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Autore: arya_stranger    18/08/2015    4 recensioni
«Mi avvicinai al letto lentamente, con la reverenza di un suddito che si avvicina al trono del suo signore. Intravidi il profilo del corpo di Frank sotto il lenzuolo leggero. [...]
Mi era sempre piaciuto contemplarlo mentre dormiva. [...] Mi immaginavo di poter penetrare nei suoi pensieri e sbirciare i suoi sogni. Osservare il frutto del suo sonno sarebbe stato il dono più prezioso della mia intera esistenza e oltre. Non avevo la minima idea di cosa avrei potuto scorgervi. Forse ricordi della sua infanzia filtrati da esperienze recenti? Mondi fantastici in cui era un cavaliere pronto alla battaglia?»
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Gerard è riuscito a salvare Frank e, dopo essere tornato indietro nel tempo per sfuggire alla morte una seconda volta, vede la persona che ama di più al mondo felice, e capisce che gli ultimi sprazzi di tristezza che Frank aveva erano colpa sua. Tenta il suicidio, ma a salvarlo è lo stesso Frank, che però non lo riconosce subito.
Quando tutti i tasselli del puzzle combaciano, Frank capisce chi è il ragazzo che ha appena salvato da morte certa.
Ma la vita prosegue e non risparmia nessuno.
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[seguito di "The Afterglow" >>> http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2496183&i=1]
Genere: Drammatico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Frank Iero, Gerard Way, Nuovo personaggio | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Second Chance'
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12

This is the memory
This is the curse of having
Too much time to think about it
It's killing me
This is the last time
This is my forgiveness
This is endless




 
 
(Gerard POV)



“Non mi ami più.” Fu un sussurro quasi impercettibile, seguito da una lacrima. Non seppi cosa fare nel momento in cui quella frase sfuggì dalle labbra di Frank. Così lo abbracciai e decisi di rimanere in silenzio. Non avrebbe avuto senso negare, ma nemmeno confermare, semplicemente per il fatto che nemmeno io sapevo quale fosse la verità.
Cullai Frank fra le mie braccia, come ormai avevo fatto mille volte, quando era triste, ma anche quando sul suo volto si apriva un bellissimo sorriso.
Era l’inizio di febbraio, e un vento gelido si insinuava senza pietà fra le fronde degli alberi del parco, che gemevano di dolore. Il terreno era un’unica enorme pozzanghera di fango. L’erba non sarebbe riuscita a nascere prima di un mese, e la neve appena sciolta impregnava il terreno di acqua, trasformando il parco in una palude.
Non sarei stato in grado di contare tutte le volte che io e Frank ci eravamo seduti su quella panchina, l’uno accanto all’altro, a parlare o semplicemente ad ascoltare il dolce suono e il giovane profumo della natura.
In primavera il canto degli uccellini era chiaro e limpido, mentre l’erba verde, appena nata, e gli alberi in fiore, donavano una splendida nota di colore. Il fresco profumo della rugiada si sollevava da terra, fino ad arrivare alle narici. In estate il caldo rendeva il terreno una steppa, dalla quale si sollevavano nuvolette di polvere. Gli alberi erano pronti per donare i loro frutti, e il profumo delle mele si spandeva ovunque. L’autunno era la stagione che preferivo in assoluto. Le foglie secche cadevano lentamente dagli alberi, creando un tappeto soffice, che scricchiolava ad ogni passo. I colori dominanti erano il rosso, il giallo, e l’arancione. Erano tonalità così accoglienti e ospitali che mi sarei potuto distendere per terra, fra le foglie, e dormire. L’aroma della pioggia era ciò che riuscivo di più ad apprezzare di quella stagione. Era impossibile descrivere quell’odore così particolare e affascinante, ma ogni volta che pensanti gocce di pioggia cominciavano a cadere dalle nuvole, correvo alla finestra per riempirmi le narici di quel fantastico profumo.
In quel momento avrei pagato per poter far tornare un po’ d’autunno, invece di quel febbraio glaciale.
Da ormai un mese ero tornato dal mio soggiorno natalizio a Londra, da Ed e Bianca. E nonostante il tempo che passava, non avevo ancora preso una decisione. Avevo salutato Bianca con la promessa che qualunque fosse stata la mia scelta, un giorno ci saremmo rivisti, e avevo intenzione di mantenere fede alla mia promessa. Ma non era ancora il momento.
Quando ero tornato in quella sperduta cittadina del New Jersey, Frank era lì ad attendermi, e io non ero riuscito a trattenermi dal baciarlo.
Li stavo tradendo entrambi, me ne rendevo assolutamente conto. Stavo violando la loro fiducia e i loro sentimenti. Rischiavo di soccombere a quel detto che recita ‘chi troppo vuole, nulla stringe.’ E io avrei davvero voluto averli tutti e due, ma era impossibile. Inoltre, se non avessi preso in fretta una decisione, avevo paura che avrei potuto perderli entrambi.
Avevo cercato di riprendere la mia vita in mano. La mattina mi alzavo per andare da Raphael e lavorare al suo banco dei fiori. Nel tardo pomeriggio tornavo a casa e dopo una doccia veloce andavo a trovare Frank. La maggior parte delle volte Victoria insisteva affinché io rimassi a cena, ed era difficile rifiutare: quella donna sapeva essere tanto insistente quanto convincente.
Non sarei stato in grado di definire esattamente come stavano andando le cose fra me e Frank, solo di una cosa ero certo: la nostra relazione stava diventando un’abitudine. E non era assolutamente qualcosa di buono. Le relazioni che cadono in una consuetudine non sono destinate a durare tanto.
Frank si era reso conto che qualcosa in me era cambiato, e nonostante io non avessi mai nemmeno una volta accennato a Bianca, io sapevo che lui aveva qualche sospetto. Certe volte pensavo anche che lui ne fosse completamente certo. Non avrei saputo dire esattamente cosa, del suo atteggiamento, mi lasciava intendere la sua -forse inconscia- consapevolezza. Rimaneva comunque il fatto che era cambiato tutto, e quelle poche parole che Frank aveva appena sussurrato me ne avevano dato la piena conferma.
Sciolsi l’abbraccio e vidi i suoi occhi rossi che cercavano di trattenere le lacrime. Non voleva piangere, questo era evidente. Cercava disperatamente di non sbattere le palpebre, evitando così che qualche lacrima sfuggisse al suo controllo e rotolasse sulla sua guancia. Contraeva ogni muscolo, in modo da non lasciarsi andare ai singhiozzi che avrebbero riscosso tutto il suo piccolo corpo. Teneva la testa leggermente bassa, in modo che qualche ciocca di capelli gli ricadesse sulla fronte. In quel modo, se le sue azioni gli fossero sfuggite di mano, io non avrei visto quelle gocce salate scorrere sul suo viso.
“Perché lo dici?” chiesi infine.
Frank scrollò le spalle, ma non disse niente. Se avesse risposto alla domanda la sua voce rotta lo avrebbe tradito.
Non volevo forzarlo a parlare, così non feci altre domande e nemmeno ripetei l’unica che ero riuscito a formulare. Rimasi semplicemente in silenzio, seduto sulla panchina, lo sguardo rivolto verso un arbusto completamente secco. Qualche ramo giaceva ai suoi piedi, probabilmente piegato e rotto dalla neve che era caduta in quei giorni.
“È per Bianca, vero?” Mi riscossi non appena sentii parlare Frank. Ormai avevo dato per scontato che si fosse arreso all’idea di dire qualcosa, e le sue parole mi avevano colto di sorpresa.
“Non credere che non me ne sia accorto” continuò, alzando finalmente la sguardo verso di me. Dal suo volto era scomparsa ogni traccia di un pianto imminente. Nonostante tutto, Frank era forte, molto più di quanto certe volte avessi potuto pensare. “Quando eravamo da Ed ho notato come la guardavi. Come inconsciamente ti prendevi cura di lei. Durante i pasti fissavi sempre preoccupato il suo piatto pieno. Eri in apprensione per il fatto che mangiasse poco o niente.”
Non mi ero mai reso conto di guardare il suo piatto. Mi ero accorto che Bianca mangiava davvero poco e non potevo negare di essere un po’ preoccupato. Tuttavia non credevo che la mia apprensione mi spingesse a fare cose di cui nemmeno mi accorgevo.
Questa volta fu il mio turno di abbassare lo sguardo. Non perché fossi in procinto di piangere. Volevo solo non dover guardare Frank negli occhi. Era colpa mia se stava male, e in quel momento non ero in grado di guardare dritto in faccia un mio errore. Frank non era assolutamente stato un mio errore, ma ciò che gli stavo facendo lo era.
Avrei voluto dire qualcosa, ma non riuscivo a trovare le parole. Avrei finito con l’essere terribilmente banale e noioso, e non volevo che accadesse.
“Gerard” mi chiamò. Sapevo che pronunciando il mio nome il suo intendo era quello di farmi alzare lo sguardo su di lui. Voleva guardarmi negli occhi, e potevo capire il suo desiderio. Ma davvero non ci riuscivo.
“Che succede?” mi domandò innocentemente. Avrei potuto interpretare quell’interrogativo in mille modi diversi. Tuttavia decisi che non avrebbe avuto senso rispondere direttamente a ciò che lui mi stava chiedendo, perché avrei potuto dire mille cose. Così cominciai a parlare senza nemmeno sapere cosa esattamente dire.
“Non voglio che tu soffra. È l’ultima cosa che voglio al mondo e sai che farei di tutto affinché tu sia felice. Ma la stessa cosa vale per Bianca. Tengo a lei tanto quanto tengo a te. Vorrei rendervi entrambi felici. Ma non posso.”
Vidi Frank annuire distrattamente. Sapevo che non avrebbe pianto, e non riuscivo a capire se questo fosse un buon segnale o no. Se l’avesse fatto mi avrebbe inevitabilmente coinvolto troppo emotivamente e mi avrebbe solamente fatto sentire più in colpa. In quel momento avevo la necessità di rimanere freddo e concentrato e di certo le sue lacrime non mi avrebbero aiutato. Tuttavia sapevo che piangere lo avrebbe fatto stare meglio. L’ammasso di emozioni che si formava all’altezza del cuore si sarebbe un po’ sciolto.
“Mi  trasferirò da mio padre.”
Frank pronunciò la farse velocemente, quasi non volesse che io capissi cosa aveva appena detto. Ma purtroppo avevo afferrato benissimo la sua frase, e mi ferì più della sua semplice constatazione in cui mi diceva che non lo amavo.
Volevo dire qualcosa, qualsiasi cosa che gli facesse cambiare idea. Forse non trovavo le parole perché non desideravo che lui cambiasse idea.
Cercai di scorgere qualcosa nei suoi occhi: dolore, delusione, disperazione. Ma non vi trovai niente di tutto questo. Il suo sguardo trasmetteva solo forza, una forza che in quel momento avrei voluto avere anche io.
Non riuscivo a capire come Frank potesse accettare tutto quello con estremo coraggio e con una risolutezza che non avrei mai pensato di vedere in lui.
Aveva capito che lui non era più ciò che volevo nella mia vita. Mi aveva fatto intendere che aveva afferrato il concetto quando mi aveva detto che non lo amavo più. E forse era vero. Tuttavia, il Frank di qualche mese prima avrebbe spillato litri di lacrime fino a prosciugarsi. Forse mi avrebbe supplicato di pensare bene a ciò che stavo facendo. Si sarebbe chiuso in camera sua, sotto le coperte. Avrebbe smesso di mangiare, probabilmente.
Eppure, il Frank davanti al quale mi ero ritrovato io era forte, deciso e determinato a non lasciare che la sua vita fosse mandata all’aria da me. Aveva deciso che, se il suo futuro non fosse stato insieme a me, se ne sarebbe creato un altro. E l’avrebbe fatto da solo, avrebbe preso le sue scelte e sarebbe andato avanti a testa alta.
“Sai” cominciò, “mi hai insegnato molte cose. Forse nemmeno te ne sei reso conto, ma da te ho imparato ad affrontare la vita. Hai dovuto affrontare cose che nessun uomo mai si immaginerebbe di dover vivere. Hai combattuto con la morte in persone, e l’hai sconfitta. Non hai una vaga idea di quanto io ti ammiri per questo. Prima di conoscerti ero solo un ragazzino depresso: niente di più e niente di meno. Non credevo in niente, tanto meno nella vita. In realtà non credevo nemmeno nella morte: mi appariva come un concetto così lontano ed astratto da non spaventarmi nemmeno. Quando ti ho conosciuto, però, e soprattutto quando mi sono reso conto di amarti, è tutto cambiato. Ho cominciato ad apprezzare la vita e a venerarla perché se ero vivo potevo stare con te, tenerti la mano, abbracciarti, baciarti. E ho cominciato a temere la morte perché se fosse venuta a trovarmi avrei perso tutto questo.”
Smise per qualche secondo di parlare, e si concesse un po’ di tempo per guardarmi negli occhi.
Non potevo credere di essere stato io ad insegnare a Frank quelle cose, lo ritenevo quasi impossibile. Io ero solo un ragazzo in cerca della sua strada, come potevo avere aiutato qualcuno a trovare la propria?
“Mi hai fornito l’insegnamento più prezioso che un essere umano possa apprendere: l’importanza della vita. Potrebbe sembrare scontato, ma non lo è assolutamente. Milioni di persone sprecano la loro esistenza aspettando qualcosa che non arriverà mai.” Sospirò e posò il suo sguardo sulle mie mani intrecciate. “Gerard” sussurrò il mio nome con estrema dolcezza, “io non voglio stare tutta la vita ad aspettarti. Non starò a guardarti mentre prenderai la tua decisione fra me e Bianca. Ho intenzione di sottrarmi a questa tua scelta. Non sono una merce. Non attenderò che tu mi lasci per lei.”
Ero scioccato. Non ci sarebbero state altre parole per definire la mia situazione. Non riuscivo a capire se ciò che stava accadendo fosse un sogno, ma per un momento lo credetti davvero.
Tuttavia a quel mio stato di shock si aggiunse anche uno strano sollievo e una sensazione di calma. Frank aveva preso la sua decisione, quella che io, molto probabilmente, non sarei mai stato in grado di prendere. E gliene ero immensamente grato. In quel momento non potei fare a meno di essere fiero di lui. Non era più il ragazzino sperduto dal sorriso triste, e forse era anche un po’ merito mio.
Gli sorrisi, ma non riuscii a dire nulla. Troppe emozioni si stavano prendendo possesso del mio cuore in quel momento.
“Ho bisogno di cambiare aria” continuò Frank. “E poi sto bene con mio padre. Inoltre abita a New York, finirò lì il liceo e poi andrò al college.”
“Ma Rachel? E Jimmy?” chiesi in preda ad un’improvvisa confusione.
“Potranno venirmi a trovare tutte le volte che vorranno. E durante le vacanze verranno alla casa fuori città di mio padre.”
Annuii e il sorriso mi si spense sul volto, quando realizzai una cosa. “Non ci rivedremo più, vero?”
Frank abbassò lo sguardo. Non era triste, sapeva che la scelta che stava facendo era giusto. Ma lasciare andare qualcuno è comunque difficile. “È probabile” ammise. “Ma sai, si dice che se si ama qualcuno bisogna lasciarlo andare. E io ti sto lasciando andare da Bianca.”
“Sono fiero di te” sussurrai alla fine. “Sono felice che tu abbia fatto tutto questo. Io non sarei mai stato in grado di prendere una decisione del genere. Non sei più il ragazzino che scrive lettere a Nessuno e poi le stipa in un baule.”
Ridemmo entrambi. Frank mi aveva raccontato quel suo segreto mentre ancora ero nel limbo fra vita  e morte. Con quel racconto mi aveva fatto capire quanto fosse stato solo prima del mio arrivo. Pensai che in quel momento lo stessi lasciando di nuovo solo, ma avevo anche la consapevolezza che Frank era molto più forte, e ce l’avrebbe fatta.
Frank sembrò quasi leggere nei miei pensieri e mi posò una mano sulla spalla. “Me la caverò” mi rassicurò. “Mi mancherai ma è una cosa che devo fare.”
“Fra quanto partirai?”
“Una settimana, non di più” annunciò. “Ho avvertito mio padre qualche giorno fa.”
“Come l’ha presa Victoria?”
Frank alzò le spalle, come se la risposta fosse scontata. “La conosci. Piangerà per qualche ora prima che io parta e poi uscirà a cena con le sue amiche.”
Ridemmo entrambi, e seppi che quella era l’ultima volta che condividevamo una risata.
Ci furono un paio di minuti di silenzio. Ormai avevamo già confessato tutto quello che era rimasto nascosto in quel periodo e le cose si erano risolte al meglio.
Fino ad un’ora prima non avrei mai pensato che sarebbe potuto finire tutto così, ed ero terribilmente sollevato di come si erano sviluppate le cose. Nessuno dei due era triste, e questo era già un enorme traguardo. Non solo non eravamo afflitti, ma avevamo entrambi trovato la nostra strada. Solo in quel momento mi resi conto che la scelta di Frank mi aveva automaticamente spinto a prendere una strada invece che un’altra. Sarei andato da Bianca e quello che sarebbe accaduto poi era ancora da decidere.
“Promettimi una cosa.” Frank ruppe il silenzio e io mi concentrai sulle sue parole. “Non dimenticarmi.”
Gli sorrisi di nuovo. Come avrei potuto dimenticarlo? Sarebbe stato impossibile, come dimenticarsi di respirare.
“Sei stata la prima persona con cui non ho avuto paura ad aprirmi. Sei stata la prima persona all’infuori della mia famiglia di cui mi sia mai importato qualcosa. Sei stata la prima persona la cui vita mi importasse più della mia. Sei stata la prima persona che ho amato.” Ripresi il respiro e finalmente riuscii a finire il mio breve discorso. “Come potrei dimenticarti?”


Passammo tutto il pomeriggio su quella panchina al parco. Il tempo sembrava scorrere come nei sogni: un minuto poteva sembrare un’ora, e un’ora un minuto.
Non parlammo più dell’imminente partenza di Frank, della nostra inevitabile separazione o del fatto che forse non ci saremmo più rivisti. Non avrebbe avuto senso parlare di quelle cose: ci avrebbe reso solo tristi e in quel momento noi eravamo tutto fuor che quello.
Sapevo che Frank mi sarebbe mancato, era più che ovvio. Ma avevo anche la certezza che il suo ricordo non mi avrebbe bloccato, la sua mancanza non mi avrebbe impedito di vivere la mia vita. Frank sarebbe stato per sempre la prima persona che avessi mai amato, e certe cose non si scordano così facilmente. Il suo ricordo sarebbe per sempre rimasto impresso nella mia mente, come marchiato a fuoco.
Sapevo che il suo viso non sarebbe mai sbiadito nella mia mente. Anche quando avessi avuto ottant’anni, il suo volto da quindicenne sarebbe rimasto vivido nella mia immaginazione. Le labbra fini aperte in un sorriso. Gli occhi nocciola sprizzanti di gioia, circondati dalle ciglia folte. Le ciocche di capelli scuri che gli ricadevano sempre sul viso.
Non era stato un caso se l’unica cosa che ero riuscito a ricordare quando mi ero risvegliato nel luogo tutto bianco fosse stato il suo viso. Certo, la sua foto in mano a suo padre era stata l’ultima cosa che avevo visto prima di morire, ma avevo mantenuto quel ricordo per un’altra ragione: semplicemente il suo era uno sguardo di cui non ci si poteva scordare. Il suo sorriso dolce era unico e fra mille persone avrei potuto scorgerlo.
Non avrei mai dimenticato il nostro primo bacio, in giardino, sotto le stelle. Non avrei mai immaginato che un giorno avrei baciato un ragazzo, e quel fatto all’inizio mi aveva lasciato un po’ smarrito. In quel momento mi ritrovai a pensare chi fossi. Era evidente che avevo amato Frank, e che ero attratto da lui. Ma perché adesso la situazione si era ribaltata e provavo questi sentimenti per una ragazza? Forse non sarei mai riuscito a darmi una risposta, ma di certo non sono queste le domande da risolvere ad ogni costo.
Semplicemente gli essere umani sono stati creati come strutture molto complesse, soprattutto dal punto di vista psicologico. E sono assolutamente imprevedibili. Lo ero stato, e io stesso mi ero ritrovato in un momento di confusione. Ma era davvero inutile stare a rifletterci su, avrei perso solo tempo.
Quando il sole cominciò a calare decidemmo che era ora di andare a casa.
Frank si alzò da quella che fino a quel momento era stata la nostra panchina, e attese che io facessi lo stesso.
“Prenditi cura di te” si raccomandò una volta che gli fui davanti. Aveva seppellito le mani dentro le tasche del suo cappotto per difendersi dal freddo. Ora che era calato anche il sole, il vento pungente non dava tregua, e vidi Frank tremare.
“Lo farò” promisi.
“Odio gli addii” ammise. Annuii: anche io gli odiavo terribilmente. Era la seconda volta che mi accingevo a dire addio a Frank, e se la prima volta lui non ne sapeva niente, adesso ne eravamo entrambi a conoscenza. Ed entrambi sapevamo che sarebbe stato un addio definitivo.
“E allora facciamo finta che non lo sia” proposi.
“Va bene” accettò. Mi sorrise debolmente e mi porse la mano. Per un momento rimasi spaesato, poi capii. Un abbraccio sarebbe stato troppo doloroso per entrambi, non potevamo sopportarlo. Invece una semplice stretta di mano avrebbe sancito un arrivederci che avrebbe camuffato un addio.
Strinsi la sua mano, e per l’ultima volta potei percepire la sua pelle contro la mia. Le sue mani erano sempre state morbide, con solo qualche piccolo callo a causa dei due strumenti che suonava. Certamente non mi sarei scordato nemmeno la sensazione delle nostre mani che si stringevano.
“Arrivederci” sussurrò stringendo più forte la mia mano.
“Arrivederci.” Ricambiai il saluto e lasciai la sua mano, riluttante.
Ci voltammo e prendemmo le nostre strade.
Avevo sempre creduto che avremmo percorso insieme la via della vita, per sempre. Ma in quel momento le nostre strade si divisero. Alcuni potrebbero pensare che stessimo commettendo un errore, come se non avessimo letto attentamente la cartina che avevamo in mano e avessimo sbagliato strada. Ma in quel momento prendere una strada alternativa non mi sembrò così sbagliato. 




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Angolino dell'autrice:

Ciao a tutti ♥
Ormai manca davvero poco alla fine, tre, al massimo quattro capitoli. A questo punto della vicenda credo che i vostri commenti siano più importanti che mai, quindi aspetto qualche vostra recensione.

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Arya.


 
   
 
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