“Il
pensiero dell’ispettore volò quindi verso la sua
piccola
Bianca. Era diventato papà da quindici giorni e con tutto
ciò che era successo
non aveva avuto nemmeno il tempo di accorgersene.
Temeva di non dedicare alla piccola abbastanza tempo ma in quei giorni
era
essenziale che lui stesse vicino anche all’amico.
Si era comunque innamorato subito di quel minuscolo esserino che era
sua figlia
e non vedeva l’ora che la bambina uscisse
dall’incubatrice per passare intere
giornate accanto a lei.”.
«Gerkhan,
mi ascolti per favore.» ripeté per
l’ennesima volta la Kruger.
Parlava
con lui da poco più di cinque minuti ma Semir era
già riuscito a
contraddirla almeno una decina di volte, senza mai lasciarla finire di
parlare.
Era stato lui a voler andare al comando dopo la funzione invece che a
casa e
non aveva voluto sentir ragioni da parte del collega, anche se aveva i
nervi a
fior di pelle e non era assolutamente in grado di portare avanti una
discussione con la sua superiore.
«Lei ha bisogno di un po’ di stacco, mi creda. A
parte che lei non è più un
poliziotto dato che si è dimesso e ha partecipato
all’operazione in Turchia in
modo del tutto non ufficiale e se non sbaglio non ha ancora deciso se
ripensarci oppure no. In caso ci avesse ripensato la procedura non
sarebbe
nemmeno così semplice, lo sa.» riprese la donna
con voce ferma «E comunque non
potrebbe lo stesso ricominciare subito a lavorare dopo quello che
è successo,
non potrebbe assolutamente. Si prenda del tempo! Stia con le sue
figlie, ne
avranno bisogno anche loro.».
Semir scosse il capo «Non posso starmene a casa con le mani
in mano. Non
servirebbe a nulla se non a farmi stare peggio.».
«Gerkhan, la prego, sia ragionevole per una volta. Mi dia
retta...».
«Commissario, non voglio fermarmi! Anche perché
non starò tranquillo fino a
quando la polizia turca non le dirà che hanno arrestato quel
bastardo.».
Il poliziotto non lo nominò. Odiava quel nome più
di qualsiasi altra cosa.
«Ecco, a questo proposito devo riferirle una
cosa...».
Semir la guardò con espressione interrogativa.
«Carl Schwarzer non è più ad El Fahim,
Gerkhan. Ha preso un volo per Colonia
questa mattina all’alba e tanto per cambiare è
riuscito ad eludere i controlli
dell’aeroporto e a fuggire indisturbato, non si sa come.
Schwarzer è qua...»
disse Kim temendo una qualche reazione da parte del sottoposto.
«Bene.» fece invece lui, incredibilmente calmo
«Bene, almeno potrò sistemarlo
con le mie mani.».
Quindi uscì dalla stanza senza aggiungere altro.
Assorto
com’era nei suoi pensieri, seduto alla sua
scrivania nel suo
ufficio, da solo, Semir non sentì nemmeno la porta aprirsi
alle sue spalle e si
accorse dell’entrata di Max solo quando egli si fece notare
con un colpo di
tosse.
«Ehi...» disse il nuovo collega avvicinandosi
lentamente.
Semir si voltò e accolse l’altro ispettore con un
mezzo sorriso.
«Io... volevo parlarti un attimo.» fece questo
sedendosi alla scrivania di Ben,
di fronte al collega.
«Riguardo a quello che è successo in aeroporto
quindici giorni fa. Io... non
sono ancora riuscito a chiederti scusa.».
Semir alzò un sopracciglio.
«Sì, insomma... mi dispiace per quello che ha
fatto mio padre. Non pensavo
davvero che arrivasse a tanto.».
«Max, quello che è successo non è certo
colpa tua.» lo bloccò il turco.
Ma si accorse di non riuscire a guardarlo negli occhi.
Perché quegli occhi
erano troppo uguali a quelli di suo padre, erano identici a quelli
dell’uomo
che aveva ucciso sua moglie.
«E invece sì, avrei dovuto fermarlo, in qualche
modo. E soprattutto avrei
dovuto capire che genere di persona fosse già anni prima, ma
la verità è che
forse non mi sono mai voluto accorgere di nulla perché avevo
paura di poter
essere il figlio di un criminale del genere. Quello non è
mio padre, non lo è
più, e ti assicuro che lo prenderemo e marcirà in
galera per il resto dei suoi
giorni.».
«So benissimo che tu sei diverso Max, non ti devi scusare,
davvero. Pensiamo a
cercarlo più che altro.».
«Va bene.» rispose Max alzandosi e dirigendosi
verso la porta «E se hai bisogno
di qualsiasi cosa, io ci sono.».
Schwarzer
sorrise soddisfatto sedendosi sulla poltrona nella cantina in cui era
appena
entrato, tornato dallo spettacolo a cui aveva assistito così
volentieri.
«Carina la scena del funerale... commovente, non trovi
Igor?».
«Meravigliosa, Signore. Quel turco sembra totalmente
distrutto.» costatò
Kallman con una risata divertita «Ma posso sapere
cos’altro ha in mente,
Signore?».
«Guarda Igor, avevo in mente di assistere alla funzione,
sistemare i conti con
mio figlio e tornare a casa... ma poi ho pensato che forse ci sarebbero
altre
persone con cui chiudere adeguatamente i rapporti qui in
Germania.» spiegò il
capo dell’organizzazione, con un’espressione a
metà tra il divertito e il
compiaciuto «Rebecca è stata portata al carcere di
Düsseldorf e la bambina sarà
finita in un qualche orfanotrofio per casi difficili... sciocche,
pensavano di
poterla fare franca, ma si sono sbagliate.».
Le note di una risata fredda e malvagia si diffusero
nell’aria.
Ben
non
smise di guardare quel fagottino chiaro nemmeno per un istante, anche
dopo
essere uscito da quella stanza silenziosa.
Staccarsi da lei ogni volta era una tortura, e ogni volta che il
ragazzo doveva
farlo, poi rimaneva ancora per minuti lunghissimi davanti alla vetrata
a fare
segni al suo scricciolo, sicuro che lei avrebbe saputo come
interpretarli.
Dall’esatto istante in cui ne era venuto a conoscenza, Bianca
era diventata a
tutti gli effetti la sua ragione di vita e Ben si chiedeva come avesse
potuto
fare a meno di lei fino a quel momento.
Clara e Bianca, i suoi gioielli, le due cose a cui
ufficialmente teneva
di più al mondo.
Sorrise teneramente rivolgendo un ultimo saluto alla sua bambina e
avviandosi
verso l’uscita dell’ospedale: avrebbe fatto un
salto al comando anche se non
era in servizio a vedere come stava Semir dopo la funzione, poi sarebbe
andato
a casa dalla sua Clara.
Quando
Semir sentì aprire la porta dell’ufficio per la
seconda volta, non seppe se
dare di matto oppure ringraziare il Cielo che qualcuno interrompesse di
tanto
in tanto il flusso scuro dei suoi pensieri.
Alla fine non fece nessuna delle due cose, si limitò a
voltarsi con aria stanca
e a riportare lo sguardo su un punto imprecisato della sua scrivania
dopo aver
appurato che si trattasse di Ben.
«Ehi socio.» fece il più giovane
poggiandogli una mano sulla spalla e poi
sedendosi di fronte a lui, al suo posto di lavoro «Non
sarebbe meglio che
tornassi a casa? È l’ora di pranzo, se proprio non
vuoi prenderti qualche
giorno almeno comincia domani, anche se non ufficialmente dato che non
sei in
servizio... Passa a prenderti le bambine dai nonni e poi va’ a casa, dammi
retta.».
Con grande sorpresa di Ben, il collega si limitò ad annuire.
«Va bene, allora io vado.» aggiunse quindi,
alzandosi e avviandosi verso la
porta.
«Semir?».
«Sì?».
«Forza.» fece il più giovane con un
sorriso.
I piani di
Schwarzer non sono affatto rassicuranti e la situazione anche al
comando non è
delle migliori.
In
compenso cominciamo a vedere per un brevissimo tratto Ben
“papà”...
Grazie
davvero a chi continua a seguirmi e a recensire, un bacione!
Sophie
:D