsi verso la planimetria del campo. Camminò lungo il bordo del tavolo.

“In questi casi, c’è solo una cosa da fare...” Arrestò la camminata di colpo. Sollevò il pugno che stringeva il Messerschmitt e gonfiò il petto. “Combattere!”

 

.

 

America strinse i pugni davanti al petto. Sgranò gli occhi e spalancò la bocca in un ansimo di meraviglia. Le pupille scintillavano. “Una battaglia sui cieli di Londra?”

Inghilterra si strinse nelle spalle e camminò vicino al bordo del tavolo da gioco. “Non c’è altra soluzione.” Le mani strette dietro la schiena giochicchiavano con uno dei modellini dei caccia.

America sospirò di sorpresa. “Fooorte!” Gli corse vicino, piegò i gomiti verso la pancia, saltellò sul posto come un pugile e diede piccoli pugni all’aria. “E, e ci saranno gli aerei e le bombe che esplodono nel cielo e i nemici da prendere a pugni e...” Si fermò di colpo stando su una gamba sola. Un braccio ancora teso nel gancio destro, le dita chiuse contro il palmo. America sollevò gli occhi al soffitto e storpiò un’espressione scettica. “Un momento.” Si voltò verso Inghilterra e aprì entrambi i palmi al cielo. “In pratica sarà come combattere sopra il tuo stesso cuore.”

Inghilterra rigirò il modellino tra le dita. Il metallo si stava scaldando. I polpastrelli premettero contro il profilo delle ali, risalirono la cabina di pilotaggio in miniatura e si fermarono sul muso, dove nascevano le pale.

Inghilterra sospirò. “In pratica sì.” Chiuse il pugno sullo Spitfire, lo portò davanti al petto e guardò la mano chiusa sul piccolo caccia. “Sarà estremamente pericoloso, ma non ho altre alternative. Persino io dovrò stare attento a dove colpire, alla quantità di bombe e a ogni mio minimo movimento.” Avvicinò il pugno alla bocca, le labbra sfiorarono le nocche rigonfie sotto la pressione dell’aereo. “Sarà un po’ come giocare a freccette sul mio stesso corpo, dovendo stare attento a non colpire i punti vitali. Dovrò essere cauto ma non potrò andarci piano e trattenermi, perché quello significherebbe l’inevitabile vittoria di Germania.” Aprì la mano, fece rimbalzare lo Spitfire sul palmo, lo riacchiappò al volo e tornò a stringere il pugno. Si voltò con una piroetta verso America e aggrottò la fronte. “Dovrò essere brutale,” disse, con tono deciso.

America lanciò un’occhiata alla planimetria del campo di battaglia stesa lungo il tavolo. Sbatté le palpebre, socchiuse la bocca. “Allora cosa...” Sollevò gli occhi. Incrociò lo sguardo di Inghilterra. “Cosa farai per cavartela?”

Inghilterra inspirò, gonfiandosi il petto. Giunse le mani dietro la schiena stringendo lo Spitfire nell’intreccio di dita, e fece qualche passo di lato, avvicinandosi a uno dei coni di luce proiettati dalle pareti.

“In questi casi, c’è solo una cosa da fare...” Fermò il passo, pestò i piedi a terra. Schiena dritta, spalle ferme, espressione scura e tenace, occhi brillanti sotto la luce della lampada che gli colpiva il viso di profilo. “Combattere!”

 

♦♦♦

 

15 settembre 1940, Londra

 

Inghilterra abbassò gli occhi e si guardò in mezzo alle gambe. I piedi in bilico nel vuoto erano fermi sopra una delle curve del Tamigi, proprio sull’immagine del Ponte di Londra che congiungeva le due sponde. Da quell’altezza, il fiume aveva l’aspetto di un rigagnolo d’acqua marrone che serpeggiava tra gli edifici disposti a gruppi di quadrati e rettangoli, frammentati dalle strade disposte in linea retta. Londra dall’alto sembrava una scacchiera dalle caselle irregolari, divisa in due da quel serpentello color fango.

Inghilterra fece un passo all’indietro, spostò i piedi dall’immagine del Ponte di Londra e tornò immobile. Soffiò il vento, e la fredda alitata lo travolse. Le ginocchia vacillarono, i piedi premuti sul vuoto tremarono per un instante, spostando il peso da destra a sinistra. Inghilterra sollevò lo sguardo e puntò l’orizzonte. Il vento gli ululò di nuovo in faccia. Era fresco, pungeva le guance. Gli scosse i capelli sulla fronte, il bavero della giacca dietro il collo, e gonfiò la pelliccia color menta del coniglietto volante aggrappato alla sua nuca. Inghilterra socchiuse le palpebre. Il coniglietto strinse le zampette anteriori tra i suoi capelli e nascose il musetto infreddolito dietro la sua testa.

La fatina ronzò alle spalle di Inghilterra. Spalancò le ali da libellula, si sdraiò sul fianco lasciandosi guidare dalla corrente che le gonfiava l’apertura alare, e si mise vicino a Inghilterra. Diede due battiti per riassestare il volo, i piedini sguazzarono nel vuoto.

“Come siamo in alto,” disse.

Inghilterra continuò a guardare davanti a sé. I raggi del sole erano bassi e deboli, appannati dai ciuffi di nuvole che macchiavano il cielo. Inghilterra sollevò una mano e posò il fianco sulla fronte, assottigliando la vista. Macchie verdi si aprivano tra i quadrati e i rettangoli che componevano i tetti degli edifici. Una forma verde più sottile e allungata – St. James Park – e due spazi di prato più ampi vicino a Buckingham Palace – Green Park e Hyde Park. La fioca luce del sole brillava sulle acque del Tamigi che si allungava verso la linea d’orizzonte, fino a scomparire.

La fatina compì un avvitamento chiudendo le ali sulla schiena, e si spinse in alto, vicino alla guancia di Inghilterra. Sbatté più volte le ali, sparpagliando un profumo di lavanda che si disperse al vento in una sabbia viola.

“Credi che Germania arriverà presto ad attaccarci di nuovo?”

Una zaffata di vento spostò Inghilterra di un passo di lato. Inghilterra scavalcò il Tamigi con i piedi, schiacciando l’immagine di due edifici a forma rettangolare grandi quanto le sue scarpe.

Inghilterra tolse la mano dalla fronte. “Ho ritirato la difesa aerea dalla Manica per trasferirla tutta qua a Londra.” Il vento soffiò più piano, gli mosse la frangia. Inghilterra tuffò entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni. “Germania avrà sicuramente capito che quello è stato il mio modo di accettare la sfida, dopo il suo primo bombardamento qui.”

La fatina e il coniglietto si scambiarono una rapida occhiata. La piccola stese le braccia lungo i fianchi e volò vicino all’orecchio di Inghilterra. Il sottile ronzio delle ali faceva solletico dietro il padiglione.

“Rischierete molto entrambi,” disse la fatina. “Lui si esporrà più del solito spostando gli squadroni di aviazione direttamente su territorio nemico, e tu combatterai sopra il tuo stesso cuore.”

La brezza si era abbassata, i capelli della fatina sventolavano sulle sue spalle, dietro la schiena e tra le ali, l’orlo dell’abito carezzava le caviglie nude, scivolando delicatamente sulle piccole gambe.

La fatina inarcò le sopracciglia. Occhietti lucidi e decisi. “Ti senti pronto ad affrontarlo?”

Inghilterra piegò verso l’alto un angolo della bocca che si infossò nella guancia. L’arcata dentale splendette. “L’Impero Britannico è nato pronto.”  

Il vento che soffiava tra le gambe e sul petto lo costrinse a fare un altro passo all’indietro. L’orlo dei pantaloni sventolava facendo prendere aria alle caviglie. Inghilterra si era stretto nelle spalle, le mani affondate nelle tasche della giacca si chiusero a pugno. Aggrottò le sopracciglia facendo ombra allo sguardo.

“Oggi...” Inspirò l’aria fredda e fuligginosa del cielo di Londra. Sapeva di pioggia. “Si chiude la partita della Battaglia di Inghilterra.”

La luce del sole a sfioro dell’orizzonte si intensificò. Raggi color arancio e oro strisciarono sul suolo di Londra, illuminando le strade e brillando sulle acque sporche del Tamigi.

Una macchia scura, poco più grande di una mosca da quella distanza, risalì la linea d’orizzonte, mettendosi davanti al disco giallo circondato da nubi bianche. Vicino alla mosca, cinque piccoli moscerini.

Il coniglietto volante scollò le zampette dalla nuca di Inghilterra, aprì le ali piumate e si lasciò spingere all’indietro dalla risacca d’aria. Volò vicino alla sua spalla destra. La fatina volteggiava di fianco a quella sinistra.

Inghilterra assottigliò le palpebre, la vista tagliente e aguzza come la punta di un coltello, e inquadrò la sagoma nera grande quanto una mosca. Stava avanzando, diventava più alta e sottile man mano che si avvicinava.

Le ciocche di capelli al vento sfiorarono gli occhi ristretti, le pupille emanarono un riverbero intenso che si estese per tutte le iridi. Le pieghe delle sopracciglia aggrottate fecero ombra sulla fronte, rabbuiando lo sguardo.

Inghilterra snudò la luce di un canino. La bocca sorrideva.

“Sono qui, Germania. Vieni a prendermi.”

Le sei sagome davanti al disco del sole continuarono ad avanzare verso di lui, sempre più grandi e definite.

Inghilterra sollevò le sopracciglia, distese le rughe sulla fronte. Le labbra caddero piatte.

“Non aspetto altro.”

 

.

 

La linea marrognola del Tamigi si contorceva sotto i loro piedi, compiva una curva di novanta gradi e continuava a correre tra le case e i palazzi che frammentavano il territorio di Londra.

Belgio camminò di due passetti lontano da Olanda e Francia. Allargò le braccia per tenersi in equilibrio, come stesse passeggiando su una trave in bilico nel vuoto, e si piegò sulle ginocchia, aprendo i palmi sull’aria. Le ginocchia sopra una riva del fiume, le mani spalancate sull’altra.

Il vento sbuffò di lato, muovendole i capelli sulle guance e il nastro verde sulle spalle. Belgio sorrise, gli occhi raggianti. “Ooh! Siamo sopra Londra.” Si girò gattonando. I cavi di ferro legati ai suoi polsi si tesero, attraversati da una scintilla d’argento che morì una volta raggiunte le sue mani.

Belgio continuava a sorridere, il viso calmo e sereno. “Non ero mai stata a Londra prima d’ora.”

Francia si spostò di un paio di passi lontano dal gruppo. I fili metallici si flessero assecondando il movimento, emanarono un trillo acuto. Le sue mani erano strette dietro la schiena. Francia sollevò gli occhi. Lasciò che il vento gli muovesse i capelli davanti agli occhi e alle labbra senza spostarsi le ciocche dal viso. Seguì la luce del sole espandersi, scivolare lungo le acque del Tamigi e scavare le ombre nelle strade di Londra, abbracciando gli edifici dall’alto.

I capelli svolazzanti gli nascosero le labbra piatte e ferme.

Francia sospirò, sollevò le spalle, e rilassò le pieghe contratte del viso. Chiuse le palpebre, nascose la luce malinconica che brillò tra le pupille.

“Che nostalgia,” sospirò con un piccolo sorriso.

Tornò a voltarsi verso i compagni, arricciò il naso quando sentì il tanfo della sigaretta di Olanda, e guardò oltre il sottilissimo strato di fumo grigio che si confondeva tra le nuvole. Delle figure più piccole erano in piedi, sospese sopra l’altra sponda del Tamigi.

Francia sollevò un braccio tirando il cavo d’argento, e sventolò la mano. L’altro palmo chiuso a coppa di fianco alla bocca.

“Tutto bene laggiù in fondo?”

Danimarca si voltò per primo. Norvegia rimase di profilo, con lo sguardo spento e assente rivolto al cielo.

Danimarca stropicciò una smorfia, aggrottò la fronte ed emise un piccolo sbuffo. “Tutto okay,” biascicò. Il tono di voce aspro e scocciato.

Francia sventolò un’altra volta il braccio, disegnando un arco con la mano sopra la sua testa. Alzò la voce. “State vicini a noi! Date retta al fratellone e non allontanatevi troppo!”

Danimarca strinse i pugni sui fianchi, strizzò le palpebre, il viso divenne rosso, e pestò un piede nel vuoto. “E non mi trattare come un moccioso!”

Francia fece roteare gli occhi al cielo. Abbassò il braccio e chiuse la mano attorno alla bocca insieme all’altra. Sembrava stesse stringendo un megafono invisibile. “Dobbiamo rimanere uniti il più possibile. Restate nei paraggi o i cavi inizieranno a tirare da soli e a farvi male.”

Danimarca gettò i pugni al cielo. Li agitò come stesse sventolando due bandiere. “Non serve che me lo ricordi, grazie!” sbraitò. I fili emanavano abbagli rapidi e intensi, come stessero trasmettendo un codice morse.

Norvegia abbassò gli occhi su di lui, sbatté le palpebre con aria assente, quasi sconsolata, e tornò a fissare il cielo.

Francia tolse le mani dal viso. Inarcò un sopracciglio in una lieve piega infastidita. “Mon Dieu,” sospirò. “Lo prenderei a sculacciate.”

Belgio si diede una piccola spinta sulle ginocchia e saltò in piedi, barcollando di un passo all’indietro. Batté le mani sulle gambe, aggiustando i pantaloni troppo larghi, e trillò una risata perplessa. “Ehm, meglio di no.”

Francia stese un sorriso malizioso e si posò due dita sul labbro inferiore. Emise un piccolo soffio. “Non sa cosa si perde.” Sorrise.

Belgio ricambiò il sorriso.

Una folata di vento più forte le fece finire due ciocche di capelli davanti all’occhio. Lei le prese con due dita e le sistemò dietro l’orecchio, sotto il nastro che le fasciava la nuca. Nel gesto, lo sguardo le cadde alle sue spalle.

Belgio inarcò un sopracciglio, incuriosita. “Uh?”

Si voltò con una piroetta, lasciò che i cavi d’argento le scorressero sui fianchi e si stringessero attorno ai polsi, senza farle male.

Germania era in piedi, messo di fianco, lontano dal gruppo dei cinque. Gli occhi distanti guardavano la città di Londra che si estendeva davanti a lui. Erano freddi e immobili come sfere di ghiaccio.

Belgio socchiuse le labbra. Lo guardò in silenzio, da lontano, scossa sola dagli sbuffi di vento.

Anche i capelli di Germania si muovevano sotto le correnti d’aria, attraversati da luminose ondate d’oro. Lo sguardo scuro dietro l’ombra del viso, le palpebre socchiuse, gli occhi attenti e concentrati. Il corpo fermo in tensione, le braccia rigide dietro la schiena ingessata, e le mani unite. I fili metallici allacciati ai polsi brillavano sotto la luce del sole.

Belgio si portò una mano sul petto. Sollevò di poco le sopracciglia, e lo sguardo assunse una vena avvilita che le inumidì gli occhi.

Si voltò, rivolgendosi a Francia. “Combatteremo davvero solo sopra Londra, questa volta?”

Anche Olanda girò gli occhi verso di lei. Fece rotolare la sigaretta accesa in un angolo delle labbra, la punta luminosa si impennò e sbuffò due fiotti di fumo.

Belgio fece un passo verso i due. Forzò un debole sorriso. “Quindi noi non corriamo più pericoli, giusto?”

Francia scoccò un’occhiata a Olanda. Lui restrinse la bocca sul rotolo di tabacco e stette in silenzio. Il mento affondato tra le pieghe della sciarpa.

Francia guardò il cielo, spostò un passo di lato, lento e calmo.

“Non ne abbiamo mai corsi quanti adesso, temo.”

Belgio strinse la mano sul cuore. Gli occhi tornarono tristi, velati da una luce preoccupata.

Francia si chiuse nelle spalle. Alzò un palmo al cielo. “Fortunatamente per noi, Inghilterra è un tipo che sa quello che fa.”

Passeggiò in avanti. La camminata si fece più sicura, le ginocchia smisero di traballare nonostante il vento che soffiava tra i piedi.

“Questa è la sfida tra Germania e Inghilterra, amici miei,” continuò Francia, “e a noi non resta altro da fare che...” Fermò il passo di colpo, proprio in mezzo alle acque del Tamigi. Sollevò gli occhi e piegò un sorriso sbilenco. “Riporre fiducia su tutto quello per cui abbiamo combattuto fin’ora.”

Belgio si tenne ferma i capelli con una mano, il gomito piegato davanti al petto, e lanciò un’occhiata poco convinta a Olanda. Lui si limitò a ruotare gli occhi verso di lei. Mosse la sigaretta da un angolo della bocca all’altro, un grumo di cenere piovve nel vuoto facendo brillare la punta della cicca, e la riga di fumo volò in direzione di Danimarca. Danimarca piegò il capo per evitare lo sbuffo puzzolente di tabacco. Lui e Norvegia si davano le spalle, uno vicino all’altro. Le dita di Danimarca grattavano la pelle dei polsi infilandosi sotto i cavi d’argento, continuando a scavare segni rossi sulla carne già irritata.

Francia sollevò il mento e camminò verso di loro. “Tutto quello che possiamo fare per aiutare Inghilterra a vincere, ora...” Si fermò davanti si suoi compagni. La sua ombra si stese sui loro corpi, come a proteggerli. Gli sguardi di tutti puntati alla schiena di Germania. Francia socchiuse le palpebre. “È stare il più possibile vicini a Germania.” La luce del sole gli schiariva lo sguardo, faceva splendere gli occhi e le sfumature dei capelli al vento.

Francia si rivolse ai quattro. Lo sguardo era agguerrito come quello che aveva esibito sul suo campo di battaglia, mesi prima. “Ve la sentite per un’ultima volta?”

Belgio fu la prima a reagire. Strinse i piccoli pugni davanti a sé, fece un piccolo e timido saltello sul posto, e imitò lo sguardo di Francia. “Sì.”

Olanda roteò gli occhi al cielo. Fece uno sbuffo soffiando una nuvoletta di fumo. “Mhf.” Anche i suoi occhi brillarono per un istante.

Danimarca e Norvegia si guardano. Danimarca sfilò le unghie da sotto i fili metallici, si strinse il polso, massaggiandolo con pollice e medio. L’occhiataccia di Norvegia gli fece abbassare lo sguardo e stringersi nelle spalle. Annuirono entrambi, in silenzio.

Francia sorrise. “Bene.”

Inspirò una forte boccata dell’aria di Londra dal retrogusto di pioggia e di fumo, e piroettò verso Germania, rivolgendosi all’altra parte del campo di battaglia.

“Allora il campo...”

Una figura scura, più alta che larga, piccola tanto da sembrare un camino degli edifici più alti, si mosse. Attirò subito l’attenzione di Germania che fece un passo avanti.

Vapori grigi di nuvola sbavarono attorno alla figura nera in avvicinamento. La sagoma continuò a muoversi, passò attraverso il fumo che si fece più rarefatto e sottile. Un piede emerse dal fumo, poi la gamba completò il passo.

Il vento spazzò via gli ultimi residui di nuvola. Un raggio di sole passò in diagonale, tagliò l’aria come una lama e splendette sul viso di Inghilterra che ghignava oltre la sponda del Tamigi sotto di loro. L’aria soffiò di nuovo, scosse i capelli attraversati da ondate d’oro, e le sopracciglia corrugate gli misero in ombra la fronte, facendo splendere gli occhi come due lanterne verdi.

Inghilterra e Germania. Uno di fronte all’altro, separati solo dal rigagnolo del Tamigi che scorreva sotto di loro.

Francia sospirò. “È tutto per loro.” Giunse le mani dietro la schiena e sentì i fili tirare, emanando un sottile fischio metallico. Intrecciò le dita, come in preghiera, e attese l’inizio della lotta.

 

.    

 

I raggi del sole passavano filtrando attraverso le sei figure nemiche. Le loro ombre si allungavano, estendendosi fino a sfiorare i piedi di Inghilterra. Non li vedeva bene. Erano ancora semplici sagome nere allungate verso il cielo.

La fatina volò sopra la spalla di Inghilterra, senza posarvi sopra i piedini. Le ali battevano a un soffio dall’orecchio. “Arrivano,” disse.

I fasci di luce scivolarono giù dalle figure, aprirono la strada alla loro camminata come i riflettori di un palcoscenico. I contorni si delinearono, le ombre composero i fianchi, le gambe e le braccia dei nemici, fino ad arrivare ai volti. La prima sagoma, quella più grossa e alta, continuò ad avanzare con il riverbero del sole che gli carezzava le guance e i capelli biondi. La croce di ferro splendeva puntata al petto dell’uniforme grigia, sotto il collo. Penetranti e sottili occhi azzurri fissavano Inghilterra da sotto la curva delle sopracciglia che aggrottavano la fronte, tenendola in penombra. Sottilissime luci d’argento nascevano dalla schiena di Germania, dove le mani si univano, si tendevano lungo l’aria e si univano alle altre cinque figure, allacciandosi ai loro polsi. Francia, Belgio e Olanda sulla destra, Danimarca e Norvegia sulla sinistra.

Inghilterra ebbe l’impulso di palpeggiare l’aria, agitando le dita ricurve sui fianchi come stesse suonando un pianoforte invisibile. Ruotò gli occhi verso la fatina. “Tenetemi in contatto con le stazioni di comando e ricezione per le posizioni e le quantità di aerei in arrivo.”

La fatina annuì. “Okay.” La piccola sbatté più forte le ali, chiuse i pugni, piegò i gomiti verso il basso, e si diede uno slancio verso le nuvole calciando l’aria con le punte dei piedini. Ronzò sopra la testa di Inghilterra e si fermò. Era una piccola scintilla viola nella pallida luce cerulea del cielo.

La fatina chiuse gli occhi, stese le braccia lungo i fianchi, e continuò a battere le ali. Le venature delle ali da libellula brillavano a ogni battito, il debole vento faceva agitare la veste attorno ai polpacci e i capelli dietro le spalle. Palpebre chiuse, sopracciglia unite alla base del nasino in un’espressione concentrata.

La fatina inspirò e sollevò il mento. “Ore undici zero zero. Captate massicce formazioni tedesche lungo le coste a un’altezza media di quattromilacinquecento e ottomila metri. Quattro gruppi diretti verso Londra, il resto punta Canterbury.”

Il coniglietto volante distese le ali, allungò le zampette anteriori e planò sul capo di Inghilterra. Le unghiette affondarono tra i capelli e le zampe posteriori si adagiarono sulle spalle. Il coniglietto tremava. “Oh, no. Dobbiamo tenere d’occhio anche le altre basi.”

Inghilterra sollevò gli occhi verso la sua stessa fronte, tolse un’orecchia del coniglietto che gli era finita sulla guancia, e sollevò le spalle. “Concentriamoci solo su Londra.”

Quando riabbassò lo sguardo e lo incrociò nuovamente con quelli dei sei davanti a sé, oltre il frammento del Tamigi che li divideva, ebbe una fitta al cuore, e le mani cominciarono a sudare. Fece un passo indietro.

“Innalziamo gli stormi. Prepariamo la difesa.”

Inghilterra sollevò le mani appiccicose di sudore dai fianchi, agitò le dita carezzando l’aria, asciugandosi la pelle e placando i brividi. Aprì i palmi e li guardò. Erano bianchi. La pelle si faceva più scura infossandosi attorno alle linee che dividevano il palmo. Mosse le dita. Le vene si ingrossarono, rami bluastri correvano sotto la pelle, pulsando come radici fino ai polpastrelli.

Adesso...

Il vento soffiò tra le dita, mosse le maniche dell’uniforme attorno ai polsi.

Dipende tutto da me.

Inghilterra rinfilò le mani dentro le tasche e raddrizzò la schiena. Si rivolse alla fatina senza smettere di osservare il nemico.

“Richiama lo stormo di Duxoford, Dodicesima Divisione, e fai arrivare qui cinque gruppi. Fai tenere impegnati i tedeschi su Canterbury, Dover e Maidstone.”

La fatina batté l’attenti spalancando le ali. “Sissignore.”

Le cinque figure dietro a Germania restarono nascoste nella sua ombra. Quando si muovevano, scintille d’argento brillavano come piccole stelle nella notte.

“Si è davvero portato la comitiva al completo,” disse Inghilterra.

Sollevò un sorriso aguzzo che gli tinse le guance di rosso. “Perfetto.” Inspirò e abbassò le palpebre. Aveva smesso di tremare. “Tutto come previsto.”

Riaprì gli occhi e altre luci si aprirono sulla linea d’orizzonte.

Lo schieramento di aerei tedeschi si sollevò immergendosi tra gli strati di nuvole. Lo squadrone si innalzò portandosi davanti alla luce del sole, sopra la figura di Germania dritto davanti agli altri. Gli aerei tedeschi erano punti neri davanti al disco giallo. Un ronzio acuto e distante accompagnava il loro volo, l’aria si fece più scossa e il vento più freddo.

Inghilterra sollevò un sopracciglio. “Non perdi tempo, eh?”

Inquadrò la formazione. Le macchie nere ronzanti assunsero colore, le ali si stesero dal corpo degli aerei, assottigliandosi in punta. Le eliche ronzanti erano invisibili.

Inghilterra assottigliò la vista, forzò lo sguardo con i capelli che si agitavano davanti ai suoi occhi e al suo naso.

Puntò uno degli aerei. Il rumore dei motori e delle eliche si intensificò, divenne forte come il volo di un calabrone che passa vicino all’orecchio. L’aria vibrava. Intensi tremori penetravano fin dentro le ossa facendo scuotere il cuore, lo stomaco, il pulsare del sangue nelle vene.

Gli aerei nemici erano ancora lontani, Inghilterra non ne distingueva il modello.

Germania avanzò davanti agli altri cinque. Sollevò il braccio, piegò il gomito verso l’esterno, e rivolse il palmo sotto di sé. Contrasse le dita, mosse i polpastrelli e il ronzio dei suoi aerei divenne più forte. Le figure si ingrandirono, larghe e scure davanti alla sagoma del sole.

Inghilterra chiuse gli occhi. Isolò il suono del suo battito cardiaco, aspettò una pulsazione contro la cassa toracica, sentì il sangue fluire caldo agli arti, al petto e alla testa, e alzò anche lui il braccio.

Inspirò, sospirò. Calma.

Mosse le dita tastando l’aria del cielo.

Un passo avanti.

Il viso basso e concentrato si fece più scuro. Le sopracciglia si unirono alla radice del naso, profonde pieghe di rabbia stropicciarono la fronte. Una vena pulsò sulla tempia.

“Fuori...”

Il braccio sollevato con il gomito rivolto verso l’esterno vibrò. Una scarica di energia partì dalla spalla come uno schiocco di frusta e fece impennare i polpastrelli attraversati da rami di elettricità.

Altri ronzii in lontananza, dietro di lui, questa volta.

L’aria tremava sotto i suoi piedi.

Inghilterra emanò un’ombra che fumò tutt’attorno al suo corpo, come una fiamma di sabbia nera a forma di ventaglio. Lo sguardo sempre arricciato nel broncio.

“Da...”

Germania levò gli occhi al cielo davanti a sé. Abbagli di luce splendettero tra le nuvole dietro Inghilterra, si specchiarono nelle sue pupille. Lo sguardo non cedette. Duro e freddo come marmo.

Inghilterra raccolse fiato nel petto fino a gonfiarsi i polmoni. Li sentiva bruciare, sul punto di scoppiare. Il cuore martellava. Il rimbombo dei battiti pulsava nel cranio, coprendo il ronzio che riempiva le orecchie. Inghilterra sollevò il braccio davanti al viso. Palmo teso e rigido, dita unite. Gettò la mano di lato in un gesto violento e rabbioso. Affettò l’aria con il fianco della mano e tese il braccio sul fianco.

Spalancò gli occhi. Esplose in un impeto di rabbia.

Casa mia!

La formazione di Spitfire squagliò la nuvola alle sue spalle.

Inghilterra chinò le spalle, piegò le ginocchia, e tenne il braccio teso, perpendicolare al busto, con il palmo rivolto verso il basso.

Due Spitfire gli sfrecciarono di fianco, altri due sopra la testa e altri due sotto i piedi. L’uragano d’aria lo travolse facendolo volare in avanti, scivolando con le punte dei piedi nel vuoto. I capelli arruffati dalla corrente gli finirono davanti agli occhi in fiamme, sopra la fronte diventata nera, e tra le labbra piegate in un ghigno che faceva digrignare i denti.

Lo sguardo di Germania scattò subito in alto. Rigido e austero, ma una nota di allarme glielo incrinò. Germania fece un passo all’indietro, piegò il braccio destro rivolgendo il palmo alle sue spalle, con le dita tese, spinte contro l’aria, e caricò le energie su tutto il braccio. Tese il gomito, tagliò l’aria con lo stesso movimento di Inghilterra, e scagliò il suo stormo contro quello britannico.

I suoi caccia curvarono una parabola verso il basso, contro lo stormo inglese che sfrecciava verso l’alto.

Gli aerei si incrociarono tra Inghilterra e Germania. I primi due caccia sulle punte delle formazioni si fronteggiarono. Si inclinarono di lato, portando la punta dell’ala tesa verso il cielo. I motori ruggirono, gli aerei continuarono a volare dritti. Messerschmitt Bf109 e Spitfire si sfiorarono le pance. Le spire d’aria passarono tra i corpi dei due aerei, soffiarono tra le ali tese in verticale, fluirono lungo i corpi, sui musi, tra le pale roteanti, fino ad arrivare in coda.

Inghilterra e Germania trattennero il fiato. Occhi sgranati e immobili, a osservare l’incrocio a sfioro dei due stormi.

Le pance dei caccia da combattimento corsero l’una sull’altra, i due aerei strisciarono, e si portarono dietro il resto dei rispettivi squadroni. I caccia tedeschi volarono verso Inghilterra, quelli inglesi contro Germania.

Inghilterra si vide arrivare contro le sagome nere accerchiate dalla luce del sole che gli sbatteva contro gli occhi, e smise di respirare. Piegò un braccio sul capo, strizzò le palpebre, e abbassò le spalle.

Il vento ronzante gli leccò la schiena, gli aerei impennarono i musi e puntarono le nuvole, travolgendolo con la raffica del loro volo.

Inghilterra spostò il braccio dalla fronte, sbirciò da dietro l’ombra, e inquadrò lo squadrone tedesco che si riavvitava sopra di lui, portandosi dietro il suono rombante dei motori e delle eliche.

Inghilterra gettò entrambe le braccia sui fianchi, impennò la punta del naso al cielo, e fece un passo all’indietro, senza perdere di vista gli aerei.

Gli cadde la mandibola. “Messerschmitt?”

Gli aerei tedeschi curvarono verso sinistra senza perdere la formazione, seguiti da una scia bianca.

La fatina gli si avvicinò all’orecchio, volando sopra la spalla. “Prima di usare i bombardieri, Germania vorrà combattere testa a testa, in modo da indebolirti fisicamente.”

Fantastico.

La luce improvvisa dietro di lui gli fece compiere una piroetta, puntando lo sguardo alla sua destra.

Germania aveva calato la traiettoria dello stormo, i Messerschmitt sfrecciarono verso il basso, incontro alla flotta di Spitfire che stava risalendo il cielo, frastagliando i grumi di nuvole. I motori accelerarono, i ronzii delle eliche si intensificarono. Il boato della battaglia esplose nel cielo di Londra.

Inghilterra si impennò sulla punta di un piede solo, si diede uno slancio tenendo il gomito piegato verso l’esterno, le mani rivolte ai suoi caccia, e tirò su un angolo della bocca, ghignando.

“Non chiedo di meglio.”

Innalzò le braccia al cielo, tamburellò i polpastrelli, tastando l’aria, e indirizzò le energie verso il suo stormo. Una calda e intensa onda si espanse dalle spalle, fluì lungo le braccia e si raccolse dentro i palmi, aprendo una raggiera a partire dalle dita.

Due caccia si isolarono dal gruppo, uno inglese e uno tedesco.

Inghilterra mosse le dita, l’energia si spostò attraverso l’aria, raggiunse il suo Spitfire che accelerò, intensificando il ronzio dei motori dell’elica.

Inghilterra restrinse lo sguardo. Piegò le falangi, e dita tremarono per lo sforzo, bianche sulle nocche, con le vene bluastre gonfie in tensione. Chiuse il pugno, lo richiamò verso il petto, e arretrò.

Le ali del suo Spitfire brillarono. Scoppi a ripetizione esplosero dalle aperture, scintillarono scaricando la raffica di colpi verso il Messerschmitt. I proiettili trafissero l’aria in una tempesta di luci, si tesero nel cielo come una pioggia grossi aculei scintillanti.

Germania strinse il pugno. Sollevò il braccio sopra la testa e andò indietro di un passo. Il Messerschmitt seguì il movimento della sua mano che compiva la parabola dal fianco al cielo. Il caccia si piegò sul fianco, invertì la posizione di volo, e impennò il muso verso le nuvole. I proiettili scagliati dallo Spitfire lo sfiorarono in pancia. Germania sollevò gli occhi tenendo il braccio alto e il pugno serrato. I due caccia rivali erano punti neri che vorticavano davanti alla luce del sole. I rombi e gli scoppi degli spari si fecero più lontani.

Inghilterra corse di lato. Il braccio alto e il naso al cielo come stesse facendo volare un aquilone tra le nuvole. Perse di vista il suo caccia, le energie attorno al pugno si indebolirono, la mano divenne più fredda. Inghilterra gettò lo sguardo verso Germania, attirato dalla scintilla che splendeva sul suo petto. La croce di ferro. Inghilterra riusciva a vederne le quattro braccia metalliche bordate di nere, riusciva a scorgere le incisioni dei bottoni cuciti sull’uniforme grigia tedesca, riuscì a percepire la tensione dei muscoli di Germania sotto la stoffa che gli fasciava il petto e le braccia, ogni singola contrattura sul suo viso concentrato rivolto alla luce del sole, e il bagliore degli occhi, vivo e glaciale, che seguiva il volo dei caccia da combattimento.

Inghilterra trattenne il respiro per un secondo.

“Forse non siamo mai stati vicini come adesso durante uno scontro,” sibilò.

Qualcosa fischiò sopra di loro.

Inghilterra impennò lo sguardo e il lampo dello scoppio gli fece restringere le palpebre. La bomba di luce si dilatò, i contorni si arricciarono in un grumo di fiamme rosse che si ritirarono, diventando un ammasso di fumo nero che puzzava di carburante. Gli aerei si erano schiantati.

Inghilterra si riparò la testa dal calore e dal fumo, e si chiuse nelle spalle. Tenne un occhio socchiuso e spiò Germania in mezzo al muro di luce che si era sprigionato dall’alto.

Anche Germania si prese la testa fra le mani. Palpebre strizzate e denti stretti a placare gli effetti dell’impatto. Mosse due passi all’indietro, lontano dai raggi dell’esplosione. I piedi scivolarono nel cielo, spostandosi come su una lastra di ghiaccio. Germania socchiuse una palpebra e guardò in basso. Sbiancò, spalancò gli occhi e il corpo si contrasse come un blocco di granito. Guardò la città di Londra dall’alto come se si fosse reso conto solo in quell’istante di essere sospeso tra le nuvole.

Inghilterra abbassò di poco il braccio sollevato sopra il capo. Tenne l’avambraccio all’altezza della bocca e storse un sopracciglio, confuso. I fumi dell’esplosione volteggiavano sopra di lui.

Esita?

Germania scrollò il capo e tornò in sé. Gli occhi accesi e agguerriti, il viso riprese colore, la bocca si storse in una smorfia d’irritazione, e le braccia scesero dai capelli. Il fumo era calato, gli sbuffi neri e grigi volteggiavano attorno al suo petto, chiudendolo in una spirale soffocante. Germania scosse le braccia, agitò le dita tra le spire di fumo, e dissolse la nebbia. Guardò in alto, il mento alzato, e il collo piegato all’indietro. I due stormi si erano riformati. Scure sagome sfreccianti disposte in formazione forarono le nubi bianche e quelle grigie, incrociandosi nel cielo.

Inghilterra guardò in basso.

Fiori di esplosioni sbocciarono in mezzo agli edifici di Londra.

Dopotutto, stiamo combattendo sul mio territorio. È normale che si senta smarrito.

Spostò i piedi di due passi striscianti, e scoprì le sponde del Tamigi, le acque agitate dai bombardamenti che facevano tremare le strade, e le zaffate d’aria rovente che si aprivano attorno ai crateri scavati nella città.

Inghilterra sollevò la punta di un piede, piegò il tallone verso l’alto come una ballerina. Toccò più volte il campo di forza che lo teneva sospeso, senza sollevare suoni.

Un ghigno sadico gli piegò un angolo delle labbra verso l’alto. “Potrei sempre provare a buttarlo giù di qui.” Scoccò una rapida occhiata a Germania e il sorriso si estese anche sull’altra guancia. “Chissà se potrei riuscirci?”

“Inghilterra, attento!” La voce della fatina gli esplose nel cranio.

Inghilterra aggrottò le sopracciglia, si voltò all’indietro in uno scatto, e immerse il viso nell’ombra. “Uh?”

Lo scuro strato d’ombra gli invase la faccia. Era freddo e viscido.

Inghilterra sollevò gli occhi sulla sagoma nera che gli stava volando sopra la testa, seppellendolo nel buio.

La pancia scintillante di un Messerschmitt nascose la luce del sole. La sagoma a freccia del caccia da combattimento volò davanti al disco giallo come un ritaglio di carta nera, portandosi dietro il forte ronzio dell’elica in punta.

Inghilterra socchiuse la bocca, ammutolito. Gli occhi alti e tremanti, le sopracciglia sollevate in un’espressione di sorpresa e panico che gli aveva ingrigito il volto.

Risucchiò una boccata d’aria. Il vento acre, freddo e pungente, gli risvegliò i sensi.

Inghilterra gemette e si strinse il capo, piegando le spalle. Chiuse gli occhi.

Lo sfrecciare dei proiettili scosse l’aria attorno a lui.

Inghilterra serrò i denti fino a sentire lo smalto scricchiolare, affondò le dita tra i capelli, graffiò la testa, e tenne le spalle basse, la pancia a sfioro delle ginocchia.

Il muro di fumo bollente strisciò come il corpo di un serpente attorno a lui. Le spire si attorcigliarono, la raffica di vento innalzata dal passaggio del resto dello stormo fece impennare il fumo, creando un pennacchio che risaliva il cielo, giungendosi alle nubi.

Inghilterra scagliò un braccio verso l’alto. Solo la mano fuoriuscì dal fumo. Le dita si contrassero, tremarono in punta, avvolte dai ciuffi grigi che si squagliavano come sottile fumo d’incenso. Spalancò la mano. Rombi in lontananza sfrecciarono verso di lui. Dietro la sagoma del palmo aperto, sopra la raggiera di dita divaricate, comparve un secondo squadrone di Spitfire.

Inghilterra gettò la mano in avanti, tese le dita verso Germania, e lanciò lo stormo.

Il getto d’aria dato dal passaggio dei caccia abbassò il fumo che si squagliò fino ai piedi di Inghilterra, liberandolo completamente dal vortice. Inghilterra guardò in alto, verso l’ombra dei suoi Spitfire. Si morse il labbro inferiore, trattenendo ancora il respiro per non inalare i gas. Gli occhi socchiusi, le sopracciglia corrugate.

Concentrati, Inghilterra.

Mosse un piede, scavalcò gli ultimi residui di fumo e prese a correre sospeso nel vuoto. Il braccio alto verso gli aerei sembrava tenere il filo di un aquilone. Inghilterra corse e si portò dietro il volo dello stormo.

Concentrati!

 

.

 

Germania impennò gli occhi al cielo. Si ritrovò addosso le immagini degli Spitfire che uscivano dalle nuvole, i suoni più limpidi e scroscianti dei motori che trafiggevano l’aria, i musi sempre più vicini, le ombre roteanti delle eliche e il buio che le aperture alari trascinavano dietro di loro. Germania chiuse e riaprì il pugno. Le scosse di energia raggiunsero il suo squadrone, sentì l’aria vibrare sopra di lui, scuotergli i capelli ed entrargli nel colletto della giacca. Con il braccio perpendicolare all’asse del cielo e il muscolo della spalla che si stava intorpidendo, Germania piroettò portandosi dietro il vorticare del suo squadrone.

Una botta di calore gli travolse la schiena. Davanti a lui, vide le nuvole brillare di giallo, e il fumo farsi più denso, gli odori più acri e pungenti. Ruotò all’indietro la coda dell’occhio senza smettere di correre. Inghilterra correva dietro di lui. I piedi sguazzanti nel vuoto rimestavano gli ultimi sbuffi di fumo sciolti dall’esplosione sopra le loro teste. Germania agitò le dita, concentrò le energie sui polpacci, poi giù fino ai piedi, e accelerò la corsa.

 

.

 

Inghilterra guardò in basso, le suole delle scarpe sparpagliavano il fumo che era scivolato dal cielo e si era raggrumato fra le nuvole, arrivandogli alle caviglie. Compì una falcata più ampia, calciò via un ricciolo di fumo grigio, e scoprì una curva del Tamigi. Nella rientranza del fiume era sbocciato un fiore di fuoco. La macchia dell’esplosione si allargò, inglobò parte della strada e degli edifici, per poi scurirsi lasciando un grosso cratere nero.

Il ronzio dei caccia sopra di lui gli fece sollevare gli occhi. L’eco dell’esplosione si era appena spento.

La schiena di Germania davanti a lui si stava allontanando. Inghilterra sentiva i polmoni bruciare, i muscoli dei polpacci e delle cosce farsi duri come pietre, il fiatone che irritava la gola e il naso. Una fitta al fianco lo fece rallentare. Inghilterra strinse i denti, scacciò via le vertigini e allungò un piede a passo di cervo, spiccando un balzo più ampio verso Germania. Sopra di lui, un rombo fece accelerare anche lo stormo degli Spitfire.

Inghilterra socchiuse la bocca per riprendere fiato. Due rivoli di sudore gli bagnarono la tempia, scesero fino alla guancia e gli entrarono tra le labbra.

Devo... sparargli...

La mano era alzata verso il cielo da troppo tempo, stava perdendo sensibilità ed era diventata fredda e grigia. Tutto il sangue era sceso verso la spalla.

Inghilterra piegò il polso, gettò le punte delle dita in avanti, tese. Un forte formicolio ai polpastrelli gli scaldò la pelle. Inghilterra chiuse il pugno pizzicante e attese il frastuono delle mitragliate.

Germania compì una giravolta. Ora Inghilterra gli vedeva il fianco, il braccio impennato verso i suoi aerei gli teneva il viso coperto. Inghilterra riusciva a scorgere solo la luce gelida e scintillante di un occhio, dietro il suo gomito, e la leggerissima smorfia che gli teneva storte le labbra.

Inghilterra spalancò gli occhi davanti a quel gesto improvviso, ma non smise di correre nel cielo. La mano ancora serrata a pugno.

Ma che sta...

Germania guardò in basso, immobile sotto l’ombra delle nuvole. Tolse il braccio libero dal fianco, aprì il palmo e indirizzò le dite unite e tese verso il basso. Piegò il gomito richiamandolo alla pancia. Flesse il polso e chiuse le dita verso il palmo.

Lampi verdi e gialli sfrecciarono verso l’alto tracciando una parabola tra Germania e Inghilterra.

Il vento travolse Inghilterra, lo spinse all’indietro costringendolo a chiudere gli occhi.

Inghilterra riaprì le palpebre, impennò il naso al cielo e l’abbaglio dei Messerschmitt volati incontro ai suoi Spitfire lo centrò come un pugno in fronte.

I Messerschmitt appena arrivati passarono davanti alla sagoma del sole, la loro ombra oscurò per metà il volto di Inghilterra.

Inghilterra socchiuse la bocca. “Cosa?”

Le ali del Messerschmitt in punta che veniva dal basso brillarono. Scoppi a ripetizione trafissero l’aria come tante schegge luminose mirando le parti scoperte degli Spitfire.

La raffica di spari penetrò nei corpi dei caccia inglesi. Scie composte da fori ovali si aprirono lungo la fusoliera, attraversarono le ali e le cabine di pilotaggio degli aerei. Il rombo del loro volo divenne più ottuso e pesante, le eliche diminuirono la velocità. Gli spari cessarono, i caccia inglesi inclinarono la traiettoria di volo, fumo nero e rovente cominciò a uscire dai buchi degli spari. Uno scoppio inglobò l’intero squadrone. Il fuoco si espanse a macchia d’olio, assorbì gli aerei e avvolse il cielo come un tappeto di fiamme.

La luce dell’esplosione gli fece splendere il viso laccato di sudore e spolverato di fumo. Inghilterra strizzò le palpebre, serrò la mandibola facendo stridere i denti.

Sentì il cuore spaccarsi in due.

Trattenne il fiato, il petto pesante e dolorante, e si strinse il pettorale sinistro con le dita tremanti.

Qualcos’altro esplose sotto di lui. Sentì il calore scottare sui piedi, risalire le gambe fino alla vita. Un altro tuffo al cuore gli aprì un vuoto nello stomaco. Le costole gli fecero male, un peso di ferro gravava sullo sterno, mozzandogli il fiato.

Un unico battito cardiaco colpì le costole. Inghilterra arpionò la maglia fino a sentire le unghie graffiare il petto. Strinse i denti, deglutì un boccone amaro, e rimase fermo, con le spalle piegate in avanti e le ginocchia traballanti.

Altre esplosioni tuonarono tra le nuvole, scossero l’aria vibrando fino alle orecchie.

Inghilterra socchiuse un occhio, attratto dal calore che si era sprigionato a ondate sopra di lui. Scintille bianche accompagnarono lo scoppio dei detriti metallici che volarono via come una pioggia di ferro. Un frammento infuocato schizzò fuori dalla nube di fuoco e fiamme, tracciò dietro di sé una scia nera e sfrecciò di fianco a Inghilterra. Gli passò vicino all’orecchio, scosse una ciocca di capelli e piovve verso Londra. Gli lasciò la guancia calda e rossa.

Inghilterra prese avide boccate di quell’aria che bruciava e scottava le pareti della gola. Si riempì i polmoni di un intenso odore di fumo e di benzina. Le spalle ancora gobbe, la schiena flessa ad arco, le ginocchia tremanti e le gambe deboli. Inghilterra sgranò l’occhio. La pupilla assorbì l’immagine della nube di fumo che si gonfiava e rantolava davanti al cielo plumbeo.

Una scintilla bianca bucò la nuvola. L’elica del Messerschmitt Bf109 rimestò le spire di fumo che scivolarono lungo il corpo del caccia. Il muso a punta si inclinò verso il basso, le ali spalancate affettarono i fumi. Il caccia puntava Inghilterra, fermo sotto di lui.

La bocca si spalancò lentamente. Gli occhi sgranati, animati da una luce stravolta e tremante che gli faceva vibrare le pupille ristrette come capocchie di spillo, si contrassero sotto la curva delle sopracciglia che donò alla sua espressione una sfumatura perplessa e disperata.

Quando la raffica di spari partì, Inghilterra sentì prima l’intenso calore al petto, e poi il suono martellante degli scoppi nel cranio.

La tempesta di proiettili lo trafisse.

Inghilterra flesse le spalle all’indietro, mostrando il petto al cielo. Le braccia abbandonate sui fianchi, le mani divaricate, le dita contratte come tentassero di aggrapparsi al cielo.

Inghilterra trattenne un lamento tra i denti. I colpi al petto e alla pancia lo ingabbiarono in una spirale di dolore e di calore. Fu come essere trafitto da una pioggia di frecce infuocate. L’ombra dei capelli gli coprì la piega sofferente degli occhi nascosti sotto le ciocche sventolanti. Il viso scuro, il capo ribaltato all’indietro. Il corpo di Inghilterra era una figura nera davanti al cielo di fuoco che abbagliava le nuvole.

Le ginocchia cedettero.

Il peso sulle gambe si aggravò, premendo come due chiodi piantati nell’osso delle rotule. Le gambe si flessero, resistettero per un secondo, e si piegarono del tutto, sbattendo sulla barriera nel vuoto.

Inghilterra chinò il capo tra le spalle. I capelli arruffati rimasero davanti agli occhi, a sfiorare la punta del naso. La bocca aperta risucchiava e soffiava intense e avide alitate di aria e fumo. Nuvolette di fiato vorticarono attorno al viso, gli circondarono le spalle come una sciarpa di nebbia.

Inghilterra osò socchiudere le palpebre.

Oltre le scintille date dai capogiri, volteggianti come le lucciole del lago fatato, altre luci argentate si fecero spazio tra i vapori delle esplosioni.

Quattro scintille davanti a lui. Quattro ronzii in avvicinamento, come il volo di uno sciame di calabroni. Quattro Messerschmitt gli stavano venendo addosso.

Inghilterra sospirò, trattenne il fiato bollente nel petto. Il cuore bruciava di frustrazione. Richiuse gli occhi, una smorfia di rabbia gli piegò le labbra verso il basso, rabbuiando il volto, e aspettò. Non poteva fare altro.

La raffica lo colpì sui fianchi. Spire di fuoco turbinarono attorno al suo corpo piegato, messo in ginocchio sotto le ombre dei caccia tedeschi.

Il dolore al petto non resse.

Inghilterra tolse le mani dai fianchi, aprì le dita e batté i palmi contro il vuoto sotto di lui, chinandosi gattoni. Piegò i gomiti quasi a sfiorare terra con la fronte, come faceva Giappone quando doveva chiedere perdono.

Inghilterra socchiuse i denti. Una nube di fumo rovente, rabbioso, sbuffò dalle labbra. Inghilterra tuffò una mano tra le fiamme e i fumi, rimestò le dita mescolando l’aria sopra di lui, in cerca di uno spiraglio fresco e pulito in cui respirare.

Flesse il braccio di lato aprendo il fuoco attorno a sé come si fa con una tenda. Inghilterra gettò la mano di lato e la tenne aperta, sollevata davanti alla bocca per filtrare l’aria intossicata con le dita.

Una sagoma nera si ingrandì davanti a lui, facendosi più nitida e delineata dietro le luci delle fiamme.

Il respiro di Inghilterra accelerò. Il fiato pesante che usciva dalla bocca batteva sul fianco della mano tesa davanti al viso. Inghilterra sbatté le palpebre, brucianti e pesanti di fumo, unte di sudore e scure sotto la polvere delle esplosioni. Tremava, non riusciva a muoversi.

Germania fece un passo avanti, uscì dalla barriera di fuoco portandosi davanti a Inghilterra. La sua ombra lo investì, seppellendolo nel buio. Le fiamme che ondeggiavano, ruggendo attorno a lui, gli coloravano le guance di arancio, facevano brillare gli occhi come una fiamma riflessa su due cubetti di ghiaccio. Una lingua di fuoco si inclinò, gli sfiorò il fianco. Una lama di luce tagliò in diagonale la croce di ferro puntata al petto, trapassandola da braccio a braccio. Germania restrinse le palpebre, le fini estremità delle sopracciglia si unirono alla base del naso, infossando sottili e profonde pieghe nella fronte scura e aggrottata. Le labbra piatte e ferme. Espressione di pietra rivolta verso il basso.

Incrociò lo sguardo di Inghilterra.   

Gli occhi di Inghilterra tremavano con tutto il suo corpo. Il braccio paralizzato davanti alla bocca socchiusa, le palpebre spalancate, nere e infossate nelle orbite, i capelli sparpagliati sulla fronte, le ciocche incollate al viso, il fumo vorticante attorno al collo e al viso.

Gli vibrarono le labbra.

Scappa.

I muscoli pietrificati, le ossa ingessate. Inghilterra raccolse le energie sulla spalla, una scarica pulsò lungo l’avambraccio, lo scosse, ma il braccio tornò immobile.

Muoviti, Inghilterra. Scappa via.

Rigagnoli di sudore scesero lungo il collo. Erano ghiacciati.

Le ginocchia incominciarono a far male. Tremavano, premute nello spazio vuoto.

Inghilterra contrasse le gambe e stette immobile come una statua.

Muovetevi, gambe!

Profondi e intensi formicolii partirono dai fianchi, attraversarono le cosce, le ginocchia, i polpacci fino ai piedi, bruciando come bracieri infilati nelle scarpe. Ma le gambe erano ferme.

Germania fece un altro passo avanti. Del fumo turbinò attorno allo stivale, raggiungendo il ginocchio.

La mandibola di Inghilterra cadde ancora più in basso. Dalla bocca non passava più un filo d’aria.

Vi prego!

Il corpo non rispondeva al grido della sua testa.

Germania sfilò un braccio da dietro la schiena. Flesse leggermente il gomito verso l’esterno, tenne il fianco della mano piatto e teso davanti al petto, tirando il cavo d’acciaio che spariva inghiottito dalle fiamme. Le dita si mossero.

Quel piccolo gesto trafisse i pensieri di Inghilterra come un dardo di fuoco.

Un’ondata di panico lo investì come un’altra esplosione di fuoco.

La voce nella sua testa divenne più bassa e flebile, il tono rassegnato.

Muovetevi.

Un battito d’ali mosse l’aria vicino alla tempia sinistra. Piccole mani si aggrapparono a una ciocca di capelli, labbra fini si schiusero vicino al lobo dell’orecchio.

Una voce acuta e sottile gli esplose nel timpano. “Correre!

Inghilterra spalancò d’istinto l’occhio sinistro, scansandosi dal grido della fatina.

Non pensò a niente.

Una scossa gli morse la base del collo. Inghilterra si voltò di scatto, inciampò, cadde di petto, fece leva sui gomiti, sulle ginocchia, e tornò in piedi.

Strinse i pugni e riprese a correre, via dai suoni delle esplosioni e dagli spari, lontano dal fumo, lontano da Germania.

 

.

 

Il fiatone usciva a dense e fitte nuvole bollenti che volteggiavano attorno al collo squagliandosi in due scie parallele, come i lembi di una sciarpa mossa dal vento. Inghilterra agitava le braccia lungo i fianchi, i gomiti piegati e i pugni chiusi, per bilanciare la corsa. I piedi premevano nel vuoto, la pressione spingeva sulle ginocchia, sui polpacci brucianti, e lo slanciava in avanti, attraverso i cieli di Londra.

Inghilterra gettò un rapido sguardo dietro la spalla, squadrando l’immagine di Germania che gli correva dietro. Era vicino. Sentiva lo sfrecciare degli aerei che si rincorrevano sopra le loro teste, i getti d’aria che li sbandavano di lato, e il frastuono degli spari che scoppiavano dietro le orecchie.

Inghilterra strinse i denti. Ignorò la fitta alla milza, il sudore grondante che gli bruciava le palpebre e il dolore ai piedi. Storse le sopracciglia in una nota di disapprovazione.

Merda. In quanto a velocità e a forma fisica...

Distolse gli occhi da Germania e continuò a correre. Le gambe e i piedi si fecero ancora più pesanti. Era come correre attraverso una distesa di sabbia che arrivava alle caviglie.

Inghilterra aggrottò le sopracciglia. Lui mi è superiore.

Sotto di loro, nelle strade, ai lati delle acque del Tamigi, in mezzo agli edifici, Londra si riempiva di crateri fumanti. Uno strato di polvere e cenere aleggiava sopra le luci delle esplosioni, più simili a lampi che si contorcevano dietro le nubi nere di un temporale.

Le mitragliate dei caccia continuarono a trafiggere il cielo, a schizzare sui fianchi, sopra la testa, tra le gambe, vicino alle orecchie. Brividi di paura salivano lungo la spina dorsale, arrivando alla base della nuca.

Inghilterra piegò il braccio, sollevò la mano al cielo, le dita già divaricate.

Innalzò gli occhi, in cerca delle ombre dei suoi caccia.

Schioccò mentalmente la lingua fra i denti. Se solo mi fossi allenato di più...

Raschiò una bracciata d’aria, avvitò il busto, allungò anche l’altro braccio davanti a sé e spalancò le mani, come a pararsi da un colpo. I piedi scivolarono da terra, il busto si incurvò leggermente di lato come quello di un portiere che frena il tiro della palla da calcio.

I suoi caccia inclinarono le ali, seguirono il moto della parabola e compirono un’inversione a U. I musi degli Spitfire puntarono i Messerschmitt inseguitori. Le luci si fronteggiarono per poi esplodere in un unico boato di fuoco. La nube di fumo coprì il cielo, inghiottì la corsa di Germania, facendolo sparire nella coltre.

Inghilterra posò il fianco della mano sulla fronte, si fece ombra restando con gli occhi alti verso l’esplosione.

Un primo, debole sorriso affaticato gli curvò le labbra. “Preso?” disse tra un affanno e l’altro.

Qualcosa scintillò tra gli sbuffi grigi. Uno, due, tre abbagli.

Inghilterra aggrottò la fronte senza togliere il fianco della mano dalle sopracciglia.

“Mhm?”

Gesticolò con la mano, piegando e raddrizzando il polso più volte di seguito. Indirizzò le energie dello squadrone lontano dalle nubi.

Fuori dal fumo, fuori dal fumo...

Corse all’indietro, saltellando sulle punte dei piedi. Gli occhi incollati alla sagoma nera che avanzava, ingrandendosi tra il fumo.

Un occhio di Inghilterra si spalancò, la luce viva e accesa nell’oscurità della paura. L’altro rimase a palpebra socchiusa; il sopracciglio piegato fino alla radice del naso.

Il cuore balzò in gola quando vide Germania correre fuori dal fumo con il braccio piegato di lato, in richiamo dei suoi caccia.

Veloce. Troppo veloce.

Inghilterra spalancò la bocca e seguì il volo dei caccia da combattimento che gli schizzarono sopra la testa.

Ma come ha fatto?

Lo schianto lo scaraventò all’indietro. I proiettili lo sollevarono da terra, lo spinsero in aria, di schiena, e di nuovo contro il vuoto. Prima di chiudere gli occhi per la troppa luce, Inghilterra vide Germania arretrare con il braccio davanti al viso per ripararsi dal fuoco.

Inghilterra rotolò di fianco, abbagliato dalla bomba di luce e fuoco che gli era scoppiata sulla schiena, sulle spalle, sulla pancia. Strinse le mani fra i capelli, reggendosi la nuca, e si toccò il petto con il mento.

Maledizione!

Gli spari si acquietarono.

Schiuse un occhio. Germania non si vedeva, era dietro il fuoco.

Inghilterra spinse con i gomiti sulla barriera di vuoto e scattò in avanti. I primi passi li fece da gobbo, i piedi si incrociarono e lui rimbalzò di lato. Non cadde. Le gambe andavano a fuoco, non smettevano di correre.

Cupole di fiamme e fumo si aprivano sotto i suoi piedi in corsa, come impronte rosse tra le strade di Londra.

Inghilterra sollevò un sopracciglio. Un’idea gli fece dimenticare la fatica.

Un momento...

Un’esplosione più feroce dalle altre aprì un vuoto d’aria dietro la sua schiena. Come colto da una sberla improvvisa, Inghilterra finì ribaltato a petto a terra, steso sui gomiti, con le gambe all’aria.

Scosse la testa, si liberò dal fumo tra i capelli, e si rimise in piedi.

Corse. Non smise di correre.

Io ho il vantaggio di giocare in casa. Guardò in basso. Conosco la zona e il territorio meglio di lui.

Oltre le nubi, dietro i tetti degli edifici più alti, ombre scure galleggiavano immobili.

Inghilterra rallentò la corsa. Allargò lentamente le palpebre, l’idea sempre più viva e nitida che gli sgranocchiava il cervello.

Potrei sempre...

“Inghilterra, attento!”

Senza mutare espressione, Inghilterra voltò la testa verso la voce della fatina.

I caccia tedeschi lo avevano inseguito.

Ne contò otto a occhio, tutti puntati contro di lui.

Il cuore gli cadde nello stomaco. “Merda,” disse con un filo di voce.

I caccia gli passarono attraverso, travolgendolo in una raffica assordante.

Inghilterra tolse un braccio dal capo e lo abbassò, cercando le energie del suo squadrone per portarlo in difesa.

For...

Gettò il braccio contratto verso l’alto.

... za!

Impennò entrambe le braccia, anche senza sentire i suoni in avvicinamento dei suoi aerei che non arrivavano, e aprì le mani al cielo. Solo allora si rese conto di stare ancora correndo.

Forza, forza, forza, forza, forza!

La sfrecciata dei Messerschmitt gli tagliò la strada. Inghilterra frenò la corsa piantando bruscamente i piedi a terra.

“Wah!”

Il secondo squadrone di caccia tedeschi, quelli frontali, lo teneva sottotiro. I musi dritti contro il suo corpo bloccato, le pale e le ali scintillanti come se gli stessero ghignando contro.

Inghilterra rimase immobile. Un sopracciglio aggrottato e uno sollevato.

Tenne il fiato nel petto, un groppo di saliva amara bloccato in gola, e gli occhi si riempirono delle immagini dei Messerschmitt alla carica contro di lui.

Le sue braccia erano basse. Le mani prive di energia.

I suoi aerei silenziosi, lontani da lui.  

   
 
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