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Autore: Kurokage    20/08/2015    1 recensioni
[Storia in fase di revisione | Sarà interrotta per un lungo periodo]
Era una calda giornata di sole e Eris Williams stava salvando la vita ad una persona.
Quello sarebbe stato l'errore più grande della sua vita.
Ma Eris si era dimenticata, o forse scordata, che un'invisibile legge aleggia fra la vita di tutti gli esseri umani, dimenticata ma sempre presente.
Sarà questa invisibile legge a trasformare la vista di Eris, e a farle vedere che dove c'è luce c'è ombra, dove c'è bene c'è male, dove c'è vita c'è morte.
Eris non sarà sola in questo viaggio, un viaggio dove sarà soppesata la sua vita e la sua anima.
...Dicci, Eris, ci sono sconti nel luna park della vita?
...E tu, il tuo, lo otterrai?
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 5 - Tutti i miti sono greci o tutti i greci sono miti?
5. Tutti i miti sono greci o tutti i greci sono miti?

Passai tutta la giornata a eludere lo sguardo di Thy, conscia della grandiosa figura di merda fatta col fratello.
No, aspetta, perché mi importava così tanto del pensiero che Thy aveva di me?
«Vedrai che andrà tuuuuutto per il meglio, Eris»  disse Mary nel disperato tentativo di risollevarmi il morale.
Tentativo che fallì miseramente quando una voce mi chiamò alle spalle.
«Finalmente ti ho trovata! È tutto il giorno che ti cerco!»
 Gelai.
"Grande Ade, giuro che ti faccio da dog-sitter a Cerbero, ma ti prego fammi sprofondare ora!"
Mi voltai lentamente.
Non capivo se lo sguardo di Thy era preoccupato o era solo affannato per avermi cercata per tutta la scuola.
«Da... Davvero?» gli dissi, tentando di avere il tono più normale possibile.
Lui sembrava non essersi accorto della situazione.
«Sì. Ho saputo, o meglio, mio fratello mi ha detto che avete parlato...»

"Dannati fratelli!"
«Io, ehm, sì, un pochino. Mi ha solo chiesto dov'era l'aula in cui ti trovavi, tutto qui. È successo qualcosa?»
Il suo sguardo si rallegrò improvvisamente
«Nono, tutto a posto!»
«Sicuro?»
«Sìsì!»
«Hai... Hai detto che mi cercavi...»
«Ah, sì!» Thy divenne improvvisamente impacciato, e Mary smise di respirare.
«Volevo... Volevo chiederti se ti andava di... ecco... andare a casa insieme...»
"PER ADE! Ti avevo chiesto di farmi sprofondare, non... non... oh, mi arrendo"
«Ma... tuo fratello poi...»
«Phy ha detto che va a casa con Sherley e così...»
"Povera anima..." pensai sconsolata.
«Io, emh...» questa volta, la terza gomitata di Mary in tutta la giornata, la sentii forte e chiara.
«Ok» dissi, mentre tentavo di riprendermi da delle probabili costole rotte.
Il sorriso di Thy era indescrivibile.
«Bene, emh... cos'abbiamo ora?» chiese Mary, tornando in vita dal suo silenzio.
«Arte»
«Arte?»
«Arte» rispondemmo in coro Thy ed io.
Tutti e tre ci dirigemmo così all'aula di arte, prendemmo posto, sistemai il banco rialzato e mi preparai.
Giusto tre secondi dopo entrò il professore con l'esperto.
Arte non era esattamente una lezione, era un progetto di un paio di lezioni per... per... non ricordavo.
Trattavamo temi mitici, non nel senso di favolosi, proprio mitologici, e oggi avremmo saputo qual'era quello odierno.
«Bene, ragazzi» disse il signor Webb, l'esperto «oggi trattiamo il tema artistico di...» lasciò la frase in sospeso mentre passava gli occhi su un paio di fogli «Amore e Psiche»
Dei gridolini misti a sospiri si levarono per tutta la classe.
Il mio era un rantolo di puro dolore e sofferenza.
Thy si voltò a guardarmi.
«Non ti piacciono Amore e Psiche?» mi chiese con un mezzo sorriso divertito.
«È un mito... idiota. Non puoi sposare qualcuno senza nemmeno sapere chi è!»
«Ma chi non si innamora di Amore, appena lo si vede?» mi chiese Mary con tono ovvio.
«Psiche non ha mai visto in faccia il marito. Per quanto ne so, la situazione si è svolta così:
*Buio pesto*
- Hey, Psiche! Ti va di sposarmi?
- Umh... Ok.
*Sposi*
E non vissero per sempre felici e contenti.»

«Come siamo acidi...» commentò Mary.
«Si chiama realtà, Mary»
«In realtà, Amore e Psiche si amavano. Si amavano davvero» disse Thy sovrappensiero.
Io e Mary ci voltammo a guardarlo sbalordite.
Nel mentre, il professore ci distribuiva i fogli con il mito di Amore e Psiche, ma noi ascoltavamo silenziose Thy e i suoi discorsi.
«Psiche aveva ricevuto il soprannome di Venere - o Afrodite se più vi piace - e la Dea, scoperto ciò, si infuriò parecchio. Andò da suo figlio, Eros - o Amore, come vi pare - e gli ordinò di andare da questa ragazza , che per la sua bellezza gli umani chiamavano Venere oltraggiando il nome della Dea, e di farle amare e sposare l'uomo più brutto che ci fosse nella sua città.
Eros avrebbe fatto qualunque cosa per non dispiacere la madre, ma quando vide Psiche, seppe lui stesso il significato del suo nome.
Notte e giorno escogitò un piano per vedere la sua amata senza che la madre lo venisse a sapere, e così decise di incontrarla di notte, al buio, così che lui sapesse chi lei fosse, ma lei non potesse sapere i tratti del suo amato.
Si amarono molto e profondamente e Psiche... beh, lei non poté far altro che innamorarsi dell'Amore.
La loro relazione andò avanti giorni e giorni finché, esasperata, Psiche non diede ascolto alle sue sorelle e peccò del peccato di Pandora: la curiosità.
Curiosa di sapere chi fosse l'amato che la incontrava quasi ogni notte, ella si avvicinò a lui e ne illuminò il volto dormiente con una lampada ad olio.
Oh, quanto era innamorata, Psiche! Così innamorata che le sue mani tremarono e dell'olio cadde sullo splendido volto del suo amato Amore.
Lui si svegliò e, realizzato che Psiche aveva infranto la promessa di non vedere mai chi fosse Amore, se ne andò senza dire una parola»
Thy si interruppe giusto per riprendere fiato.
«Giorni passarono e Psiche era distrutta nel cuore.
Aveva amato così tanto che il suo cuore non poteva più vivere senza l'amore che le dava Eros: si mise così in viaggio per cercare il perdono e il suo amato.
A dimostrazione del suo pentimento, Psiche dava aiuto in tutti i templi in cui passava e quando si ritrovò in un tempio dedicato a Venere, decise di diventarne una sacerdotessa per porre rimedio al disonore che aveva arrecato al nome del figlio della Dea.
Venere, allora, annoiata e lussuriosa, decise di mettere alla prova l'amore di Psiche, credendo che un banale essere umano avrebbe lasciato perdere, conquistando così la sua sconfitta e facendo di Psiche ciò che più voleva. La sottopose a quattro prove estreme: nella prima avrebbe dovuto dividere in tanti mucchietti uguali un mucchio di granaglie di diverse dimensioni. Sconfortata, Psiche decise di rinunciare, ma delle formiche, impietositesi dal forte amore che provava per Eros, decisero di aiutarla.
Pensando che fosse... diciamo "fortuna", Venere le sottopose la seconda prova: raccogliere la lana d'oro da un gruppo di pecore.
Questa sarebbe stata una prova abbastanza semplice, ma Psiche era umana e ingenua, quindi non poteva immaginare che, come le rivelò una canna verde, quelle pecore col sole diventavano molto irrequiete e che avrebbe dovuto aspettare la sera per raccogliere la lana rimasta intrecciata nei rovi.
Venere passò così alla terza prova: raccogliere dell'acqua da una sorgente situata nel mezzo di una cima liscia e a strapiombo.
Psiche, sconfortata, pensò a come fare per giorni, finché l'aquila di Zeus non andò in suo soccorso.
Spazientita e furiosa, Venere decise di affidarle l'ultima ed impossibile prova: ottenere un po' della bellezza di Persefone.
Psiche, ormai disperata perché l'ingresso agli inferi era vietato ai viventi, decise di entrarvi morendo, ma la torre da cui si stava per buttare incominciò a muoversi e le indicò la via per il regno dei morti.
Ottenuto il dono, Psiche era ormai col cuore colmo di gioia per aver redento il nome del suo amato col suo amore, ma era un essere umano e il peccato di Pandora la contagiò ancora una volta»
«Ma col cacchio che stesse ferma quella Psiche, eh!» sbottò Mary.
Thy le rivolse un sorriso mesto e continuò a raccontare.
«La curiosità la spinse a chiedersi cosa mai fosse la bellezza di Persefone, così aprì la boccetta in cui era custodito il dono e cadde addormentata.
La "bellezza" di Persefone era infatti il sonno della morte.
Amore, nel mentre, guarito dalla bruciatura dell'olio, soffriva le sue stesse pene per la mancanza della sua amata Psiche, e non potendo vivere senza di lei, scappò dal luogo in cui la madre lo aveva chiuso e volò, volò, volò più veloce che mai dalla sua amata.
Quando la vide, caduta a terra, cadde nello sconforto più grande, ma quando realizzò che era persa in un sonno profondo, facendo attenzione, rimise il dono di Persefone nella boccetta e svegliò la sua amata con una leggera puntura di una delle sue frecce.
Qui, spronò Psiche a portare a termine il compito affidatole da Venere, e lui tornò a occuparsi di tutto ciò che poteva causare problemi al loro amore.
Eros, consumato dalla passione per Psiche, decise di fare appello a Zeus, che accettò solo se Amore gli avesse portato una bella fanciulla terrena.
Eros volò più veloce di un fulmine del padre e Zeus invocò un concilio a cui tutti gli Dei - e dico proprio tutti - dovettero partecipare.
Qui, Zeus decretò il matrimonio fra Amore e Psiche e, rivolgendosi a Venere, le disse che non avrebbe dovuto aver timore di avere una discendenza "sporcata dagli umani", in quanto avrebbe posto subito rimedio alla condizione della giovane.
Chiamò Ermes e gli ordinò di portare sull'Olimpo Psiche, cosa che fece prontamente.
Qui, Psiche, si vide offerta da Zeus dell'ambrosia che accettò, divenendo immortale.
Poco dopo, i festeggiamenti delle nozze fra Amore e Psiche riecheggiarono in tutto l'Olimpo, e quando il sole scandì l'ora esatta, Amore e Psiche ebbero una figlia chiamata Voluttà o, nel termine greco, Piacere»
Thy smise di parlare e per una paio di minuti, il silenzio piombò sulla classe.
Nessuno si era accorto che, mentre Thy parlava, la classe si era silenziosamente messa ad ascoltare con quanta passione e rispetto parlava della storia fra Amore e Psiche.
«...Wow» dissi semplicemente.
La campanella suonò e il professore, allibito da come aveva sentito il racconto, ci lasciò andare senza compiti o altro, pretendendo però che la settimana dopo partissimo immediatamente a disegnare il nostro concetto di Amore e Psiche.
Uscendo dall'aula, mi diressi verso gli armadietti.
«Umh... Eris, secondo te... ho fatto male?» mi chiese Thy preoccupato.
«Tu cosa?! Nonono!!  No e poi ancora no! Sei stato... fantastico! Non ho mai sentito raccontare un mito greco come lo racconti tu! C'era così tanta passione nella tua voce! Era come... come... come se ci fossi stato anche tu!» gli risposi, ancora scossa dall'intensità con cui Thy aveva pronunciato ogni singola parola.
Lui si aprì in un dolce sorriso.
Sistemai un paio di libri e poi mi voltai verso di lui.
«Andiamo?» chiesi, ricevendo un cenno di consenso come risposta.
«Hei hei hei...» disse una voce dietro di noi, e non feci nemmeno in tempo a voltarmi che mi ritrovai il braccio di Mattew attorno al collo.
«Andiamo a casa insieme, piccola?» disse lui, tentando platealmente di suscitare dell'invidia in Thy.
Ma non diedi tempo né all'uno per provarla, né all'altro per trascinarmi via:
«Mollami, Matt» gli dissi decisa.
«Perché mai, piccola? Io e te stiamo insieme, no?»
«Non. Chiamarmi. PICCOLA!» gli urlai in faccia.
Matt si staccò immediatamente da me con una faccia preoccupata.
Ora era seriamente diventata una questione d'onore.
Avevo così tanta furia in corpo che avrei potuto distruggere tutto quanto, un odio così glaciale e calcolato che già vedevo in che maniera avrei degradato l'orgoglio di Matt, o forse avrei-
Venni interrotta dalla mano di Thy che si era posata sulla mia spalla.
«No, Eris, calma. Non è successo nulla»
«Eh? Cosa?» chiesi confusa.
Tutto l'odio e la rabbia sproporzionati che avevo provato per Matt - cosa che, in realtà, non avevo mai fatto in vita mia - erano completamente svaniti.
«Forza, andiamo. Buona giornata, Mattew» disse Thy cortese, prendendomi per mano e guidandomi fuori dall'entrata.
Verso l'uscita, mi sembrò che Thy e Phy (che stava amabilmente chiacchierando con Sherley, facendo sfumare completamente il mio "povera anima") si scambiassero un fugace sguardo preoccupato.
Ma forse, me lo ero immaginato.

«Umh... ti va di... allungare un po' il percorso?» mi chiese Thy mentre arrivavamo vicino ad un bivio.
«Io.. non credo sia una buona idea. Cioè, ci metto dieci minuti di solito, quindi i miei si preoccuperanno...»
«Ah. Sì... certo» mi disse con un sorriso, ritornando poi a camminare e guardandosi i piedi con espressione triste.
«Però... ora che ci penso... mamma e papà arrivano tardi, oggi, quindi...» gli dissi, guardandomi i piedi e vedendo con la coda dell'occhio un suo mega sorriso.
«V-Vieni!» disse Thy, sprizzante di energia come non mai.
"Ael, oggi dovrai aspettare un po'" pensai, preoccupandomi poi del come farmi perdonare.
Continuammo a camminare in silenzio, per un paio di metri e dopo  varie svoltate, ci ritrovammo in un campo fiorito.
Una distesa verde punteggiata da numerosi colori si estendeva sotto i miei occhi lasciandomi completamente stupefatta.
«È... È bellissimo...»
«Già. Bellissimo» disse Thy.
Lasciai cadere la cartella, che appoggiai contro un albero, e cominciai a correre a perdifiato in quel piccolo campo.
C'erano una sacco di fiori di cui non conoscevo i nomi, ma altri che conoscevo bene.
«Ci sono i narcisi!» sbottai, facendo ridere Thy.
«Non hai mai visto un narciso?»
«Nono, ne ho visti, però... non pensavo di averli così vicino casa!» gli dissi con un sorriso.
«Narcisi... che brutto nome per un fiore così bello...» disse lui sovrappensiero.
«Perch-Ah, già, Narciso. Non mi è mai piaciuta la sua storia. Non dopo quello che ha fatto ad Eco. Per me, avrebbero dovuto punirlo con la bruttezza ed il doversi specchiare eternamente»
«Già, beh, Narciso non mi è mai stato simpatico. Non ho mai trovato uomo più subdolo e... beh, narcisista. Nemmeno Adone era così.»
«Parli come se li avessi conosciuti» gli dissi scherzosa.
«Conosco i loro miti. Non è lo stesso? E comunque, Eco fa parte del mito romano. Quello greco è molto meno... carino, per così dire» mi rispose sorridente.
Mi sedetti in mezzo ai fiori.
«D'accordo, abbiamo appurato che Narciso non ti va a genio. E nemmeno a me»
Lo guardai con occhi preganti mentre si sedeva vicino a me.
«Mi racconti il mito di Narciso? O di chi ti pare?»
Thy rise sonoramente e si sdraiò in mezzo ai fiori.
«Vediamo... d'accordo, ti racconto quello di Narciso. Ma la versione greca.»
«Yay!!» dissi, mentre mi mettevo vicino a lui a pancia in giù.
«Allora.. da dove cominciare... beh, dall'inizio.
Era un giorno caldo e tranquillo quando, per capriccio e per amore, Cefiso -dio dell'omonimo fiume- decise di rapire la bella Naiade Lirìope.
Egli l'avvolse nelle sue acque e nella sua spuma, e dal loro amore nacque un figlio: Narciso.
Lirìope, curiosa del destino del figlio, decise di andare dall'indovino Tiresia che le predisse la riuscita vecchiaia del bambino solo se non avesse mai conosciuto se stesso.
Fu così che Lirìope decise di nascondere l'aspetto del figlio agli occhi di quest'ultimo infrangendo tutti gli specchi della loro abitazione e vietandogli di specchiarsi in qualunque goccia d'acqua.
Narciso crebbe e, da bel bambino qual'era, diventò un giovane affascinante, di grazia e bell'aspetto; così bello che alle sue spalle lasciò una scia di cuori infranti sia maschili che femminili.
Come grandi erano la sua grazia e la sua bellezza, altrettanto lo erano la sua vanità e insensibilità, tanto che un giorno regalò una spada ad un suo spasimante: Aminia.
Aminia era un giovane di belle speranze che cadde vittima della mortale bellezza di Narciso: rifiutato più volte, non si diede per vinto e quando ricevette in dono una spada, era così pieno di gioia per il dono e pieno d'amore per chi quella spada gliela aveva regalata che non esitò un solo istante ad esaudire la richiesta di Narciso: invocando gli dei per la propria vendetta, Aminia si uccise davanti la porta della casa del suo amato.
Il tempo passò, e più Narciso cresceva più la bellezza lo baciava: ma Aminia aveva chiesto vendetta, ed un giorno la ottenne.
Dopo aver rifiutato l'ennesimo spasimante, Narciso passò per caso da una fonte e, assetato, vi si avvicinò per abbeverarsi.
Qui, Narciso vide il suo riflesso nell'acqua e, non credendo di aver mai visto nulla di più bello, si innamorò del suo stesso riflesso.
Solo allora capì che dolore e sofferenza aveva causato, rifiutando con sgarbo chi gli professava amore: colto dal pentimento e dalla disperazione, si uccise con la spada donata ad Aminia.
Fu allora che, dal suo sangue, nacquero i Narcisi: tristi fiori destinati a specchiarsi nelle acque e contemplare la loro effimera bellezza senza mai amare veramente, così come fece Narciso prima di loro»
Continuai a fissare Thy rapita.
«Come... come fai a raccontare quei miti greci così bene?»
Lui rise.
«Perché mi piacciono. E forse perché, sotto sotto, voglio credere che sia successo davvero» mi rispose con un sorriso
«Ma ora sarà meglio andare. I tuoi si staranno preoccupando» aggiunse subito dopo.
«Sì, hai... hai ragione» risposi, incominciando ad incamminarmi.

Lungo la strada non avevo fatto altro che pormi stupidi quesiti che non sapevo nemmeno da dove potessero mai essere spuntati fuori, e prima che me ne accorgessi, eravamo di fronte casa.
«Carina» disse Thy, ridestandomi dai miei pensieri.
«Grazie. E... grazie. E grazie ancora»
Lui mi guardò confuso
«E per cosa, scusa?»
«Beh, il primo grazie è per la casa il secondo per avermi accompagnata a casa e il terzo per avermi fatto compagnia e avermi raccontato il mito di Narciso» gli dissi con un sorriso.
Lui rise di gusto.
Ci salutammo: lui continuò a camminare verso casa sua ed io entrai nella mia.
«Bentornata» mi disse una voce dalla cucina.
«Oh, Ael, mi stavi aspettando?» gli chiesi, mentre mi toglievo la cartella dalle spalle e mi sistemavo.
«Sì e no. Non c'è nulla da fare in questa casa quando si è da soli...»
Entrai in cucina e lo vidi a sedere con i gomiti appoggiati sul tavolo.
Sbuffava.
«Quindi? Cosa vorresti fare?» gli chiesi, mentre prendevo un bicchiere e mi versavo un po' di latte.
«Tu non hai dei compiti?»
«Tu lascia perde i miei compiti e dimmi cosa vorresti fare»
«Mah... non so... ultimamente mi annoio molto facilmente...»
«Ed è... una brutta cosa?»
«Eris, da quando sono al mondo - il che vuol dire da tanto - non mi sono mai annoiato»
«Beh, anche a me non piace la noia. Ma davvero non ti sei mai annoiato?»
«Ho sempre avuto... qualcosa da fare, ecco» disse lui, rimanendo sul vago.
Odiavo quando rimaneva sul vago, ma non potevo farci nulla.
"Prendi e porta a casa, Eris" dissi a me stessa.
«Quindi? Cosa ti andrebbe di fare?»
«... Boh» rispose lui, ancora più annoiato.
«Non ci credo...» sussurrai, mentre mettevo il bicchiere nel lavello e me ne andavo in camera mia.
Salite le scale che portavano al secondo piano, mi richiusi alle spalle la porta della mia stanza e mi buttai sul letto.
Dopo qualche istante, Ael mi chiese il permesso per entrare - lo aveva capito finalmente, eh? - e attraversò la porta come suo solito.
Si sedette sul bordo del letto, contemplando il nulla, mentre io facevo vagare il mio sguardo per tutta la camera, fino ad incontrare un certo oggetto.
«Possiamo...» dissi alzandomi
«... giocare a questo» gli risposi con un sorriso, tenendo in mano una scacchiera.
Ebbi la sensazione che Ael avesse sorriso.
«Quello è il mio passatempo preferito!»
Ci sistemammo sul letto, misi i pezzi a posto, e cominciammo a giocare a scacchi facendo passare il tempo.

Erano quasi le sette quando realizzai che mia mamma mi stava chiamando per la cena.
Feci una risatina dopo l'ennesimo scacco matto da parte di Ael
«Ora devo scendere. Se vuoi continuiamo dopo»
«Certo, ti aspetto!» disse, mentre io uscivo dalla stanza.
Mi diressi al piano di sotto mentre tentavo di trovare una strategia per battere Ael, ma i miei ragionamenti furono troncati dal dolce odorino di pizza che si spandeva per la casa dalla cucina.
Senza pensarci due volte, mi fiondai a tavola e tutti e tre - mamma, papà ed io -  mangiammo allegramente.
«Ok, ora sono decisamente piena» constatai, dopo aver mangiato un po' di gelato gusto stracciatella.
I miei risero e poco dopo andammo tutti nelle rispettive camere: Ael mi stava aspettando calmo.
«Hai trovato un'idea per battermi?» mi disse in tono allegro dopo che richiusi la porta «Mi annoio a vincere sempre!»
Mi sedetti sul letto con finta espressione offesa.
«Scusa se la mia vita è limitata e la passo a godermela invece che giocare a scacchi!»
Lui rise, e continuammo a giocare ancora per un po'.
Alle undici e mezza, decretai che avevo perso abbastanza ed era ora del riposo del guerriero.
Ael rise della mia affermazione e mi lasciò dormire in pace.
Appena prima di dormire, sentii qualcosa sfiorarmi il volto ed una voce sussurrare una frase, ma non ci diedi peso: probabilmente stavo già dormendo ed il mio cervello elaborava strane allucinazioni tattilo-uditive per la troppa stanchezza.
«Sei sempre stata brava a giocare a scacchi. Era l'unico momento in cui ci divertivamo davvero»



/*Angolo Autore*/
Heilà! Ho dovuto ristrutturare la lavanderia di casa, quindi ho ritardato, ma fa nulla xD
I miti sono volutamente "rivisitati", spero vi piacciano, ho usato tutte le parole più sdolcinate che mi siano venute in mente xD
Ah, tanto per rimanere in tema... la trama si infittisce!
                                                                        - Kurokage
   
 
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