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Autore: WYWH    17/08/2015    2 recensioni
"What If" sugli avvenimenti di Furisode. E se Kojiro sopravvivesse all'incidente? Come si evolverebbe il rapporto tra di loro attraverso lo sguardo di chi gli sta attorno? Riuscirebbero a superare e ad andare avanti? Come?
“Riparare con l’oro”, il Kintsugi, è una pratica giapponese che consiste nell'utilizzare oro o argento liquido per la riparazione di oggetti in ceramica andati distrutti. Questo ne aumenta sia il valore economico che quello artistico, dato che la casualità con cui si rompe l’oggetto darà vita ad un oggetto unico.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danny Mellow/Takeshi Sawada, Kojiro Hyuga/Mark, Maki, Yayoi Aoba/Amy
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Oriente & Occidente'
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8: Endometriosi … la zia di lei

 

So perfettamente che io e mia nipote abbiamo un rapporto difficile.

Negl’ultimi anni, le sue scelte di vita hanno sempre incontrato il mio disappunto: la sua carriera sportiva, il suo comportamento per quanto riguardava la questione di Hamukai Jin, il suo fidanzamento e matrimonio con Hyuga Kojiro. A tutto questo sono sempre stata contraria, o quanto meno poco propensa ad accettarlo.

Personalmente, infatti, ho sempre considerato Maki come l’erede naturale di mia madre per guidare la futura famiglia Akamine, e ho sempre cercato di educarla secondo l’idea che, il giorno in cui Akamine-sama non sarà più a questo modo, Maki dovrà essere pronta a prenderne il posto.

Perché lei è l’unica, in tutta la nostra famiglia, che ritengo degna di questo ruolo.

Essendo la seconda figlia della capofamiglia, il mio ruolo mi ha permesso di “guardare” alla mia famiglia in tutta la sua composizione, dai parenti più vicini fino a quelli di secondo grado, che possono avere parola sulla questione ereditaria; per molto tempo, fra queste persone, non ne ho trovata alcuna che potesse essere una vera guida per la famiglia.

Non si tratta solo di guidare un’importante catena di ryokan, o di fare in modo che la situazione economica della famiglia sia sempre agiata, questi pensieri li hanno avuti mio nonno e successivamente mio padre, dove sono stata io stessa vittima e pedina dei loro piani. Mi hanno spinta ad un matrimonio combinato per arricchire ulteriormente la famiglia, per non interessarsi successivamente del mio stato d’animo e fisico a proposito della mia Endometriosi.

Si, ne ho sofferto anch’io, e per anni me lo sono portata dentro in silenzio, soffrendo e patendo con l’unica consolazione dello sguardo amorevole di mia madre. Ora lei è la capofamiglia, e fortunatamente, con la menopausa, anche il dolore è diminuito. Sotto la sua guida, anche senza schemi o piani d’arricchimento, la famiglia ha prosperato.

E Maki sarebbe in grado di farlo prosperare ancora di più.

-Buongiorno zia.-

Quella mattina mia nipote Tomoko mi portò la colazione, e già questo mi lasciò perplessa: solitamente, il Giovedì, era Maki che si occupava della colazione, soprattutto per i clienti, mentre Tomoko era impegnata con la spesa.

-Come mai sei qui, Tomo-chan? non dovresti essere a fare la spesa?-

-Se ne sta occupando Satoru-san, Oba-sama. Maki sta male.-

-Cosa succede?-

È vero: sono una persona dall’atteggiamento freddo e composto. Mi è stato imposto dai miei anni come Maiko e poi come moglie, oltre che come figlia e nipote del capofamiglia Akamine. Educazione.

-Ah … sembra che le sia iniziato il ciclo, e non riesce pertanto ad alzarsi.-

Mi sembra di sentire la voce della mia domestica il giorno che non riuscii ad alzarmi dal futon, e lo macchiai di sangue; la giovane ne fu molto allarmata, tanto da andare a cercare immediatamente un medico.

Mi alzai in piedi, facendo un cenno della mano a mia nipote per farla stare in ginocchio.

-Natsuko-san è con lei?-

-Ah si, la zia è con lei …-

-La nonna?-

-Ah, anche lei è con Maki-chan … dove andate, Oba-sama?-

-Fai il giro delle colazioni.-

-Non mangiate!?-

-Va, Tomoko.-

Non mi voltai a guardare mia nipote, ma mi diressi in silenzio verso gli appartamenti privati della famiglia; lungo il corridoio, incrociai mia cognata, il volto impallidito e segnato da una sincera e profonda preoccupazione. Appena incrociò il mio sguardo, si fermò e indurì gli occhi.

-Dove state andando, Oba-sama?-

-Da mia nipote.-

-Vi prego di lasciare in pace Maki.-

Si, è vero: io ho obbligato mia nipote, uscita dall’ospedale dopo il suo terribile incidente, a riprendere a lavorare. È vero anche che ho fatto in modo che rispettasse i suoi turni di lavoro e non “oziasse” nel ryokan; ed è sempre vero che ho cercato di non farla allontanare dalla locanda neanche durante le festività Obon.

L’ho fatto perché credevo di proteggerla.

Mia nipote è stata violentata da tre uomini.

-Natsuko-san, ho solo desiderio di aiutare mia nipote.-

-Obbligandola ad alzarsi dal letto nel suo stato? No, Oba-sama. Vi prego di non avvicinarvi a lei.-

Ho sempre provato una profonda invidia verso mia cognata: conosco la bontà di mio fratello, e so che è un ottimo marito nei suoi confronti. In più ha avuto come figlia Maki, che io ho visto crescere fin da quando era una bambina.

Avrei voluto avere io una figlia così. Ma non mi è stato concesso.

Chinai il capo in segno di resa, e ritornai ai miei compiti nella locanda: aiutare a riassettare le camere, servire gli ospiti presenti, occuparmi della contabilità e della gestione delle prenotazioni.

Il tempo, per me, è variabile: può essere molto lento, quando mi trovo a guardare il mare oltre gli alberi del giardino, come può diventare estremamente veloce nel momento in cui sono immersa nel lavoro.

Colori? Si … il mondo per me è pieno di colori.

Ma io vivo in un giardino di gesso, costruito con le mie convinzioni, le mie paure e i miei desideri.

E nel mio giardino, i colori si stanno spegnendo sempre di più.

A pranzo, quando Natsuko-san era impegnata in cucina, provai ancora una volta ad andare da mia nipote Maki; riuscii a superare il corridoio questa volta e ad arrivare davanti alla stanza di mia nipote, quando incontrai mio fratello uscirne, con aria inquieta e sguardo basso.

Quando incrociò i miei occhi, lo vidi subito intristirsi.

-Scusa Moe, ma non puoi entrare.-

Non mi sorpresi nemmeno questa volta di quella richiesta.

Io non sono una buona zia da diverso tempo; probabilmente da quando Maki entrò al liceo, e decise d’iscriversi a softball, e d’inseguire il suo sogno. Se non mi sbaglio, era riuscita ad arrivare fino alla squadra olimpionica.

Ero orgogliosa di lei? Probabilmente, se non fossi stata così arrabbiata ed invidiosa di lei, lo sarei stata molto.

Ora mia nipote aveva rischiato di morire per i suoi sogni.

-Desidero solo vedere come sta.-

-Sta meglio, ma ha bisogno di riposo.-

-Pensi che io non possa darle riposo?-

-Vuoi davvero che ti risponda, Moe?-

Rimasi leggermente ferita da quelle parole, e Satoru credo lo percepì, perché prese un profondo respiro e cercò di usare un tono affabile.

-Ascolta, ti chiedo di lasciarla in pace solo per oggi. Per favore, imoto-chan.-

Sorellina.

Non ci chiamavamo più “fratellone” e “sorellina” da molti anni.

Sentirgli usare quell’appellativo mi fece stringere il cuore: cercava di essere affettuoso, ma oramai quel sentimento lo aveva giustamente dato tutto alla sua unica figlia.

Ancora una volta, chinai il capo come resa, e mi allontanai; nel corridoio, incrociai Jin Hamukai, il figlio adottivo di mia madre. Immediatamente fece un rispettoso inchino, riallacciandosi i bottoni della camicia sul colletto.

No, non corre buon sangue tra me e lui: lo considero un elemento esterno alla famiglia, ma Maki aveva convinto la capofamiglia ad adottarlo e farlo entrare nel nostro nucleo familiare. Lei aveva avuto la testardaggine e la forza di superare l’ostacolo ed ottenere questo.

-Perché sei qui?-

No, non riuscivo ad avere un tono gentile nei suoi confronti.

-Sono venuto a trovare mia zia Maki, Oba-sama.-

-In questo momento Maki ha bisogno di riposo. Ti chiedo di andartene.-

-Jin!-

Ci voltammo entrambi, alle mie spalle Satoru stava arrivando.

-Ben arrivato Jin. Vieni pure, Maki sarà contenta di vederti.-

Guardai mio fratello accogliere quel ragazzo con un sorriso e una mano sulla spalla, accompagnandolo lungo il corridoio e scomparendo dalla mia vista mentre raggiungevano la stanza di mia nipote. Quella stessa stanza che io non potevo raggiungere.

Lentamente, mi diressi verso il giardino, dove mi sedetti a guardare il mare.

Quando ero giovane, per sfuggire da tutti, andavo a passeggiare sul bagno asciuga, lasciando che il suono del mare diventasse parte di me; adesso il mio corpo mi rende difficile scendere quelle stesse scale di pietra, che una volta percorrevo senza timore.

Una volta pensai anche di morire affogando nel mare, dato che non so nuotare. Non ho mai avuto paura della morte.

Invece ero lì, seduta, a guardare il mare, pensando al mio giardino di gesso.

E pensai a Maki.

La prima volta che la conobbi aveva cinque anni; le avevano messo il kimono, e me l’avevano presentata il giorno della festa delle bambine. Aveva occhi scuri e grandi, pieni di energia e meraviglia; mi rivolse un inchino, e mi sorrise mentre mi salutava. Passai l’intero pomeriggio a guardarla, a guardare la sua famiglia, e a ripensare al mio giardino di gesso.

Tra le statue al suo interno, ho sempre conservato quella della figlia che avrei voluto avere, se il mio corpo me l’avesse permesso: sarebbe stata una bambina dal viso rotondo, con occhi grandi e un sorriso dolce, un kimono a fiori per la sua festa delle bambine, e un profondo amore per il mare.

-Moe …-

Mi voltai, uscendo dai miei pensieri, e incontrai lo sguardo affettuoso di mia madre; sbattei gli occhi, e mi resi conto che delle lacrime stavano scendendo dalle mie guance.

-Ah, madre, vi chiedo scusa.-

-Sei triste, Moe?-

Mia madre Kyoko si accomodò accanto a me, mentre scuotevo il capo: no, non ero triste. O forse lo sono sempre stata, e non sono mai riuscita a liberarmi di quella sensazione.

-Come sta Maki, madre?-

Vidi il suo volto incupirsi, le sue mani si unirono sopra le ginocchia piegate nella posizione seiza.

-Non bene. Ma combatte.-

Mia nipote ha subito violenza da tre sconosciuti, che le hanno fatto de male ed hanno ferito gravemente il suo sposo; l’hanno presa e poi buttata, lasciandola soffrire su una strada malsana di un vicolo, incuranti. Per almeno tre giorni è stata in coma farmacologico, incerta se vivere o lasciarsi andare, per poi tornare con addosso l’angoscia di quello che aveva passato.

Annuii, tornando a guardare il giardino davanti a noi.

-So che hai cercato di farle visita due volte.-

-Si, ma a quanto pare la mia presenza non le giova.-

Mia madre non mi rispose, e non sentire qualcosa come “non è vero” oppure “ti stai sbagliando”, forse mi fece soffrire molto di più dell’atteggiamento di Natsuko o Satoru.

-Anche voi lo pensate, vero madre?-

Mi voltai a guardarla, a guardare quel volto segnato dalla vecchiaia e dalla fatica, oltre che dall’ansia, in quel momento, per la sua unica nipote femmina.

-Voi pensate … che io sia ingiusta verso Maki, no? Che io mi comporti male nei suoi confronti. Tutti lo pensano, anche Tomoko, ne sono certa.-

Ho superato i cinquant’anni, non mi è più possibile tornare indietro: il mio tempo è finito molto tempo fa in maniera brusca, quando avevo poco più di vent’anni e non sarei mai in grado di cambiare il mio giardino di gesso. Le statue pesano troppo per il mio stanco corpo.

-Credete che io … debba cambiare atteggiamento? Essere più gentile con lei?-

-Dimmi una cosa, Moe: tu vuoi bene a Maki?-

Ripensai a quella bambina con il kimono azzurro coperto di fiori di ciliegio, che mi era stata presentata alla festa delle bambine. Ripensai alla ragazzina che tornava sudata dagl’allenamenti, e alla donna che si preparava per il suo matrimonio.

Maki è testarda, in certi casi rozza, facile all’istinto, veloce ad arrabbiarsi e manesca.

L’ho invidiata, delle volte mi ha delusa, ha suscitato in me rabbia, e spesso non l’ho compresa nelle sue scelte.

-… si, madre. Le voglio bene.-

-Allora non cambiare. Non saresti tu.-

Mia madre è una delle poche persone che accetta il mio modo di comportarmi; mi ha viziato, accettando il mio cieco dolore e lasciandomi trasformarlo in freddezza e distacco, permettendomi di attaccarmi in maniera ossessiva alla famiglia, al suo onore e al suo bene. E in questo modo sono diventata ciò che sono.

Restammo in giardino il resto del pomeriggio, raggiunte prima da Natsuko e poi da Tomoko; alla sera, tutti noi ci radunammo per cenare assieme, anche Hamukai era presente, ma decisi di non lamentarmene.

Quando ci ritirammo tutti a dormire, sulle prime Natsuko si era offerta di andare a controllare Maki, ma mia madre le impose di andare a riposare, che aveva avuto una “dura giornata”. Prima di andare a dormire, però, mi rivolse un’occhiata complice, che mi lasciò sorpresa.

Quando sentii che tutto era tranquillo, sgusciai via dal nostro piccolo salottino, e mi diressi per la terza volta verso la camera di Maki.

Mi sentivo nervosa, e controllai che non ci fosse nessuno né nel corridoio, né oltre l’uscio della stanza.

Aprii lentamente la porta, e mi resi conto che c’era una luce accesa, una piccola lampada lasciata accanto al futon; su questo, mia nipote aveva un’aria profondamente sofferente, il volto era sudato e i capelli scompigliati. Accanto a lei le medicine, un bicchiere e una bottiglia d’acqua.

M’inginocchiai accanto a lei, e le toccai la fronte con il dorso delle dita; era ancora calda, e mi guardai intorno, certa che ci fosse una bacinella con acqua fredda e una pezzuola. Mi allungai per prenderla, e in silenzio immersi la pezzuola, la strizzai e asciugai il volto di mia nipote.

La vidi socchiudere gli occhi, guardarmi e poi spalancare gli occhi, stupita.

-Ah … O … Oba-sama.-

-Hai preso le tue medicine?-

Negò con un lento movimento della testa, e presi le sue pastiglie: integratore di vitamina C e anti dolorifico. L’aiutai a sollevarsi quel tanto che le bastava per prendere le pastiglie e bere, rimettendola di nuovo giù, passando nuovamente la pezza sul volto.

Mi guardo con aria stupita, e ricambiai lo sguardo con altrettanto stupore.

Una scena del genere, tra noi due, non succedeva da un periodo così lungo che non ricordavamo.

Lentamente, con timidezza, una sua mano uscì fuori dal futon, e si sporse verso di me; la guardai con ansia, per un attimo pensai che se l’avessi presa, tutto il duro lavoro e i continui scontri tra me e lei non sarebbero serviti a niente, e mi sarei arresa di fronte al suo modo di fare. Poi ripensai alla bambina, al suo sorriso, alla sua fiducia in me, anche se ero un’estranea.

Presi quella mano molto delicatamente, all’inizio con solo due dita, poi con tutto il resto, e pian piano la strinsi, nonostante la mia pelle fosse fredda rispetto a quella bollente di Maki.

Mia nipote era stata violentata da tre uomini. Ora soffriva per l’Endometriosi. E mi stava soltanto chiedendo di tenerle la mano; potevo fare una cosa del genere, per una volta, no?

-Maki …-

Parlai così, senza pensarci. Le vidi gli occhi alla luce della lampada, e aumentai leggermente la presa, temendo che potesse allontanarsi.

-Se vuoi puoi arrenderti. È un tuo diritto.-

Aveva combattuto come sportiva, come ragazza e come moglie.

Ma ora era avvenuto qualcosa di davvero terribile, che l’aveva ferita come donna.

Se per una volta si fosse arresa, da parte mia non avrebbe ricevuto nessuna critica, nessun disprezzo anzi: le sarei rimasta accanto.

Mi guardò con molta sorpresa, e sembrò pensarci seriamente, tanto che le vidi gli occhi diventare lucidi.

Poi, com’era solita fare, strinse i denti e scosse la testa, anche se con molta lentezza.

-… non posso, Oba-sama. Non posso farlo.-

Annuii, continuando a tenerle la mano.

Al contrario di me, di ciò che ero stata alla sua età, Maki si amava e si rispettava profondamente: io mi ero arresa di fronte al mio capo famiglia e alla società che avevo intorno. Lei non si sarebbe arresa mai per nessuno.

Era il motivo per cui la odiavo … e le volevo così bene.

Era questo che la rendeva, a mio parere, la perfetta erede di mia madre Kyoko, come capofamiglia Akamine.

-Capisco. Allora stringi i denti, Maki. Tieni duro.-

Mi guardò con le lacrime agl’occhi, e annuì, stringendo la presa sulla mia mano.

Gliel’avrei lasciata andare, per andarmene, ma mi trattenne, guardandomi con aria supplichevole.

-Per favore … Oba-sama: fa venire Kojiro.-

Era la prima volta che mi chiedeva una cosa del genere; di solito, certa della mia risposta, faceva sempre di testa sua.

-Io … voglio mio marito … qui con me. Per favore.-

Chiuse gli occhi, ma continuò a tenermi la mano. Quando li riaprì, aveva il suo solito sguardo deciso, di chi lo avrebbe chiesto ancora e ancora, fino ad ottenere un “si” come risposta.

Presi un profondo respiro, prima di risponderle.

-Va bene Maki. Ora lo chiamo.-

Solo allora mi lasciò la mano.

Mi alzai in silenzio, e uscii dalla sua stanza senza voltarmi indietro.

Sapevo perfettamente che non avrebbe detto a nessuno della mia visita, e io non avrei rivelato a nessuno di quello che avevo fatto; invece, con calma, mi diressi verso il telefono sull’entrata del Ryokan, prendendo l’agenda sotto di esso, e componendo il numero telefonico della casa della famiglia Hyuga.

Ci misero tre squilli prima di rispondermi.

>Pronto, casa Hyuga.

-Buonasera. Sono Moe Akamine, la zia di Maki. Perdoni l’orario in cui sto chiamando, ma desidero parlare con Hyuga Kojiro.-

>Ah, buonasera, Akamine-san. Ora glielo chiamo.

-La ringrazio, Hyuga-san.-

>Pronto? Akamine-san?

-Buonasera, Hyuga-kun. Sono Oba-sama.-

>O-Oba-sama?!

-Mi scuso per l’ora tarda, ma le ho telefonato per informarla che Maki desidera che la raggiunga qui al ryokan al più presto.-

>Ah … davvero?

-Si, davvero. Se per favore può fare entro domani.-

>Ma certo, si. Parto con il primo volo.

-Molto bene. La manderò a prendere. Buona sera, Hyuga-kun.-

Chiusi la conversazione senza attendere la sua risposta, e mi accinsi a chiamare il servizio taxi, dato che Satoru meritava di riposare, dopo aver vegliato su sua figlia.

No, non sono una buona zia. Vivo in un giardino di gesso, e non uscirò da esso.

Ma per una volta, per la mia amata nipote, potevo fare un’eccezione.

 

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