I miei
venti metri quadrati
Capitolo
Nono
Il
Furto della Gioconda sul Gabinetto
Quella
domenica non poteva iniziare in modo migliore. Prima di tutto
, diversamente dal mio sogno nessun ladro diabolico era venuto a
privarci del nostro quadro della Gioconda appeso appena sopra al water, anche
perché non avevamo nessuna copia della Gioconda in bagno. Poi la madre
di Joyce sarebbe venuta in Italia direttamente da Gallway
per far visita ai figli e all’ex marito, e per quel giorno era in
programma una gita fuori porta dell’intera famiglia, perciò Joyce
sarebbe stato alla larga da casa mia per un po’. Inoltre era appunto
domenica , ed essendo domenica né io né Mei saremmo andati a scuola, e quindi mio fratello non
avrebbe corso il pericolo di finire tra le grinfie di quell’arpia di
Nikka. Insomma, una giornata da segnare sul calendario con
l’evidenziatore.
Andai
in bagno, e mi compiacqui del fatto che non ci fosse nessuna opera di Leonardo
da trafugare, mi lavai di denti guardandomi allo specchio, diedi
un’occhiata al vetro della finestra, che inevitabilmente rimaneva sempre
aperta, la chiusi dicendomi che era normale che Joyce
riuscisse a entrare, se mia madre lasciava tutto spalancato.
Ma
non mi feci abbattere da simili sciocchezze e mi accesi beatamente una sigaretta.
Mentre me la fumavo con tutta le beatitudine del mondo
mi diressi in cucina afferrando il mio solito portacenere scheggiato che
portavo in giro per casa .
“Buongiorno!”
trillò mia madre mentre mi mettevo a sedere a tavola dove la mia
colazione era già pronta. “Ti sei svegliata tardi sta mattina
tesoro!” continuò distogliendo per un attimo gli occhi dallo
zabaione che stava cucinando. Mister manichino indossava un pomposo vestito da
sera commissionato da chissà da chi.
“Tuo
fratello si è alzato presto ed è già uscito”. La
forchetta intrisa di millefoglie mi si fermò a mezz’aria mentre
trafiggevo mia madre con un’occhiata per nulla tranquilla.
“Come
sarebbe a dire che Mei è uscito?” chiesi
con gli occhi fuori dalle orbite e la millefoglie che
cadeva rovinosamente sulla tovaglia senza avvicinarsi nemmeno per sbaglio alla
mia bocca. Da quando in qua Mei usciva?
“Oh,
sì” fece allegra la mia ingenua genitrice “è andato da quella
sua amica, la figlia di Marianna…com’è che sia chiama?
Nicole? Nicoletta? Sai che non lo so…sono davvero
felice che si sia trovato un’amica ne aveva proprio bisogno!”
continuò a vaneggiare lei mentre io rivolgevo uno sguardo malinconico
alla mia colazione, per poi sospirare e cominciando a mangiarla.
Non
potevo mica perdere l’appetito per Nikka… e poi infondo che gli
poteva fare di tanto grave? Farlo camminare sui carboni ardenti?
Frustarlo? Metterlo in una vasca
piena di ghiaccio?
No,
sicuramente no, e allora decisi di lasciar perdere. Al massimo avrebbe fatto
qualche esercizio di matematica di troppo.
Nella sua testa non era chiarissimo come fosse
finito lì dentro, ma la cosa che invece era più che chiara era
che stesse morendo di freddo, che avesse le dita di un
colorito tendente al blu e i denti che battevano facendo rumore.
Si chiedeva come aveva fatto a farsi
convincere così stupidamente da Nikka a spogliarsi fino alle mutande
davanti ai suoi occhi, e oltre a quello entrare in una vasca piena di ghiaccio
dove probabilmente sarebbe morto assiderato entro un’ora. Si strinse un altro
po’ nelle spalle mentre sentiva il calore andarsene dalle mani ormai blu.
Alzò lo sguardo per guardare Nikka che seduta sul water col coperchio
chiuso si faceva tranquillamente la french alle
unghie, senza dargli particolare udienza.
Deglutì e cercò di schiarirsi la
gola nel modo più rumoroso possibile per attirare l’attenzione su
di sé.
Vano dispendio di voce dato che Nikka lo
ignorò finché non ebbe finito di sistemarsi le unghie come
esattamente desiderava.
Rimirò soddisfatta il lavoro svolto.
“Sai Mei” cominciò senza guardarlo
ma continuando a osservare come aderiva lo smalto “non dovresti fare lo
zerbino e fare tutto quello che ti dicono le ragazze, cos non conquisterai mai
nessuna…” concluse avvicinando il viso pericolosamente a quello del
ragazzo decisamente infreddolito. Mei deglutì
faticosamente sorprendendosi che la saliva non gli si fosse ghiacciata in
bocca, poi annuì lentamente con aria a dir poco terrorizzata.
Nikka lo gratificò con un sorriso per
poi rifugiarsi nuovamente sul suo water col coperchio chiuso, e dichiarare
“Perfetto”.
Il ragazzo fece per
alzarsi ma lei lo fulminò “Beh, cosa fai? Resta
lì”, e lui si risedette facendola sorridere.
Poi si alzò uscendo dal bagno perché
Milly urlava qualche cosa dalla cucina. “Sì Milly puoi prenderla
una birra; è nello sportello del frigo!” sbottò aprendo la
porta del gabinetto dove stava chiusa con Mei da
quella che poteva sembrare un’eternità.
“Posso uscire?” pigolò con
voce strozzata Mei cercando di essere il meno
fastidioso possibile.
“No” rispose tranquillamente Nikka
senza pensarci su nemmeno un secondo. E Mei
abbassò la testa e decise che forse era meglio starsene lì. Se
fosse uscito forse sarebbe stato costretto a fare qualche cosa di peggio.
Sta di fatto che il lunedì seguente Mei rimase a letto. Intontito, senza accennare ad alzarsi,
e quando alle due del pomeriggio sua sorella tornò a casa lui era ancora
lì immobile come lo aveva visto quella mattina. Per un secondo
temé fosse morto. Invece respirava. Piano. Ma respirava.
“Mei?”
sussurrò incerta sedendosi delicatamente sul letto del fratello. Mei mugugnò qualche cosa ovattato
della trapunta.
“Hai la febbre?” chiese lei un
po’ più decisa. Dalla coperta affiorò un occhio color nocciola
“La febbre non lo so, ma mi sento come se mi fosse
passata sopra una betoniera…” biascicò faticosamente per poi
tornare a rincantucciarsi lasciando intravedere dall’esterno solo i
capelli.
“Nikka ti ha fatto qualche cosa?”
sbottò d’un tratto come se avesse avuto un’illuminazione, ma
sentendosi subito stupida. Cosa poteva aver fatto Nikka per farlo ammalare?
Forse era un po’ troppo prevenuta…Si morse il labbro, mentre il
fratello riemergeva un altro po’ per farsi sentire.
“No, a parte farmi il bagno in una vasca
piena di cubetti di ghiaccio, non ha fatto niente” brontolò
sarcastico prima di nascondersi di nuovo per evitare la reazione della sorella.
“Che cosa ha fatto?”
sbraitò Rachele con un’espressione degna di un clown.
“Niente!” urlò remissivo Mei da sotto il piumone sgambettando contro di lei e non
permettendole di guardalo in faccia.
Rachele fece un sospiro e uscì dalla
stanza. “Come vuoi tu, stupido opossum…”concluse senza
cattiveria, ma più che altro con una sorta di muta arrendevolezza.
Rachele si lasciò cadere pesantemente
sul divano guardano il soffitto ormai ingrigito dall’azione invernale dei
termosifoni. La signora Pavesi canticchiava una vecchia canzone che riempiva
l’aria di una sorta di ovattata allegria. Sua figlia si accese
stancamente una sigaretta e si disse che non aveva il dovere, o forse il
diritto, di interessarsi troppo della vita privata di Mei.
Ora che pareva averne acquistata una, per quanto un po’ strana.
Il suo stato d’animo fu facilmente
indovinabile, quando suonarono alla porta e dopo poco si trovò Nikka in
piedi impettita sullo zerbino che salutava educatamente sua madre.
Spalancò gli occhi e allungò la testa per guardare la porta
d’entrata.
“Buon giorno Nicoletta… come
stai?” . Lei sorrise, ma Rachele la vide
irrigidirsi nel sentirsi chiamare col nome completo. “Bene , signora Pavesi, tutto a meraviglia” disse con voce
melliflua e controllata.
“Vuoi un po’ di zabaione? L’ho appena preparato!” esclamò gioviale.
Rachele vide un bagliore passare negli occhi di Nikka, come se andasse in
standby per un secondo. Poi fece un altro sorriso un
po’ falso, un po’ tirato “Oh, il suo zabaione è
leggendario a casa mia. Mia madre ne parla
sempre… ma sono a dieta”.
“Oh, ma che peccato”
sussurrò la signora guardandosi il grembiule ricamato
, ma si riprese subito dichiarando gioviale come suo solito “Mei è in camera sua, è la prima a
sinistra”. Nikka annuì e si avviò con passo leggero vero la
camera indicata. Si fermò a guardare la catenella da water di Mei e l’espressione che le si
dipinse in volto non fu delle più entusiaste. Appoggiò la mano
sulla maniglia e spinse in basso dolcemente per poi entrare con passo felpato e
chiudersi la porta alle spalle con un tonfo sordo.
“Ciao Mei”
sussurrò piano appoggiandosi leggermente sul ciglio del letto. Mei si alzò di soprassalto guardandola come se si fosse
visto atterrare sul copriletto un folletto irlandese. La fissò
stralunato sedendosi sul cuscino e mostrando al mondo il suo pigiama blu notte.
“Che ci fai qui?” domandò
come se si aspettasse una nuova tortura. Lei alzò le
spalle e gli sorrise amabile. “Non ti ho visto a scuola e pensavo
che volessi farti desiderare…sappi che con me queste cose non funzionano…”
disse, non suonava minacciosa, ma la frase se non ispirava nulla di buono.
Si mise a sedere a gambe incrociate mentre lei
si faceva più indietro per appoggiarsi al muro con la schiena.
“Mi sono ammalato dopo il bagno nel
ghiaccio” spiegò con un’espressione bimbesca.
“E ora stai meglio?” tagliò
corto lei senza essere troppo brusca ma senza curarsi
troppo di quello che Mei le avrebbe voluto dire se lo
avesse fatto finire di parlare.
Mei annuì dubbioso
come chiedendosi cosa sarebbe successo adesso che aveva ammesso che non stava
poi più così tanto male.
“Sei venuta
solo per controllarmi?” chiese lui preoccupato. Nikka alzò le
spalle. “no…direi di no… stavo pensando che non voglio
perdere neanche un giorno.. abbiamo ancora molto da
fare…”.
Mei aprì bocca per
ribattere ma Nikka parve rianimarsi da quella specie di trance in cui parlava
più a sé stessa che a lui.
“Allora vuoi diventare emozionante, stupendo,
perfetto, vuoi essere un’opera d’arte?” disse guardandolo
negli occhi con eccessivo entusiasmo. Mei avrebbe
voluto rispondere di no, che non ci
teneva a diventare un’opera d’arte , e non
vedeva come lui potesse essere considerato emozionante…
e forse Nikka cominciava a fargli un po’ paura, con quella follia
dell’essere belli e perfetti ad ogni costo. E ammaliare così tanto
da avere potere su chiunque. Inutile dire che su di lui Nikka riusciva al
meglio a esercitare il suo particolare fascino.
Nikka non gli diede il tempo di rispondere,
dato che la considerava una domanda retorica e proseguì tranquillamente
senza guardarlo, con aria da maestrina.
“Allora Mei,
sei mai stato a una festa oltre a quella al Luxury dove ti ho portato
io?” chiese con voce stentorea. Mei era
convinto di averle già accennato alla sua vita piuttosto riservata e
circoscritta nei suoi venti metri quadrati.
Deglutì arrendendosi a dover accettare
quella conversazione scomoda. “No” rispose serio.
Nikka annuì come prendendo nota della
cosa.
“Hai mai baciato una ragazza?”
chiese ancora per poi aggiungere “A parte tua sorella intendo”. Mei arrossì in modo impressionante, un po’
perché lei si era avvicinata in maniera allarmante, un po’
perché la risposta che doveva dare lo imbarazzava.
“…no” sussurrò il
più piano possibile sperando che lei non
sentisse.
Nikka sbuffò, se lo aspettava e si
appoggiò di nuovo stancamente al muro con il capo.
“Questo potrebbe risultare un
problema…” fece fissando il lampadario. Poi tornò a
guardarlo. Sembrava che lo facesse apposta per fargli prendere un colpo tutte
le volte che si rigirava per osservarlo.
“Insomma parliamone, fare la figura
dell’impacciato con una ragazza, non andrebbe molto a tua
favore” decretò increspando le labbra a cuore. Si
passò una mano sul mento pensierosa “Va beh… a questo
possiamo rimediare” bofonchiò prima di sporgerglisi
addosso più di quanto non avesse già fatto e dargli un bacio
sulle labbra. Mei colto alla sprovvista rimase rigido
come un cubo di marmo, si sentì arrossire , o
ancora meglio andare a fuoco per l’imbarazzo mentre Nikka lo baciava a
occhi chiusi come se fosse la cosa più normale del mondo.
Non riusciva a capacitarsi di quello che stava
succedendo, non amava il contatto fisico, ma il suo ginocchio, sul quale lei aveva
appoggiavo la mano per non perdere l’equilibrio stava letteralmente
bruciando. E il tutto gli sembrava troppo viscido. Cosa c’era di bello
nel baciare qualcuno?…forse era una cosa sentimentale, forse doveva
chiudere gli occhi, eppure continuava a stare lì con gli occhi sbarrati
a contemplare inerme l’ombretto color ocra sulle palpebre morbide di
Nikka.
Poi Nikka si staccò e lo guardò.
“Credo che dovremo lavorarci Mei” disse
come se stesse parlando di un compito di scuola.
“Un po’ di
brio su!
Se baci così una ragazza le sembrerà di
amoreggiare con una statua!” . poi ghignò.
“Credo proprio che tu abbia bisogno di una flebo di sicurezza in te stesso… se no non
potrò fare molto…” gli passò la mano tra i capelli e
glieli scompigliò.
“Forse è meglio che vada…
ci vediamo domani” si alzò leggiadra come
era arrivata e si avviò verso la porta seguita dallo sguardo in trance
del ragazzo. Prima di aprire ebbe un sussulto e si mise a lambiccare nella
borsa beige in cerca di qualche cosa. “Dimenticavo… questi sono i
miei compiti di matematica, non è che me li faresti tu?” fece
appoggiandoli sul suo comodino e schioccandogli un bacio sulla guancia. E poi sparì senza che Mei avesse il tempo di dire nulla. La sentì
borbottare mentre chiudeva la porta “E comunque questa catenella è
orrenda”.
Rimase a guardare la porta da dove lei
era sparita e poi si toccò le labbra. Non sapeva davvero più cosa
pensare.
Nikka e Joyce si incrociarono sulla porta di
casa dei Pavesi, lui che entrava lei che usciva.
Diede un’occhiata decisamente poco
entusiasta ai pantaloni fucsia del ragazzo prima di uscire sospirando qualche
cosa che suonava tanto come stai uccidendo il buon gusto.
Vidi
con la coda dell’occhio Nikka andarsene lasciando il posto a un coloratissimo Joyce. Quel ragazzo non riusciva a vestirsi
secondo dei canoni estetici terrestri. Decisi si non
toccare il tasto del vestiario aspettando che si lasciasse cadere pesantemente
sul divano accanto a me. Sotto il braccio aveva un foglio di carta arrotolato,
mi chiesi cosa fosse, e mi chiesi cosa ci facesse lì. Non aveva detto di
voler approfittare di tutti i momenti in cui sua madre sarebbe rimasta in
Italia con lui e le sue sorelle?
“Ciao
Stronza”
“Ciao
Idiota” risposi io seria, mentre mia madre
allungava una pentola verso il mio ospite chiedendo allegra se non volesse
favorire del suo zabaione.
“Volentieri
signora Pavesi, tra un attimo sarò ben felice di fare indigestione di
dolci”disse con un sorriso dolce. Mia madre sorrise a sua volta
gratificata.
“Che
ci fai qui?” sbottai camuffando la mia perplessità con una decisa indisponenza. Lui non badò granché al mio
tono, era abituato al mio essere bruca.
“Mia
madre ha litigato con Papà…ed è tornata in Irlanda oggi
pomeriggio di corsa…mi sa che la rivedrò solo la prossima
estate…” spiegò con una punta d’amarezza. Avrei voluto
dire che mi dispiaceva, ma non lo feci, rimasi una maschera impassibile come
solito. E Joyce mi sorrise furbo, perché sapeva che cosa stavo pensando.
“E
poi ho una cosa per te” dichiarò tornando allegro e allungandomi
il tubo.
“Cos’è?”
sbottai.
“Il
tuo regalo di compleanno” rispose semplicemente lui tutto contento.
Arricciai il naso.
“Ma
non è il mio compleanno oggi!” esclamai irritata. Lui si
aprì in un altro dei suoi soliti sorrisi sibillini “Lo so, ma
è tra poco, e mia sorella si lamentava perché il tubo occupava
spazio in camera!”spiegò.
Guardai
il mio regalo. “allora non lo srotoli?” chiese Joyce impaziente, e
io decisi di accontentarlo di buon grado.
Il
foglio srotolato si rivelò una copia lucida della Monna Lisa. Guardai il
poster sbattendo le palpebre.
“Allora
ti piace?”
“No”
mentii “Ma so dove lo appenderò!”conclusi puntando al bagno.
Salve a tutti. Fine del
nono capitolo. Spero che sia più carino di quanto mi è sembrato
rileggendolo. La parte dove Mei è nella vasca
e chiacchiera con Nikka mi è stata un po’ difficile…
Ma passiamo ai
ringraziamenti!
Shami cham: grazie per il bellissimo…
scusa se ci ho messo un po’ ad aggiornare, ma con Il Potere delle Pesche e
tutto, faccio fatica ad aggiornare in tempi brevi!!
Spero che il capitolo ti sia piaciuto!!
Niggle: sì, anche io sono convinta
che se Mei esistesse mi odierebbe un sacco… e
avrebbe anche ragione…ma infondo non odia neanche Nikka che è il
suo carnefice!!! E Joyce.. il suo personaggio si
è delineato un po’ meglio?^_^
LisettaH: si ,si Mei è proprio in balia dei capricci di Nikka…
alle spossanti spese non ci siamo ancora arrivati, ma per ora mi limito a
qualche cosa di più fisico che psicologico!!! E sì… Joyce
sì, che sa cos’è il buon gusto!
The Corpse Bride: esattamente non lo so
neanche io che l’ho scritto cos’è la prova del frac... e
l’impellicciato beh… la sua famiglia è così… un
po’ sfasata… e lui preferisce passare il suo tempo con un’imbronciata
Rachele…^_^
Grazie a tutti quelli
che hanno letto la mia storia, al prossimo capitolo, Aki_Penn