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Autore: smilingcansave    17/08/2015    1 recensioni
Sapevo che stavo nascondendo a tutti una grande realtà, ma evidentemente non valeva la pena far conoscere a qualcuno i meandri più oscuri e nascosti di me, soprattutto perché quell'unica persona che un tempo era stata in grado di capire che c'era altro oltre a quell'impassibilità che mostro, è stata l'unica persona con cui non volevo più avere contatti.
Ma ora era tornato, dopo anni di silenzi, lui era qui.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Con la coda dell'occhio vedo il display del telefono illuminarsi e un nano secondo dopo sento la suoneria. Leggo il nome che è comparso sullo schermo e un accenno di fastidio mi pervade; mia madre sa quanto odio essere chiamata durante il mio orario di lavoro, tutti coloro che mi conoscono sono a conoscenza di questa mia regola.
Afferro svogliatamente il cellulare e scorro il dito sullo schermo per rispondere alla chiamata.

'Ciao mamma.'
'Ciao, Amber. Sono tre giorni che non mi chiami e ho pensato di sentire se avevi bisogno di qualcosa.''
'Sì, hai ragione, ma ultimamente sono molto presa dal lavoro.'
'E quando mai non lo sei?'

Touchè.

'Tra qualche giorno dovrò presentare la nuova collezione, ho preparato un evento importante e sto finendo di definire i dettagli.'

Resto amareggiata dal modo in cui cerco di giustificarmi, come se dovessi dare spiegazioni sul mio lavoro, non è da me.

'Sono sicura che andrà tutto bene, sei fin troppo maniaca quando si tratta del tuo lavoro e non ho dubbi sull'ennesimo tuo successo.'
'Non era quello che pensavi qualche tempo fa.'

Ho scagliato la mia freccia. Quella dei sensi di colpa. Quasi me ne pento, ma forse neanche troppo. Per qualche frazione di secondo sembra che dall'altro capo della linea non ci sia più nessuno, ma la risposta di mia madre non manca.

'Abbiamo affrontato più volte questo argomento, non mi sembra il caso di farlo ancora.'

Sono d'accordo e decido che la conversazione deve finire qui.

'Sì, credo sia meglio non farlo. Devo andare, appena ho un attimo vedrò di passare a salutare te...e Jacob.'
Jacob era l'uomo con cui mia madre conviveva da circa un anno. Non avevo un grande rapporto con lui, anzi, non ce l'avevo proprio. Le poche volte che ci siamo incontrati ha sempre tentato di stabilire un rapporto con me, questo non lo posso negare, ma ogni volta viene respinto dal mio muro di ghiaccio che erigo di fronte a tutti. Credo che con mia madre faccia sul serio e che voglia provare ad essere una figura paterna per me. Purtroppo però questo è un mio limite, non credo riuscirò mai a superarlo.

'D'accordo, a presto Amber, ti voglio bene.'
'Ciao mamma.'

Riattacco.
Appoggio il telefono e controllo l'ora. Quasi le nove. Spengo il portatile e lo infilo nella mia ventiquattrore, recupero i vari documenti sparsi sopra la mia scrivania e li riordino, infilandoli in una cartellina di carta che poi metto all'interno del primo cassetto, chiudendolo a chiave.
Controllo che sia tutto in ordine e mi alzo, dirigendomi poi verso la porta del mio ufficio. Quando esco vedo che Tyler, il mio responsabile della sicurezza, è fermo che mi aspetta. Mi saluta con un cenno e si unisce a me mentre percorro il corridoio verso l'ascensore. Mentre cammino si sente solo il rumore dei miei tacchi non appena toccano il pavimento, la mia mano libera sfiora i pantaloni, i miei capelli ricadono morbidi sulla mia giacca.

Nella hall della mia sede una delle mie segretarie sta lavorando al computer e appena mi vede si affretta ad alzarsi. L'aspetto autoritario conferitomi dal completo maschile che indosso la mette in soggezione, glielo si legge negli occhi. E' stata assunta da poco, ma già mi sta dimostrando grandi capacità.

'Ci sono novità Kimberly?'
'Sì, signorina Kellington. Ho ricevuto la telefonata una parte di Jesse Bryan, chiede un colloquio con lei. Dice anche di averle inviato un'email, ma voleva accertarsi che lei ne fosse al corrente.'

Jesse Bryan. Un colpo allo stomaco. Stringo di colpo i denti. Serro sempre di più il manico della mia valigetta tra le dita della mano, credo di essere in grado di distruggerlo, vista la forza con cui lo sto tenendo.
La mia voce interiore mi intima di mantenere il controllo e così faccio. Rimango impassibile e rispondo a Kimberly.

'Ho controllato la posta poco fa e ho già letto tutto quello che ho ricevuto oggi, ma niente di quello che ho letto è stato inviato dal signor Bryan.'
'A dire il vero il signor Bryan dice di averle scritto sulla sua casella di posta privata.'

Un brivido mi scorre lungo la schiena, ma non mi lascio prendere dalle emozioni neanche questa volta. Per quanto sia difficile. Il mio istinto di difesa mi dice di terminare qui e di andare a casa.

'Grazie Kimberly per avermi informata, ci vediamo domani.'

Molto sbrigativa, senza dubbio. Ma so per certo che la giovane segretaria non ne è rimasta stupita. Nonostante lavori nella mia azienda solo da poche settimane il mio atteggiamento nei confronti dei dipendenti le è già risultato chiaro, sempre freddo e a volte sbrigativo, proprio come adesso. Tendo a mantenere un certo distacco tra me e le persone che lavorano per me o con me, non sono propensa a nessun genere di legame, oltre a quello lavorativo.
Esco accompagnata da Tyler per raggiungere la mia auto. La apro e mi siedo subito nel posto dell'autista. La mia guardia del corpo non obietta sulla mia decisione, mi conosce da molto e sa bene che quando guido è perché c'è qualcosa che mi turba e guidare mi aiuta a mettere ordine nella mia mente.
Il cielo sopra Los Angeles è dipinto di nero e di sfumature blu, alcune stelle sono già visibili, per quanto poco si possa vederle; la loro luminosità è sovrastata dalla potenza delle luci urbane, dei fari delle macchina e delle illuminazioni domestiche che punteggiano ogni edificio. Ho sempre amato questa città, essere nata qui è stata la mia fortuna, per quanto sia caotica e piena di confusione, ha qualcosa che la rende unica e bellissima.
La strada che sto percorrendo non è molto trafficata, inizio a perdermi nei miei pensieri.
Domenica ci sarà la sfilata, mancano solo tre giorni. Ora c'è solo spazio per sistemare i dettagli, il lavoro è quasi del tutto concluso e domani ci sarà il mio controllo su ogni aspetto riguardante l'evento. Se penso al primo che ho organizzato mi rendo conto di quanti siano stati i miei cambiamenti e i miei progressi. All'inizio ero solamente una ragazzina di appena diciannove anni che forse giocava a fare la stilista, ma che stava facendo diventare il suo giochetto una soddisfazione personale. A distanza di otto anni le cose sono notevolmente cambiate, a partire dalla mia azienda che ho creato non appena mi fu conferito un premio in denaro di quasi duecentocinquantamila dollari. Non ero più una matricola della mia scuola per stilisti, non ero più quella lasciata in disparte o quella in cui nessuno credeva. Ricordo di aver partecipato ad ogni sfilata o concorso con tutta la rabbia che potessi avere e forse è stato proprio grazie a quella rabbia che sono arrivata al punto in cui sono ora. Non credo sia una coincidenza il fatto che una delle poche cose che non sono cambiate in me è proprio quell'aggressività che ho sempre riversato in tutti i miei lavori e che mi segue da sempre come un'ombra.

Nessuna delle persone che mi conoscono o collaborano con me sono a conoscenza di questo lato così aggressivo di me, così come nessuno è a conoscenza di tutti gli altri lati del mio carattere. Da anni non permettevo a nessuno di venire a conoscenza delle mie emozioni, sensazioni, stati d'animo. Per tutti ero la fredda Amber o la fredda datrice di lavoro, fredda e impassibile. Questo si diceva di me. Sapevo che stavo nascondendo a tutti una grande realtà, ma evidentemente non valeva la pena far conoscere a qualcuno i meandri più oscuri e nascosti di me, soprattutto perché quell'unica persona che un tempo era stata in grado di capire che c'era altro oltre a quell'impassibilità che mostro, è stata l'unica persona con cui non volevo più avere contatti.
Ma ora era tornato, dopo anni di silenzi, lui era qui. Non sono più la studentessa con dei sogni, ora sono il capo del mio sogno, un sogno che è riuscito a farmi fruttare molti milioni, che avrebbero fatto gola a molte persone.
Molte, ma non a lui. Non a Jesse Bryan.

Scendo dalla macchina e lascio le chiavi a Tyler, lascio che sia lui a portarla nel parcheggio del condominio in cui vivo. Ad attendermi di fianco alla porta di ingresso vedo Rick, un'altra delle mie guardie del corpo. Lui e altri dieci uomini mi seguivano in tutti i miei spostamenti, insieme a Tyler; in qualche modo mi davano sicurezza, come se volessi mantenere ancora di più il distacco dal resto del mondo.
Rick mi accompagna in casa, entro e saluto una delle mie governanti che mi avvisa che la cena è già pronta. Ringrazio, mi levo la giacca e mi dirigo verso la cucina. In tutta la casa ci sono membri del personale; il mio tempo a disposizione non è abbastanza per permettermi di pulire o cucinare, ogni mio sforzo è incentrato sul lavoro, ma i miei rendimenti mi rendono possibile avere chi mi sostituisce in casa.
Sto procrastinando, me ne rendo conto mentre con lentezza mangio quello che ho sul piatto. A dire il vero neanche faccio caso a quello che mangio. Il mio pensiero va al portatile chiuso nella mia valigetta, so che non potrò sfuggire da quella mail. Inizio a chiedermi cosa possa portare un ex compagno di corso ha rintracciarmi dopo così tanti anni.
Non avevo mantenuto i contatti con nessuno dei miei vecchi compagni, a dire il vero non avevo nessun genere di amici, se non Janet. E' la mia migliore amica fin da quando eravamo bambine, l'unica alla quale sono riuscita a raccontare le cose più brutte della mia vita, l'unica a conoscenza dell'abbandono di mio padre, l'unica a conoscenza delle mie insicurezze, l'unica a sapere del mio disturbo. Lei sapeva tutto. Lei...e Jesse.
Mi rendo conto che non pensare a lui è praticamente impossibile, mi alzo e decido di prendere il computer e aprire questa misteriosa email. Lascio perdere del tutto la cena, ora come ora, il mio corpo si rifiuta categoricamente di mangiare. Afferro il portatile dalla valigia e lo poggio sulle mie gambe mentre mi siedo sul divano di pelle nel mio salotto. Apro la posta elettronica e il mio stomaco viene stretto da una morsa, provocandomi un vuoto. Leggo il suo indirizzo email.

Non capisco il motivo di cosi tanta paura e ansia, forse vedo Bryan come una visita del passato, quel passato che da anni cercavo di eliminare, non essendo mai riuscita ad accettare. La vita per me era iniziata nel momento in cui avevo aperto la mia società, l'unica cosa che valesse davvero per me, il momento del mio riscatto era stato quello. Rileggere il suo nome nel mio computer voleva dire dovermi scontrare di nuovo con una parte della mia vita precedente che non ero sicura di poter reggere.
Dopo attimi di esitazione decido di aprire l'email.

Cara Amber,

so per certo che non ti saresti mai aspettata una mail da parte mia. Se sei rimasta quella di una volta allora sarai ancora rinchiusa tra le tue mura. Protetta da quei dieci bestioni che non mi hanno lasciato entrare nel tuo ufficio. Sono riuscito ad ottenere la tua email personale, ho voglia di rivederti e questo era l'unico modo per essere sicuro di avere una risposta, positiva o negativa che sia. Pensavo ci saremmo potuti vedere uno dei prossimi giorni. So benissimo di averti fatto del male sparendo senza dirti niente, ma dammi un'altra possibilità. Non te ne pentirai.

Un bacio,
Jesse.

Rimango a fissare inerme quelle parole, incapace di decidere cosa fare. Dopo qualche attimo di incertezza, sento una sensazione di rabbia invadere tutto il mio corpo, chiudo con violenza il portatile, lo lascio sul divano, mentre con altrettanta violenza mi alzo e inizio a girare in cerchio in mezzo al salotto.
Non volevo che questo succedesse, tutti, ma non lui.

Jesse era l'unica persona per cui avessi mai provato qualcosa, la mia felicità veniva da lui. Non stavamo insieme, non sapevo neanche cosa fossimo, ma fin da quando ci siamo conosciuti, otto anni fa,lui aveva sempre riconosciuto in me qualcosa di diverso e non aveva mai smesso di pensare che sarei diventata qualcuno.
'Farai strada più di chiunque altro qua dentro, Amber.' lo ripeteva in continuazione. Tutte le volte che sentivo il mondo crollarmi sotto i piedi e venivo assalita dalle mie paure più profonde, ogni volta lui era li per me. A lui avevo confessato che mio padre aveva abbandonato mia madre prima che io nascessi e il motivo era proprio la mia nascita. Non fu in grado di accettare le conseguenze di un suo gesto e preferì abbandonarmi. Jesse appena seppe di questo divenne la mia unica figura maschile di riferimento, disse che mi avrebbe protetta. Mi voleva bene come nessuno prima di quel momento e io avevo bisogno di quel bene.
Poi le nostre strade si divisero. Io vinsi il premio e riuscii ad aprire la mia attività e a farla funzionare. Jesse sparì. Senza dire niente a nessuno. Dopo la cerimonia dei diplomi lui mi fece i complimenti e mi lasciò una collana, la stessa collana che portava tutti i giorni lui. Ancora la tengo al collo, rappresenta un'ancora.

'Ricordati sempre, ovunque andrai, di essere l'ancora di te stessa e di contare su di te, ogni volta che ti sembra di crollare. Puoi fare tutto quello che vuoi finché ci credi.'

Erano le parole che mi aveva detto, le ultime. Non smisi mai di cercarlo e due anni dopo scoprii che aveva preso un volo per Londra subito dopo aver pronunciato quelle parole guardandomi negli occhi. L'ultima volta che decisi di sapere dove fosse, avevo scoperto che viveva negli Stati Uniti. Era tornato, ma non si era fatto sentire. Per me allora divenne un capitolo chiuso, era una ferita che avevo provato a rimarginare e ci ero riuscita. Ora a distanza di anni lui è di nuovo qui. E io non sono sicura di essere in grado di affrontare il suo ritorno. Rivolgo uno sguardo al computer chiuso e poggiato sul divano. Mi asciugo gli occhi, non mi ero accorta di essere sul punto di piangere. Scuoto la testa e lascio la stanza.

Lui non tornerà nella mia vita, non gli avrei permesso di farmi male ancora.

   
 
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