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Autore: TearsOfDragon    18/08/2015    2 recensioni
Un'eroe ribelle che non vuole rassegnarsi al suo destino. Due ragazze in fuga da un nemico immortale, guerriere in lotta con un'intera società. Un mondo alternativo, crudele, che non lascia spazio alla misericordia e alla bontà.
Con questi ingredienti, che storia volevate che saltasse fuori?
Una storia contorta, malata, ingannevole, sadica.
*****
Che cos’è la vita? Cos’è che ci spinge, la nostra fonte di energia con cui il nostro corpo si muove, respira, pensa? Il sangue è la fonte, l’inizio e la fine di ogni cosa. Peccato che sia un’energia esauribile. La morte arriva per tutti. Arrivava.
Genere: Dark, Fantasy, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1

 

 

Distolsi lo sguardo dall’ago che penetrava lentamente attraverso la pelle. Il suo viso ebbe un fremito quasi impercettibile, unico segno che la flebo aveva raggiunto la sua giugulare, da cui il sangue prese a sgorgare a un ritmo impressionante, un torrente rosso che scorreva nel lungo tubo trasparente collegato al Distillatore. Mentre il sangue continuava a sgorgare il viso rugoso del vecchio si distese in un’espressione neutra, quasi rilassate, e mi chiesi se quel rapido fremito fosse di paura o piuttosto di rassegnazione.

Dopo alcuni minuti il flusso iniziò a rallentare sempre più, mentre il volto dell’uomo si faceva sempre più cereo. Aveva chiuso gli occhi. Il suo petto si alzava e abbassava freneticamente, fino a quando si abbassò per non rialzarsi più. Quell’ultimo respiro fu catturato dalla mascherina che aveva fissata al viso e incanalata a sua volta nel Distillatore, dove avrebbe dato inizio ai processi di extractio e multiplicatio.

Smisi di fissare il corpo ormai senza vita di quell’uomo sconosciuto e osservai assorto il Distillatore, ricordando il giorno in cui mio padre mi aveva spiegato il suo funzionamento e, soprattutto, il suo scopo.

«Questo, Ryan… Questo è il futuro…» mi aveva detto. «Quando gli scienziati del passato hanno inventato questa macchina, questo Distillatore, hanno aperto le porte al progresso. Hanno reso possibile distillare il sangue ed estrarne, grazie all’anima delle persone esalata con il loro ultimo respiro, un Elisir dalle potenzialità infinite.»

«E sai a cosa serve questo Elisir figliolo? Serve a donare l’Immortalità.» aveva continuato senza darmi il tempo di rispondere.

«E un giorno quest’Immortalità sarà anche nostra. Grazie al sacrificio di qualche banale essere umano, noi eletti potremo vivere per sempre!» aveva concluso con una risata, scompigliandomi i capelli con la mano.

Avevo solo otto anni.

«E ricordi cos’è l’Oligarchia, ricordi bene quello che ti ho insegnato?» aveva chiesto ancora, sorridendo benevolo.

«Certo papà!» avevo risposto da bravo bambino. «L’Oligarchia è l’élite che governa l’Impero di Drēor, il gruppo di nobili Immortali che da seimilanovecentnovantanove anni ci guida e ci protegge amorevolmente dai pericoli del mondo esterno, utilizzando le loro ricchezze e le loro conoscenze per il bene comune.»

«E chi ha fondato l’Oligarchia dando inizio a quest’epoca d’oro di pace e prosperità?»

«Ma è ovvio, è stata creata dal Primo Oligarca Juglans e da sua sorella, la Prima Oligarca Carya. Durante i Tempi Oscuri hanno creato il primo Distillatore e dato origine al nostro mondo.» avevo risposto di nuovo a memoria.

«E dimmi, cosa sai invece del Distillatore?» mi aveva interrogato, questa volta più seriamente. Lui era lo scienziato capo che lavorava al suo continuo miglioramento.

«Il Distillatore serve per produrre l’Elisir, la sostanza alchemica che ci permette, grazie al sacrificio volontario del nostro coraggioso popolo, di fare sì che gli Oligarchi vivano per sempre, cosicché possano mantenerci per sempre al sicuro e felici.» Ero proprio un bravo pappagallo.

Adesso, dieci anni dopo, avevo imparato tutto sul Distillatore. Mio padre mi aveva insegnato ogni cosa. Sapevo che per produrre l’Elisir era necessario combinare il sangue estratto dalle vittime con il fiato emesso nell’istante della loro morte, che conteneva l’essenza della persona, l’ultimo alito di vita, la sua anima che si disperdeva. Questa combinazione dava origine a complessi processi alchemici che portavano a trasmutare il sangue in un liquido ambrato dai poteri illimitati.

L’Elisir poteva garantire la vita eterna, l’immunità a qualsiasi malattia, la resistenza a qualsiasi veleno, ma soprattutto trasmetteva a chi lo beveva tutte le conoscenze e il sapere delle vittime.

Ma la cosa più macabra era che il sangue non poteva semplicemente essere estratto dalle persone, doveva essere donato in un sacrificio volontario. Era su questo sacrificio che si reggeva il nostro sistema: le persone venivano spinta a donare la propria vita per il bene comune, di solito in cambio di denaro per le loro famiglie. Proprio per questo erano un’infinità i disperati che vivevano in povertà e si sacrificavano per garantire denaro e sicurezza ai propri cari, andando incontro ad un destino ignoto.

«Tre sacrifici consumati correttamente, un’ottima giornata direi. Ora possiamo andare, l’Oligarchia sarà contenta del risultato, ma intanto prendiamoci una pausa. Per oggi è sufficiente.» annunciò mio padre con orgoglio, fiero dei progressi ottenuti. Con un sospiro di sollievo lo seguii fuori dalla Sala d’Estrazione, abbandonando il Distillatore al suo triste lavoro. Intanto mio padre continuava a parlare, indifferente alla mia mancanza di attenzione.

«Gli Oligarchi hanno indetto un Concilio il mese prossimo per discutere delle possibili nuove ammissioni al loro gruppo. Hanno deciso di festeggiare l’anniversario dei loro settemila anni di regno elevando alcuni nuovi Oligarchi, questa potrebbe finalmente essere la volta buona, la nostra famiglia potrebbe finalmente ottenere i privilegi che ci spettano per il nostro duro lavoro.» commentava emozionato.

«Si papà, ottima notizia davvero…» risposi con scarso entusiasmo, perdendomi di nuovo nei miei pensieri.

Mi riscossi dai miei pensieri mentre uscivamo dall’edificio e ci dirigevamo verso casa, situata in uno dei quartieri più ricchi della città. Mio padre era uno scienziato di successo, e la nostra famiglia apparteneva alla Cerchia Superiore, appena un gradino al di sotto dell’Oligarchia. Eravamo ricchi, e invidiati da coloro che vivevano nei quartieri poveri costretti alla fame. Grazie alle sue capacità e al suo lavoro, mio padre ambiva da anni ad essere elevato ad Oligarca e guadagnare l’Immortalità per la nostra famiglia, e ora sembrava che fosse molto prossimo a raggiungere i suoi scopi.

Non che ne fossi molto interessato, la prospettiva della vita eterna non mi allettava particolarmente, e proprio ciò era spesso motivo di lite tra noi.

Con un sospiro lo lasciai sulla via di casa, annunciando che sarei andato a fare un giro in città. Avevo bisogno di un respiro di libertà. Sopportai in silenzio la sua occhiataccia di disapprovazione, ma non cercò di fermarmi.

Mi diressi a passo sicuro verso i Giardini della Vita, il grande parco dove i ricchi trascorrevano la maggior parte del loro tempo libero, ma esitai al pensiero che avrei potuto incontrarvi mia madre o i miei fratelli. Non era proprio ciò di cui avevo bisogno.

Vincendo l’istante di indecisione, girai su me stesso ed imboccai una delle vie in discesa che conducevano verso la parte più povera di Blotan, la capitale dell’Impero. Sapevo che se mio padre fosse venuto a sapere che mi aggiravo per i bassifondi mi avrebbe fatto passare dei guai, ma in quel momento ero in una delle mie fasi ribelli e non me ne preoccupai.

Non so per quanto tempo passeggiai per quelle stradine affollate, a malapena mi accorgevo degli straccioni che mi fissavano con odio alla vista dei miei abiti lussuosi, o dei delinquenti con gli occhi colmi di invida, chiaramente desiderosi di rapinarmi. Forse non mi consideravano una preda facile, viste le armi che portavo al fianco, o magari l’agitazione che traspariva da me era vista come furia invece che smania di libertà, fatto sta che nessuno osò attaccarmi, e prima che me ne rendesse conto si fece buio mentre lentamente calava il crepuscolo.

Dovrei tornare, se non voglio peggiorare la situazione… mi dissi pensando ai guai che mi attendevano a casa. Al diavolo, ormai sono già nei casini, tanto vale farli stare in ansia per un po’! emerse il cattivo ragazzo che era in me.

Mi fermai un’istante, combattuto, con il piede ancora a mezz’aria in attesa di completare il passo. Stavo proprio per voltarmi e avviarmi rassegnato verso la Città Alta, orientandomi grazie alle guglie illuminate della Cittadella di Poenari, la residenza degli Oligarchi, quando sentii l’urlo.

Proveniva da un sudicio vicoletto alla mia sinistra. Era una voce femminile. Non esitai.

Mi lanciai nell’imboccatura della stradina, seminascosta tra due case, estraendo la Puşcă PSL dalla fondina alla cintura mentre correvo. Tolsi la sicura, sollevai l’arma, una via di mezzo tra una grossa pistola e un corto fucile, davanti al viso, l’indice della mano sinistra pronto sul grilletto e avanzai cautamente aspettando che gli occhi mi si abituassero all’oscurità.

Seguii i rumori di lotta fino a vedere una ragazza che da sola cercava di difendere un corpo steso a terra dalla furia di tre figure ammantate di nero. Prima di avere il tempo di pensare, l’istinto guidò la mia mano e sparai due rapidi colpi. Due lampi di luce bluastra balenarono riflettendosi sui muri circostanti, mentre i raggi laser colmavano lo spazio tra noi colpendo il più vicino dei presunti rapinatori, che stramazzò al suolo. I suoi compagni si girarono sorpresi, appena in tempo perché uno fosse colpito dal mio colpo successivo. Vedendolo accasciarsi, l’ultimo superstite indietreggiò imprecando e svani nella notte prima che potessi mirarlo. Riposi l’arma e allontanai con un calcio i due corpi incoscienti: avevo regolato l’intensità della Puşcă al minimo e sapevo che si sarebbero risvegliati nel giro di un paio d’ore con un brutto mal di testa.

Mi precipitai al fianco della ragazza che cercava di soccorrere la sua amica a terra, osservandole meglio per la prima volta.

Erano alte poco meno di me, mi arrivavano appena al mento. Quella in piedi aveva dei lucenti capelli castani, leggermente mossi, e penetranti occhi verdi che sovrastavano dei lineamenti affilati e graziosi. Quella a terra aveva invece i capelli più scuri e ricci, e occhi marroni colmi di rabbia e paura in un volto dalle curve più morbide e dolci.

Le porsi la mano per aiutarla a rialzarsi, ma la sua compagna mi si parò davanti fronteggiandomi agguerrita.

«Cosa credi di fare? Vuoi approfittarti anche tu di noi, magari come ricompensa per averci “salvate” da quegli altri teppisti?» domandò puntandomi un dito contro il petto, con un notevole coraggio considerato la pistola che mi pendeva al fianco, assieme alla spada corta sull’altro lato.

«Non ho intenzione di farvi del male. Voglio solo assicurarmi che torniate a casa sane e salve.» Indietreggiai di due passi, in modo da tornare nel cono di luce proiettato nel vicolo dalla strada principale; speravo che, una volta visto il mio abbigliamento, capissero che non ero uno dei soliti delinquenti e non ero un pericolo per loro. Ma non ottenni l’effetto sperato, anzi, la reazione fu totalmente opposta: entrambe sgranarono gli occhi, mentre la seconda che si stava rialzando si bloccava a metà del movimento.

«Perdonateci signore, non ci eravamo rese conto…non avevamo visto…non sapevamo…» balbettò la prima, mentre l’altra, ormai di nuovo in piedi, la interrompeva.

«Grazie per l’aiuto mio signore, ma adesso dovremmo proprio andare, siamo già in ritardo, il coprifuoco è passato da un pezzo.» disse con lo sguardo chino, mentre indietreggiavano di corsa. Ebbi a malapena il tempo di chiedere loro come si chiamassero, mentre fuggivano ai miei abiti da nobile. Dovevano avermi scambiato per un membro dell’Oligarchia, o dell’alta nobiltà. E ci avevano abbastanza azzeccato.

Riuscii solo a scoprire che quella che era caduta a terra, con i vestiti strappati e i capelli ricci più scuri, si chiamava Svenja, mentre la sua amica, evidentemente era sua amica visto che aveva cercato di difenderla, era Saskia.

Avrei voluto seguirle, per assicurarmi che arrivassero a casa sane e salve, ma le avrei terrorizzate ancor di più, ed ero già dannatamente nei guai per il mio ritardo.

Poi le loro schiene sparirono nell’oscurità.

   
 
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