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Autore: Astrid lover    22/08/2015    8 recensioni
Hiccup ha diciott'anni e si ritrova assillato dal padre che gli parla costantemente dei doveri futuri di capo. In più il ragazzo è a capo dell'accademia dei draghi, che di certo non lo aiuta a rilassarsi. Ma solo una cosa gli stravolgerà completamente la vita. Un qualcosa di mai visto, un qualcosa che proviene dal profondo di un grazioso boschetto. Una creatura magica, divina riuscirà ad aiutarlo. Anzi, riuscirà a fargli capire che cos'è il vero amore. Ma purtroppo molteplici insidie ostacoleranno questo forte sentimento che con il tempo è cresciuto tra i giovani. Questa storia dimostra quanto l'amore possa essere potente, tanto da sconfiggere tutto quello che gli si pone dinanzi.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astrid, Hiccup Horrendous Haddock III
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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POV. BENNETT
Sono passati quattro giorni dalla battaglia e la vita a Berk è cambiata radicalmente. Da quando la mamma è da Gothi, Freya ha smesso di allenarsi con l’ascia, Katrin non gioca più con il ghiaccio, papà ha completamente perso la vitalità e piange ogni giorno, io non smetto di sentirmi in colpa. Nostro padre è diventato capo, ma non ha ancora voluto fare la cerimonia e non è stato ancora fatto nemmeno il funerale del nonno. Stiamo cercando tutti di rimettere a nuovo Berk, ferita e ricoperta di ghiaccio, distrutta per la perdita di un Capo villaggio importante e sicuramente il migliore fino ad adesso. Oggi è uno di quei giorni nei quali la casa è completamente silenziosa, non vola una mosca. Salgo le scale trovando entrambe le mie sorelle nelle loro camere, in totale silenzio. Papà è andato dalla mamma, le porta tutti i giorni dei fiori e sta un po’ con lei. Io non ho ancora avuto il coraggio di farlo, mi sento troppo in colpa e vederla stesa in un letto, con gli occhi chiusi per causa mia mi logora dentro. Entro nello studio e mi siedo a peso morto sulla sedia davanti alla scrivania, appoggiando la testa sulla superficie piatta del legno. Chiudo gli occhi e porto le mani fra i capelli, che stringo con rabbia. Lascio poi scivolare svogliatamente un braccio lungo il mio fianco, che urta contro qualcosa sotto la scrivania. Rizzo il busto e prendo tra le mani un taccuino. Lo apro e lo sfoglio, notando che è tutto scritto e firmato sempre dalla stessa persona, ovvero la mamma. Con un nodo alla gola, decido di leggere il primo e l’ultimo scritto presente nel libretto.

POV. HICCUP
Entro nella stanza di Astrid con un grande mazzo di rose bianche che metto in un vaso e appoggio sul comodino vicino al letto dove giace la mia amata. Mi siedo su una sedia, accanto a lei e le prendo una mano che stringo forte, portandomela alle labbra. Cerco di trattenere le lacrime anche se vederla così, con gli occhi chiusi e una pelle più pallida del solito, certamente non mi aiuta. Accarezzo con il pollice il dorso della sua mano, lasciando che una lacrima mi righi il volto sgorgando libera dai miei occhi smeraldini, proprio quando noto la fede che porta al dito.
“A-Astrid…” balbetto cominciando a piangere disperato, stringendo ancora di più la sua mano e carezzandole il volto con l’altra, accennando un impercettibile sorriso, soffocato da dolore e amarezza. “Amore mio… mi manchi tanto tesoro… la casa senza di te non è più la stessa, avvolta da un velo di tristezza e silenzio.  Perché amore mio? Perché a noi? Non puoi lasciarmi da solo, io senza di te non riesco a vivere! Nessuno saprà darmi amore come lo hai fatto tu, perché sei unica Astrid, la sola che sia mai riuscita a rubarmi il cuore. So che non puoi sentirmi, ma ho bisogno di dirti queste cose. Mi dispiace, mi dispiace per tutto, è solo colpa mia e non mi perdonerò mai la tua morte. Diventerò un uomo inutile, ricomincerò ad essere quella lisca di pesce parlante che ero a quindici anni e non saprò governare Berk, perché manca una cosa essenziale. Manca un pezzo del mio cuore, un pezzo della mia anima, un pezzo di me. Manchi tu amore. Maledico quella freccia che t’ha colpita e il fatto che tu ti sia sacrificata per il nostro Ben mi fa stare ancora peggio. Potevo farlo io, potevo benissimo buttarmi io al posto tuo… peccato che fossi lontano da te, peccato che per un momento io ti abbia lasciata da sola. Per questo io Astrid non so come perdonarmi, non so come perdonarmi i visi tristi dei nostri figli, il mio cuore frantumato e… la tua anima spenta. Scusami… scusami davvero.” Mi fermo, accarezzandole il viso e lasciandole un bacio sulla guancia, mentre il suo volto viene bagnato dalle mie lacrime che scorrono libere, inesorabili sulla mia faccia, sgorgando dai miei occhi arrossati e tremendamente colpevoli. “Non sono nemmeno degno di toccarti, dopo quello che ti ho fatto.” Sussurro guardandola immobile, quel suo viso candido, i capelli biondi e sciolti che la rendono ancora più eterea di quanto non lo sia già di suo. Le lascio un’ultima carezza sulla mano che ho tenuto stretta fino ad adesso e vi poso sopra anche un bacio poi mi alzo, notando che dal suo occhio destro esce una lacrima che solca la sua guancia. Sussulto e la riguardo ancora, stranito, poi metto le dita sulla maniglia fredda e glaciale. “Ti amo milady…” mormoro aprendo la porta e uscendovi, strisciando i piedi fino alla soglia principale della casa.

POV. BENNETT
Accarezzo tremante la firma di mia madre della prima lettera. Ne ha passate tante… l’assenza di mio padre, la morte dei suoi cari e poi… la tortura per anni di avere un figlio che la odia. Con le lacrime agli occhi, sfoglio velocemente le pagine per leggere l’ultima lettera, dubitando un po’ delle mie capacità di andare avanti. Mi schiarisco la voce, mi asciugo gli occhi e comincio la lettura. Ma il cuore mi si spezza, notando che lo scritto è indirizzato soltanto a me.


“Caro Bennett,
vorrei spiegarti alcune cose che ritengo importanti e mi piacerebbe che tu sapessi. A volte, durante la vita capita che madri e figli non si incontrino, ma una madre è quella che si sveglia ad ogni tuo respiro quando sei piccolo, e che non si addormenta se non ti sente rientrare  a casa quando sei adolescente. Bennett… fin dal primo momento in cui ti ho visto, appena ti hanno appoggiato sul mio petto, sei entrato nel mio cuore. Sei mio figlio e io ti amo tanto e… vedere che tu mi odi, mi eviti e non mi chiami nemmeno “mamma”… mi si spezza l’anima. Non faccio altro che chiedermi cosa ho sbagliato, se ti trascuro e magari penso più alle tue sorelle che a te, se ti do poco amore. Nei tuoi occhi vedo sempre una punta di amarezza e disprezzo. Vorrei capire da cosa sono dettati… so di non essere una madre perfetta, ma sto cercando di impegnarmi a darvi tutto quello che vi meritate, cioè tanto. D’altronde, il mestiere di mamma non si impara, come nemmeno quello di figlio. Vorrei darvi ciò che quando ero bambina io non ho avuto, ovvero l’amore. Solo vostro padre mi ha fatto capire cos’è, mi ha fatto conoscere questo meraviglioso e magico sentimento che porta grandi emozioni. Ed ora sto cercando di condividerlo con voi, perché siete la mia vita, insieme ad Hiccup.
Bennett, io ti voglio bene, sei un figlio meraviglioso non potevo chiedere di meglio. Sei un bravo ragazzo, amato da tutti. Se un giorno avrai voglia di dire alla tua mamma che cosa senti, di provare a spiegarle perché sei così pieno di rancore… lei ci sarà, ci sarà sempre amore. E ti aiuterà, in qualsiasi cosa, perché sei suo figlio, il suo bambino, il suo cucciolo… il suo tesoro.
La mamma ti ama tanto.
Astrid.”


Chiudo il libretto di scatto, credo di aver letto abbastanza. Abbastanza per capire che io non sono il Bennett di cui mia madre tanto va fiera. Io sono un mostro, ma soprattutto sono debole, incapace di badare a me stesso. Se fossi forte, non mi sarei mai fatto controllare da una stupida fatina. Ma invece è successo e questo ha portato anni e anni di tristezza in mia madre. Sbatto il taccuino sulla scrivania e corro fuori di casa, raggiungendo mio padre da Gothi. Lo incrocio sulla strada, ma nessuno ha il coraggio di dire qualcosa, così io procedo nella mia corsa. Con il fiatone, entro nella casa della druida e raggiungo la camera dove giace mia madre, chiudendo la porta e sedendomi vicino a lei.
“Mamma… ti confesso, mi è difficile pronunciare questo nome dopo così tanto tempo… posso dire, che mi è mancato il dolce suono di questa parola a me ignota fino a qualche giorno fa. Mi sento male a vederti così… Ti prego! Apri gli occhi! Di qualcosa!!! Di che mi odi, che sono un disastro, che faccio schifo!! Sono un figlio pessimo…!” urlo accasciandomi piangendo sul suo corpo e stringendola a me. “Una sola parola… una sola, cosicché capisca che non sei andata via, che non ci hai lasciati.. ti supplico mamma… queste sono parole scontate e non sono nemmeno paragonabili al male che ti ho fatto, lo so, ma ti prego perdonami. Perdona tutte le cattiverie che ti ho detto, tutto il dolore che ti ho fatto provare… Se solo avessi un altro giorno disponibile per dirti che sei la mamma migliore dell’Universo, che non è colpa tua, per abbracciarti e dirti che… che ti voglio bene. Non te l’ho mai detto! Non ti ho mai detto “ti voglio bene”! Come puoi amare un figlio che non ha mai avuto il coraggio di pronunciare quelle parole?! Come?! Tu sei troppo e non puoi avere un bambino schifoso come me… non puoi, non te lo meriti. Tu mi hai sempre voluto bene, nonostante io ti odiassi! Sei sempre stata forte e mi hai abbracciato, anche se io mi dimenavo fra le tue braccia. Mi hai baciato, sebbene io dopo mi sia pulito la fronte o la guancia. Mi hai sempre detto “ti voglio bene” malgrado non mi importasse niente. Ma non è vero! È tutto falso! Io ero solo intrappolato in me stesso da una stupida fata! E ora ho avuto la mia vendetta… perdendo te. Perché ti sei buttata al posto mio?! Io meritavo di morire.. dopo tutto quello che ti ho fatto, tu mi salvi? Mi faccio schifo da solo… che ragazzo sono diventato? Ti prego mamma… ascoltami dall’alto. Perdonami, perdonami davvero, non volevo farti del male.” Singhiozzo stringendola ancora di più e bagnando i suoi vestiti di lacrime. “T-ti voglio be-ne…”. D’un tratto sento ricambiare l’abbraccio e accarezzarmi la schiena.
“Anche io ti voglio bene Ben..”

POV. ASTRID
Apro debolmente gli occhi e accarezzo la schiena di mio figlio, ricambiando il suo abbraccio. Lui alza il viso tutto bagnato e mi guarda esterrefatto, mentre io cerco di sorridere.
“M-mamma…” dice stupito, saltandomi al collo. “Ti prego dimmi che non sto sognando…”
“No amore… non stai sognando.” Rispondo stringendolo a me con tutta la forza che ho. “Non devi scusarti Bennett. So tutto, so che non era colpa tua… è finito tutto, è finito…” lo rassicuro accarezzandogli dolcemente i capelli e coccolandolo, facendolo dondolare a sinistra e a destra, come facevo quando era bambino. Gli lascio un bacio sulla guancia bagnata, mentre una lacrima solca anche la mia, non riuscendo a frenare la commozione e la felicità di avere nuovamente mio figlio fra le braccia. “Come sta papà?” chiedo asciugandomi la lacrima e sorridendo a Ben.
“Malissimo… gli manchi da morire mamma. Non ha voluto fare niente in questi giorni. Né il passaggio a capo né il funerale del nonno.” Spiega lui. Strabuzzo gli occhi e perdo un battito.
“Cosa? Il funerale del… del nonno? Il passaggio a capo… Cos’è successo?!” domando.
“Ah è vero, tu non c’eri quando è successo. Beh… Fergus ha ucciso nonno Stoick.”
“C-come… Perché?!”
“Perché papà non ha sposato sua figlia.”
“Ma che… Odino santo…” dico riabbracciandolo e prendendo a piangere. Come ha potuto quel vecchio zoppo ammazzare papà per una cosa così… futile?! Cerco di riprendermi un attimo e stacco Bennett da me, per guardarlo negli occhi. “Facciamo una sorpresa a papi?” gli chiedo provando a sorridere. Lui annuisce energicamente e scende dal letto, aiutandomi a mettermi in piedi. Mi stiracchio un po’ la schiena e mi scrocchio le mani, poi cominciamo a correre verso casa nostra. Una volta arrivati ci fermiamo e io mi nascondo, lasciando entrare Bennett, fingendosi triste.
“Ciao Ben…” sussurra una voce rotta dal pianto, una voce che riconoscerei fra mille. Il mio cuore prende a battere all’impazzata, come fosse il mio primo appuntamento con lui, poi mi faccio avanti uscendo allo scoperto. Noto con dolcezza che Katrin, Freya ed Hiccup sono tutti abbracciati per consolarsi. Ma gli occhi smeraldini di mio marito mi guardano esterrefatti, mentre un sorriso si dipinge sui nostri volti. I bambini si mettono in un angolino per assistere alla scena, tutti felici nel vedermi sana e salva. Mi fiondo tra le braccia di Hic che mi stringe a sé con tutta la forza che possiede e mi accarezza la schiena.
“Per tutti gli dei di Asgard… Astrid tu sei… sei-“ non lo faccio finire che lo bacio dolcemente, allacciando le mie braccia al suo collo e sentendo le sue mani sui miei fianchi. Prolunghiamo il contatto finché non siamo costretti a lasciarci per riprendere fiato. Gli accarezzo i capelli e gli sorrido teneramente.
“….sono qui con te.” Termino al posto suo. Mi riabbraccia, affondando il suo viso sulla mia spalla coperta dalla treccia mezza sfatta.
“Ho temuto di perderti per sempre…” sussurra lasciandomi dei baci sul collo.
“Non sono mai stata morta. Da quello che ho capito, ero in uno stato di coma. Sentivo qualsiasi rumore, qualsiasi tocco sulla mia pelle… qualsiasi parola.” Spiego baciando una guancia ad Hiccup. “Non devi colpevolizzarti tesoro e… non sei inutile, perché io senza te non sarei nulla. Quindi sei indispensabile per tenermi in vita.” Mi giro verso Bennett e mi chino per abbracciarlo. “Tu invece devi pensare che tutto quello che è successo in passato non sia mai avvenuto. Mai. Me lo prometti?” gli chiedo dolcemente. Lui annuisce. “Bene. E mi vorrete per sempre bene?” domando a tutti i miei figli. In risposta vengo travolta da un abbraccio di gruppo, al quale si aggiunge pure mio marito. “Ok, mi pare sia un sì.”
“Astrid ci sono alcune cose che però dovremmo fare...” esordisce Hiccup quando tutti ci stacchiamo.
“Ah giusto… me ne ha parlato Ben. Mi dispiace tanto…” sussurro prendendogli una mano. Lui abbassa lo sguardo e sospira.
“Prima lo facciamo meglio è.” dice prima di uscire di casa. In poco tempo riuniamo tutti i Cavalieri, Valka e Skarakkio sulla spiaggia, sulla quale tutti ci aiutiamo a mettere in una barca il corpo di papà. Hiccup prende un arco e attende che il vecchio fabbro faccia l’introduzione.
“Quattro giorni fa è morto un grande uomo… è deceduto per l’onore della sua patria, tradito da un vecchio amico portatore di rancore. Possano le Valchirie accoglierti e guidarti sul grande campo di battaglia di Odino; possano cantare il tuo nome con amore e rabbia, così che noi possiamo sentirlo risuonare dalle profondità del Valhalla e capire così che hai avuto il posto che ti spetta al tavolo dei Re. Poiché è caduto un grande uomo, un guerriero, un capo tribù, un padre, un amico, un nonno e un marito. Possa tu Stoick vegliarci dall’alto e consigliarci la giusta via da percorrere.” Sussurra con voce rotta Skarakkio, mentre tende ad Hiccup il dardo che lui incendia, scoccandolo poi mentre una lacrima gli solca il viso. Noi altri scagliamo le nostre frecce infuocate, che seguono come una pioggia di stelle cadenti quella di Hic, accendendo di una luce aranciata la nave dove Stoick giace senza vita.
“Papà… papà mi dispiace così tanto… io non volevo causare la tua morte, non volevo essere io. Io ti voglio bene… te ne ho sempre voluto nonostante abbiamo avuto tanti litigi. Ora… vorrei tornare a casa e sentire la tua voce rimproverarmi perché non ti ho ascoltato, un’altra volta. Lo vorrei proprio, perché mi farebbe capire che tu sei qui con noi. E invece no… te ne sei andato, soltanto per colpa mia. Perché sono testardo e ho voluto fare di testa mia, pensando di poter fare una cosa inimmaginabile. Ma a quanto pare non sono quello che penso di essere, sono soltanto un irresponsabile. Come puoi mettere a capo di un’intera isola uno come me papà? Eri così convinto che io potessi essere un buon capo ma… ma non è così… avrei tanto voluto che tu fossi con me una volta deciso di salire al trono di Berk, per aiutarmi e dirigermi nei primi tempi, sperando di diventare bravo come te. Ma non è possibile essere come te perché sei unico… papà, ti prometto che ci metterò tutto l’impegno possibile nell’essere capo. Lo farò per te. Ti voglio bene…” singhiozza mio marito, versando qualche lacrima.
Raggiungo Hiccup e gli circondo la vita con un braccio e lui fa lo stesso con me.
“Mi ricordo quando eravamo più giovani e tu ti cacciavi costantemente in qualche problema, tuo padre rimediava ai disastri che combinavi… Ma ha sempre creduto che tu saresti diventato il vichingo migliore… e non ha mai smesso di crederci. Sono felice che non l’abbia fatto, perché tu sei il migliore di tutti… anche quando fallisci, rimani sempre il migliore, ma tu non vuoi ancora capirlo.” Sussurro poggiando la mia testa sulla sua spalla. “Sarai un capo meraviglioso Hiccup, so che tuo padre è davvero orgoglioso di quello che sei diventato e sarà altrettanto fiero di quello che sarai. Ti amo…” mormoro prima di baciarlo. Lo sento sorridere sulle mie labbra e cingermi i fianchi con le mani. Tre persone ci abbracciano mentre io ed Hic prolunghiamo il contatto e ci stringono forte. Le mie mani scivolano sulle loro teste, che accarezzo con dolcezza mentre mio marito si stacca da me e posa la sua fronte sulla mia, sorridendomi.
“Beh c’è una cerimonia da fare, non è vero?” esordisce Skarakkio. Tutti e cinque sorridiamo e insieme al resto della banda ci dirigiamo nella piazza, dove tutti i berkiani si sono già riuniti.

POV. KATRIN
Papà lascia un bacio sul capo alla mamma e si incammina verso Gothi, pronta per nominare nostro padre Capo di Berk. Lui si mette in ginocchio con aria seria e la druida intinge un dito in un unguento nero, segnando sulla fronte di papà una runa, simbolo del passaggio a capo villaggio.
“Lunga vita al nuovo capo!!” esclama Skarakkio, incitando tutti a festeggiare. Il popolo di Berk urla felice e acclama nostro padre, che si guarda intorno un po’ disorientato, accennando alcuni sorrisi.
“Kate!!” grida una voce a me familiare. Mi giro e trovo Liam fra le mie braccia. Ricambio l’abbraccio e noto che mio fratello mi sorride fiero. Liam si stacca da me e mi prende le mani, guardandomi nei miei occhi glaciali. Senza dirmi niente, mi posa un bacio sulle labbra e uno su una guancia, lasciandomi imbambolata a guardarlo andare via.
“Popolo di Berk, tutti nella Grande Sala! Dobbiamo festeggiare!!” esclama papà abbracciando la mamma e dando il via ad una corsa di vichinghi e draghi, pronti per celebrare l’evento.
“Kate, Freya, Bennett e Hiccup. Venite qui un secondo?” chiede la mamma, facendosi strada nella Grande Sala, stracolma di gente. Noi ci avviciniamo a lei che nel frattempo ha trovato un posto appartato nel quale parlare.
“Che succede?” chiede papà, sorridendo. Mamma ricambia il sorriso e gli prende una mano, che avvicina alla sua pancia.
“Credo che alla fine avremo il nostro Stefan.” Sussurra lei, guardandolo spalancare gli occhi gioioso.
“Avremo un fratellino?” chiede Freya entusiasta.
“Eh sì. E si chiamerà proprio Stefan.” Annuncia la mamma prima di essere baciata passionalmente da papà.


Questa è Berk,
una forte isoletta sperduta nel freddo Mar del Nord,
che ha resistito agli attacchi di pazze persone
che hanno cercato invano di rompere il legame indissolubile
di pace e amicizia con i nostri draghi. Ma se loro sono pazzi..
noi siamo fuori di testa e siamo fieri di esserlo.
Forse non saremo così forti come pensiamo ma…
Finché i nostri draghi saranno con noi, nessuno ci batterà mai!

 

FINE

   
 
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