Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Jupiter_    21/08/2015    1 recensioni
Aleda, giovane giornalista con la passione per la cucina, cerca incessantemente un lavoro inviando curriculum ovunque. Approda in una rivista dedicata alla pesca di cui non conosce assolutamente nulla e grazie a questo nuovo impiego, conosce Andrea, un ragazzo di origini italiane con la passione per la pesca che la aiuterà nel suo nuovo incarico.
Aleda riuscirà a trovare la felicità o il passato continuerà a tormentarla trascinandola ancora una volta nel buio dell'inadeguatezza e della solitudine?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
L’inizio di quel maledetto caos non lo ricordo per niente. Fatto sta che la mia cucina è in subbuglio. Pentole, scodelle e mestoli dappertutto, farina su ogni mensola e persino nelle mie orecchie, ma il profumo invitante che il forno sprigiona cancella il pensiero della fatica imminente che mi toccherà. Con le mani ancora unte distendo il grembiule sulle mie gambe e mi piego a controllare che il Pan di Spagna sia ben lievitato e cotto nel forno.
«Batti i pugni sul forno, se l’impasto si muove significa che è ancora crudo. Quando il Pan di Spagna inizierà a “sudare”, sarà pronto.»
Mia madre mi ripeteva sempre i suoi consigli “casalinghi” quando vivevo a casa dei miei e mi dilettavo nella preparazione di dolci di ogni genere. La torta balla ancora così mi decido che forse è meglio tirare la cucina a lucido.
Dopo un’ora e qualche imprecazione di troppo la cucina ritorna perfetta e il Pan di Spagna non è da meno. Mia sorella è sempre stata negata con i dolci, così ogni anno – per il compleanno di mia nipote – tocca a me preparare la torta. Lo faccio con piacere perché è una delle cose che mi riesce meglio.
Lei è molto diversa da me. Le piace la fotografia, la grafica e tutto quello che riguarda lo starsene seduta alla scrivania a smanettare al computer per assemblare immagini e roba varia.
Casa sua sembra quasi un museo, di quelli astratti, le cui opere non si collegano assolutamente tra loro ma lei se ne frega perché il “caos visivo” le piace. Dice che sono comunque foto di famiglia e che stanno bene lì dove sono.
Alla fine non replicavo mai, perché in fondo è casa sua e non devo metterci becco. Siamo sempre state diverse sia nell’aspetto, che nei gusti. Lei è l’emblema dell’eterna confusione, sempre in cerca di approvazione, di consigli e suggerimenti. Ma sotto altri aspetti è decisa, forte e chiara. E se qualcuno la fa incazzare, sarebbero guai seri. Molto differente da me. Eppure ci siamo sempre capite alla perfezione, basta uno sguardo e tutto ha un senso.
Già me la immagino - con il suo naso leggermente all’insù, i capelli legati in un perfetto chignon e quei riflessi rossi immancabili – con un altro dei suoi quadri in mano a provarlo di parete in parete. Scuoto la testa pensando a quanto sia buffa l’espressione che assume. E’ una creativa e si sa che i creativi hanno le idee un po’ confuse.
Mentre la torta si raffredda mi decido ad accendere il portatile e a mettermi alla ricerca di qualche annuncio di lavoro. A dispetto di mia sorella io non ho un lavoro, il mio conto in banca è quasi in rosso e non so assolutamente dove sbattere la testa. Forse, e sottolineo forse, avrei fatto meglio a seguire il consiglio dei miei genitori che mi ripetevano di scegliere una facoltà da professione sanitaria e non una da “lavoro impossibile”. Purtroppo quando si decide di intraprendere e seguire le proprie passioni la strada non è sempre facile perché la vita decide che è giusto metterti i bastoni tra le ruote, che devi sudare, rischiare, arrivare a perdere tutto e poi forse ti meriti di realizzarti. C’è qualche entità da qualche parte che sa sempre come fregarti e intralciare i tuoi piani. Mi dicevano di lottare, sempre, di non mollare e di tenere duro. L’ho fatto, ma non so come, io perdevo sempre. Non importa quanto impegna tu ci metta, se è no resta no e non puoi farci niente per cambiare. Ricordo ancora gli sguardi di disapprovazione dei miei genitori di fronte ai miei progetti dopo la scuola, i sospiri esasperati di mio padre di fronte alle mie “chiacchiere” raccontate a tavola. L’entusiasmo di mia sorella era una consolazione più che sufficiente per andare avanti e credere in me stessa. Mi bastava una sola persona che credesse in me, per darmi la giusta carica.
Apro la pagina di internet, cliccando su google e osservando lo schermo per qualche minuto non sapendo esattamente cosa scrivere, dove cercare e da dove iniziare. Provo tutte le possibili parole chiave che potrebbero portarmi a un’occupazione. Anche quelli dove richiedono esperienza, chissenefrega, so che non mi chiameranno mai. Invio curriculum con allegati speranze, sogni e autostima e chiudo il PC. Non ricordo nemmeno più quanti siti ho visitato, quante balle ho inventato e quanti miei pezzi mandati.
Mi accorgo solo dopo qualche secondo che il cellulare stesse squillando così lo afferro senza guardare chi sia e mi affretto a rispondere ringraziando tutti i santi per aver spinto qualche azienda a contattarmi.
«Pronto, si?» rispondo precipitosamente e quasi me ne pento.
«Ops, mi sa che hai preso un abbaglio…» la voce si affievolisce e sbuffo torturandomi l’orlo della maglia prima che la voce all’altro capo del telefono continui «… volevo solo sapere a che punto sei con la torta e quali decorazioni dovrei comprare esattamente.»
Alzo gli occhi al cielo gettando la testa all’indietro per poi portarmi una mano sulla fronte.
«Ellis sai benissimo che la torta è sempre stata il mio regalo di compleanno per Nicole, perché ti ostini a ripetere le stesse cose ogni anno?» ormai la bambina ha sette anni, una ad un certo punto dovrebbe capirlo.
«Perché sappiamo entrambe che quest’anno è diverso.» il suo tono si fa colpevole e rammaricato. E siamo alle solite, crede che non possa permettermi di pagare anche la torta – cosa che effettivamente è così – e quindi accorre subito in mio aiuto. Anche se non ho nemmeno uno spillo e pago a stento le bollette, non mi va di interrompere la nostra “tradizione” e deludere mia nipote. Voglio che mi ricordi come la zia che le regalava torte favolose per il suo compleanno e che, di anno in anno, aggiunga nuove foto al suo album con le sue piccole sculture.
Mi sfrego gli occhi stringendo il cellulare tra le dita. «Non preoccuparti, ce la faccio. Fuori dalle chiese le persone sono molto generose, ci guadagno fior di quattrini!» con l’ironia non si sbaglia mai.
«Ma che ti dice il cervello? Fai la mendicante adesso?!» i suoi decibel hanno raggiunto decisamente livelli inauditi. Sì, vivo in un monolocale. Sì, sono senza lavoro. Sì, il mio conto è in rosso. Sì, lavoro solo nei week-end, ma sicuramente non faccio la mendicante e a quanto pare la mia sorellina non ha afferrato il mio gioco.
«Vorrei sapere da quando credi a queste idiozie, non ti facevo così ingenua. Hai messo in pausa i neuroni?» scoppio a ridere come una bambina che ha appena visto il suo amichetto cadere.
«Per piacere Aleda, smettila di fare la bambina e cresci un po’. Non mi va per niente di scherzare specie su questo genere di cose e specie sulla tua situazione e sappiamo entrambe che non sto parlando solo di lavoro» e ci risiamo con la solita ramanzina. Reprimo l’impulso di riattaccarle il telefono in faccia e mi sforzo di essere gentile e comprensiva. Le voglio bene sì, ma non sopporto che mi faccia la predica ogni volta che ci parliamo. A volte è addirittura peggiore di nostra madre.
Così non rispondo, me ne sto in silenzio nella speranza che capisca e non mi costringa a rispondere ma il buon Dio non sempre accoglie le nostre preghiere «perché non fai una cosa? Lascia quella casa sudicia e vieni e a strare da noi per qualche tempo. Ai bambini piace averti qui e a Tomas non dispiacerà. In fin dei conti siamo sempre fuori per lavoro e una baby-sitter potrebbe farci comoda!» esclama con un po’ troppa enfasi nella voce, ed ecco Ellis versione fata turchina. Non mi ci vedo proprio a trent’anni tornare a vivere a casa dei miei, peggio ancora a casa di mia sorella minore. A quel punto fare la mendicante non sarebbe una cattiva idea. E’ che proprio non capisco il perché tutti si sentono in dovere di aiutarmi, forse mi vedono come una povera principessa in balìa del drago della disoccupazione e quindi montano in sella al loro lavoro a tempo indeterminato e decidono di  accorrere in mio aiuto.
«Ma Ellis porca p…!»
«Aleda!!»
«Paletta, stavo per dire paletta!» mia sorella non sopporta le parolacce, dice che rendono le donne delle scaricatrici di porto e poi non vuole che i suoi figli ne sentano una.
«Okay, come non detto. Mi ritiro dalle scene, ma sappi che se avessi bisogno di qualcosa, sai chi chiamare.» e riattacca non lasciandoti il tempo di replicare. Mi prendo a calci nel sedere mentalmente e mi crogiolo sul divano guardando la macchia di muffa che padroneggia sul soffitto. Dovrei proprio chiamare l’imbianchino, chiedergli almeno un preventivo e valutare se è il caso di affrontare ancora un’altra spesa.
Da quando Ben è andato via di casa, tutti i lavori manuali, i classici catalogati “da uomo”, sono rimasti incompiuti. Il tubo del bagno che perde, l’interruttore della camera che non va, le ante della cucina che pendono. A volte ne sento la mancanza, ma solo per la sua innata passione per il fai-da-te e il suo modo di tenere tutto riparato, ma forse se ne era in grado lui, posso benissimo farcela da sola. Alla fine sono una donna con le stesse capacità di uomo, forse un po’ meno forzuta ma non meno intelligente. Che poi questi uomini credono che noi donne siamo portare solo per la cucina, la casa e la cura dei bambini. Non si sono mai schiodati dal medioevo e se anche ci sbattessero il muso contro, ne attribuirebbero la riuscita ad un colpo di fortuna. Stupidi maschilisti, ti fanno sentire così incapace di fare qualcosa che alla fine ci credi anche tu e ti convinci che non ne sei in grado, innescando una sorta di dipendenza nel tuo cervello da “braccia muscolose e forti”.
Lancio una rapita occhiata all’orologio e mi accorgo che sono le cinque passate e che è Sabato. Vado di corsa ad indossare la mia divisa da lavoro e mi precipito giù per la scale, salutando frettolosamente la vicina che puntualmente spunta per vedere chi viene e chi va, e raggiungo la mia piccola e bellissima Smart gialla. Ho sempre amato questa macchina, è piccola e confortevole, ha il cambio automatico, e si infila dappertutto. Insomma ho risolto alla radice il “problema parcheggio.” Mi dirigo verso il luogo di lavoro pregando che il mio datore non faccia storie per l’ennesimo ritardo e giuro che se stavolta mi dice ancora che ho la testa tra le nuvole, lo investo. Parcheggio di fronte all’entrata e mi precipito dentro, dove il calore del forno mi invada e l’odore di patatine fritte mi violenta le narici e stranamente non c’è ombra di John. Lo stomaco brontola di già e mi ritrovo ad odiarmi per aver accettato questo lavoro. Una perenne affamata come me, dovrebbe tenersi lontana da lavori come questo, ma la pizzeria e il servizio camerieri necessitavano di me come il mio portafogli necessitava di questo guadagno, il tutto combinato in una strana equazione. Non avrei potuto rifiutare e mentre mi accingo a preparare i tavoli per il servizio serale, mi accorgo di quanto sono diventata noiosa. Non faccio altro che pensare ai miei problemi economici, alla mia vita amorosa fallimentare e ai curriculum che ogni notte sogno mentre mi sbeffeggiano e si prendono gioco di me. Dispongo un’intera tavolata composta da circa tredici persone, immagino sia l’ennesimo compleanno di bimbi chiassosi, disordinati e maleducati che si lanciano contro la roba da mangiare, fanno cascare i bicchieri e rovesciare la Cola sulla tovaglia. Mi chiedo se ci sarà anche Tiffany, la mia migliore amica che si occupa di animazione ai compleanni. Lei si che ha avuto una botta di culo, ha lasciato il lavoro d’ufficio per inseguire «i sorrisi dei bambini». Certo, ci vuole fegato e lei ne ha avuto. Non come me, una piagnona cagasotto.
Alle 20:30 circa, la sala si riempie e decido di legare i capelli in una treccia composta scartando sia lo chignon che la coda, mi fanno sembrare una spacciatrice di ghetto abbinati alla mia pelle troppo chiara.  Il tavolo da tredici è ancora vuoto e l’impazienza di concludere il servizio mi rende nervosa.
Servo le famiglie, le coppiette di anziani e quelle più fresche. Mi hanno sempre intenerito queste giovani coppie di ragazzi che ai loro primi appuntamenti si tengono per mano, ridono, scherzano, si imbarazzano e hanno sempre un sacco di cose da dirsi, perché sono alle prime armi e sono smaniosi di conoscere le passioni e i desideri di chi hanno di fronte. Poi ci sono quelle che non hanno nulla da dirsi, che se ne stanno col cellulare in mano a scorrere la home di qualche social network o a chattare con amici vari. Mi sono sempre chiesta perché escono fuori a cena se non hanno nulla da dirsi. Per abitudine? Forse perché si sentono in dovere di farlo? Alcune persone dovrebbero capire che se non c’è più dialogo è finita. Pace, amen. Mettetevi il cuore in pace e cercatevi qualcuno che vi sproni. Dulcis in fundo, ci sono quelle coppie di anziani. Lenti e impacciati che si siedono ai tavoli visibilmente agitati e non abituati a frequentare posti del genere, lontano dall’accogliente e rassicurante salotto di casa. E’ bello vedere come si prendono cura l’un l’altro, come accarezzano quelle mani segnate dal tempo e dalla fatica di tanti anni di duro lavoro. Ogni volta che se ne presenta una, mi abbiocco per alcuni minuti chiedendomi se mai succederà anche a me e se avrò qualcuno al mio fianco per sempre.
Il servizio serale prosegue a ritmo abbastanza frenetico e ogni volta che attraverso la sala cerco di evitare il bambino che più volte mi ha colpito i vestiti con la sua spada-patatina unta di Ketchup e mi accorgo che solo alle ventidue in punto i tredici si degnano di occupare il tavolo 8.
Sono sempre dei bambini, con l’unica differenza che sono cresciuti nel fisico. Le loro vocioni hanno riempito la sala e si accomodano al tavolo come una mandria di bufali, chiassosi e maldestri, trascinando le sedie e colpendo più volte il tavolo con le mani che somigliano più a delle pale. Non ci metto molto a capire di cosa stanno parlando: Fantacalcio. Parlano di aste, si litigano giocatori dai nomi impronunciabili e si esaltano per la prima partita che – a detta loro – comincerà tra qualche settimana e non possono assolutamente perdersela. Gli uomini sono così bambini!
Vorrei tanto evitarli, ma gli altri due camerieri sono troppo impegnati, così mi distendo il grembiule con le mani, rimetto un ciuffo ribelle al suo posto e mi armo del mio miglior sorriso, raggiungendo il tavolo, camminando fiera come se dopo tanta lotta dovessi affrontare la platea raggiungendo il patibolo dove sono comunque condannata.
Mi schiarisco la voce un paio di volte, ma nessuno fa caso a me. Allora mi decido ad urlare:
«Buonasera! Volete ordinare!?»
Tutti si voltano ammutoliti, mi guardano per qualche secondo e poi scoppiano a ridere.
Li guardo incredula, ignara dell’umiliazione imminente e della mia solita sfiga.
 


Angolo Autrice:
Ed eccomi qui con questo azzardo di fan-fiction di "vita vera". Era da tempo un abbozzo sul mio desktop e ho deciso di pubblicarla perché nella vita bisogna "buttarsi" e non lasciare nulla di intentato.
In questo primo capitolo conosciamo un po' meglio la protagonista e scopriamo alcuni (minuziosi) aspetti della sua vita.
Se siete arrivati fin qui nella lettura vi ringrazio e spero di ritrovarvi anche nel prossimo capitolo.
Alcuni personaggi sono ispirati a persone che realmente fanno parte della mia vita, altri sono totalmente inventati.
Grazie mille ancora.
   
 
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Jupiter_