Questa
storia partecipa al contest "La
Morte Ti Fa Bello", indetto da La
Fe_10 sul forum di efp, con il Prompt n° IV: "A
è la morte e di
sicuro B non aveva pensato a questa eventualità".
Un
grazie speciale a Valerydell95
per aver betato questa storia e avermi dato una mano
con i personaggi. Il 'totano decerebrato' e il Baku
coniglioso li dedico
a lei, con tutto il cuore.
Scremato
Ma Non Troppo
Yami
aveva
sempre preso sul serio il proprio lavoro.
Era
uno
stacanovista convinto, anche perché sbattere in faccia a
Bakura il resoconto
dei propri successi settimanali era una soddisfazione a cui non avrebbe
rinunciato per nulla al mondo.
Gli
sarebbe
bastato terminare irreprensibilmente anche quest’ultimo
giorno e l’agognato
titolo di Mietitore Dell’Anno gli sarebbe spettato di
diritto.
Non
era
proprio il titolo in sé ad attirarlo, anche se quella bella
targa in ottone
lucidato e iscrizioni a teschietti smaltati avrebbe fatto un figurone
sulla sua
nuova scrivania, finalmente qualcosa che smorzasse le foto di un lui
bambino
con le lentiggini e la prima falce stretta in pugno, con tanto di
ghigno idiota
e riga in mezzo ai capelli. Foto che sua madre per qualche misterioso
motivo
adorava e che lo obbligava a tenere. No, comunque, anche se sbavava
dietro alla
targa, la maggioranza relativa dei neuroni di Yami si trovava
d’accordo nel
dichiarare che quello che importava veramente era battere Bakura,
stracciarlo,
polverizzarlo, umiliarlo, sbattergli il primato su quel suo visetto
bastardo e
vederlo tingersi di verde per l’invidia mal repressa. Ah.
Yami sospirò. C’era
da commuoversi al solo pensiero.
Non
sarebbe
andata come l’anno scorso, quando era stato a un tanto
così dal vincere la sua
bella placca d’ottone e quel velenoso pezzo di serpente
gliel’aveva soffiata da
sotto il naso con un colpo di fortuna degno di Katsuya. Perfino un
qualunque
mietitore di terza categoria sarebbe stato in grado di totalizzare il
record di
anime del decennio se si fosse trovato sul luogo di un incidente
ferroviario!
Ed era proprio quello che era successo a quello psicopatico di Bakura.
Tre
treni collisi, centoventisette feriti e ottanta anime raccolte.
Yami
aveva
tutta una sua teoria secondo la quale Bakura aveva strappato
più anime del
necessario per arrotondare come gli pareva a lui, ma aveva dovuto
tenersela per
sé: Ishizu non aveva sentito ragioni. “Il
grande capo non ama le liti”
li aveva rimproverati mentre Yami si apprestava a mollare a Bakura un
diplomatico pugno sul muso. “Conservate il vostro
spirito competitivo per il
lavoro”. Bakura aveva ridacchiato come un sadico
(sapeva forse fare
qualcos’altro?!) e aveva lasciato andare il colletto di Yami.
Anche lui aveva
paura del grande capo, come ogni mietitore dotato di senno, ma non lo
avrebbe
ammesso neanche sotto tortura.
In
verità,
nessuno lo aveva mai visto il fantomatico grande capo, ma un preventivo
timore
reverenziale aleggiava per il grattacielo della Undertaking EX:
una
densa coltre di mistero e terrore che si faceva spessa come un panetto
di burro
su, negli ultimi piani del palazzo, dove, nell’ultimissima
stanza del
superattico, si trovava il tetro ufficio del capo. Si vociferava che il
solo
pronunciare il nome del boss portasse una iella pazzesca ed era uno dei
motivi
per cui tutti quanti preferivano rivolgersi a lui usando
l’appellativo “grande
capo” e per cui nessuno aveva mai osato
avventurarsi in quei celebri ultimi
piani dell’edificio. O almeno nessuno che Yami conoscesse. Ma
a Yami non
interessava del grande capo: gli bastava la sua placca a teschietti
smaltati e
l’umiliazione dipinta sul volto di Bakura. E
quest’anno ce l’avrebbe fatta.
Fischiettando
allegramente, scese con un balzo dall’autobus infernale e si
avviò a
spensierate falcate verso il luogo a lui designato per
l’ultimo lavoro della
giornata: un piccolo bar di periferia di una cittadina tranquilla.
Visto il
posto, immaginava che la morte del malcapitato di turno avrebbe fatto
un certo
scalpore in città, ma anche volendolo, Yami non avrebbe
potuto farci niente:
lui faceva solo il suo lavoro. Ogni tanto simili anime avrebbero dovuto
ringraziarlo: con una morte del genere finivano spesso e volentieri in
prima
pagina, ma non c’era mai nessuno che inviasse a Yami uno
straccio di
bigliettino di ringraziamento. Per non parlare degli accidenti che
mandavano
puntualmente a lui e ai suoi colleghi. “Mannaggia
alla morte” qui, “sei
brutto come la morte” là…
Rendendosi
visibile agli altri, Yami interruppe il suo consueto rimuginare
sull’ingratitudine umana, si avvicinò al bancone e
ordinò un bicchiere di
latte, come era suo solito. Si sedette accavallando elegantemente le
gambe
minute e, con un occhio all’orologio e uno al proprio
bicchiere, tirò fuori
dalla tasca il plico con i dati del suo cliente, l’ultimo
ostacolo che lo
separava dalla sua agognata targa e dal faccione mesto e umiliato di
Bakura.
Inforcò i suoi occhiali: mietere anime richiede uno sforzo
visivo notevole.
Quelle bastardelle delle anime sgusciano via dal corpo appena mietuto
che
sembrano anguille, se ne vanno dove gli pare e piace e sono dannatamente
piccole. A furia di cercarle al buio o nei loro nascondigli, gli occhi
di tutti
i mietitori si consumavano inevitabilmente. Ma nonostante la miopia,
Yami amava
il suo lavoro e la sua falce luccicante. Con teschietti neri smaltati
sul
manico, ovvio.
Questa
volta
in particolare, si ripeté aggiustandosi gli occhiali sul
naso, aveva intenzione
di fare le cose per bene: era l’ultima anima della giornata,
l’ultima del mese,
quella che gli sarebbe valsa il titolo di Mietitore
Dell’Anno. Non aveva
intenzione di commettere errori grossolani: aveva passato tutto il
tragitto
sull’autobus infernale a lucidarsi la falce.
Yami
srotolò
con placidità il plico mentre sorseggiava amabilmente il suo
latte scremato.
Sì, sapeva di acqua sporca. Quello intero era molto
più buono, pensò
nostalgicamente, ma erano giorni che cercava di tenersi a stecchetto in
vista
della festa che avrebbe organizzato per celebrare la sua vittoria,
festa alla
quale NON avrebbe invitato Bakura. O forse sì, giusto per
farlo rodere di
rabbia un altro po’… La prospettiva era talmente
allettante che Yami dovette
trattenersi dal sogghignare: dopotutto era in servizio.
Dunque.
Plico.
Aprì
la busta
color perla e si mise a esaminare i dati del suo ultimo cliente:
Mutou,
Yugi.
Di anni: 22. Sesso: M. Luogo di nascita: Domino, Giappone, in data 4
giugno
1993. Segni particolari: occhi blu violacei, capelli tricolore disposti
a
raggera sulla nuca e intorno al viso.
L’ultimo
tratto suonava abbastanza familiare. L’unica pecca dei plichi
forniti dalla Undertaking
EX era che mancavano di fotografie: fino a qualche secolo
prima, insieme
alle informazioni sui clienti, tutti i mietitori venivano equipaggiati
anche di
fototessera o ritratto dei proprietari delle anime da raccogliere, ma
dopo una
serie di processi per violazione della privacy scatenati dal
“Caso Pegasus”,
l’azienda si era vista costretta a eliminare le foto dai
plichi per prevenire
ulteriori grane. In compenso, le descrizioni si erano fatte
più minuziose
grazie alla creazione di una nuova squadra di investigazioni, la
S.P.I.O.N.I.
(Squadra Preposta a Indagare Ogni Notizia sugli Interessati), che aveva
sostituito la buona vecchia sezione fotografica del dipartimento.
Dopo
le
informazioni anagrafiche, cominciava una carrellata di fatti e
fattarelli su
Mutou Yugi. Quanti pesci rossi aveva avuto da piccolo, di che colore
era stata
la sua prima macchina, il suo cibo preferito, amava i calzini viola,
quanto
frequentemente cambiava lo spazzolino ecc. Tuttavia, dopo aver letto un
paio di
righe, Yami richiuse il fascicolo come al solito: non amava molto la
S.P.I.O.N.I., era anzi dell’opinione che fosse come un branco
di psicologi:
gente fondamentalmente inutile eppure pagata per farsi i cavoli degli
altri. A
Yami non interessava impicciarsi della vita delle sue vittime, gli
sembrava
ipocrita instaurare con loro un legame affettivo subito prima che
morissero, e
con Mutou Yugi non avrebbe fatto distinzioni. L’anima che gli
sarebbe valsa la
targa meritava la sua massima professionalità.
Secondo
il
foglio numero quattro del plico, l’incontro con il cliente
avrebbe avuto luogo
fra due minuti esatti. Yami bevve un ultimo sorso di latte e si
voltò verso
l’entrata, deciso ad aspettare l’arrivo di Mutou.
Passarono
due
minuti, poi quattro, e di Yugi nemmeno l’ombra. Per la porta
d’ingresso erano
passati una signora col passeggino, un ragazzino col cane, due amici
che watsappavano,
ma nessun ventitreenne con capelli tricolore. Strano, pensò
Yami, gli orari del
foglio numero quattro non sbagliano mai.
Proprio
mentre stava per estrarre nuovamente il foglio dalla tasca per
ricontrollare
l’orario, una voce lo chiamò.
«Mi
scusi, è
libero questo posto?».
Yami
annuì
distrattamente, continuando a dare le spalle allo sconosciuto e senza
mai
staccare lo sguardo dalla porta. Mutou sarebbe dovuto entrare prima o
poi. Ne
andava della sua targa in ottone lucidato.
«Aspetta
qualcuno?».
«Sì,»
annuì
Yami «Un cliente».
«Oh,
capisco», anche se non poté vederlo, dal tono di
voce dello sconosciuto Yami
era sicuro che il ragazzo— sì sembrava abbastanza
giovane— stesse sorridendo.
«Posso offrirle qualcosa mentre aspetta?».
Un
po’
spazientito, Yami decise finalmente di girarsi e mettere le cose in
chiaro col
giovanotto: insomma, ci stava provando apertamente e in pieno giorno, e
con uno
shinigami oltretutto, e Yami non aveva intenzione
di finire sulla Gazzetta
Del Nono Girone perché se l’era fatta
con un minorenne. Andiamo: aveva
tremila anni.
«Senta,
non
vorrei sembrarle scortese ma…».
Le
parole gli
si congelarono in gola.
Eccolo.
Capelli tricolore. Ciuffo biondo. Occhi blu violacei. Mutou Yugi.
Mutou…
Yugi…
Occhi
blu…
violacei…
Chi
cavolo
aveva detto che i fascicoli non sbagliano mai? Chi aveva scritto il
plico di
Yugi era senz’altro uno stupido cafone incompetente: come si
faceva a definire
quei, quei… quei cosi color blu
violaceo? Come si faceva a definirli occhi?
Tanto
per
cominciare erano immensi. Enormi. Troppo grandi per un faccino troppo
perfetto
come quello di Yugi. E poi non erano blu violacei. Erano blu, della
stessa
intensità del cielo stellato delle due di notte nel Sahara.
Ed erano viola,
viola chiaro, come le primule in un giorno di marzo, screziati di
quarzo rosa e
mercurio liquido. Erano… erano indescrivibili.
Yami avrebbe preteso il
licenziamento in tronco di chiunque avesse anche solo osato
ridurli a un
semplice “occhi blu violaceo”. Erano due cieli,
erano due galassie
scintillanti di ammassi stellari e supernove, erano-
«Mister?»
ridacchiò Yugi.
«Ahem,
un- un
latte scremato grazie» rispose finalmente Yami.
«Freddo».
Era
un
colpo di fulmine.
Yami
era al
terzo bicchiere di latte scremato quando si ricordò di una
cosa importante. Era
in servizio.
Conversare
con Yugi era terribilmente piacevole e Yami era fin troppo contento di
non aver
letto fino in fondo il plico e non aver così provato
l’impulso di incenerire
altri stupidi agenti della S.P.I.O.N.I. Non c’era
possibilità che avessero
descritto anche solo con un minimo di accuratezza i
pregi di Yugi.
Era
ancora al
secondo bicchiere quando si era reso conto di essere troppo e
irrimediabilmente
coinvolto.
Yugi
era
simpatico, intelligente, sincero, divertente, terribilmente istruito e
a tratti
quasi malizioso. Inghiottì un sorso di latte, pensando che
anche l’ultima (e
unica) volta che si era innamorato era stato per un colpo di fulmine, e
si
convinse che il karma, per qualche misterioso motivo, doveva avercela
con lui.
O forse era solo quel bastardo di Bakura che aveva rispolverato di
nuovo le
bamboline voodoo e il pentagramma e gli aveva attaccato il malocchio.
Che
fare?
Yami riconosceva i sintomi: non era una semplice infatuazione, con lui
funzionava sempre così a quanto pare. Un paio
d’ore in compagnia di Yugi non
gli sarebbero bastate e un paio di giorni senza più
parlargli non sarebbero
stati sufficienti per smettere di pensare a quelle due galassie che gli
splendevano intorno alle pupille al posto delle iridi. Ma lui era in
servizio,
e quella meraviglia del cielo che gli sedeva di fronte era condannata.
Yami era
uno shinigami, e Yugi Mutou era il suo cliente. Quante chance avrebbe
avuto di
farlo innamorare di sé se lo avesse ucciso? Ma il ragazzo
era perfino interessato
a Yami: aveva flirtato spudoratamente per tutto il tempo.
Perché il karma era
così crudele?
Fece
per
prendere un’altra sorsata di latte, ma il bicchiere era
desolatamente vuoto:
non c’era più tempo per temporeggiare. Yugi stava
chiacchierando placidamente
con il barista adesso, e Yami ponderò le opzioni che gli
rimanevano.
Piano
A:
poteva fingere che nulla di tutto questo fosse mai successo e, come da
programma, tirare fuori la sua falce splendida splendente e mietere
l’anima di
quell’adorabile creatura.
Pro
del
Piano A: lavoro ultimato, targa assicurata, nessuna multa e
nessun
regolamento vietato.
Contro
del
Piano A: un cuore infranto (di Yami) e un’anima
troppo bella per essere
vera (di Yugi) estirpata prima che Yami potesse conoscerla a fondo.
In
tre
millenni di carriera, Yami aveva accumulato parecchia esperienza nel
campo
dell’avere fegato e, in più di
un’occasione, aveva visto cose che definire
raccapriccianti era un eufemismo. Eppure temeva che il fegato
accumulato non
sarebbe stato sufficiente per attuare il Piano A.
Il
Piano B
era l’esatto opposto, il piano che il suo cuore da ectoplasma
sbandierava ai
quattro venti declamando sonetti d’amore trecenteschi e il
suo cervello da
impiegato affossava e calpestava con stivaloni pesanti imbrattati di
fango.
Piano
B:
fingere che il plico non fosse mai esistito, violare tutte le regole
del
Breviario Del Buon Mietitore, finire probabilmente licenziato, offrire
a Bakura
la targa su un piatto d’argento e scappare via con Yugi.
Pro
del
Piano B: Yugi avrebbe vissuto, Yami avrebbe avuto tutto il
tempo di
adorarlo come si deve e finalmente, da tre millenni a questa parte,
avrebbe
sperimentato di nuovo cosa vuol dire essere innamorati.
Contro
del
Piano B: il continuum spazio temporale sarebbe stato
drammaticamente e
irreversibilmente alterato, con conseguenze che neanche il
distaccamento
S.E.C.CH.I.O.N.I. (Sappiamo E Conosciamo Chiaramente Informazioni su
Ogni
Nozione Intellegibile) della S.P.I.O.N.I. sarebbe stato in grado di
prevedere.
Yami sarebbe stato presumibilmente radiato da ogni ordine di mietitori
passato
presente e futuro dei nove gironi, sarebbe finito sotto processo e poi
a testa
in su nel lago ghiacciato del Tartaro a congelarsi le chiappe insieme
ai traditori
della gilda degli shinigami.
Poteva
sempre
sperare di eludere la sorveglianza facendo perdere le proprie tracce,
ma quei
suoi capelli tricolore erano difficili da nascondere e la S.P.I.O.N.I.
aveva
occhi ovunque: non si sarebbe mai liberato di loro. E poi come fare con
Yugi?
Dove sarebbero fuggiti? Con quale scusa?
L’ombra
di un
Piano C cominciò a delinearsi nella mente
di Yami. Avrebbe potuto
giocarsi il tutto per tutto e dire a Yugi come stavano veramente le
cose.
Peccato che avrebbe voluto dire che sarebbe stato comunque
radiato
dall’ordine e declassato a galoppino, che sarebbe stato
sollevato dal caso di
Yugi e il ragazzo sarebbe stato mietuto da qualcun altro. E poi che
dire della
sua reazione? Gli avrebbe riso in faccia se Yami gli avesse detto
chiaro e
tondo “Mi fa tanto piacere conversare con te ma
purtroppo sono un cupo
mietitore. Sì, i tipi con la falce e il mantello.
Sì, quelli dei manga. I
mantelli non li usiamo più perché si impigliavano
sempre nella falce, ma
qualche mietitore vecchio stile li indossa ancora nelle serate di gala.
Comunque sì, sono qui per mietere la tua anima: ti gireresti
un po’ più a
sinistra così ti centro meglio il cuore? Ecco
così, perfetto. Ah, e grazie per
i bicchieri di latte, è stato un piacere conversare con
te”.
«Tutto
bene,
Yami?».
No!
Gli serviva più tempo, gli serviva un miracolo!
«Sì,
certo,
solo che, ecco… devo fare un salto in bagno. Torno subito,
eh».
«Ok»
annuì
distrattamente Yugi.
Ah,
la
tappa in bagno. Le idee migliori vengono sempre nel
gabinetto. Era risaputo
che Newton aveva intuito l’esistenza della gravità
sulla tazza del water: la
mela era bacata e il poveretto si era sentito male. Leibnitz non
perdeva
occasione per sfotterlo a riguardo, e visto che i due erano trapassati
da
secoli, non c’era anima all’inferno che non
conoscesse la storia.
Yami
cercò di
non pensare alle scazzottate fra Newton e Leibnitz e tirò di
nuovo fuori dalla
tasca il plico di Yugi.
Mutou
Yugi,
Sesso: M, Altezza: soldo di cacio, Età… bla bla
bla. Gli occhi di Yami vagarono
sulle stupide annotazioni del servizio informazioni finché
non trovarono la
voce che gli interessava.
Cause
del
decesso: arresto cardiaco.
Ora
del
decesso: 12.05.
Luogo
del
decesso: Domino, Via Dei Platani 81.
Nessuna
scappatoia in vista.
Yami
emise un
gemito mezzo piagnucolato.
Era
tutto
troppo preciso: la morte doveva coglierlo naturalmente, non sarebbe
stata colpa
di nient’altro. Nessun rapinatore armato di pistola su cui
Yami sarebbe potuto
intervenire: deviare il corso di una pallottola sarebbe stato facile,
ma
impedire un arresto cardiaco era troppo palese. Gli arresti cardiaci
erano
risaputamente causati dal contatto del cuore con la lama di una falce
da
mietitore. Talvolta i mietitori più inesperti o poco precisi
non erano in grado
di affondarla come si deve nel petto del cliente, e allora
l’arresto cardiaco
si rivelava più lieve e la persona interessata non moriva. I
mortali in quel
caso festeggiavano, ignari del casino combinato dal mietitore, ma per
il
poveretto che aveva mancato il colpo cominciavano i guai.
I
colleghi
conoscevano fin troppo bene Yami e sapevano che non avrebbe mai
commesso un
errore così grossolano. Uccidere Yugi spettava a lui e Yami
non sapeva come
fare.
Forse
avrebbe
dovuto raccogliere l’anima di Yugi, in fondo. Probabilmente
era pura e
bellissima, un piccolo ectoplasma sgusciante, scintillante di galassie.
Magari
avrebbe potuto convincere Ishizu perché gliela cedesse, come
premio per essere
diventato Mietitore Dell’Anno: l’avrebbe messa in
un bel vasetto di vetro con
disegni in murano, sulla sua scrivania, accanto alla targa a teschietti
neri.
Al posto dei pesci rossi che il gatto di Bakura gli aveva mangiato.
Mentre
pensava a una scappatoia, Yami lanciò distrattamente
un’occhiata al proprio
orologio.
12.07
Cribbio.
L’orario
del
decesso era passato da ben due minuti. Yami non aveva ancora neanche avvicinato
la falce al cuore di Yugi. Yami era ancora qui, in bagno. E Yugi era
ancora lì,
vivo.
Cribbio
alla
seconda.
Qualcuno
nei
piani alti si sarebbe incazzato sul serio se entro cinque minuti
un’anima non
fosse passata a miglior vita.
Preso
dal
panico, Yami cominciò a camminare avanti e indietro per il
bagno freneticamente
e finalmente la vide: una finestra. E un’idea tanto geniale
quanto rischiosa
gli prese a lampeggiare nella calotta cranica.
Era
una
finestra di uno squallido bagno di uno squallido bar. Di quelle che
danno sulla
strada perché il bagno si trova nel seminterrato, di quelle
con le sbarre
anziché i vetri perché i proprietari del bar sono
troppo pitocchi per comprarne
uno. E lì, affacciato alle sbarre, a fissarlo con sguardo
compiaciuto dalle sue
disgrazie, c’era un gatto.
L’ombra
di un
sorriso si fece strada sul volto del mietitore.
Yami
estrasse
la falce dalla tasca. In pochi secondi la lama assunse di nuovo le sue
dimensioni abituali e, fulmineo, Yami la scagliò contro il
felino. Aveva un
solo tentativo a disposizione, doveva essere veloce.
La
bestiaccia
si scansò di lato, miagolando disperatamente, ma Yami non
l’avrebbe lasciata
andare.
Un
altro
affondo, una finta, il gatto si buttò a destra ma Yami
intuì i suoi movimenti e
lo precedette a sinistra. La lama della falce gli si
conficcò in pieno petto,
dritta nel cuore. Yami non sbagliava mai il colpo: era il campione in
carica di
freccette e biliardo dell’ufficio.
12.08
Tirò
fuori il
proprio taccuino e segnò con soddisfazione una x
proprio nel punto in
cui finiva la pagina. Un altro quadernino completato,
un’altra anima spedita
all’altro mondo in orario. Sì, era quella di un
gatto.
Doveva
solo
sperare che Katsuya confondesse di nuovo i plichi delle anime
consegnate e
smarrisse di nuovo i file di Yami. Era già successo, con un
minimo di fortuna e
magari di aiuto poteva succedere ancora. Peccato solo che adesso il
continuum
spazio temporale fosse stato indelebilmente alterato, pensò
mentre tornava a
posto.
Yugi
era
ancora lì e lo accolse con un sorriso.
A
Yami si
strinse il cuore e ricambiò il gesto.
Al
diavolo il
continuum.
Da
quel
fatidico incontro, passò una settimana intera, che Yami non
faticò a
classificare come la più bella e insieme la più
fottutamente ansiosa della sua
vita.
Approfittando
della settimana di ferie concessa ogni anno agli impiegati della Undertaking
EX al termine dei consueti dodici mesi di mietitura, lui e
Yugi si erano
visti tutti i giorni tutto il giorno. Per l’intera durata,
sempre troppo breve
purtroppo, di quei momenti beati e benedetti dalle stelle, Yami non
provava il
minimo senso di rimorso per l’anima del gatto pulcioso che
aveva
fraudolentemente mietuto al posto di quella del suo angelo. Con Yugi
andava a
gonfie vele e Yami non si era mai sentito così vivo come
nelle ore che
trascorrevano insieme: gli sembrava di essere di nuovo quel giovincello
della
foto, con tanto di lentiggini e sorriso idiota.
Peccato
solo
che, alla fine della giornata, Yami dovesse dire addio al faccino
idilliaco di
Yugi e tornarsene a casa. E tornare a casa voleva dire affrontare il
cupo eppur
figherrimo mondo degli shinigami col suo enorme peso sulla coscienza.
Un grillo
parlante oltremodo molesto a cui avrebbe volentieri tirato addosso una
ciabatta
numero quarantotto.
Il
primo
giorno dopo il fatidico incontro, in ufficio si erano tutti
congratulati con
lui per la perfetta mietitura del suo ultimo cliente. Certo,
l’anima in
questione aveva varcato le soglie dell’aldilà con
qualche minuto di ritardo sul
programma, ma nulla che potesse essere neanche vagamente sanzionato dal
Codice
Del Perfetto Mietitore, e neppure Ishizu aveva avuto molto da ridire.
Si era
limitata a fissarlo impassibile con quei suoi occhi blu iceberg e poi
si era
allontanata a torturare qualche altro impiegato, facendo sbattere i
suoi tacchi
dodici sulle piastrelle in marmo sintetico dell’ufficio.
Nemmeno Bakura aveva
obiettato nulla. Anzi, a Yami era sembrato quasi soddisfatto, con lo
stesso
sguardo da gattino innocente dell’anno precedente, quando
Yami stava per
ricevere la targa e quello nevrotico dai deliri di onnipotenza si era
presentato con un candido sorriso, di quelli che fanno piangere di
terrore i
bambini nei loro lettini, e con untuosa grazia aveva sbattuto sulla
scrivania
del povero Yami il suo rendiconto record di ottanta mietiture. Razza
di
stronzo. Aveva probabilmente venduto l’anima che
non aveva più a qualche
leprecauno per garantirsi la fortuna sfacciata di ritrovarsi a essere l’unico
mietitore in zona quando i treni avevano colliso.
Bakura
aveva
sfoggiato esattamente lo stesso ghigno improbabilmente candido ma
semicompiaciuto, in parte nascosto dall’enorme frangetta
bianca da coniglio. E
Yami era terrorizzato perché, sotto sotto, era convinto,
anzi era sicuro e
arcisicuro, che Bakura sapesse.
Non
sapeva
come facesse Bakura a sapere, ma sapeva per certo che quel caprone sapeva.
E Yami era fregato perché Bakura prima o poi avrebbe
parlato, aspettava solo il
momento opportuno per sputtanarlo davanti al maggior numero di colleghi
possibile e nel modo più crudele e teatrale
possibile— era sempre stato un
esibizionista incallito— per strappargli sia la targa che
Yugi dalle mani.
Yugi
che
sarebbe stato assegnato a qualche altro shinigami per la mietitura
dell’anima
senza che Yami potesse fare niente per salvarlo dal suo triste destino.
Magari
Bakura ci avrebbe ficcato di nuovo le zampacce e sarebbe arrivato
persino a
persuadere Ishizu a farsi assegnare quel compito. Yami decise che se le
cose
fossero andate in questo modo, avrebbe mietuto l’anima
già mietuta di Bakura e
l’avrebbe mandato all’altro mondo una seconda
volta. Non gli importava se poi
l’avrebbero radiato dall’ordine o
l’avrebbero portato al cospetto del grande
capo in persona: avrebbe protetto Yugi a ogni costo, anche a quello
della sua
immortale non-vita.
Non
aveva
ancora finito di rimuginare su come fare per salvare capra e cavoli e
vivere
per sempre felice e contento con Yugi, che il momento del tanto temuto
confronto arrivò. Le ferie erano agli sgoccioli e
l’alba della domenica odiata
da tutti gli impiegati, quella domenica lì seguita
da quel lunedì lì,
quello lavorativo, la domenica che precede il grande ritorno a lavoro,
era
infine arrivata. Yami era in ufficio a riordinare alcune scartoffie in
attesa
del giorno dell’inevitabile incontro con il fato quando
Bakura e i suoi occhi
iniettati di sangue fecero capolino dalla porta del suo ufficio.
Yami
lo
ignorò. Era depresso, irritato, disperato e affamato. Molto
affamato visto che
era più di una settimana che non si concedeva un bicchiere
di sano latte intero
come Satana comanda. Forse, se non gli avesse dato corda, Bakura se ne
sarebbe
andato prima che Yami fosse tentato di sbattergli la falce sul muso.
«Buongiorno»
esordì giovialmente la vipera.
No,
a quanto
pare non aveva intenzione di andarsene.
«Scusa,
Bakura, sono occupato ora» mormorò Yami, imitando
il tono velenoso di lui.
«Oh
vedo,
occupato a stivare le pratiche della tua ultima operazione. Davvero un
lavoro
pulito, non trovi? Hai chiuso in bellezza anche quest’anno,
una mietitura da
manuale, un colpo dritto al cuore».
«Cosa
vuoi,
Bakura?» sibilò.
Sapeva,
sapeva, sapeva. Quel maledetto sapeva!
«Com’è
che si
chiamava il tuo ultimo cliente? Muto? Sordo? Scommetto che è
andato giù come
niente, in fondo sei così preciso quando si tratta di
centrare un cuore. L’hai
acchiappato subito il piccolo ectoplasma?».
«Fottiti,
Bakura».
Stava
perdendo la pazienza. La tensione accumulata durante la settimana era
troppa:
non era in grado di reggere quella faccia da schiaffi col suo consueto
aplomb.
«Oh,
andiamo.
Volevo solo congratularmi con te, come farò di nuovo non
appena i dati di Mutou
verranno archiviati a dovere, la sua anima registrata e la targa che ti
spetta
di diritto ti verrà consegnata di diritto».
Diritto,
diritto. Yami si fermò a pensare ai suoi
di diritti nel caso,
probabilissimo in verità, che tutto
l’aldilà venisse a conoscenza del
fattaccio: aveva il diritto di rimanere in silenzio, il diritto di
chiamare un
avvocato, il diritto di fare una telefonata, il diritto di riporre a
casa la
falce, il diritto di dare le dimissioni prima che ci pensasse Ishizu a
cacciarlo via a pedate… Il diritto di picchiare a sangue
Bakura lo aveva?
Perché Yami era sicuro che rientrava nei bisogni
fondamentali del cittadino. Il
Codice Infernale non poteva non prevederlo. Stabilì tuttavia
che lo avrebbe
esercitato solo in caso di estrema necessità,
così si decise a rispondere,
sperando di levarselo finalmente dalle balle.
«Ok,
va bene,
grazie. Ora, se vuoi scusarmi, gira i tacchi ed esci da quella porta:
mi
faresti un enorme piacere» disse
indicando la porta di vetro del suo
ufficio. Bakura ridacchiò.
«Ma
quanto
siamo nervosi oggi, forse faresti meglio a chiedere un’altra
settimana di
ferie, sai?» mollando una fetida manata sulla spalla di Yami,
l’albino si
decise finalmente a uscire. «A domani, collega»
mormorò chiudendo la porta.
Yami aspettò finché i passi di
quell’odioso essere non scomparvero lungo il
corridoio e poi si lasciò cadere in ginocchio a peso morto,
poggiando la testa
sulla scrivania.
Era
fottuto,
fottuto, fottuto. Così, dannatamente, fottuto.
L’unico
modo
per evitare che lunedì lo scandalo venisse alla luce, era
mietere l’anima di
Yugi prima dell’alba e occuparsi personalmente di archiviare
la pratica,
sostituendola con quella del gatto che aveva già consegnato
a Ishizu. Ma anche
così, Yugi sarebbe morto.
Ogni
volta
che Yami pensava a un modo per salvare capra e cavoli— il suo
lavoro, Yugi e il
continuum spaziotemporale— uno dei tre finiva per rimetterci.
Se salvava il suo
lavoro e il continuum, Yugi moriva. Se salvava il continuum, Yugi
moriva. Se
salvava Yugi, il suo lavoro e il continuum sarebbero andati a farsi
benedire.
Forse il continuum era già andato a farsi benedire visto che
un’anima che a
conti fatti avrebbe dovuto essere morta e stramorta da una settimana se
ne
andava ancora a zonzo per il Giappone, ma escludendo il continuum e
lasciando
solamente il suo lavoro e Yugi in campo, uno dei due avrebbe per forza
escluso l’altro.
Tuttavia,
esisteva un modo, uno solo, per salvare capra e
cavoli, un’intuizione
geniale che aveva il sapore della disperazione, perché anche
in quel caso Yugi
sarebbe comunque dovuto morire e Yami non sapeva se
avrebbe avuto
abbastanza fegato per prendere la sua anima. Ma soprattutto, non era
una
soluzione priva di rischi.
Yugi
sarebbe
dovuto diventare uno shinigami.
Il
problema
fondamentale era che nessuno sapeva con esattezza come certe anime
diventassero
shinigami e altre invece se ne andassero verso destinazioni
più famose
dell’aldilà, come inferno, paradiso, limbo e via
dicendo. Alcuni dicevano che
solo le anime dei suicidi diventavano mietitori, ma non erano altro che
dicerie: anche se il tutto era avvenuto più tre millenni or
sono, Yami ricordava
perfettamente di non essersi suicidato.
Lui
era
dell’avviso, come la maggior parte degli shinigami di
professione, che fosse il
grande capo in persona a scegliere quali anime destinare all’Undertaking
EX e
quali invece far avanzare nei gironi dell’inferno o altrove.
Probabilmente
qualche criterio c’era, ma quando Yami pensava a
ciò che lui e i suoi colleghi
avevano in comune, l’unica cosa che gli veniva in mente era
un’insana passione,
quasi morbosa, per la morte. Ma questo poteva essere niente
più che semplice
deformazione professionale, e poi Yugi non aveva mai parlato della
morte,
argomento che Yami dal canto suo aveva cercato di evitare come la
peste. Quindi
non c’era alcun modo per sapere se sarebbe stato accolto
nelle schiere dei
mietitori. Eppure era l’unica possibilità che gli
rimaneva.
Non
aveva
idea di come il grande capo avrebbe accolto la sua richiesta, dopo
tutti i
pasticci che Yami aveva causato nell’ultima settimana, e
tutto per un mortale,
ma di fronte all’alternativa di confessare a Yugi di essere
uno shinigami, di
dover prendere la sua anima e di starsi impegnando per trasformare
anche lui in
un mietitore, beh ecco che il coraggio cominciava a farsi avanti.
Cercò
di
ignorare il fatto che anche l’idea di andare a fargli visita
era terrificante,
senza contare che non lo avrebbe salvato dal confronto con Yugi, lo
avrebbe
rinviato e basta: Yugi doveva morire, nessuno shinigami poteva essere
vivo.
Un
passetto
alla volta, Yami cominciò dunque a percorrere a piedi le
scale del grattacielo
della Undertaking EX fino all’ultimo
piano, stringendo le sue scartoffie
al petto come fossero un orsacchiotto o, meglio ancora, Yugi.
E
Yugi? Si
sarebbe arrabbiato non appena avesse saputo la verità?
L’avrebbe odiato? No.
Probabilmente Yugi sarebbe rimasto in silenzio rimuginando su quello
che Yami
gli aveva appena detto e Yami avrebbe dovuto trattenersi
dall’impulso di
abbracciarlo e implorare perdono. E Yugi alla fine avrebbe sorriso,
magari lo
avrebbe perfino ringraziato per averlo risparmiato fino a questo punto
e poi
sì, finalmente si sarebbe arrabbiato con Yami
perché per l’interesse di uno
solo aveva compromesso il benessere di migliaia di persone.
Sì, probabilmente
avrebbe detto proprio così, e poi gli avrebbe chiesto per
favore di prendere la
sua anima e avrebbe chiuso gli occhi sorridendo, mentre Yami affondava
la lama
dentro il suo petto senza riuscire a frenare le lacrime e Yugi, mentre
la vita
abbandonava i suoi occhi color cielo, avrebbe mormorato che sperava di
rivedere
Yami dall’altra parte e diventare uno shinigami bravo come
lui.
Yami
si
strofinò il dorso della mano contro gli occhi. Non avrebbe
pianto, non davanti
al grande capo.
Proprio
adesso, la porta dell’ufficio del capo in questione si parava
di fronte a lui.
Nera e maestosa, di vetro decorato a teschietti smaltati. Yami sorrise:
almeno
in quanto a gusti, lui e il grande capo si trovavano
d’accordo.
Inspirando
profondamente, Yami si decise a bussare. Non era neanche sicuro che il
grande
capo accettasse visite: non conosceva nessuno in ufficio che lo avesse
mai
visto in faccia o avesse mai scambiato anche solo una parola con lui. O
lei.
Yami non ne era neanche sicuro. Forse era tutta una pessima idea e
avrebbe
fatto meglio a scappare via con Yugi, rapirlo e far perdere le loro
tracce
prima che-
«Avanti».
Troppo
tardi. Armandosi di un coraggio che non aveva, Yami
abbassò la maniglia e
fece il suo ingresso nel misterioso e tetro ufficio del grande capo.
Seduto
di
fronte all’ingresso da cui Yami era appena entrato, su una
poltrona di pelle
nera tipo quelle delle auto sportive, stava un individuo dai glaciali
occhi
azzurri, dello stesso frigido color azoto liquido delle iridi di
Ishizu. Il suo
viso affilato e seminascosto da una frangia marrone stile Beatles era
occupato
a fissare il monitor del laptop che teneva in equilibrio sulle gambe,
mentre
ticchettava alla velocità della luce sulla tastiera.
Yami
non
riusciva a muovere un muscolo e rimase lì impalato per
cinque minuti buoni, il
cuore che gli batteva a mille e la mano ancora poggiata sulla porta. I
polmoni
gli stavano scoppiando ed era sicuro che se non avesse respirato entro
i
prossimi dieci secondi avrebbe cominciato ad assumere un colorito
bluastro e
sarebbe morto di nuovo. Con un po’ di fortuna sarebbe potuto
rinascere in un
posto abbastanza vicino a Yugi e avrebbe potuto passare del tempo con
il suo
angelo nonostante la differenza di età.
Il
grande
capo, o quello che Yami ipotizzava fosse il grande capo, parve
finalmente
accorgersi della sua presenza e della sua imminente morte per asfissia,
e
sollevò per un istante gli occhi dal monitor.
«Sì?»
domandò.
Yami
tacque.
L’individuo
roteò gli occhi e chiuse il laptop, come se fosse abituato a
quel tipo di scene
e vedesse ogni giorno persone che, in quell’ufficio, cadevano
in uno stato
semicomatoso dopo una sola occhiata alla sua persona.
«Si
accomodi»
lo invitò con fredda diplomazia e fece un gesto verso la
poltrona di fronte a
lui, mettendo via il computer. «Nessuno le farà
del male, è già morto in fondo,
di cosa ha paura?». C’era qualcosa nel modo in cui
le sue labbra si erano
piegate in un enigmatico sorriso che diede a Yami la sensazione che un
motivo
per cui avere paura c’era e come, ma preferì non
indagare più a fondo sulla
cosa e a piccoli, timidi passi, si sedette sulla poltrona a lui
indicata. Di
pelle nera anch’essa.
A
dire il
vero l’intero ufficio era piuttosto cupo. Ora, non
è che Yami si aspettasse di
trovare orsetti gommosi e unicorni nell’ufficio del grande
capo della Undertaking
EX, ma tutto quel nero, quell’argento, quelle falci
d’annata appese alle
pareti e la scrivania di tek scurissima… era decisamente
inquietante.
«Allora,
le
presentazioni innanzitutto» disse l’uomo porgendo a
Yami una mano da stringere
«Mi chiami Kaiba, Seto Kaiba. E lei è?».
Yami
la
strinse con riluttanza. «Yami» mormorò.
Kaiba
si
sedette di nuovo incrociando le dita sotto il mento.
«Allora,
qual
è il suo problema?» chiese pazientemente.
Nonostante l’aspetto inquietante, non
dimostrava che qualche anno in più di Yugi, anche se aveva
immaginato che il
grande capo fosse un vecchio bacucco col cappello a punta.
Probabilmente Kaiba
era semplicemente morto giovane. Yami si schiarì la voce.
«Io,
ecco, mi
dispiace di averla disturbata a quest’ora ma vede…
e poi è anche domenica, mi
spiace veramente, però avevo davvero bisogno del suo aiuto
e, insomma, non so,
è una faccenda molto delicata…».
Il
ragazzo
annuì diplomaticamente.
«Se
è in mio
potere aiutarla, farò tutto il possibile, ma senza conoscere
il suo problema mi
sarà difficile anche solo cominciare. Cominci ad esporre. Le
assicuro che di
questioni delicate ne ascolto tutti i giorni da millenni».
Ah,
Yami non
aveva dubbi che fosse così. Forse aveva sbagliato a
diffidare del grande capo:
sembrava una persona competente e comprensiva dopotutto, fredda e
inquietante
nel suo essere eccessivamente educata, certo, ma comprensiva. Se era il
capo in
fondo un motivo ci sarà pure stato, no? E sicuramente nel
suo campo ne sapeva
più di chiunque altro, chissà quante altre volte
si era trovato ad affrontare
problemi simili o magari identici a quello di Yami. Infuso di nuova
speranza,
Yami si decise a esporgli il proprio problema.
«Dunque,
come
forse sa, signor grande capo, voglio dire, come sicuramente
sa, in fondo
lei sa tutto, no?» ridacchiò nervosamente,
l’algido individuo che gli sedeva di
fronte non fece una piega nell’udire il blando salamelecco.
Yami deglutì. «Sono
un mietitore di questa azienda da più di tremila anni. Amo
il mio lavoro e amo
svolgerlo con professionalità, e in trenta secoli di onorato
servizio ho riscosso
numerose volte la targa di Mietitore Dell’Anno».
Yami si fermò, anche questa
volta Kaiba non sembrava impressionato e il suo volto non tradiva
alcuna
emozione se non un neutro accenno di sorriso.
«Una
settimana fa, mi apprestavo a terminare i dodici mesi di lavoro.
L’ultima anima
della giornata doveva essere quella di un ragazzo di
ventitré anni, giapponese.
La causa della morte un attacco di cuore… e il nome del
cliente è Yugi Mutou».
«È?»
gli fece eco Kaiba. Per la prima volta da quando era arrivato, a Yami
sembrò di
vedere il fantasma di un’emozione, sebbene ancora
indecifrabile, dipingersi sul
volto di quell’uomo.
«Precisamente.
È. Perché io non sono stato in grado di
compiere il mio lavoro. Io…
insomma…».
«Qual
è il
motivo che le ha impedito di compiere la missione che le è
stata assegnata
dalla qui presente azienda e di raccogliere l’anima di questo
ragazzo?» lo
incalzò Kaiba.
«La,
ecco,
l’avvenuta formazione di un legame affettivo con il cliente
in questione».
«Lei
ha
dunque fraternizzato con Yugi Mutou?».
«Abbiamo
parlato» si difese Yami.
«Lei
si è
recato sul posto con l’intenzione di fraternizzare con Yugi
Mutou?».
«No!».
«E
pur
tuttavia, lei ha positivamente stretto una qual sorta di legame
affettivo con
Yugi Mutou».
«S-sì,
io-».
«Lei
era a
conoscenza dell’identità di Yugi Mutou?».
«Intende
le
informazioni contenute nel plico? Sì un po’, ho
letto il report della
S.P.I.O.N.I. ma-».
«Ha
fraternizzato con Yugi Mutou di sua spontanea e pura
volontà, pur ben
consapevole di tutti i pericoli che la sua fraternizzazione avrebbe
causato e
pur ben consapevole dell’immane quantità di
regolamenti che lei ha dovuto
infrangere in nome di tale fraternizzazione e dei regolamenti che lei
sta
continuando, anche in questo preciso istante, a violare?».
«Sì…?».
«E
come ha
potuto ovviare alla necessaria mietitura dell’anima a lei
assegnatale?».
«Ho…
raccolto
quella di un gatto».
«Capisco…»
Kaiba annuì lentamente. «Che rapporto ha Yugi
Mutou nei confronti della sua
persona, signor Yami?».
«Suppongo
sia
attratto da me, signore. È stato lui per primo a-».
«Qual
è il suo
rapporto con Yugi Mutou, signor Yami?».
«Temo
la cosa
sia reciproca, signore, temo di… Insomma: sono innamorato di
Yugi Mutou. E non
so come fare perché-».
«Un
colpo di
fulmine a quanto pare. Formuli il suo problema puntualmente, signor
Yami».
Yami
tirò una
boccata d’aria per riprendere fiato dopo il mini
interrogatorio. Era stufo di
essere continuamente interrotto mentre Kaiba mandava avanti il suo
terzo grado
e poi il volto di quell’uomo sembrava quasi…
compiaciuto. Non seccato. Era in
combutta anche lui con Bakura per soffiargli la targa?
«Non
voglio
che Yugi Mutou muoia. Ma sono consapevole del fatto che la sua
sopravvivenza
rappresenti una minaccia per il continuum spazio temporale, che io ho
già
alterato contravvenendo al mio lavoro il giorno che ci siamo
incontrati.
Tuttavia, vorrei poter passare più tempo in futuro con Yugi,
perché è una
persona incredibile e-».
«Sì,
ecco,
questo lato della vicenda è alquanto singolare»
commentò Kaiba interrompendolo
per l’ennesima volta. «Mi parli di più
di Yugi Mutou: cosa prova per lui, cosa
le piace, quali sono le sue qualità?».
Sì,
il grande
capo era decisamente in combutta con Bakura: che diavolo gliene fregava
a lui
di quello che provava per Yugi? La situazione era già
abbastanza imbarazzante
di per sé, ma Yami pensò che se voleva che il
grande capo lo aiutasse avrebbe
fatto meglio a stringere i denti e collaborare.
«È
una
persona genuina, sincera, leale. Sa sempre come prendermi e abbiamo
moltissime
cose in comune. Si figuri che è un campione di freccette e
ogni volta che lo
sfido a un gioco finisce per battermi, una cosa che non mi è
mai successa» si
schiarì la voce e accavallò le gambe sulla
poltrona «Sa perfino cucinare: lo
scorso mercoledì mi ha invitato a casa sua e abbiamo passato
la giornata a
mangiare polpette di riso e vedere film di terza scelta. È
una persona
spontanea, divertente… con lui mi sento a casa. E lo so che
è presto per dirlo
ma io lo amo: amo lui e amo passare il mio tempo
con lui perché la sua
presenza lo rende prezioso» Yami tirò su col naso.
Troppe emozioni. «Gli
ultimi sette giorni sono stati i più belli che abbia
trascorso da un millennio
a questa parte e non riesco a pensare che tutto questo potrebbe finire.
E per
mano mia! Vorrei che durasse di più, infinitamente di
più. Io… non sono pronto
a rinunciare a Yugi… non voglio
rinunciare a Yugi, capisce, signore?».
Kaiba
gli
passò un fazzolettino di carta e Yami si soffiò
il naso.
«Grazie»
mormorò con voce rotta. «Non sono pronto ad
abbandonarlo, abbiamo appena
cominciato a conoscerci». Seto lo guardò annuendo
meccanicamente. Sembrava
soddisfatto di quanto aveva sentito.
«Yugi
Mutou è
al corrente di questa sua… occupazione presso di noi alla Undertaking
EX?».
«Oh
no!» si
affrettò a negare Yami. «No. Ma non so come fare
per dirglielo. Avevo pensato,
se lei volesse essere così cortese da accettare la mia
richiesta, se Yugi
potesse diventare anche lui uno shinigami dopo morto… Magari
ne ha le qualità!
Chi può dirlo, no? Cioè sì, lei forse
può dirlo, ma comunque... Ecco, se ciò
fosse possibile io forse sarei in grado di mietere la sua anima senza
problemi
perché potrei averlo con me qui»
Yami lo fissò con uno sguardo da
cucciolo bastonato. Kaiba trattenne quello che a Yami sembrò
un ghigno.
«Magari
ne
avrà anche le qualità, ma cosa le fa credere che
Yugi Mutou accetterebbe di
diventare uno shinigami?».
«Perché
Yugi
è così! Pensa sempre al bene degli altri! E se
sapesse che la sua sopravvivenza
mette in pericolo quella del resto dell’umanità mi
pregherebbe di
prendere la sua anima. E se sapesse che l’unico modo per noi
di stare insieme
sarebbe quello di diventare anche lui un mietitore allora penso che lo
farebbe,
perché anche lui mi vuole bene» affermò
deciso.
«La
ama, sì»
Kaiba annuì.
«Appunto»
constatò Yami. «Allora? Potrebbe
aiutarmi?» aggiunse speranzoso, ignorando che
invece che aiutarlo, il grande capo avrebbe piuttosto fatto meglio a
sospenderlo e affidarlo ai servizi di polizia infernale.
«Temo
non sia
in mio potere aiutarla. Tuttavia le assicuro che
farò tutto il possibile
per sostenere la sua causa».
Il
volto di
Yami si rabbuiò, e questi abbassò gli occhi rosso
granato, fissandosi le mani.
«Quindi
non
c’è proprio nulla che si potrebbe fare? Devo
davvero vedere il mio Yugi morire
così?». Devo davvero accontentarmi di
rinchiudere la sua anima in un vaso di
vetro di murano sulla mia scrivania e guardarla dimenarsi come un pesce
rosso
tutto il giorno?
«Io
non posso fare nulla se non darle un consiglio: ne parli con Yugi
Mutou».
«Intende,
che
deve dare il suo spontaneo assenso per poter diventare uno shinigami
dopo
morto?».
«Ne
parli con
Yugi Mutou» ripeté Kaiba.
«Sì
ma cosa
devo dirgli-».
«Parli
con
Yugi» disse ancora Seto, un piccolo, diplomatico accenno di
sorriso aveva fatto
capolino dalle sue labbra e Yami capì che quello era il suo
invito ad
andarsene. Si alzò dalla poltrona e salutò
cordialmente.
«La
ringrazio, è stato gentile da parte sua concedermi
così il suo tempo».
«Fa
parte del
mio lavoro. È stato un piacere conoscerla di
persona».
«Altrettanto»
annuì Yami distrattamente, poi aprì la porta
«Arrivederci» salutò.
«A
presto».
Yugi
era lì,
perfetto come sempre. La luce del tramonto che lo circondava come un
alone
iperuraneo, lo stormire degli uccelli sembrava salutarlo in segno di
reverenza,
mentre volteggiavano lontano, verso il domani, scomparendo dietro
l’orizzonte
screziato di arancio.
Anche
Yami
sarebbe scomparso volentieri, solo che dietro l’orizzonte non
era abbastanza:
se ne sarebbe scappato alle Antille, in Europa, nel quinto cerchio del
paradiso
o perfino a congelarsi le chiappe nel nono girone
dell’inferno pur di evitare
la chiacchierata che si apprestava a fare con Yugi.
Era
domenica
sera.
All’alba
sarebbe stato lunedì.
Se
entro
stasera non risolveva ogni cosa, Bakura l’avrebbe sputtanato
teatralmente
davanti all’aldilà intero per aver mietuto
l’anima di un gatto e lui sarebbe
diventato lo zimbello di tutto l’altro mondo. Tutto
perché non aveva saputo
resistere a un paio di occhi viola.
Tsk.
Come si vedeva che non avevano mai dato un’occhiata da vicino
agli occhi di
Yugi.
Tuttavia,
non
si poteva evitare l’inevitabile e, deciso a togliersi questo
dente, Yami tirò
un respiro profondo e si avvicinò alla panchina dove sedeva
Yugi. Per certi
generi di discorsi un ambiente neutro e appartato era sempre da
preferire.
«Ciao»
esordì.
Yugi
si girò
verso di lui e sorrise.
Yami
perse un
battito e per poco non si mise a piangere.
Ne
parli
con Yugi Mutou.
Come
potevano
pretendere che gli parlasse di una cosa simile? Era troppo crudele,
perfino per
l’inferno.
«Ciao»
rispose il suo perfettissimo angelo. Yami sorrise e si sedette al suo
fianco.
Dopo
venti
minuti di semplice conversazione, lo stomaco di Yami non si era ancora
deciso a
calmarsi. Avrebbe volentieri bevuto un bicchiere di latte in questo
momento:
qualunque cosa pur di prendere tempo.
«Yugi»
si
decise finalmente «C’è…
qualcosa che dovrei dirti».
«Perché
sei
così serio, è qualcosa di grave?».
Yami
annuì.
Yugi, stranamente, non sembrò turbato.
«Ti
ascolto»
disse comunque.
«Probabilmente
non crederai mai a quello che sto per dirti, e non dovrei neanche
dirtelo, ma
visto che a questo punto ho commesso tante di quelle infrazioni che mi
radieranno da ogni posto passato, presente e congiuntivo, tanto vale
che faccia
trentuno e ti dica la verità».
Respirò
poderosamente un’ultima volta, poi cominciò a
sciorinare nozioni a velocità
supersonica.
«Io
sono uno
shinigami, non nel senso di dio della morte, non
siamo dei di nessuno,
che credi, anzi ci abbiamo messo secoli anche solo per avere uno
straccio di
sindacato, e anche adesso non ci riconoscono il diritto di
paternità! È una
situazione disgustosa e non lo dico perché ho
chissà quale fretta di avere
figli, non che non mi piacciano i bambini, beninteso, ma
perché ci trattano
tutti con questa aria di superficialità orrenda come se noi
fossimo anime di
serie B proprio perché contribuiamo a prendere le anime, ma
qualcuno dovrà pur
farlo, no? Comunque no, dicevo: sono uno shinigami nel senso che io e i
miei
colleghi raccogliamo le anime dei mortali e siamo tutti impiegati di
una grande
azienda nell’aldilà che si chiama Undertaking
EX e, sì, usiamo quei cosi
lì appuntiti, le falci, e ci sono un sacco di regole e
codici da rispettare,
tipo: non portare la falce in vacanza con te, non scambiare le pratiche
con
quelle dello shinigami che ti siede a fianco, non far innervosire
Ishizu, non
parlare coi mortali del tuo lavoro, cosa che comunque sto facendo
adesso, ma
comunque ne ho infrante molte altre e soprattutto ho infranto la
peggiore di
tutte perché il continuum spazio temporale adesso
è compromesso per sempre e io
non so cosa fare e tutto perché ho accettato un bicchiere di
latte! Cioè, solo
perché tu mi hai chiesto se volevo un bicchiere di latte, e
io ho accettato. E
poi da cosa nasce cosa e alla fine io mi sono innamorato
di te quindi
invece di prendere la tua anima come avrei dovuto fare il primo giorno
ho preso
quella di un gatto, ma adesso sono nei guai anzi siamo tutti nei guai
perché mi
radieranno e qualcun altro verrà a prendere la tua anima e
io non potrò più
proteggerti, e per questo vorrei che anche tu diventassi uno shinigami
così
potresti vivere nel nostro mondo ma per farlo dovresti morire e io non
voglio
che tu muoia e non ho idea se tutto questo ha un senso ma so solo che
non
voglio perderti e mi dispiace, mi dispiace tantissimo!».
Yami
riprese
fiato, ansimando. Yugi lo fissava. Sorrideva. Yami pensò che
Yugi fosse
completamente pazzo, o meglio, aveva preso Yami per pazzo, e adesso gli
riservava quel sorriso pietoso che si riserva ai bambini e i malati
mentali e
probabilmente non credeva a una sola parola di quello che Yami aveva
blaterato
sconclusionatamente, o forse non aveva capito niente e basta.
«Dico
la
verità» lo implorò «Guarda,
ho qui in tasca la mia falce e-».
«Ti
amo anche
io» disse Yugi.
Yami
si
pietrificò. Possibile che fosse l’unica cosa che
Yugi aveva capito di tutto
quel discorso?
«Aspetta,
non… cioè, non credi- non
sei…?».
Yugi
sorrise.
Anzi no, si mise proprio a ridere, e di gusto. Dapprima piano, mentre
il
sorriso si allargava sul suo volto fino ad arrivargli agli zigomi, poi
sempre
più forte finché non dovette mettersi una mano
sulla pancia e asciugarsi gli
occhi lucidi di lacrime mentre il piede destro batteva su e
giù sui brecciolini
bianchi del parco. Yugi sghignazzava e Yami continuava a non capire, ma
era
sempre più convinto che Yugi avesse perso il lume della
ragione.
«Yugi…?»
mormorò.
Anche
Yugi
mormorò qualcosa, ma era troppo semisoffocato dalle risate
perché Yami
riuscisse a sentirlo. Quando, dopo un minuto buono, Yugi ebbe
finalmente
cominciato a ricomporsi e a respirare più regolarmente,
alzò entrambe le mani
per far segno a Yami di aspettare e si rimise a sedere composto,
ansimando. Un
fremito di risa lo scuoteva ancora di tanto in tanto.
«Scusa»
balbettò «Scusami ma non ho resistito e-
pfff» ricominciò a ridere di nuovo.
«È
tutta colpa mia, scusami, però la tua proposta era troppo
buffa e allora-».
«Yugi,
mi
devo preoccupare?».
«No,
no non
credo» respirò profondamente finché a
Yami non sembrò che avesse di nuovo ripreso
il controllo di sé. «Ti devo delle scuse, e anche
delle spiegazioni» disse.
«Anche
tu?».
Yugi
sorrise
e per un attimo Yami temette che sarebbe scoppiato a ridere di nuovo,
ma il
ragazzo si limitò ad annuire.
«Vedi,
io
sapevo che tu eri uno shinigami fin dall’inizio, e sapevo
anche chi fossi e,
insomma… sì ecco, il fatto è che ti ho
spiato un po’… un po’ tanto…
Per, ecco,
tipo qualche mese».
«Non
capisco,
come potevi spiarmi se io ero giù
all’inferno?».
«È
stato
Kaiba a dirti di far diventare anche me uno shinigami?»
cambiò discorso Yugi.
«No
lui mi ha
detto solo di parlare con te- Ehi, come fai a sapere chi è
Kaiba?».
«Tu
sai chi
è Kaiba?» rimbeccò Yugi? A sentire quel
tono, quasi di sfida, Yami si rese
conto di non esserne più tanto sicuro.
«È
il grande
capo dell’azienda che ti ho detto, la Undertaking EX,
e sono andato lì
per chiedergli se poteva aiutarmi a farti diventare uno shinigami,
così avremmo
potuto stare insieme».
«Errore»
disse Yugi «Kaiba è il vice grande
capo della Undertaking EX. Il
grande capo sono io».
Dalla
gola di
Yami uscì un solo, flebile filo di voce a malapena
sufficiente per mormorare un
«Cosa?» strozzato. Adesso era positivamente
convinto che sia lui che Yugi
avessero completamente perso il lume della ragione.
Lo
Yugi in
questione lo prese per mano: ammesso e non concesso che dicesse il
vero, Yami
era molto combattuto fra il desiderio di essere arrabbiato con lui per
avergli
mentito o essere sollevato perché non aveva alterato alcun
continuum e non
avrebbe dovuto uccidere nessun adorabile ragazzo dagli occhi
scintillanti di
galassie.
«Il
grande
capo sono io» ripeté «Il Cupo Mietitore,
il mietitore senior, il Grande
Mietitore, e tutti quegli altri nomignoli strambi che alla gente e a
voi
colleghi piacciono tanto. Per via di tutti questi nomi a quanto pare ho
una
fama terribile e dopo secoli di lavoro ho dovuto imparare a convivere
con il
fatto che chiunque mi veda o sappia chi sono cominci a tremare e fare
scongiuri
e se ne scappi via con una scusa. Sono abituato alla diffidenza delle
persone
ormai, ma il fatto è che… convivere con questa
realtà quando si è innamorati di
qualcuno risulta un po’… difficile?»
ridacchiò passandosi una mano dietro il
collo.
«Hai
organizzato tutto. Mi hai manipolato» mormorò
Yami. Yugi annuì lentamente, fissando
il suolo.
«È
stata
un’idea di un certo Bakura. Kaiba sapeva che avevo una cotta
per te, erano mesi
che lo assillavo lamentandomi di come sarebbe stato impossibile per me
avere
mai una storia normale, e così ha pensato di contattare uno
dei tuoi amici più
intimi per fare da mediatore tra te e me».
«Amici?
Con Bakura?».
«In
effetti
avevo la sensazione che non foste proprio amici, credo che Seto lo
abbia scelto
apposta: si diverte un mondo a complicare la vita a tutti. Cerca di
capirlo in
fondo, come mio vice gli toccano sempre le faccende più
noiose e se ne sta
tutto il giorno dietro la scrivania. Non hai idea di quanto me
l’abbia
criticata oltretutto, quella scrivania: troppo nero, troppa pelle, che
accidenti ci fanno qui queste falci arrugginite, questo ufficio sembra
l’ufficio di un morto… Beh, grazie tante: la morte
sono io!» esclamò Yugi
alzando le mani al cielo «E poi perché il mio
ufficio non dovrebbe
rispettare i miei gusti?».
In
tutto
questo blaterare di uffici e complotti alle sue spalle, Yami era
riuscito a
capire due cose:
Numero
uno: Yugi Mutou, l’adorabile creatura di cui era
dannatamente innamorato
nonostante le sue equivoche macchinazioni, era già morto, e
nessuno lo avrebbe
costretto a prendere la sua anima e rinchiuderla in un vasetto di vetro
come un
pesce rosso.
Da
qualche
parte, ovviamente, Yami era anche incollerito perché in
tutta questa storia
aveva fatto la figura dell’idiota mentre il resto dei
personaggi coinvolti lo
manipolavano a destra e manca. Ma era un prezzo che era disposto a
pagare pur
di avere ancora Yugi al suo fianco.
Numero
due: quel bastardo di Bakura aveva passato la domenica a
ridere di lui per
essersi innamorato come un bambino di dieci anni alla prima cotta e per
aver
mietuto l’anima di un gatto spelacchiato. E aveva tramato
nell’ombra alle sue
spalle per incastrarlo. Ma quel malefico albino non faceva mai niente
per
niente e sicuramente mirava a ottenere qualcosa oltre la semplice
soddisfazione
da tutto questo. Lui mirava alla targa di ottone coi teschietti
smaltati.
Yugi
stava
ancora blaterando di uffici in pelle nera e scuse per essersi
comportato male
nei suoi confronti e Yami ne approfittò per sistemare la
propria agenda delle
priorità perché, visto che la questione ‘mietere
l’anima di Yugi’ era
finalmente stata risolta, il primo posto poteva finalmente essere
occupato da
problemi più incalzanti.
«Se
la tua
non era nell’elenco ed era tutto un imbroglio» lo
interruppe «Vuol dire che ho
mietuto tutte le anime a me assegnate quest’anno e ho
ottenuto la mia targa?».
Yugi
si
interruppe di colpo. Questo era un problema.
«Vedi,
Yami,
il valore di uno shinigami non si determina dal numero di targhe sulla
sua
scrivania. Fidati di me che te lo dico, in fondo ho una certa
esperienza-».
«La
targa» lo
incalzò Yami «La targa è
mia?».
«Il
fatto è
che la tua lista era già stata preparata e per attuare il
piano ideato da
Bakura abbiamo dovuto sostituire l’ultima anima con me e
assegnarla a lui. Se
si fosse trattato di riscriverla di sana pianta allora
forse… ma Bakura ha
detto che non ce n’era bisogno e anche Kaiba era
d’accordo così da risparmiare
tempo-».
«Quindi?».
«Quindi…
quindi ti manca ancora un’anima, e deve essere umana, il
gatto non va bene-».
Yami
non
aveva potuto vincere la sua targa fin dall’inizio.
Le carte erano state
truccate in partenza. D’improvviso cominciò a
sudare freddo.
«Fosse
per me
non ci sarebbero problemi» si difese Yugi, indietreggiando
appena «Ma, vedi,
Kaiba è convinto che non possiamo assegnare una targa di
Miglior Mietitore a un
mietitore che si è innamorato di un umano e ha compromesso
il continuum e tre
millenni di carriera pur di non ucciderlo».
«Ma
tu non
sei umano, Yugi».
«No,
infatti:
è quello che ho provato a dirgli, ma Kaiba e Bakura hanno
sostenuto che si
trattasse di una questione di etica…».
Quel
bastardo. Quel bastardo l’aveva pensata per filo e per segno.
Era più sporca
della storia dei tre treni collisi. Ovvio che quella mattina in ufficio
si era
comportato come se sapesse: non poteva non sapere. Era stata tutta una
sua
idea, una cosa così crudele e machiavellica e umiliante
poteva essere ordita
solo da una feccia dai capelli bianchi di nome Bakura.
«Yami»
intervenne Yugi prendendogli la mano «Le targhe vanno e
vengono, l’anno
prossimo sono certo che ti rifarai, anzi mi farebbe anche piacere darti
un
aiutino…» ammiccò, schioccandogli un
bacio sulla fronte. Il puzzo di bruciato
dell’inganno era tanto forte che Yami avrebbe potuto sentirsi
male. «È solo un
pezzo di metallo in fondo». Lo sentiva. Yugi stava cercando
di prepararlo alla
botta finale. Bakura lo aveva giocato come un baccalà. Cosa
poteva esserci di
peggio?
«Yugi,
cosa
stai cercando di dirmi?».
«E
poi ora
possiamo stare insieme, hai detto di amarmi: ti amo anche io, non
è forse più
importante di una stupida placchetta di ottone?».
«Yugi»
ecco
cosa c’era di peggio. Yami deglutì.
«Yugi, dimmi che non gli consegnerai la
targa». Non poteva: dopo tutte le sue subdole azioni, quel
totano decerebrato
non meritava di… No…
«Non
sei
sollevato per il fatto che io non debba morire e che non dobbiamo
più
preoccuparci di nascondere la nostra relazione al mondo?».
«Yugi!».
Yugi
sussultò, balbettò qualcosa di troppo confuso
perché Yami potesse capirlo, ma
lo sguardo assassino che Yami gli lanciò fu sufficiente
perché l’altro
rielaborasse più coerentemente le parole.
«Era
il
prezzo che ha preteso per la sua collaborazione: tutta questa faccenda
doveva
restare super segreta e in fondo era solo una targa, Kaiba era
d’accordo-».
«A
chi
consegnerete la targa di Mietitore Dell’Anno,
domani?» ordinò Yami.
Yugi
deglutì.
«A
Bakura».
La
morte è
conosciuta con vari nomi.
Tristo
Mietitore, Cupo Mietitore, Shinigami, Falce, Grande Mietitrice, Grande
Mietitore… Persino Yugi Mutou, per i pochi intimi che erano
a conoscenza della
sua vera identità. Qualunque appellativo venisse utilizzato,
però, su una cosa
concordavano tutti: la morte fa paura.
Eppure,
l’urlo isterico che squarciò i cieli limpidi della
città di Domino appena un
istante dopo che il nome di Bakura fu pronunciato, e lo sguardo di puro
terrore
dipinto negli occhi color quarzo della Morte, sarebbe stato abbastanza
perché
il sangue di ogni mortale gli si gelasse nelle vene, e persino il
più crudele
dei cuori avrebbe provato compassione e pena per il povero piccolo
ragazzo che
adesso, di fronte a Yami lo shinigami, aveva la sfortuna di ricoprire
l’incarico di grande capo della Undertaking EX.
Owari
Note:
- Il nome Undertaking
EX è un voluto riferimento a Kuroshitsuji. Il
prompt della miopia invece è stato, come dire...
accidentale? Pensavo alle anime che sgusciano via e a quanto
è fig- ahem, quanto stiano bene gli
occhiali a Yami. Solo dopo un paio di paragrafi che parlavo di Yamuccio
miope mi è venuto in mente che anche in Kuroshitsuji gli
shinigami usano occhiali. Tutto qui.
- Il
foglio numero quattro del plico si chiama così per via di
quel gioco di parole giapponese in cui shi (quattro) suona come morte.
Grazie
a
chi ha letto fino in fondo queste venti pagine word di oneshot e a
chi lascerà un *sempre apprezzato* commentino.
A presto e a nuove storie,
Ache