Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Venatrix    19/08/2015    1 recensioni
Roma, 753 a.C.
"Vattene via, non posso ucciderti. Va a nord, non voglio più vedere la tua faccia."
"Lo sai che, lasciandomi in vita, non finirà qui. Tornerò, fratello."
"Lo so benissimo, Remo, la nostra guerra non finirà mai."
Milano, oggi.
Camilla è una ragazza comune, ha sedici anni e frequenta il liceo scientifico. Non è a conoscenza che i discendenti di Romolo e Remo stiano ancora combattendo una guerra senza fine, ma un giorno cambia tutto. La ragazza si ritrova di fronte a un mondo completamente diverso da quello che conosceva, in cui Angeli e Cacciatori si affrontano senza esclusione di colpi. Angeli e Cacciatori -i primi dai poteri incredibili, i secondi dalla forza sovraumana- metteranno alla prova il coraggio di Camilla, che scopre di far parte di quella guerra. Si, perchè lei è un Angelo, perchè evidentemente sua madre ha mentito sulla sua identità. Come se non bastasse Camilla ha una cotta per un Cacciatore, lo stesso Cacciatore che non vede l'ora di farle la pelle. Gabriele, l'Angelo che le ha salvato la vita, cercherà di tenerla fuori dai guai, mentre i Cacciatori proveranno ad ucciderla. Ma nulla è quello che sembra...
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
cap4 html

“What hurts the most”

“The winter is coming”
George R. R. Martin

 

Quando arrivai a casa mi buttai sul letto, sfinita. Il viaggio sui mezzi pubblici era stato terribile, mi era tornata la nausea e avevo rischiato di vomitare almeno una decina di volte. Sentivo dolore in qualsiasi punto del mio corpo, come quando si corre per lungo tempo e l’acido lattico inizia ad invaderti i muscoli. Il mio trucco era collassato per via della continua sudorazione fredda e il mio viso ora era una maschera informe di nero e grigio. Il mio zaino era stato abbandonato all’entrata e io ero a letto con ancora le scarpe addosso, il solo provare a slacciarle mi aveva causato dei capogiri.

Voglio morire...

<< Bene, sei arrivata. Potevi passare a salutare! >>

Una donna, dai capelli neri e corti, era entrata in camera mia, senza bussare. Aveva un fisico atletico e muscoloso, quasi come quello di una body builder, e indossava una tuta da ginnastica. Lavorava come personal trainer in una palestra per fighetti in centro, ma per quanto mi riguardava era una spia del KGB e una gran rompicoglioni.

Se fosse veramente una spia, mi avrebbe già fatto sparire in un fosso.

<< Ciao, zia Monica, dov’è la mamma? >>

<< In Cile o giù di lì. Un tipo è stato arrestato per droga, ma sembra essere innocente e Moser è stato chiamato all’improvviso per difenderlo. >>

Il dottor Moser, il capo di mia madre, era un avvocato per i diritti civili e lei era la sua assistente sottopagata. Lui, occupandosi principalmente di casi internazionali, la costringeva a seguirlo in tutti i suoi viaggi.

<< Ok, quando torna? >>

<< Non so, forse fra due o tre settimane. Mi ha detto che è un caso molto importante. >>

Sbuffai, era un viaggio piuttosto lungo anche per i suoi canoni. Mi venne un fortissimo capogiro e la mia vista divenne torbida.

<< Comunque, Camilla, ti farebbero bene un po’ di sole e un po’ di sport, andiamo a fare una corsetta? >>

Sapevo cosa stava per succedere, saltai in piedi con le poche energie che mi erano rimaste, scansai mia zia e corsi verso il bagno, chiudendomi la porta alle spalle.

Ti prego, questa volta non fuori dalla finestra...

Divenne tutto buio intorno a me.

Un istante dopo picchiai la testa sul soffitto e ricaddi a terra sul ginocchio, sentendo un dolore atroce. Mi misi entrambe le mani sulla bocca per non urlare e farmi sentire dalla zia.

Monica bussò lievemente alla porta del bagno.

<< Camilla? Tutto bene? >>

Dopo quel “salto” la mia mente era tornata lucida, pronta ad inventare una bugia,  quindi, sebbene la mia gamba dolorante non riuscisse a reggere bene il mio peso, andai ad aprire la porta.

<< Credo di avere un’intossicazione alimentare, ho appena vomitato l’anima. Tra l’altro sono inciampata e mi sono distrutta il ginocchio. >>

Evidentemente la mia faccia, pallida e sconvolta, confermò appieno ciò che avevo appena inventato. Monica mi prese per un braccio e mi trascinò in cucina, facendomi accomodare sulla panca di legno.

<< Togliti i pantaloni, servirà del ghiaccio. >>

Ubbidii controvoglia e aspettai che lei valutasse la situazione. Il mio ginocchio aveva assunto un colore rosso scuro e stava iniziando a gonfiarsi. Mi appoggiò un sacchetto di piselli surgelati sopra al gonfiore.

<< E’ solo una botta, tranquilla. Però dovresti fare un po’ di sport per migliorare la coordinazione e soprattutto per dimagrire un po’, non vorrai avere la cellulite fra qualche anno? >>

Solo complimenti oggi!

<< Ok, ci penserò, ora sono inabile allo sport. >>

Indicai sorridendo la mia gamba destra e mi diressi verso la mia stanza.

<< Vuoi qualcosa per lo stomaco? O vuoi mangiare magari? >>

<< Magari prendo qualcosa per lo stomaco dopo e l’idea di mangiare non mi attira per nulla. >>

<< Camilla, vedi, questo è il tuo corpo che vuole dimagrire e ti sta parlando. >>

Si e mi sta suggerendo di spedirti da qualche parte.

Raccolsi lo zaino da terra, solo per poi buttarlo sul letto, e recuperai il mio cellulare. Sullo schermo campeggiava una scritta che quasi mi fece inciampare, per davvero questa volta: Daniele Zatti ti ha mandato una richiesta d’amicizia.

Subito dopo comparve anche un messaggio in cui lui mi chiedeva di incontrarlo per ridargli l’accendino. Se questo mi fosse accaduto ieri, avrei fatto dei salti di gioia alti tre metri.

Invece oggi l’avevo visto diventare quella cosa e mi aveva terrorizzato tantissimo. Non era stato l’aspetto a sconvolgermi, ma più il fatto che quello che avesse detto Gabriele su di lui fosse vero. Infondo, tutta quella faccenda della Guerra mi sembrava così irreale e poi li avevo visti combattere, con odio. Era tutto fottutamente reale e io, per qualche ragione assurda, ne facevo parte.

Mi lasciai cadere a terra e iniziai a piangere, cercando di non farmi sentire da Monica.

Dopo due ore di lacrime e autocommiserazione, la nausea tornò a tormentarmi e il mio cellulare squillò: era una chiamata di skype con i miei tre amici, Carla, Michela e Andrea. Risposi controvoglia e cercai di darmi un contegno.

<< Era ora che rispondessi Camilla, ho cercato di chiamarti un sacco di volte. >>

Era stata Michela a parlare. Probabilmente ero in uno stato così confusionale che non mi ero resa nemmeno conto delle chiamate precedenti.

<< Scusa, non sto troppo bene... >>

<< Non puoi stare ancora pensando alle parole di quel cocainomane. >>

Andrea mi interruppe, senza lasciarmi finire.

<< No, no, tranquillo Andre, sto proprio fisicamente male, devo aver preso un virus intestinale. Però, a proposito di Daniele, dovete darmi un consiglio. >>

Inviai a tutti loro uno screenshot del messaggio che avevo ricevuto e stetti ad ascoltare, senza intervenire, la loro lunga discussione al riguardo. Andrea, molto protettivo nei miei confronti, sosteneva che non dovessi nemmeno rispondergli, mentre le ragazze controbattevano che Daniele volesse avere un appuntamento con me. Io non potevo fare a meno di sentirmi in colpa per non spiegar loro come stessero veramente le cose. Era la prima volta, da quanto eravamo diventati amici, che non potevo essere totalmente sincera con loro e questo mi faceva stare ancora peggio. Soffrivo così tanto che dovetti chiudere la conversazione.

<< Ragazzi sono le sei e mezza, fra un’ora mangio. Va bene se porto l’accendino a uno di voi? Tanto non penso di venire domani. >>

<< Non dirai sul serio? >>

<< Si, Carla, è uno stronzo, ha ragione Andre. Posso portarti l’accendino fra una mezz’ora? >>

Dopo qualche altra opposizione da parte delle ragazze, riuscii a convincerle. Andai a farmi una doccia e mi preparai velocemente.

<< Monica, devo portare degli appunti a una amica, torno fra, massimo, venti minuti. >>

Un rumore assordante uscì dalla cucina. Mia zia non era mai stata un’ottima cuoca, se non per fare centrifughe e insalate iperproteiche.

<< Ok, io mi faccio un’insalata di pollo ne vuoi un po’ per cena? >>

<< Non penso che mangerò, sai, lo stomaco. >>

<< Meglio, un po’ di digiuno può farti solo bene. >>

Io sbuffai e presi le chiavi del motorino, dopo aver controllato di avere ancora l’accendino in tasca. Scesi le scale reggendomi bene alla ringhiera e al piano di sotto incontrai il mio vicino.

<< Ciao, Davide. >>

<< Ciao, stai... stai bene? >>

Io mi guardai e poi capii che si riferiva al mio colorito cadaverico e all’aspetto da malato terminale che dovevo avere.

<< Ah si, solo un virus intestinale che sta girando. Attento, eh. >>

Tirai un falso colpo di tosse diretto verso di lui, che mi guardò schifato e si chiuse in casa.

Sono stata un po’ stronza.

Uscita dal portone di casa, mi diressi verso il mio vecchio motorino rosso. Mia madre me l’aveva regalato due anni fa, l’aveva preso usato, da un amico, e mi aveva autorizzata a utilizzarlo solo raramente, per uscire la sera o per andare dagli amici, ma non per andare a scuola. Una volta acceso, faceva un rumore orribile e fastidioso, ma la cosa positiva era che mi portava in giro. In un attimo stavo girando nella via di Carla e una nausea improvvisa mi prese lo stomaco.

Non ora, ti prego.

La mia vista si oscurò e mi teletrasportai. Io e il mio motorino ricomparimmo venti metri più avanti a un metro da terra. Riuscii ad atterrare, senza cadere, e frenai di colpo. Mi guardai intorno, non c’era nessuno per fortuna, e iniziai a ridere.

Ok, questo era stato divertente.

 

Erano passati cinque giorni da quando avevo portato l’accendino a Carla. Gli attacchi di nausea e i “salti” imprevisti erano diminuiti fino a sparire, ma io comunque non volevo tornare a scuola. Avevo inviato quella brutta risposta a Daniele e l’ultima cosa che volevo era rivederlo. I miei amici mi avevano chiamata più volte e io avevo usato la scusa del virus intestinale, scusa che con Monica stava smettendo di funzionare.

Era domenica, nel pomeriggio avevo fatto una videochiamata con mia madre, ma non avevo avuto il coraggio di farle domande. Io e lei avevamo un bel rapporto, ma non eravamo quel genere di persone che parlavano seriamente dei loro sentimenti o dei loro problemi, eravamo persone riservate. E questo era il motivo per cui le risposte che cercavo su di me e su mio padre le avrei ricevute quella stessa sera, da qualcun’altro.

In teoria, quella sera, alcune classi della mia scuola, tra cui la mia, sarebbero dovute andare a teatro a vedere lo spettacolo “La bisbetica domata”, ma io avevo programmi diversi: popcorn e film romantico. Ma, essendo la mia vita diventata un fottuto casino, una telefonata modificò i miei progetti.

Una telefonata, da un numero privato, accese lo schermo del mio cellulare.

<< Pronto? >>

<< Ciao, Camilla, sono Gabriele, tutto bene? >>

Io, in quel momento, mi stavo dondolando annoiata sulla sedia della mia scrivania e quasi mi ribaltai quando sentii la sua voce, invece di quella di un operatore telefonico.

<< Ah, ehm, si, a parte il fatto che negli ultimi giorni sono stata letteralmente sballottata da un posto all’altro e non abbia fatto altro che vomitare. >>

Lui rise dolcemente e io mi sentii un’idiota.

Scommetto che era proprio interessato alla parte del vomito.

<< Immagino, è normale. Comunque, ho saputo che anche la tua classe deve andare a teatro... >>

<< Si e ci andrà senza di me. >>

<< E invece ti sbagli. Voglio presentarti gli altri ragazzi della squadra, parlare un po’ con te e soprattutto farti vedere come lavoriamo. >>

Strabuzzai gli occhi, l’ultima frase poteva voler dire solo una cosa: pericolo.

<< Si, sembra interessante, ma non posso. Sarei solo un peso per voi. >>

<< Lo sai che i Cacciatori hanno chiesto informazioni sul tuo conto ai tuoi amici? Io, per proteggere loro e il nostro segreto, ieri gli ho fatto dimenticare tutto. Mi dispiace che stia succedendo tutto così in fretta, ma dovrai imparare a difenderti, per proteggere te e le persone che ami. >>

Il mio respiro si bloccò e i miei occhi si persero nel vuoto.

I miei amici...

<< Camilla, stanno bene per ora, ma è importante che tu capisca e che sia pronta. Ti passo a prendere alle otto, va bene? >>

Io ripresi fiato, non potevo permettere che ai miei amici succedesse qualcosa.

<< Ok, va bene, ci vediamo alle otto. >>

Chiusi la chiamata e mi alzai in piedi.

<< Vai da qualche parte? >>

Mia zia Monica era appoggiata alla porta e portava orgogliosamente, sul viso, un sorriso sornione. Io buttai gli occhi al cielo e mi diressi verso l’armadio.

<< Un amico viene a prendermi fra venti minuti, dobbiamo andare a teatro con la scuola. >>

Mi infilai un paio di jeans e notai con sorpresa che mi andavano larghi. Evidentemente il teletrasporto non aveva solo consumato le mie energie, ma anche, letteralmente, il mio corpo.

<< Se esci con un ragazzo, dovresti metterti qualcosa di carino e, visto che sei dimagrita, dovresti metterti qualcosa che non ti stia così largo. >>

Io sbuffai, ma in fondo aveva ragione. Mi infilai per metà nell’armadio e rovistai in una scatola dove tenevo i vestiti che mettevo due anni fa. Trovai dei jeans attillati, pieni di strappi, e li misi.

<< Quelli fanno schifo, ma almeno la taglia è giusta. Mettiti questa. >>

Mi lanciò una camicia bianca.

<< Non mi va, non si chiude sulle tette. >>

<< Quello è perché hai ereditato le tette giganti di mia cognata. >>

<< Beh, visto che tutto il resto fa schifo, almeno quelle lasciamele. >>

Lei se ne andò sbuffando e io, alla fine, mi misi una canottiera nera con una camicia scozzese sopra. Iniziai a truccarmi, ricoprendo i brufoli col solito correttore, senza esagerare.

Tanto finirà a botte e, se mi trucco, finirò come un panda.

Rabbrividii. Presi un respiro profondo e scrissi ai miei amici che sarei andata a teatro, senza ricevere alcuna risposta. Due minuti dopo mi arrivò un messaggio da Gabriele che mi diceva di scendere. Presi la borsa con dentro il portafoglio e ci misi il telefono. Poco prima di uscire mi fermò mia zia.

<< Non tornare tardi, ok? >>

<< Vado solo a teatro, mi farò un paio d’ore di sonno, tranquilla. >>

<< Sono tranquilla, vestita così sei l’antisesso. >>

Grazie.

Sorrisi a Monica, mi chiusi la porta alle spalle e le feci il dito medio. Scesi le scale di corsa e, di corsa, uscii dal cortile. Fuori c’era un costosissimo suv nero, aprii la portiera e salii.

<< Ciao, Camilla. >>

<< Ciao, Gabri, hai già la patente? >>

Idiota, è ovvio, sta guidando.

<< Si, presa un mese fa.>>

Lui mise in moto e partì.

<< Ok, come prima cosa, ti dico cosa ho scoperto sul tuo conto. >>

Io gli lanciai un’occhiata di traverso, ma lui continuò.

<< Tuo padre era Jazeriel Aleri, un Angelo molto importante nella nostra società e un amico dei miei genitori, pensavano fosse morto senza lasciare eredi... >>

Si interruppe, probabilmente aveva notato che io avessi smesso di respirare. Io rilasciai l’aria e cercai di mantenere il controllo, dopo la notizia della morte di mio padre. Pur non avendolo mai conosciuto era strano e triste venirlo a sapere così.

<< Sto bene, tranquillo, però che nome strano. >>

Lui mi sorrise e posò la sua mano sulle mie.

<< Si, alcuni di noi portano nomi di Angeli, contenuti nella Cabalà. Io porto il nome dell’arcangelo e probabilmente anche il tuo deriva da lì, ma dovresti chiedere a mio padre, è lui quello esperto. >>

Io annuii e gli chiesi se potessi fumare, in modo tale da liberare le mani dalla sua stretta.

<< Si, solo abbassa il finestrino. Comunque, stasera non ci sarà molta azione, vogliamo solo vedere le loro reazioni verso di te. >>

<< Che reazione vuoi che abbiano? Penseranno che sia la vostra mascotte oppure che sia la più facile da ammazzare. >>

Lui rise di gusto.

<< A Roberto e a Edoardo piacerai un sacco. >>

Non credo, ma è gentile da parte tua dirlo.

Dopo qualche minuto di pausa, disse una cosa che mi fece quasi morire dalle risate.

<< Comunque i nostri poteri consumano le nostre energie, devi mangiare molto più del normale se non vuoi diventare pelle e ossa e morire. >> e continuò quando sentì le mie risate << Sto dicendo sul serio, la nostra alimentazione è molto importante. >>

<< Va bene, va bene, mi sfonderò di pizza. >>

<< Dovrai seguire un’alimentazione equilibrata. >>

Io sbuffai del fumo fuori dal finestrino e mi misi più comoda sul sedile.

La macchina imboccò una via, stretta e con il pavè, che portava dritta al teatro Carcano.

<< Guarda che di qui ci può passare solo il tram. >>

<< Tranquilla, a noi  non arrivano le multe. >>

Fantastico.

Lui parcheggiò in divieto di sosta e scese dalla macchina, mentre io facevo lo stesso. Notai che lui si era mosso velocemente verso il mio lato, forse per aprirmi la portiera, e gli sorrisi. Mi fece segno di seguirlo. Davanti al portone d’ingresso del teatro si era radunata una folla di studenti e i professori facevano fatica a tenerli calmi. Era una bella serata autunnale, limpida, e soffiava un lieve brezza fredda, come per ricordare a tutti noi che l’inverno stesse arrivando.

The winter is coming.

Sorrisi leggermente.

<< Camilla, posso finalmente presentarti Roberto e Edoardo. >>

Rivolsi lo sguardo verso i due ragazzi. Il primo aveva i classici tratti mediterranei, aveva i capelli corti e un’orecchino sul lobo sinistro, mentre il secondo aveva i capelli biondi e le iridi davvero scure, quasi nere. Entrambi erano vestiti in modo curato ed avevano un fisico definito.

Ok, sono l’unico Angelo cesso, va bene.

I professori iniziarono a richiamare gli studenti affinché entrassero e io con la coda dell’occhio notai le tre figure dei miei amici dirigersi verso l’entrata. Subito scattai verso di loro per andare a salutarli.

<< Ehi, Camilla, aspetta... >>

Ignorai Gabriele e mi infilai a spinte in mezzo alla folla. I ragazzi a loro volta si strattonavano l’un l’altro, nessuno voleva avere il posto di fianco ai professori. Inciampai in un piede di qualcuno e finii contro a una persona. Mi aggrappai alla sua felpa per recuperare l’equilibrio e sfornai un sorriso a trentadue denti ai miei tre amici.

<< Ehi, ragazzi, guardate un po’ chi c’è? >>

Iniziai a saltellare felice, ero stata una stupida a evitarli, ma poi notai l’oggetto nelle mani di Carla e glielo strappai di mano.

<< Che cavolo ci fai ancora con questo accendino? >>

Michela, Carla e Andrea mi fissarono stupiti e allo stesso tempo imbarazzati. Poi si scambiarono degli sguardi fra loro.

<< Che sono quelle facce appese? >>

<< Ehm, Aleri, non ci hai mai rivolto la parola in quattro anni che siamo in classe insieme. Scusa, ma tutto questo sembra un po’ strano. >>

Non potevo credere alle parole che erano uscite dalla bocca di Andrea. Mi avvicinai a loro di un passo, la maggior parte dei ragazzi era ormai entrata e muoversi era diventato più facile. I tre davanti a me arretrarono, sempre più imbarazzati.

<< Ragazzi, mi prendete in giro? Noi siamo amici da anni! >>

I ragazzi si scambiarono di nuovo degli sguardi sconcertati.

<< Io non so di quale droga tu ti sia fatta, ma dovresti farti vedere da qualcuno. >>

<>

Sembravano davvero non riconoscermi, come se io, nelle loro vite, fossi stata solo una comparsa.

...ieri gli ho fatto dimenticare tutto.

E allora capii.

Gli aveva fatto dimenticare tutto, tutto di me.  

Il mio cuore perse un battito quando li vidi voltarsi e andarsene via da me.

Arretrai, iniziando a piangere e a singhiozzare forte, e finii contro qualcosa. Mi portai le mani al petto, mi sentivo bruciare dentro, e urlai con tutta la voce che avevo.

Qualcosa di primordiale e antico scaturì dal mio corpo, le vetrine del teatro si frantumarono in migliaia di cristalli e numerosi antifurti cominciarono a suonare. Le luci dei lampioni sfarfallarono nervosamente e le braccia di quel qualcosa, no di quel qualcuno, contro cui ero finita, mi strinsero fino a quasi farmi perdere il respiro.

Cercai di scrollarmi di dosso quella stretta, ma era come se delle barre d’acciaio mi stessero circondando. Iniziai a dimenarmi e a scalciare furiosamente. Intorno a me flussi di energia, scaturiti dal mio potere, salivano nell’aria e si avviluppavano su se stessi come il fumo di una sigaretta. L’asfalto sotto i miei piedi si era ammorbidito per via del calore che avevo generato e aveva formato dei cerchi concentrici attorno a me. I due cerchi più esterni erano anneriti e nello spazio fra di essi vi erano impressi a fuoco svariati simboli di cui non conoscevo il significato. Quei simboli stavano brillando di una luce rossastra.

<< Smettila o farai del male alle persone a cui vuoi bene! >>

Guardai all’interno del teatro, nella hall, e vidi diverse persone immobili come automi che guardavano nel vuoto, senza curarsi delle schegge di vetro sparse ai loro piedi. Fra di loro c’erano Michela, Carla e Andrea. Qualcuno stava manipolando le loro in menti in modo tale che non si ricordassero di quello che avevo fatto, ma al contempo quelle persone erano impossibilitate a muoversi ed erano terribilmente vicine a me. Mi rilassai improvvisamente, il mio potere svanì in fretta così come era arrivato e i simboli si spensero, diventando cicatrici nere sull’asfalto. Con la coda dell’occhio vidi le persone muoversi verso la sala interna del teatro, qualcuno le aveva spinte, tramite una manipolazione mentale, ad allontanarsi. Le mie gambe cedettero e le braccia intorno al mio corpo allentarono la presa, pur continuando a sorreggermi. Le scacciai malamente con un colpo della mano e mi lasciai cadere a terra, portandomi le mani al viso bagnato da lacrime cocenti. Incredibilmente l’accendino di Daniele era rimasto integro nel mio pugno.

<< Cane, allontanati subito da lei o giuro che ti faccio fuori. >>

Alzai lo sguardo su Gabriele, che aveva parlato, e poi sul ragazzo che mi aveva impedito di far del male a delle persone, Daniele. Quest’ultimo stava in piedi con le braccia lungo i fianchi. Era trasformato nella sua controparte ferina, con i canini appuntiti leggermente sporgenti dalle labbra socchiuse e con le pupille verticali che continuavano a ingrandirsi e a rimpicciolirsi, come se stesse tentando di mettere bene a fuoco. Sposto i suoi occhi gialli su di me per un secondo e poi tornò a guardare il suo avversario. Gabriele e i suoi due compagni stavano in piedi con le mani puntate su Daniele, pronti a colpire.

<< Ehi, cucciolotto, fai festa senza di me? >>

Brand, l’amico di Daniele, spuntò da dietro un’auto con un sorriso stampato in faccia. Il ragazzo di fianco a me ricambiò l’amico e si preparò a combattere, alzando le braccia, chiuse a pugno, davanti al viso. Io mi alzai di scatto e porsi l’accendino a Daniele che mi guardò sorpreso e poi accettò facendo sfiorare le nostre dita per un millisecondo.

<< Senti, non mi importa un emerito cazzo della vostra stupida guerra. Devo risolvere una cosa con lui, >> indicai Gabriele con rabbia << quindi tu e il tuo amico ritardato non mettetevi in mezzo. >>

<< Come cazzo mi hai chiamato, troia? >>

Daniele mi sorrise e diede una pacca sulla spalla a Brand.

<< Prego, tesoro, prima le signore. >>

Fece un ampio gesto con la mano e io gli lanciai un’occhiataccia indispettita. Certo, nulla in confronto a quella che lanciai a Gabriele quando mi diressi verso di lui.

Angolo autrice

Questo capitolo è un po’ più lungo del precedente, ma spero che vi piaccia comunque. Qualsiasi recensione, anche critica, è ben accetta.

Il titolo di questo capitolo deriva dalla canzone Rascal Flatts - What Hurts The Most

Detto questo, vi saluto e vi ringrazio per la lettura.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Venatrix