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Autore: _Frame_    23/08/2015    4 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
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[On going: dicembre 1941]
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[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
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N.d.A.

Ci tengo a ringraziare pubblicamente IMmatura per la sua segnalazione de “Il Miele sul Bicchiere” alle storie scelte del sito. Di nuovo grazie infinite per l’enorme contributo e... incrociamo le dita! ^_^

 

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49. Assi nella Manica e L’ora della giustizia

 

 

La mano sollevata davanti al viso – dita rigide, nocche e unghie bianche per lo sforzo – nascondeva l’espressione di tensione dipinta sul volto di Inghilterra.

Un secondo ronzio proveniente dalle sue spalle si unì a quello dei Messerschmitt che gli stavano volando addosso come una pioggia di punte di frecce gialle e verdi. Inghilterra sollevò la testa di scatto, allontanando lo sguardo dallo stormo nemico.

Lo squadrone di Hurricane venuto dal basso compì una parabola sopra la sua testa, i caccia inclinarono i musi, disegnarono scie bianche a forma di arco, e calarono in picchiata contro gli aerei tedeschi. Gli Hurricane spararono per primi. Sfrecciarono davanti a Inghilterra aprendo una risacca d’aria protettiva che lo fece cadere all’indietro. I rumori delle mitragliate tagliarono l’aria, luci scoppiettanti si riflessero contro il metallo dei Messerschmitt e aprirono un lampo di luce tra le due formazioni.

Inghilterra capitombolò di schiena. Si rimise seduto con uno slancio e sollevò l’avambraccio per ripararsi il petto e la testa dal frastuono delle esplosioni. Socchiuse un occhio. I due squadroni di caccia si incrociarono facendo intrecciare le scie di proiettili come una fitta tela di fili luminosi.

L’ondata di spari proveniente da uno degli Hurricane perforò il fianco di un Messerschmitt che si era inclinato di lato per schivare un secondo caccia inglese. Sulla pancia dell’aereo tedesco si aprì una via di fori profondi e irregolari che raggiunse la base dell’ala. Il Messerschmitt rallentò il volo, non si assestò, continuando a ronzare con le ali perpendicolari al suolo. I fiotti di fumo che fuoriuscivano dal suo fianco aumentarono, divennero scuri, sbuffi più violenti racchiusero la base dell’ala sgranocchiata dai proiettili, sciolsero il metallo facendo fuoriuscire una fiammata che raggiunse l’elica vorticante. Il fuoco spezzò l’ala sciogliendo l’attaccatura come cera fusa. La bolla di fuoco ruggì e inghiottì l’intero caccia, facendolo esplodere in un boato.

L’ondata di calore spinse Inghilterra più indietro, facendogli abbassare le spalle. Inghilterra rimase appoggiato su un palmo solo, con il busto avvitato all’indietro e le spalle rivolte all’aria rovente dell’esplosione. Tuffò il viso nell’avambraccio e tossì tre volte, gola e narici bruciavano.

Si riprese subito. Voltò il capo con uno scatto e fissò il muro dell’esplosione che ardeva davanti a lui, separandolo da Germania.

Le fiamme ondeggiavano, alternavano ombre e luci deformate dalle fumate nere che si elevavano dal fuoco. Dietro la parete di fiamme, si sentivano gli spari e i ronzii dei caccia che continuavano a combattere e a inseguirsi nel cielo.

Un’ombra più alta e larga si aprì tra le luci delle fiamme. Rimase ferma, non mutava anche sotto il movimento ondeggiante del fuoco.

Inghilterra scattò in piedi. La scossa di allarme gli fece balzare il cuore in gola.

Un braccio tagliò una fiamma in due, la mano guantata avanzò, si aprì uno spazio nel muro di fuoco e si allungò verso Inghilterra. Il cavo d’acciaio legato al polso si tese, assumendo riflessi color oro e arancio sotto l’abbraccio delle fiamme. Germania piegò il gomito e si riparò il viso mentre passava attraverso l’incendio per avvicinarsi a Inghilterra. Reclinò il polso, agitò le dita.

Inghilterra udì il rombo dei caccia tornare forte e insistente sopra di loro, e si voltò, dando le spalle a Germania. Gli scagliò un’occhiata tagliente da sopra la spalla, lo sguardo scuro e serio.

Dai, seguimi!

Inghilterra corse via. Non appena vide che Germania lo stava inseguendo, accelerò la corsa e guardò la strada spianata del cielo davanti a lui, lasciandosi i fumi alle spalle.

Il suono ruzzolante della corsa di Germania divenne più forte di quello del volo dei caccia.

Inghilterra scoccò un’occhiata di lato, senza smettere di correre. Germania lo aveva già raggiunto e fiancheggiato. Voltò anche lui la guancia verso Inghilterra e restrinse le palpebre. Un ramo di fulmine si tese tra i due sguardi, schioccò come una scossa elettrica unendo gli abbagli emanati dai loro occhi.

Inghilterra non cedette lo sguardo cagnesco accentuato dal rossore della fatica e dal nero delle esplosioni che gli spalmava le guance e la fronte. Aprì una mano vicino alle labbra, risucchiò una boccata d’aria, e rigettò tutto il fiato che aveva nei polmoni.

“Ti stai godendo la corsa?”

Il viso di Germania restò impassibile come prima. Solo un rapido ammiccamento di un sopracciglio gli fece traballare una ruga della fronte.

Inghilterra ghignò. Sollevò le sopracciglia, gli lanciò un’occhiata di sfida tenendo la punta della lingua stretta tra i denti, e alzò la mano chiusa a pugno. Rizzò il dito medio e stese il sorrisetto fino alle orecchie.

L’espressione di Germania si spezzò. Piegò un angolo della bocca verso il basso, infossandolo nella guancia, la fronte divenne rossa, le sopracciglia corrugate fino alla radice del naso. Germania distolse lo sguardo e accelerò, superando la corsa di Inghilterra. Gli scuri sbuffi di fumo scivolavano via dai suoi piedi tracciando una scia grigia dietro la sua corsa.

Inghilterra assottigliò le palpebre. Socchiuse la bocca, sorridendo sotto l’ombra che gli era calata sul viso.

Bravo, così.

Seguì con lo sguardo la figura di Germania che si allontanava, coperto dall’ombra dei suoi caccia che ricomposero la formazione sopra di lui.

Il volto di Inghilterra tornò serio e concentrato di colpo.

Accelera e superami, pensò a denti stretti.

Un abbaglio improvviso si aprì tra le nuvole che maculavano il cielo davanti a loro due.

Inghilterra fece scattare le sopracciglia. La scintilla che aspettava.

Sollevò i piedi da terra, piantò i talloni nello spazio vuoto, e fece attrito sull’aria, frenando la corsa nel cielo. Germania decelerò. Rivolse uno sguardo insospettito dietro di sé, ma non smise di correre.

Inghilterra barcollò in avanti, ancora traballante sotto la frenata improvvisa, e spalancò nuovamente la mano di fianco alla bocca. Strizzò gli occhi, il suo urlo squarciò il cielo.

“Ti consiglio di guardarti davanti al naso!”

Germania spostò lo sguardo da dietro a davanti sé.

Si formò uno spazio tra le nuvole, i cumuli si divisero ritirandosi agli angoli del cielo come ad aprirgli la strada. Svelarono un ulteriore spazio bianco.

Germania spalancò gli occhi, allarmato e confuso.

Le nubi si ritirarono completamente e rivelarono la sagoma a siluro di uno dei palloni frenanti che galleggiavano nel cielo londinese.

Una folata di vento investì il dirigibile, la fune che lo teneva ancorato al suolo si tese, assecondò il suo movimento rotatorio che lo fece inclinare con il muso verso Germania. La luce passò sulla superficie della panciona, scorse sul fianco e arrivò fino alle quattro pinne della coda più assottigliata rispetto al muso.

Germania reclinò il collo all’indietro e impennò gli occhi al cielo, verso la punta del pallone. Lo sguardo rigido in tensione.

“Palloni frenanti?”

La doppia fila di Hurricane abbandonò i fianchi della formazione tedesca. Le ali si inclinarono, i caccia inglesi virarono, tracciarono una sequenza di scie bianche sui fianchi del dirigibile, e schizzarono verso l’esterno prima di toccare il rigonfiamento del pallone frenante. Lo squadrone di Messerschmitt chiuso dalle due file di Hurricane non virò in tempo.

Il caccia in punta passò sotto la pancia del dirigibile, la base dell’ala rimase incastrata nella fune che si arrampicava da terra, penetrando la pancia del pallone. Il Messerschmitt tirò la fune dietro il suo volo, il cavo si piegò assumendo una forma triangolare. C’erano due rigonfiamenti sulla fune. Uno sopra il caccia intrappolato e uno sotto. Il Messerschmitt diede l’ultima tirata e staccò la parte di fune racchiusa tra i due rigonfiamenti a sacca. I due paracadute si aprirono contemporaneamente uscendo dalle sacche, e si gonfiarono come cappelli di fungo. Raccolsero la risacca d’aria, trattennero il peso del Messerschmitt, e la fune ancora incastrata alla base dell’ala affettò il metallo come un coltello che divide un panetto di burro. L’aereo perse quota, si inclinò dalla parte dell’ala mancante, dove il fianco fumava, e precipitò a terra. Uno dei due Messerschmitt che lo avevano seguito durante il volo impennò il muso verso l’alto. Centrò il corpo del pallone frenante e lo forò, riavvolgendosi dentro il suo rigonfiamento lacerato e ingarbugliandosi come dentro a un lenzuolo. Precipitò anche quello, accompagnato dal dirigibile sgonfiato che rigurgitava la fumata nera.

Le gambe di Germania ricevettero il contraccolpo dell’aereo impigliato. I piedi ancora in corsa si incrociarono, sollevandosi da terra, un balzo strisciante lo fece precipitare sulle ginocchia, a palmi aperti contro la barriera invisibile, e le spalle chine verso Londra.

Rabbia, fatica e frustrazione contrassero il volto di Germania che strinse i pugni a terra.

Uno spostamento d’aria proveniente dall’alto gli fece sollevare un occhio ancora socchiuso sotto la piega del sopracciglio aggrottato.

L’immagine di Inghilterra spiccò un balzo, saltò davanti alla luce del sole, i raggi gli incorniciarono il corpo, e sollevò un pugno di fianco alla guancia. Il pugno mirava Germania.

Germania rotolò di fianco, scansandosi dal colpo.

Inghilterra completò la caduta a parabola e le nocche schioccarono contro il pavimento invisibile, sollevando onde concentriche d’aria che spostarono i sottili rimasugli del fumo. Inghilterra rimase chino, in ginocchio, con il braccio teso e il pugno ancora chiuso e tremante premuto sulla barriera sotto di lui. Da dietro l’ombra che i capelli scompigliati avevano calato sul viso, le labbra si piegarono in un ghigno affilato che gli fece risplendere i canini.

“Pensavi di avermeli distrutti tutti, eh?” disse, riferendosi ai palloni frenanti.

Inghilterra gettò lo sguardo verso Germania che era rotolato lontano da lui. Germania agitava i piedi incollati l’uno all’altro come stesse cercando di liberarsi da una corda invisibile che teneva congiunte le caviglie. Lo sguardo di sfida sfumato da una punta di lucido panico era rivolto a Inghilterra.

Inghilterra ricambiò l’espressione aggiungendoci un pizzico di strafottenza. “Ottimo.”

Anche lui rimase in ginocchio. Staccò il pugno che aveva mancato Germania dal suolo invisibile e spalancò la mano al cielo, come ad afferrare una nuvola sopra di lui.

I suoi Hurricane volarono come frecce davanti alla sagoma del palmo spalancato contro la luce opaca del sole.

Gli occhi di Inghilterra tornarono duri e freddi. “È ora che anche tu ti prenda qualche botta.”

Una voce cristallina esplose dietro il suo orecchio. “Bombardieri, Inghilterra!”

Inghilterra restò paralizzato in quella posa. Le sopracciglia ancora aggrottate, la bocca socchiusa, lievemente storta verso il basso, ma le palpebre spalancate.

Bombardieri.

Inghilterra parlò dopo qualche secondo. “Cosa?”

Si voltò di nuovo verso Germania, e quello che vide non gli piacque.

Germania non si era mosso, era ancora piegato sulle ginocchia, con i piedi intrecciati e le caviglie sovrapposte. Un braccio teso verso terra sosteneva il peso delle spalle, l’altro era aperto sul fianco, tagliava la linea del cielo in due.

Quattro aerei risalirono il cielo e si portarono dietro la sua figura, tre di loro sopra il braccio e uno sotto. Non erano Bf109, erano Bf162. Bombardieri diretti contro Inghilterra.

Germania restrinse le palpebre, l’occhio sempre fisso su Inghilterra; l’ombra creata dalle sopracciglia e dalle pieghe della fronte formò uno spazio scuro attorno all’occhio che fece risplendere l’intensa luce azzurra dell’iride.

Una seconda luce scintillò dietro di lui, vicino alla sua guancia. La sagoma metallica di uno dei bombardieri in avvicinamento.

Inghilterra roteò piano gli occhi verso l’alto, fino a che l’ombra dei bombardieri non gli ricoprì l’intera faccia come una maschera nera. La pupilla si restrinse, vibrò di paura.

“Che...”

Lo sfrecciare degli aerei sopra di lui si lasciò dietro dense scie bianche che tagliavano l’azzurro del cielo come artigliate. Luci metalliche perforarono le scie di fumo, si ingrandirono assumendo la forma tozza e allungata di una manciata di siluri.

Inghilterra non sentì il fischio delle bombe precipitare davanti a lui.

C’era silenzio. Un intenso silenzio interrotto solo dal profondo suono gutturale del suo battito cardiaco.

Tu-tum.

Una delle bombe passò davanti a un raggio di sole. La scintilla nacque sulla punta arrotondata, percorse il corpo a salsiccia, e raggiunse la coda divisa in quattro alettoni.

Tu-tum.

La pupilla assorbì l’immagine della bomba in picchiata. Una tremolante goccia di sudore scese dall’attaccatura dei capelli, il rivolo corse lungo la fronte, sulla guancia, e circondò la palpebra, vacillando come la luce dell’occhio.

Inghilterra era paralizzato.

L’urlo della fatina esplose nel cielo prima di qualsiasi bomba. “Corri!”

Le ombre dei siluri in caduta libera aumentarono, divennero sempre più grandi e vicine, i fischi sempre più intensi.

Inghilterra scalciò l’aria per tirarsi su. Inciampò sui gomiti, si diede una spinta allungando le braccia in avanti, fece aderenza nel vuoto con i palmi, spinse sulle punte dei piedi. Non si era ancora alzato del tutto che la prima esplosione alle sue spalle lo fece ricadere di pancia. Il fumo rotolò sopra la sua schiena, scivolò davanti a lui. Inghilterra scattò in avanti, trattenne il fiato per non aspirare gli odori di bruciato e di polvere da sparo, e strizzò gli occhi. Slancio sulle ginocchia. Le rotule emanarono una schioccante scarica di dolore che si propagò fino ai polpacci. Inghilterra allungò il braccio in avanti. I polpastrelli in tensione palpeggiarono gli avanzi di fumo.

Lo scoppio arrivò da davanti.

Il polso si piegò all’indietro, il braccio finì ribaltato sopra la spalla. Il botto lo sollevò da terra, premette sul petto, sullo stomaco, e lo scagliò verso il calore della prima esplosione dietro di lui.

La trappola di fuoco e fumo gli si chiuse attorno come una gabbia.

Inghilterra rivolse la faccia al cielo, ribaltando il capo all’indietro fino a toccarsi la schiena con la nuca. Spalancò la bocca risucchiando un avido boccone d’aria pungente e asfissiante.

Non...

Un’altra bomba esplose alla sua destra. Inghilterra sentì solo un lieve contraccolpo sul fianco e l’aria vibrare lungo tutto il corpo fin dentro le ossa.

Riesco...

Le labbra spalancate tremarono, secche e brucianti. Inghilterra si prese la gola con una mano, strinse sulla pelle.

A...

Altra esplosione.

Il vuoto d’aria aprì uno spiraglio di luce sopra di lui, facendo abbassare uno spicchio di fuoco. Inghilterra staccò la mano dal collo, piegò il gomito verso l’esterno e poggiò l’avambraccio sulla fronte. Socchiuse l’occhio, forzò la vista verso la luce che scintillava dentro lo spiraglio di cielo rosso. Scie bianche si estesero dietro il barlume color ferro.

La scintilla si ingrossò. Divenne grande fino a oscurarne totalmente l’angolo di cielo libero dai fumi. La luce assunse la forma di una bomba a siluro, le fiamme circostanti si piegarono sotto il suo passaggio e crearono un turbine di fuoco attorno alla punta. Lingue roventi fluirono lungo il corpo della bomba e si frastagliarono sulla coda, aprendosi a ventaglio.

Quella fu l’ultima cosa che Inghilterra vide prima di chiudere gli occhi, in attesa del colpo.

 

.

 

Tenne le braccia incrociate davanti al viso anche dopo l’esplosione, e iniziò a cadere all’indietro. Si sentì ribaltare a gambe all’aria, le spalle inarcuate rivolte verso terra.

La caduta continuava.

Spire di vento più freddo e limpido vorticarono attorno al suo corpo che precipitava verso Londra, l’aria fischiava nelle orecchie, entrava nei vestiti, sul collo, sulla faccia, aprendosi sotto il passaggio del suo corpo.

Sotto gli avambracci incrociati, il viso di Inghilterra era una contrazione di dolore.

Io sto...

Tolse un braccio, socchiuse le palpebre.

Il cielo annuvolato dalle esplosioni bitorzolute e gorgoglianti davanti a sé.

Inghilterra roteò un occhio verso il basso. L’attrito dell’aria gli bruciò il bulbo oculare e fece lacrimare la palpebra. Il paesaggio di Londra si stava avvicinando. I crateri fumanti che si aprivano tra le strade si fecero più nitidi, i confini tra i tetti delle case erano più delineati – si vedevano le tegole. Le acque del Tamigi erano più sfumate, frastagliate dalle ombre delle onde.

Un’ondata di panico fece precipitare Inghilterra ancora più in basso.

Sto cadendo?

Il flusso color caffelatte del Tamigi riempì la vista, il letto del fiume si era allargato ancora di più. Inghilterra riusciva a vedere ogni singola screpolatura bianca dentro lo scorrere dell’acqua turbinante.

Si irrigidì.

Prese una boccata di fiato e strizzò gli occhi, a denti sigillati.

Come cemento, pensò. Quando cadi in acqua da queste altezze è come schiantarsi sul cemento. Mi spiaccicherò come un insetto, sverrò e non riuscirò a risalire. Affogherò come un idiota che in centinaia di anni non ha ancora imparato a nuotare. L’acqua mi trascinerà verso il basso e...

Un violento rigetto di vento lo fece sbandare di lato.

Inghilterra spalancò le braccia sui fianchi, sbarrò gli occhi e trattenne il fiato dalla sorpresa. L’improvvisa ondata che lo sostenne dietro la schiena continuò a trascinarlo di lato, sempre più in alto, lontano dal terreno e dall’acqua.

Inghilterra mosse le dita spalancate contro la scia. Particelle dalla consistenza della sabbia si sbriciolarono sotto i polpastrelli, ed entrarono nelle unghie scricchiolando. Un morbido e fluido flusso di sabbia calda lo stava sostenendo nel cielo.

Inghilterra storse un sopracciglio. “Eh?” La bocca accennò un risolino perplesso.

Rotolò sul fianco, stando a spalle basse per mantenere l’equilibrio. Si piegò sulle ginocchia, strinse le mani attorno alla sabbia luminosa che continuava a tracciare la scia lungo il cielo, trasportandolo come lungo un tappeto volante. Sotto il tocco delle mani e delle ginocchia, la polvere si sfaldava, fluttuando attorno ai polsi e alle gambe, ma non lo lasciava cadere.

Il ronzio del frullare d’ali della fatina volò sopra la sua testa. “Tutto a posto?” gli chiese.

Inghilterra sbatté le palpebre tre volte, ancora intontito e stordito dalla paura di qualche istante prima. “Uh,” balbettò.

La fatina alzò le braccia e raschiò l’aria con un movimento delle manine. “Reggiti forte. Si risale!” Guidò il movimento delle braccia verso l’alto come a disegnare un doppio arco con i palmi.

Diresse il volo di uno dei caccia inglesi sotto la scia di polvere, lo Spitfire si portò sotto Inghilterra e impennò il muso verso l’alto, dando un’accelerata ai motori.

La scia di polvere compì una parabola seguendo lo sfrecciare dello Spitfire e trainò Inghilterra verso il cielo.

“Ma come hai fatto?” chiese Inghilterra. “Non pensavo potessimo...”

La fatina volò di fianco alla sua guancia. Capelli e abito al vento, la polvere magica vorticava attorno alle ali. La piccola sorrise. “Solo perché non possiamo usare la magia contro Germania, dato che non ci crede, a differenza di Norvegia, non significa che non possiamo usarla su di te.” Gli fece l’occhiolino. “Sei pur sempre il padrone di casa.”

Inghilterra strinse d’istinto le dita attorno alla polvere che lo trascinava verso l’alto, si tenne aggrappato con i pugni come facendosi trasportare da una doppia coppia di funi. Sotto di lui, lo Spitfire continuava il suo volo, trainandolo di nuovo verso il campo di battaglia.

Inghilterra sorrise alla fatina. Prese un respiro inorgoglito e gettò un’occhiata di sfida verso l’alto. “Ah!”

La fatina restrinse le sopracciglia, il visetto si tinse di un’aria agguerrita. “Cerca di buttarlo fuori il prima possibile, o Londra non ce la farà. Le fiamme hanno già raggiunto Westminster, Fleet Street e Buckingham Palace.”

Inghilterra annuì, anche lui si fece scuro in viso.

Il volo accelerò.

Cinque figure nere contro il cielo di Londra lo aspettavano, immobili tra le nuvole.

 

.

 

I palmi e le ginocchia di Belgio premevano sulla barriera invisibile che li teneva tutti e cinque sospesi nel cielo di Londra. Passò un sottile alito di vento e Belgio strinse d’istinto i pugni nel vuoto piegando le spalle in avanti, come per paura di cadere. L’aria calò, tornò piatta. Belgio gattonò di due passetti in avanti e si mise sopra la sagoma serpeggiante del Tamigi, racchiudendo la scia di acqua scura tra le due mani aperte.

Qualcosa scintillava in mezzo all’acqua. Un suono lungo e prolungato, simile a un ronzio, accompagnava il movimento della luce che si ingrandiva man mano che si avvicinava al cielo. Belgio tolse una mano, scoprì una scia di polvere luminosa che risaliva l’aria formando una parabola con la curva rivolta verso il basso.

Belgio continuò a guardare in basso. “Ragazzi, credo che...”

Una luce più grossa si gonfiò nel mezzo della scia di polvere. Aveva un colore lucido e metallico, formazioni più sottili e allungate nascevano dal corpo centrale a forma sferica.

Belgio sentì i passi di qualcuno avvicinarsi e si rimise in piedi, arretrando anche lei. Si ritrovò a guardare in basso vicino a Francia, anche lui con gli occhi fissi e attenti verso la sagoma in avvicinamento.

Francia corrugò un sopracciglio, fece un passo avanti e chinò le spalle. “Ma quello è...”

La sagoma dai riflessi metallici assunse le forme di un caccia in volo diretto verso di loro. Una spessa scia di fumo bianco si apriva dalla punta della coda e segnava la traiettoria dietro di lui.

Anche Danimarca camminò verso la figura in avvicinamento, ma rimase alle spalle di Belgio.

Lo Spitfire sfrecciò in mezzo a loro. La zaffata d’aria li fece arretrare tutti quanti e li costrinse a chiudere gli occhi, stando con le braccia davanti al viso, mentre i capelli sventolavano tra le labbra.

Il ronzio dell’aereo si dissolse, affievolendosi fino a diventare un sibilo lontano.

Quando i cinque riaprirono gli occhi, videro Inghilterra precipitare davanti a loro e piombare a terra dando un colpo sul fianco. I fumi dello Spitfire lo avvolgevano come uno strato di nebbia.

Inghilterra stette accovacciato sulle ginocchia, piegò le spalle tenendosi la pancia e cacciò due rauchi colpi di tosse. Sputò una nuvoletta di polvere grigia che gli volteggiò attorno al collo come vapore. Finì di tossire e prese a respirare a grossi affanni, a occhi strizzati e bocca aperta. Gli tremavano le braccia, i gomiti piegati verso l’esterno facevano fatica a reggere il suo peso completamente scaricato sui palmi.

Belgio lanciò un’occhiata sconvolta a Francia, socchiuse la bocca come per chiedere spiegazioni ma stette in silenzio. Anche Francia aveva le labbra aperte per lo stupore. Gli occhi spalancati immobili sulla figura di Inghilterra piegato gattoni a pochi passi da loro, con il fumo che ancora gli volteggiava attorno al corpo.

Inghilterra strinse i pugni, fece digrignare i denti. La schiena inarcata tremava come una foglia. Caricò tutto il peso sulle braccia piegate e si diede uno slancio all’indietro, rimettendosi in piedi con un colpo solo. Nello sforzo rigettò un altro sbuffo di fumo dalla bocca. Un affanno accompagnò la fuoriuscita della polvere. Inghilterra barcollò di due passi incrociati all’indietro, traballò sul posto, e si portò l’avambraccio davanti al viso, a ripulirsi le labbra con una strofinata della manica.

Inghilterra guardò oltre le cinque figure che avevano osservato il suo volo verso l’alto. Danimarca e Norvegia erano i più distanti. Dietro le loro spalle, i fumi brontolanti della battaglia aerea precedente si contorcevano mescolandosi tra di loro come le nubi nere di un temporale.

Inghilterra diede un’altra strofinata alla bocca e tenne l’avambraccio davanti al viso. “Dov’è Germania?” disse tra i denti.

I primi ronzii comparvero dietro i rotoli di fumo.   

Il fumo si divise creando un vortice attorno alla figura centrale che cresceva e si alzava man mano che il turbine si allargava. Nel cielo alle spalle della sagoma, i caccia tedeschi si unirono in formazione, accelerarono aumentando l’acuto suono dei motori che macinavano, e perforarono le nubi mescolando i rigetti di fumo bianco con quelli di fumo nero.

Inghilterra smise di respirare. Sguardo attento, concentrato e agguerrito. Occhi lucidi di sfida. Focalizzò l’attenzione sulla figura centrale che assunse i lineamenti di Germania. Stava ancora correndo. Attorno a lui, il tornado di aria, fumo e polvere si allungò, assumendo la forma di un tunnel in allungamento verso Inghilterra.

Germania teneva il gomito piegato sul fianco, la mano aperta, con il palmo rivolto verso l’alto e le dita contratte come se stesse reggendo una sfera. Pulsazioni di energia colpivano l’aria dalle dita, facevano muovere il fumo attorno al braccio piegato. Era la mano che guidava i caccia.

Inghilterra inspirò una forte quantità d’aria dal naso, strinse i denti e sollevò la mano al cielo, richiamando i suoi aerei.

Corse.

Ignorò il dolore alle ginocchia, ai piedi, alle anche e alle costole, e corse incontro a Germania.

Si gettò dentro il tunnel di fumo nero, le spesse pareti a forma cilindrica ovattarono i suoni esterni, il rumore degli aerei, gli echi delle esplosioni, i fischi del vento. Inghilterra mosse le dita tese sopra la sua testa e squagliò un grumo di fumo dalla parete superiore del tunnel. Era umido e freddo come nebbia.

Più vicini.

Germania e Inghilterra incrociarono gli sguardi, tennero fissi gli occhi l’uno sull’altro. Le pupille di entrambi bruciavano, fiamme vive ardevano dentro le palpebre ristrette che facevano ombra ai visi.

Germania innalzò di poco la mano, inclinando il gomito verso l’esterno. Inghilterra gettò le punte delle dita verso il basso, come per raggiungere il gesto di Germania.

I boati si incrociarono sopra le loro teste.

I venti dello scontro spazzarono via il fumo sopra di loro. Il tunnel si squagliò, il nero aprì la visione del cielo londinese maculato dai caccia in volo che sfrecciavano gli uni contro gli altri. Gli squadroni riempivano il pallido azzurro del cielo.

Inghilterra e Germania erano due piccoli punti sotto lo sciame di aerei in collisione.

 

.

 

Respiro. Allungamento della gamba. Passo.

Il braccio di Inghilterra calò maggiormente davanti al suo viso. Inghilterra riusciva a scorgere i lenti movimenti fluttuanti della manica della giacca attorno al suo polso, le minuscole goccioline di sudore che lacrimavano dalla pelle e scivolavano tra le dita.

Inspira, espira.

Altra falcata. La mano tesa così vicino alla spalla di Germania, tanto che la luce emanata dalla croce di ferro si rifletteva sulla pelle di Inghilterra, lucida di sudore.

Inghilterra strinse i denti. Ultimo sforzo.

Germania gli sfrecciò sul fianco con la velocità dei caccia sopra le loro teste. La mano di Inghilterra gli sfiorò la spalla, lo mancò.

Inghilterra sbarrò gli occhi mentre perdeva di vista la fuga di Germania che scomparve alle sue spalle. Delusione e sconcerto gli fecero socchiudere le labbra, i rumori della battaglia tornarono vivi e scroscianti dentro le sue orecchie.

Germania piantò un piede a terra, frenò la corsa e si voltò di scatto.

Inghilterra era ancora di spalle.

Germania strinse la mano che era rimasta piegata verso il basso, e formò un pugno. Scattò in avanti. Uno scatto solo.

Inghilterra ebbe solo tempo di voltare il viso.

Il pugno gli spremette la guancia, le nocche fasciate dalla pelle del guanto spinsero sullo zigomo e gli ribaltarono il capo all’indietro, torcendogli il collo fino a fargli staccare i piedi da terra.

Inghilterra finì ribaltato a terra. Cadde di schiena, a braccia spalancate per attutire il ruzzolone. Scosse il capo. La guancia bruciava, la mascella e lo zigomo pulsavano, il dolore strisciava sulla faccia fino ad arrivare all’orecchio.

Inghilterra riaprì un occhio trattenendo un gemito di dolore.

Di nuovo la figura di Germania che si ingrandiva di corsa, e la sagoma del pugno nero sempre più grossa e vibrante stretta sul fianco. Lo stava caricando di nuovo.

Inghilterra sollevò un braccio da terra, senza rialzare le spalle, spalancò il palmo e tese la mano verso Germania. Il palmo assorbì il contraccolpo del pugno, le vibrazioni dell’attacco penetrarono nelle ossa del braccio e lo fecero tremare fino alla spalla. Inghilterra serrò subito le dita come una gabbia. Gli piantò le unghie nella pelle del guanto e trattenne la presa.

Germania non si mosse, chino su di lui, continuando a far leva sul pugno, spingendo contro il suo braccio.

I vortici tornarono a roteare attorno ai loro corpi, assumendo di nuovo la forma di un ciclone. Spirali si aprirono proprio dietro la schiena di Germania, turbinavano attorno al suo capo oscurandogli il volto di pietra incrinato dalla rabbia e dallo sforzo.

Inghilterra sentì già il braccio iniziare a cedere per la fatica, il muscolo farsi caldo e debole.

Piegò una gamba sollevandola da terra e rifilò una ginocchiata sullo stomaco di Germania.

Fu come colpire una lastra d’acciaio.

Inghilterra piegò verso il basso un angolo della bocca, un rivolo di sudore scivolò dalla fronte, bagnandogli la palpebra spalancata. L’espressione affogò nello sconcerto.

Non fa una piega.

Un altro braccio fasciato dall’uniforme tedesca calò su di lui. Inghilterra seguì con gli occhi il movimento della mano guantata che si stringeva sul bavero della sua giacca, del muscolo dell’avambraccio di Germania che si gonfiava, e del gomito che si piegava all’indietro.

Germania lo slanciò in aria, ribaltandolo dall’altra parte del campo.

Inghilterra agitò braccia e gambe some sperando di aggrapparsi all’aria. “Waah!”

Ricadde sbattendo sui reni. Un colpo da lasciarlo senza fiato. Inghilterra tossì due volte, aspirò una boccata d’aria e rotolò sul fianco, impennandosi sulle ginocchia. Si strofinò il viso, inspirò ed espirò contro la stoffa della manica, e tornò a gettarsi contro Germania. Il pugno già alzato davanti alla guancia.

Inghilterra fece un piccolo salto e gli sferrò il colpo sulla spalla, sopra il pettorale. Era di pietra. Germania reagì solo con un piccolo passo all’indietro.

Il pugno di Inghilterra, ancora incollato alla spalla di Germania, insistette rigirando le nocche contro l’osso.

Germania lo osservò sollevando un sopracciglio di scatto. Gli agguantò il polso con la mano destra e spinse la mano sinistra sull’osso del gomito, forzando la piega del braccio verso l’interno.

Inghilterra se ne rese conto e sentì lo stomaco cadergli ai piedi. La pressione e il dolore sul braccio si fecero più intensi e brucianti. Germania voleva spezzargli il gomito come un grissino.

Inghilterra sbiancò.

Cazzo, cazzo, cazzo, cazzo, cazzo!

Il dolore, e il suono delle ossa e delle giunture che iniziavano a scricchiolare lo risvegliarono.

Inghilterra caricò il peso sui piedi, saltò, e diede uno slancio alle gambe verso l’alto. Piegò la punta del piede e colpì la spalla di Germania con l’osso del tarso.

Germania strizzò gli occhi e lasciò andare la presa dal braccio di Inghilterra. Restò chino, con il capo leggermente abbassato .

Inghilterra si liberò. Riatterrò di lato a Germania, mostrandogli il fianco.

Due sfrecciate color ghiaccio lo inquadrarono non appena rimise piede a terra.

Germania piegò il gomito, torse il busto, si tenne fermo il pugno con la mano opposta, e gli spinse la gomitata in mezzo allo sterno.

Inghilterra rigettò un secco colpo di tosse in risposta, sentendosi mancare l’aria nei polmoni.

Germania fece schioccare la lingua tra i denti, secco, innervosito. Avrebbe voluto colpirlo allo stomaco.

Inghilterra scivolò all’indietro per il contraccolpo ma stette in piedi. Si piegò sulle ginocchia, le spalle chine in avanti, e ripartì.

Saltò e mirò il pugno dritto contro la faccia di Germania. Lo colpì poco più su dello zigomo, centrandogli la palpebra dell’occhio sinistro. Germania fece la smorfia di chi è appena stato punto da una zanzara. Sollevò la gamba da terra, caricò il colpo piegando il ginocchio, e lo slanciò sul fianco di Inghilterra.

Inghilterra si torse come un punto interrogativo. Questa volta, il rumore arrivò secco e schioccante come gusci di noce che vengono triturati sotto una pietra. Inghilterra ribaltò gli occhi al cielo. Dalla bocca aperta, contorta in una piega di sofferenza, fuoriuscì un rivolo di saliva schiumante.

Le costole, realizzò.

Germania riaprì la mano e lo tornò a colpire al petto, sopra lo sterno, per farlo cadere all’indietro.

Inghilterra si accasciò supino, braccia spalancate a terra, viso stravolto rischiarito dalla luce delle esplosioni sopra di loro.

Provò a respirare.

A ogni sospiro, i polmoni premevano contro le costole rotte e Inghilterra sentiva le schegge d’osso sfregiare sul tessuto spugnoso come un pugno di aghi spremuto sul suo petto, a togliergli il fiato. Sibili sofferenti uscivano dalle labbra socchiuse, un rivolo di sangue corse dall’angolo della bocca, attraversò la guancia, e sparì tra i capelli già impastati di sudore e polvere. Fece fatica a tenere aperto l’occhio destro. La palpebra si era gonfiata, nera e profonda attorno all’orbita, e gli offuscava la vista.

Germania si avvicinò camminando. Anche lui respirava a fatica, prendendo intense e rauche boccate affannose. I capelli erano spettinati, arruffati davanti alla fronte, e il viso madido di sudore.

Inghilterra roteò gli occhi verso l’alto. L’ombra di Germania si ingrandì fino a seppellire il suo corpo riverso a terra, immobile.

Inghilterra piegò le sopracciglia in un’espressione di dolore, quasi malinconica.

È inutile. Altri sibili rochi uscirono dalle sue labbra socchiuse. Il petto si alzava e si abbassava. La martellata di chiodi lo colpiva al fianco a ogni respiro. Nel corpo a corpo non posso batterlo.

Con un ultimo pesante respiro, Germania fece scattare il braccio di lato. Tese la mano, separò le dita e qualcosa luccicò tra le falangi. Un altro modellino.

Richiamato dall’energia, il caccia reale volò dietro di lui e il muso di vernice gialla comparve sopra il suo braccio. Le pale roteanti così veloci da essere invisibili.

Questo colpì Inghilterra come una scossa. Una pioggia di brividi si paura gli arrivò addosso come una secchiata di acqua gelata.

Inghilterra spalancò entrambe le palpebre, nonostante il dolore all’occhio sinistro.

“No!”

Non badò al dolore alle costole, a quello sul viso, a quello sul fianco o sullo sterno.

Ignorò tutto.

Incrociò le braccia al petto, aprì le mani, e due modellini gli scivolarono fuori dalle maniche, infilandosi tra le dita.

Inghilterra riaprì le braccia come per stendere un grosso lenzuolo, e scagliò le due miniature verso Germania. Volarono compiendo una parabola verso l’esterno, e il ronzio dei veri caccia li raggiunse, buttandosi contro quello tedesco.

Germania sollevò gli occhi verso le ombre degli aerei, incredulo.

Ma da dove...

Quando riabbassò gli occhi, Inghilterra era di schiena e stava correndo via. Zoppicava piegandosi sul fianco destro – quello colpito dal calcio alle costole – a ogni falcata. Andava verso le altre cinque nazioni che erano rimaste in disparte durante tutto lo scontro. Aveva ancora il pugno stretto contro qualcosa di scintillante che emanava bagliori metallici.

Ultima fatica.

Germania tornò a gettare il braccio davanti a lui, come stesse cercando di afferrare Inghilterra per un lembo della giacca. Quando l’ombra della mano ricoprì la sua schiena storta e gobba, la pioggia di proiettili forò le nuvole in una raffica di scintille sottili e lunghe.

Inghilterra piegò la schiena all’indietro, l’ondata di colpi lo scaraventò in avanti, come una rovente e violenta soffiata di vento africano.

Il pugno di Inghilterra si schiuse, le dita si divaricarono lasciando scivolare dalla mano l’aeroplanino scintillante.

Inghilterra era ancora sollevato da terra, con i piedi che rasentavano il suolo e le spalle gettate all’indietro. La piccola miniatura volò davanti a lui come avesse spiccato il decollo. Inghilterra tese il braccio, spalancò la mano, allungò le dita fino a farle diventare rigide e bianche. Il polpastrello del medio sfiorò la coda del caccia, l’unghia stridette sulla vernice e il modellino scivolò via dalla presa.

Inghilterra precipitò di petto e di mento, sbatté sul braccio piegato, con il gomito rivolto verso l’esterno.

Il piccolo aereo completò il volo, scese in picchiata e rotolò verso le altre cinque nazioni. Compì tre saltelli uno dopo l’altro, sbatté sull’ala, sul muso, sulla coda e si fermò immobile ai piedi di Belgio.

Il vento soffiò tra le gambe della ragazza, salì lento e delicato, scuotendole i capelli attorno al viso, sulle guance e sulla fronte. Gli occhi si inumidirono, tristi e impietositi, rivolti al corpo di Inghilterra inerme a terra.    

Inghilterra si mosse. Un lieve tremolio, come uno spasmo, gli scosse la schiena e le spalle. Spostò le braccia, le raccolse vicino al viso, tese i gomiti piegati all’esterno. Tremò di nuovo, il corpo si irrigidì. Raddrizzò gli avambracci e si tirò sui gomiti restando piegato sulle ginocchia. Il viso contratto dal dolore sotto l’ombra dei capelli, le guance rosse per lo sforzo, e la mascella stridente. Rigettò l’aria in un soffio e tornò a cadere di petto, sbattendo la faccia a terra. Di nuovo immobile e molle a terra come uno straccio da buttar via.

Belgio si portò la mano al petto, sospirò, avvilita e sconsolata. Sentiva tutto il dolore di Inghilterra riversarsi sul suo stesso corpo. Si piegò in avanti, raccolse l’aeroplanino, e fece un passo verso Inghilterra. L’espressione più ferma e decisa.

Una mano le trattenne la spalla. Belgio si voltò trovandosi di fronte al viso di Francia.

Lui scosse il capo. “No.” Continuò a tenerle la spalla con una presa decisa ma delicata. Lo sguardo severo ma sereno. “Non è un nostro alleato.”

Belgio sollevò le sopracciglia, quasi implorante. La mano che reggeva il modellino tremò, gli occhi della ragazza divennero ancora più umidi. “Ma...” Si guardò la mano vacillante che teneva il piccolo aereo scintillante. “Ma non è giusto.”

Francia allontanò lo sguardo, nascondendo gli occhi sotto l’ombra dei capelli. Anche le sue labbra tremarono. Belgio sentì la sua presa farsi più insicura ed esitante. Scoccò un’occhiata anche agli altri, come per ricevere aiuto, o un sostegno. Tutti erano voltati di lato. Gli sguardi nascosti nel buio si rifiutavano di posarsi su Inghilterra.

A passi lenti, affaticati, ma secchi e pesanti, Germania camminò vicino a Inghilterra. Il fiato che evaporava dalla bocca a ogni passo si condensava in spesse e fitte nuvolette grigie che restavano a galleggiare attorno alle spalle, seguendolo in una scia.

Inghilterra riprese a respirare dal naso e dalla bocca, rigettando il fiato nell’incavo del gomito piegato davanti al viso. L’altro braccio ancora riverso davanti a lui, la mano tesa verso il punto dove prima giaceva il modellino di aereo, come per raggiungerlo. Inghilterra schiuse una palpebra, ruotò l’occhio verso l’alto, verso Germania. Due rivoli di sudore e sangue grondarono dalla fronte e tracciarono una riga rossa che gli attraversò l’occhio come una cicatrice.

Germania si fermò. I piedi a pochi centimetri dal volto di Inghilterra. Inghilterra riusciva a sentire l’odore di cuoio emanato dagli stivali.

“Arrenditi, Inghilterra.” Germania restrinse le palpebre. Respirò affannosamente per tre volte. “È finita,” disse con voce più composta.

Inghilterra tornò a chiudere gli occhi. Voltò il viso, tuffandolo nell’incavo del gomito.

“Già. Finita.”

Gonfiò i muscoli tremanti e sudanti delle braccia e delle spalle. Strinse i denti con uno sforzo, ansimò, e fece leva sui palmi. Sollevò le spalle come se avesse avuto un macigno legato alla schiena. La piega delle sopracciglia in tensione, sotto sforzo, si rilassò. Inghilterra tornò a terra, senza energie. Il corpo accucciato come quello di un bambino appena nato.

Voltò di poco la testa, si videro solo le labbra. “Ma per me non ancora.”

Germania sollevò il mento. Il corpo rigido sulla difensiva.

Inghilterra si rivoltò all’indietro, scattò sulle ginocchia senza riuscire ad alzarsi in piedi.

Germania gli stampò la suola dello stivale sulla faccia, premette sul naso e sulla fronte, e sbatté Inghilterra a terra. Il piede gli colpì la testa, schiacciandogli la guancia, l’orecchio e la tempia. La suola scricchiolava sulla pelle di Inghilterra come stesse spremendo un mozzicone di sigaretta sulla strada.

Germania si chinò su di lui. Strinse la mano sul bavero e lo sollevò da terra come uno straccio bagnato preso dalla cesta del bucato.

Inghilterra si scosse di lato, penzolò a destra e a sinistra, agitò le gambe, non riuscì a liberarsi. Il viso stropicciato, le labbra arricciate e le palpebre strizzate. I pugni di Germania stretti sotto la sua gola premettero verso l’alto e lo costrinsero a sollevare il mento.

Germania corrugò le sopracciglia. La fronte aggrottata gli gettò un velo d’ombra sul viso. Gli occhi brillavano come due spilli di ghiaccio.

“È ora di chiudere quello che avevamo aperto mesi fa su suolo francese.”

Francia fece scattare un sopracciglio verso l’alto. La prima luce che gli ravvivò lo sguardo, ma nessuno la vide.

Inghilterra voltò la testa di lato, mugugnò, scalciò a vuoto, e agguantò i polsi di Germania. Le dita corsero fino alla presa che gli stringeva il bavero della giacca, fecero pressione tra le falangi, ma non successe nulla.

I fumi neri tornarono a volteggiare attorno al viso e al corpo di Germania, li avvolsero entrambi.

“Pensavi che portandomi qua avresti aumentato il mio svantaggio su un puro livello spaziale?”

Inghilterra emise due respiri più sofferti. Trattenne il fiato, a denti stretti. Graffiò le mani di Germania avvolte dai guanti, scavò sotto il cuoio in cerca dei polsi.

Germania contrasse le pieghe del volto. “Mi hai sempre guardato dall’alto in basso, rifiutandoti di cogliere i miei reali punti di forza e contrattaccare di conseguenza.” Gettò uno sguardo alle sue spalle. I fumi galleggianti attorno a loro provenivano dalle esplosioni che stavano incendiando Londra. “Farmi combattere a Londra,” disse con una punta di disprezzo, “non ha fatto altro che indebolire te stesso.”

Germania sollevò di più le braccia, le mani strinsero fino a far gemere la pelle dei guanti e innalzarono i piedi di Inghilterra di altri cinque centimetri dal suolo.

“Ti sei condannato da solo, Inghilterra.”

Inghilterra socchiuse la bocca. Altro sangue scivolò giù dalle labbra, rotolò verso il mento, mescolandosi alle gocce di sudore. Le labbra restarono socchiuse, immobili per qualche secondo.

Inghilterra singhiozzò. Gli angoli della bocca si capovolsero verso l’alto. “Eh, eh...”

La presa sui polsi di Germania strinse fino a penetrargli nelle ossa. Inghilterra sogghignò ancora. Spalancò la bocca e il suo corpo si scosse sotto la presa di Germania in una violenta risata.

Germania storse un sopracciglio, non mollò la presa, impassibile.

Inghilterra smise di ridere e riprese fiato con un risucchio.

“Io non ho perso un bel niente,” esclamò con voce ancora stridente per la risata. Ruotò gli occhi verso il basso. Questa volta fu lui a gettare un’occhiata di aspro disprezzo a Germania. “Mi credi cieco, forse?” Le dita strette sui polsi di Germania si serrarono come tenaglie. “Qui l’unico cieco sei tu che non ti sei accorto di niente fino ad adesso.”

Germania sbatté le palpebre. Le labbra piatte, gli occhi ristretti in una prima nota di allarme.

Inghilterra prese un respiro. Infilò le unghie sotto i guanti di Germania, scavò con le dita sotto i cavi d’acciaio e diede due forti strattoni.

I cavi si spezzarono con uno schiocco metallico che lasciò un sottile eco vibrante nell’aria.

Inghilterra afferrò un cavo per palmo, avvitò le mani e avvolse i fili di quattro giri attorno ai suoi polsi, come un insaccato.

Sollevò i piedi, li premette sul busto di Germania e si slanciò all’indietro, cadendo dalla sua presa.

Germania lo lasciò andare. Lo sguardo volò verso il basso, verso le sue stesse mani. Le tenne aperte davanti al viso, rigirò i palmi due volte, fissandosi i polsi nudi con sguardo incredulo.

“Cosa?” balbettò.

Inghilterra fece un passo all’indietro, ancora gobbo e zoppicante. Le braccia abbandonate sui fianchi, e i cavi argentati tesi all’indietro.

“Ho voluto apposta un combattimento così ravvicinato,” disse. Sollevò le braccia, mostrò a Germania i polsi stretti dai cavi che una volta pendevano dalle sue mani, e li tese, facendo vibrare la fibra d’acciaio. “Per questi.”

Sul volto di Germania tornò l’espressione rigida e austera. “Non possono avere effetto su di te.” La voce già tremante più del solito. Germania scosse la testa. “Finché il territorio è in mano mia –”

“E chi ha parlato di territorio?” sbottò Inghilterra. Abbassò le braccia. “Credi che una nazione sia composta da sola terra?” Accennò un sorriso, abbassò le palpebre, e indicò lo spazio alle sue spalle con un gesto del capo. “Quello che mi serve di loro...” La mano destra stesa sul fianco divenne più gonfia, la presa delle dita si ammorbidì. Inghilterra rivolse la mano a Germania e aprì il palmo. Un aereo brillava tra le dita. “È questo.”

Germania contrasse le pieghe della fronte. “Aerei?”

Inghilterra scosse il capo. “Non gli aerei,” avvicinò il modellino al viso e batté l’unghia sulla piccola cabina di pilotaggio, “ma quello che c’è dentro.”

Sentì i passi dei cinque farsi più vicini a lui, i cavi farsi più molli, tirare con meno violenza sui polsi.

Inghilterra prese un forte respiro nonostante il dolore alle costole che premeva sul petto.

“Piloti francesi, olandesi, belgi, danesi, norvegesi...” Riaprì gli occhi. “Tutti volontari che hanno deciso di combattere al mio fianco, rischiando la vita per la mia nazione.”

Inghilterra allargò di nuovo le braccia. I cavi d’argento si aprirono come raggi, giungendosi alle ombre dei cinque che si erano messi al suo fianco.

“Come vedi, la conquista forzata non porta a nulla di buono,” disse Inghilterra. “Prima o poi, ti ritroverai sempre a dover fare i conti con i tuoi stessi alleati.”

Il volto di Germania divenne nero. “Non puoi sostenere una battaglia ancora per molto.” Si premette una mano contro il petto. “Potrai avere i piloti, ma io ho disintegrato ogni tuo stabilimento e ogni tua fabbrica mentre eri impegnato a combattere su Londra.”

Inghilterra emise uno sbuffo e fece roteare gli occhi al cielo. Sguardo annoiato. “Ma per favore.” Altro sangue scese dalla fronte e dalle labbra. Le guance stavano tornando pallide di fatica. “Quelle basi che hai distrutto sono quelle che hai individuato dalle foto scattate al mio territorio durante i sorvoli aerei, no?” Un ghigno gli levò un angolo della bocca, infossandolo nella guancia. “Peccato che,” prese un respiro, deglutì, era ancora affaticato, “fino ad adesso ne ho sempre avute di nascoste.”

Aprì le mani, lasciò ciondolare le braccia. Manciate di aeroplanini piovvero giù dalle maniche, depositandosi ai suoi piedi con un acuto scroscio metallico.

Germania spalancò gli occhi. Le pupille ipnotizzate dalla cascata metallica.

“Ora ti è tutto chiaro, no?” disse Inghilterra. “Persino un idiota avrebbe realizzato che i conti non tornavano. Sfornavo aerei di continuo, nell’ombra, lasciando le altre basi come esche per i tuoi attacchi.” Stese il ghigno a tutta la bocca, fece brillare l’arcata dentale. “Si può dire che Inghilterra abbia avuto dei veri e propri...” Sollevò le braccia, incrociò i polsi. Ammiccò con un rapido movimento delle sopracciglia. “Assi nella Manica.”

Francia lo guardò storto e scosse la testa. “Ti meriteresti la sconfitta solo per questa battuta.”

Inghilterra ricambiò l’occhiataccia. Tornò serio di colpo e sollevò il mento a occhi chiusi. Il viso rivolto a Germania.

“Non avrei mai pensato di dirlo ma...” Riaprì gli occhi. Le pupille bruciavano di vita, nonostante la maschera di sangue che scendeva dalla fronte e gli circondava le palpebre. “Germania.”

Germania non rispose. Si limitò a fissarlo, con lo sguardo ancora smarrito.

Inghilterra elevò le braccia al cielo. I riflessi d’argento attraversarono i cavi in due intense scie d’argento, e gli raggiunsero i polsi. “Assaggia...” Stese il sorriso. Il petto gonfio di orgoglio. Inghilterra chiuse i pugni. “La forza della giustizia!”

Le ultime flotte aeree si sollevarono alle loro spalle.

 

 

 

.

 

N.d.A. (2)

Questi due ultimi capitoli sono stati stesi in maniera diversa dal solito. C’è molta azione e molto combattimento, e volevo fin da subito renderli al meglio possibile per quanto riguarda l’impatto visivo. Così li ho letteralmente disegnati. Non sapendo io nemmeno tenere in mano una matita, mi sono limitata a degli schizzi basilari usando degli omini stilizzati che semplicemente rappresentassero i gesti e i movimenti che volevo da quella scena. Ho diviso in vignette, gestito le inquadrature, il camera work, la tempistica... insomma, un vero e proprio storyboard, come se stessi disegnando un manga. Finito quello, ho scritto i capitoli semplicemente descrivendo una scena dopo l’altra, vignetta per vignetta, ovviamente farcendo con i dovuti dettagli che io non sono in grado di disegnare.

Ve l’ho rivelato alla fine perché non volevo in qualche modo influenzare il vostro primo impatto durante la lettura.

È stato faticoso, ma sicuramente divertentissimo! Mi piacerebbe molto conoscere le vostre opinioni riguardo questo metodo sperimentale. Grazie a tutti.  ^_^

   
 
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