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Autore: kamy    02/02/2009    3 recensioni
Un ragazzo di nome Carlo, cresciuto in una vita che potrebbe essere quella di chiunque, si ritroverà catapultato in mondo fatato, abitato da strane creature. Tra pericoli, insidie, nuove amicizie, giovani amori, dovrà salvare dalla distruzione un intero pianeta. E' il mio primo romanzo di questo tipo, perfavore leggetelo.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ringrazio anche solo chi legge.

Cap.6 Acqua, sangue e magia

Al centro della Terra del verde nove ragazzi e nove draghi furono svegliati dal sole mattutino. Quel sonno ristoratore era servito e Miriam si era calmata. Era di nuovo pronta a dare battaglia. Il gruppo partì pieno di nuove speranze. Anche David era tornato quello di sempre. Sembrava molto affezionato alla tasca di Carlo. Dove passava quasi tutto il suo tempo. Ci misero parecchi giorni prima di arrivare alla loro meta. Quando ci arrivarono però cedettero che David li avesse presi in giro. Davanti a loro c’era solo un immenso lago con diversi fiumi affluenti. Nessuna costruzione in cui potesse essere nascosta una chiave. David spiego: “La chiave è sott’acqua”. “Vado prima io” disse a sorpresa Ricard. E si tuffò. Dopo un po’ riemerse la sua testa  che disse: “E vero che io so respirare sott’acqua col mio superpotere e sono facilitato, ma troverete una soluzione anche voi”. Detto questo si immerse. Robert conosceva un incantesimo che avrebbe creato una bolla intorno alla testa che facesse passare l’ossigeno, non l’acqua, e si sarebbe distrutta solo una volta usciti dal lago. L’idea fu appoggiata da tutti. Una volta dentro trovarono Ricard seduto ad aspettarli sul fondale. Carlo capì che all’interno delle bolle si riusciva a parlare. La prima cosa che disse fu: “Che sballo!”. Rimase però sbalordito quando Ricard, non munito di bolle, disse:  “Guardate che ho scoperto mentre voi giocate come bambini”. Indicava davanti a se. Carlo guardò il punto che Ricard indicava. Era esattamente come lui si era sempre immaginato Atlantide. Un palazzo antico in pietra con gli stili greci, romani, maya, egizi e indiani uniti insieme. Le moami, le teste dell’isola di pasqua, con un corpo. C’erano uomini e donne fatti d’acqua a cui si poteva vedere attraverso. Draghi marini che nuotavano incuranti di tutto. Pesci di ogni tipo. Delfini giocherelloni che si allontanavano per saltare fuori a respirare e poi tornavano lì. Polipi di ogni dimensioni. Tornò bruscamente al pensiero della loro missione quando Leopold lo strattonò spazientito. Avanzarono verso il palazzo nell’indifferenza totale. Come se degli umani sott’acqua fossero la casa più naturale del mondo. Il palazzo all’interno come all’esterno: un miscuglio di epoche perdute. Raffigurata su un muro c’era la battaglia contro il Generale Barden. Avevano perso visto che lì vicino c’era il foglio che indicava le tasse che pagavano ogni mese. Furono condotti a una bellissima donna con al collo una chiave splendente di un azzurro acceso che illuminava la stanza. Era la chiave di reis che i ragazzi cercavano. Era così vicina eppure irraggiungibile. La donna aveva il potere di far perdere il senno agli uomini per amore. Michelangelo stava già per corrergli incontro urlando: “Bellezza mia!” che Ricard lo prese per un orecchio e Donatel dal braccio trascinandolo indietro. A Carlo arrivò il pensiero del suo drago. Era preoccupato per la sua sorte. Non avevano tempo da perdere. Si avvicinò alla donna d’acqua e disse: “Siamo qui in pace. Ci serve solo la vostra chiave per compiere una missione di vitale importanza”. La donna con voce divertita rispose: “Cosa ti fa credere che la consegnerò a te, piccolo umano ridicolo”. Era vero che era ridicolo, perché i vestiti pieni d’acqua si erano gonfiati. La sua maglietta rossa si era trasformata in una specie di pomodoro e i pantaloni in enormi salsicciotti neri. D’altro canto, quella donna non aveva lo stesso il diritto di dargli del ridicolo. Aveva dovuto affrontare parecchi pericoli. Quando la donna parlò ancora non aveva più il tono canzonatorio, ma duro e autoritario:  “Se veramente vuoi la chiave dovrai vincere dieci prove. Ad ogni prova persa uno dei tuoi amici morirà. All’ultima sarai ucciso tu”. David uscì la testolina dalla tasca e chiese a Carlo:  “Grazie al campo di forza che c’è nella tasca non dovrebbero riuscire ad uccidermi, vero?”. Carlo rispose che gli dispiaceva davvero tantissimo deluderlo, ma se uccidevano Miriam il campo di forza sarebbe scomparso. David cadde svenuto nella tasca. Carlo era incerto. Aveva paura ad accettare, non voleva causare la morte dei compagni. Quando però vide che gli amici gli facevano segno che poteva, accettò. La donna parlò ancora: “Visto che ormai giunge la sera le mie ancelle vi condurranno nelle vostre stanze”. Le “loro stanze” consistevano in dei letti a cielo aperto. Dopo circa un ora arrivò un’ancella a portargli la cena, che consisteva in alghe bagnate. Dormirono malissimo perché il letto era fracido e l’acqua fredda gli entrava nelle ossa. Miriam si lamentava perché si era dovuta mettere dei pantaloni scomodi, perché la gonna nell’acqua si sarebbe alzata una volta smesso di tenerla abbassata con le mani. La mattina dopo l’ancella che li andò a chiamare li trovò svegli e di pessimo umore. Michelangelo se era di buon umore era simpaticissimo, ma se aveva la luna di traverso era davvero insopportabile. Urlava contro tutto e tutti e parlava, parlava e parlava. Per riuscire a sopravvivere Leopold gli fece crescere delle piante sulla bocca per tappargliela e zittirlo. Visto che non poteva fare tutti i combattimenti Carlo ne avrebbero combattuto uno ciascuno. Se perdevano, morivano. Trovarono la donna ad aspettarli, infatti era la regina. Il primo combattimento toccò a Lotshar. Lotshar avrebbe dovuto affrontare un energumeno tutto muscoli, ma niente cervello. Preso dal panico, Lotshar usò il raggio della bontà. Il nemico divenne dolcissimo. Preso dalla sua premura inciampò in un sasso. Cadde a terra e svenne. Lotshar miracolosamente aveva vinto. Poi fu la volta di Miriam. Doveva domare un drago di mare selvaggio. Saltò a cavallo del drago che cominciò a nuotare all’impazzata in tutte le direzioni. Continuava a muoversi per disarcionare la povera ragazza. Quando Miriam notò che il drago era ferito. Lottando contro l’impeto dell’animale raggiunse la ferita. La curò coi suoi poteri e il drago si placò. Ora toccava a Lado. Doveva risolvere un indovinello senza aiuti. L’indovinello era: chi ha sei facce e neanche una?. Per chiunque sarebbe stato impossibile da capire. Non per Lado però. Perché era l’unico indovinello che conosceva Ricard. Il quale lo ripeteva ogni volta che poteva. Senza pensarci Lado rispose: “Il dado”. Veniva il turno di David. Doveva combattere contro un pesce di dimensioni normali. Sarebbe stato facile se David non fosse stato così piccolo. Appena lo vide il pesce cerco di mangiarselo. David sembrava non aver capito quello che rischiava. Cantava, urlava e nuotava velocissimo intorno al pesce. Il pesce rimase confuso per alcuni minuti. Quando si riprese pensò che David avesse qualche potere speciale. E scappò via spaventato. Ora toccava a Donatel. La sua prova consisteva in una corsa a cavallo di bighe trainate dagli animali che sceglievano. Lo sfidante scelse due prestanti cavallucci marini giganti. Donatel, tra le urla di protesta dei compagni, scelse due possenti tartarughe marine. Si misero in posizione di partenza. “Le tartarughe sono lente!” urlò ancora Carlo. Donatel fece finta di non sentire. Era concentrato su quello che doveva fare. Fissò intensamente lo stadio. Sembrava una pista da formula 1 acquatica. L’arbitro urlò: “Tre, due, uno, viaa!”. Le tartarughe partirono a tutta velocità. Lo sprint sorprese tutti. I cavallucci marini dovettero mangiare la polvere delle tartarughe. Ci furono dei momenti in cui erano pari, ma allora fine vinse Donatel. Lado chiese a Donatel come faceva a sapere che quelle erano tartarughe da corsa. Donatel rispose: “Solo quelli che all’accademia hanno dormito non sanno che le tartarughe marine sono velocissime”. Lado divenne rosso dalla vergogna. Toccò successivamente a Ricard. Gli uomini d’acqua volevano vincere. Non volevano dare quella chiave, che consideravano di inestimabile valore. Infatti l’avevano chiamata: “luce del popolo”. Considerandosi i migliori nel loro ambiente decisero per un gara di nuoto. Chi sarebbe arrivato prima a cento metri di distanza prendendo una bandierina dal tritone che avrebbe aspettato, avrebbe vinto. Non sapevano che Ricard si sentiva più a suo agio in acqua che sulla terra ferma. Per rendere la gara più entusiasmante l’avrebbero svolta al mare della confusione. Una zona caratterizzata dalle forti correnti, con caratteristiche uguali su tutta la distesa. Era presente come fauna solo qualche granchio e la flora era tutta uguale: immensi coralli grandi come palazzi dal colore verde-acqua. Come gareggiante degli uomini d’acqua c’era il più veloce. Un ragazzo magrolino, svelto e molto nervoso, questo era lo sfidante. I due si misero in posizione di partenza. Al via il ragazzo del lago partì con uno slancio che lo portò in testa. In poco tempo ebbe raggiunto un discreto vantaggio. Ricard però non aveva intenzione di farsi battere e accelerò. E poco dopo i due erano pari. Testa a testa. Curva verso destra, ora verso sinistra. Un grande corallo. Il ragazzo che conosceva bene la zona passò in una piccola insenatura. Ricard dovette aggirarlo, ma era più veloce del giovane. Accelerò e fu subito a fianco del ragazzo. Erano davanti alla rapida più forte, quasi un gorgo. Dopo averla superato sarebbero arrivati alla bandiera. Cominciarono ad accelerare. Fecero lo slalom tra gli ultimi coralli. Mettendocela tutta, sempre di più. Una volta nelle rapide divenne tutto più difficile. L’acqua sferzava in faccia a tutta velocità con una potenza inimmaginabile. Ricard credeva già di non riuscire a farcela quando uscì dalle rapide. Il ragazzo del lago era ancora dentro. Ricard si mise a nuotare più velocemente. Quando vide l’uomo del lago con la bandiera. Il portabandiera cominciò a nuotare per non farsi raggiungere. Ricard non aveva abbastanza forze per seguirlo. Ci provo lo stesso. I suoi poteri furono potenziati dalla volontà. Le gambe divennero una coda di pesce. Il ragazzo fu potenziato. Gli sembrò di volare. Raggiunse l’uomo del lago e prese la bandiera. Poi tornò normale. La prossima battaglia l’avrebbe dovuta fronteggiare Leopold. Avrebbe dovuto combattere contro degli squali voraci senza usare i poteri. Due grossi squali cominciarono a nuotargli incontro. Dando dentate ogni tanto. Leopold all’inizio era cosi spaventato che non riusciva a muoversi. Come un lampo all’improvviso vide il suo trionfo sugli squali. Poi bruscamente si ritrovava alla realtà. Conosceva quelle emozioni. Aveva visto il futuro. Nessuno si era accorto di niente. Non aveva violato le regole, ma quei tizzi fatti d’acqua potevano pensarla diversamente. La certezza di poter vincere lo calmò. Si concentrò. Si lanciò su uno dei soldati di quel posto, armato di ascia, e gli rubò l’arma. Con un rapido salto, scansò un morso dello squalo a destra e gli tagliò di netto la testa. Poi si girò a sinistra. Si attaccò alla coda dello squalo ancora vivo. Veloce Leopold avanzò sul corpo squamoso e viscido della bestia. Arrivato al collo piantò, usando tutte e due le mani, l’ascia. Il sangue delle due bestie morto sporcò l’acqua tingendola di rosso. Bastò un incantesimo di un mago dell’acqua per farlo sparire. Però il disgusto degli spettatori non passò molto presto. A Michelangelo toccava la prossima sfida. Leopold l’aveva liberato dalle piante che servivano a cucirgli la bocca. La rabbia era aumentata invece di diminuire. Doveva battersi contro una ventina di quegli uomini d’acqua, che a prescindere da ciò di cui erano fatti erano solidi. Una cosa impossibile. I pugni non attraversavano e i loro facevano male. Bisognava dare pugni davvero veloci e forti per colpirli e fargli male. Le bombe di fuoco non erano permesse perché facevano evaporare l’acqua. La rabbia di Michelangelo era tale che si lanciò contro i nemici. In poco tempo erano tutti a terra svenuti. Li aveva sconfitti a mani nude. Come ulteriore buona notizia, Michelangelo combattendo si era calmato. Veniva il turno di Robert. Doveva fronteggiare il mago di quel popolo d’acqua. Al contrario degli altri uomini che avevano visto quello era più magrolino e meno muscoloso. Si vedeva che era un mago. Il nemico lanciò un incantesimo. Lo scudo di magia di Robert fece rimbalzare l’incantesimo addosso ad un ignaro spettatore. Che si trovo legato da fili invisibili. Robert con un gesto liberò il pover uomo. Poi cominciò a muovere in una strana maniera braccia e mani. Sembrava stesse ballando con quei movimenti ondulatori. Poco dopo l’altro cominciò a recitare tutte le formule antiincantesimo che conosceva. Infine cadde a terra addormentato. Carlo pregò Robert di dirgli se c’era un modo per fermare l’incantesimo. Robert rispose semplicemente: “Chiudendo gli occhi”. Quel mago aveva usato tutti quegli incantesimi e non aveva pensato a chiudere gli occhi. L’ultima sfida toccava a Carlo. Doveva combattere contro un uomo su una tavola sopra un burrone. Doveva combattere contro un uomo su una tavola sopra un burrone. Non sarebbe stato un problema visto che sapeva nuotare,se non avesse avuto le gambe legate. Saltellava sulla tavola di roccia sollevando miriadi di bollicine. Fortunatamente anche il nemico aveva le gambe legate. Non poteva nuotare, ma al contrario di Carlo poteva camminare. Carlo prese a saltare con più vigore. Ormai le bolle non facevano vedere più niente. Il nemico tirava colpi, ma non vedeva dove era Carlo e tirava pugni a vuoto. All’improvviso Carlo colpì con un calcio il nemico. Che sbilanciato cadde. Carlo aveva vinto. Felice si rialzò, visto che era caduto sulla tavola. Saltellò fino alla regina d’acqua. Dove fu slegato. Intanto avevano recuperato lo sfidante. Prima che cadendo si facesse male. Intanto il sole tramontava. Dal giglio giallo che era divenne una macchia rossa. Il fondale era ormai all’oscuro e la chiave della regina lo illuminava. Con un viso dolce  la regina d’acqua in tutta la sua bellezza si avvicinò a Carlo. Con voce soave disse: “Contro ogni previsione tu e i tuoi amici avete vinto. Ti affido la chiave”. Carlo la prese. L’avvolse in un fazzoletto e se la mise in tasca. Dove per poco non prese la testa di David. Dopo aver salutato con garbati inchini la regina, risalirono in superficie. Riemersero stanchi e bagnati. Le bolle esplosero con un leggero plop. Per scaldarsi Robert accese un piccolo fuocherello azzurro. Dalla stanchezza si addormentarono senza lasciare nessuno di guardia. Non era la notte più adatta. Li salvarono i loro sensi. Si svegliarono sentendo i versi dei loro draghi innervositi. La luce della luna illuminò delle ombre minacciose. Li avevano circondati. Iniziò una lotta serrata. Carlo divenne invisibile e prendendo un ramo appuntito a mo di spada. Vedendo un coltello volare capì che c’era qualcun altro col suo potete. Era però più goffo. Questo permise a Carlo di individuare il nemico ascoltando i suoni. Usando il buio era facile non far vedere la propria arma. Carlo sapeva che non poteva uccidere quegli uomini, al contrario degli orchi che poteva eliminare. Recitò in fretta l’incantesimo che permetteva alla sua arma di non uccidere, ma di  teletrasportare il nemico in prigione. Il nemico credendo fosse un mago, non sapeva che sapeva fare solo quell’incantesimo, attaccò con più foga Carlo. Lo costrinse ad arretrare. Riprendendo il vantaggio Carlo lo infilzò. Teletrasportandolo in prigione. Carlo scorse troppo tardi di un altro assalitore. Sentì una fitta alla testa. Poi più nulla.

Nel frattempo Aido riapriva gli occhi. Sentiva un odore nauseante e non vedeva niente. Doveva essere stato drogato più volte. Lo capiva dai segni di punture e dall’odore di cloroformio. L’altro odore era puzzo di orco. Era troppo stordito per muoversi ed era legato dalla testa ai piedi. Gli cadde della terra negli occhi. Doveva essere sotto terra. Non riusciva a parlare, gli avevano messo qualcosa in bocca. Si rotolò in giro cercando qualcosa di utile. Trovò un masso appuntito. Cominciò a segare le corde che gli impedivano di muoversi. Sentì una voce gutturale grugnire qualcosa. Si, c’erano orchi. Non erano soli visto che arrivò un mago. Aido si fermò e chiuse gli occhi facendo finta di dormire. Il mago dinanzi a lui disse:”Orchi che gli avete fatto? Di solito dopo venti minuti comincia a muoversi e devo narcotizzarlo di nuovo. Oggi invece dorme come un ghiro”. E stizzito si girò per andarsene. Aido con la mano che era riuscito a liberare prese il masso appuntito. Recitò la formula per teletrasportare il nemico dove meritava. E lanciò colpendolo alla schiena. Il mago sparì senza emettere un suono. Dopo circa un ora Aido sentì i grugniti nervosi e spaventati. Uno ipotizzò che fossero in una caverna maledetta. Poi uno di loro sovrastò le altre voci dicendo: “Siamo in quattro. Che vuoi che ci succeda. Andremo avanti nella nostra missione.”. Si avvicinarono ad Aido non ancora del tutto libero e lo narcotizzarono di nuovo.

 

Dopo parecchi giorni di incoscienza Carlo a fatica a poco a poco si riprese. Aprendo gli occhi fu abbagliato dalla luce. La testa gli doleva. Sentì una voce familiare. Era Miriam. Gli diceva con una voce bassa e roca, che non sembrava la sua, di riposarsi. Carlo tornò a dormire. Alcuni giorni dopo si svegliò ancora. Si guardò intorno. All’inizio vide sfocato. Trovò Miriam e Robert addormentati inginocchiati per terra ai piedi del suo letto con le teste appoggiate sulle coperte. Tutti gli altri addormentati su un altro letto. Carlo si alzò senza svegliarli. Adagiò Robert e Miriam sul letto dove stava prima. Si affacciò e vide i draghi. Era in una stanza ben ammobiliata. Doveva essere una casa. In quel momento si svegliò Ricard. Quando vide Carlo scoppiò di gioia, cercando di farlo silenziosamente. Gli si avvicinò e disse: “Sono felice  che ti sei svegliato. Ora però coricati”. Scostò i ragazzi addormentati. Dopodiché fece rimettere Carlo a letto. Carlo per scherzare disse: “D’accordo mammina”. Ricard gli rispose: “Ah Ah. Molto divertente. Devi sapere però che loro- indicò il resto della squadra – hanno fatto molto per te. Miriam ha usato al massimo i suoi poteri curativi. Robert ha usato tutti gli incantesimi di guarigione che conosceva. Leopold ha fatto crescere piante medicamentose. Lado ha usato i suoi poteri di elfo. Lotshar non la finiva di piangere. Draghin ululava dalla disperazione. Michelangelo non ha mangiato e dormito”. Carlo guardò gli amici con riconoscenza. Guardando Ricard capì che doveva essere stato preoccupato anche lui. Aveva un aspetto terribile, i capelli in uno stato disastroso e delle enormi occhiaie. Dopo essersi riposato un paio di giorni Carlo iniziò a dare segni di irrequietezza. Voleva ripartire al più presto. Avevano già perso troppo tempo. Una sera accadde qualcosa che gli fece capire il potere del nemico. Pioveva. I ragazzi dormivano. Carlo sognava di volare a cavallo di Draghin. Guardando giù vide Miriam che lo chiamava. Arrossì dalla vergogna. Quando cominciò a cadere in un vortice rosso. Si sentiva nauseato e voleva vomitare di getto. Atterrò. Vide da un lato un enorme gufo e dall’altra dei teneri passerotti. Poi sparirono. Al loro posto apparve un bosco. In una parte il sole e dall’altra parte la luna. Al centro c’era un oscuro uomo. Era coperto da un mantello col cappuccio di un nero cupo. Non si vedeva niente di lui. Carlo si avvicinò, ma quello sparì. Al suo posto c’erano colombe e pipistrelli viola Carlo cadde di nuovo nel vortice. Si svegliò urlando. Anche gli altri si svegliarono sudati urlando. Soltanto guardandosi capirono di aver fatto tutti lo stesso sogno del vortice e dell’uomo incappucciato. Turbati decisero di ripartire alle prime luci dell’alba. Salutarono i padroni di casa. Gli zii di Lotshar. Che si erano trasferiti lì anni prima. Dopo che Carlo era stato ferito, gli altri avevano fatto fuggire gli assalitori. Avevano trovato Carlo ferito alla testa. Lotshar aveva riconosciuto il luogo. E li aveva condotti dai suoi zii. Una volta sul suo drago di nuovo a solcare i cieli, Carlo dimenticò il suo strano sogno. David che aveva riposato tranquillo nella tasca ignaro degli eventi di quei giorni, ne uscì sbadigliando. Indicò Nord e tornò a dormire. Presero l’unica strada che portasse alla Terra delle Rocce senza incappare in nemici. Cominciò a sparire la natura. A inasprirsi il suolo. E si cominciarono a vedere solo rocce. Atterrarono sul monte ossa. Chiamato così perché in quel monte erano morti in tanti. C’erano ovunque gli scheletri di persone cadute in crepacci. Per spaventarli di più Ricard cominciò a raccontare la storia che gli aveva narrato lo zio di Lotshar. “Sapete- iniziò- che su questo monte abitava un ragno e peloso che mangiava uomini - Ricard toccò la schiena di Miriam che urlò spaventata – un giorno un  coraggioso uomo e la sua compagna elfa salì su questo monte e lo colpì con una freccia”. Lado ebbe un brivido non sapendo perché, accelerò istintivamente l’andatura. Gli altri non capendo fecero altrettanto. Dopo un bel po’ di cammino si ritrovarono dinanzi a un ponte di legno tremolante sospeso nel vuoto. Carlo, memore di tutti i film d’avventura che aveva visto quando la tv del nonno funzionava, disse: “Non c’è un'altra strada?”. Nel frattempo Robert era già andato avanti, non essendosi accorto che gli altri erano rimasti indietro. Dopo un paio di passi, il ponte si mise a dondolare pericolosamente. I ragazzi decisero di passare uno per volta. Arrivato a un terzo del ponte una tavola cedette sotto il peso di Robert.. Che non cadde riprendendo l’equilibrio con un passo indietro. Arrivato a metà ponte le corde si spezzarono. Robert si aggrappò a una di esse. Tutto il ponte si disfece e Robert si ritrovò aggrappato a una corda. L’altro capo della corda era legato a un palo che pian piano si stava sfilando dal terreno. Carlo lo afferrò. Il peso era eccessivo, cadde a terra senza mollare la presa, la corda scese facendo precipitare per un tratto Robert. Gli altri accorsero per aiutare Carlo a salvare Robert. Donatel legò la corda a un albero. Quando issarono Robert Leopold gli porse una mano per aiutarlo a salire. Piegato dalla fatica col fiatone Robert disse:” Scusa se non ti ho ascoltato Carlo”. “Non fa niente, l’importante e che tu sei vivo” rispose il giovane sorridendo. Proseguirono fino a un altro ponte. Questo era diverso. Era un enorme scheletro di dinosauro. Si poteva passare dalla bocca aperta, proseguire per la spina dorsale poi sulla coda fino all’altra sponda. Ed è quello che fecero uno a uno. Per loro fortuna stavolta non accadde nulla. Andarono avanti per tutto il giorno. La sera si fermarono a mangiare. Mentre prendevano le vivande dai loro zaini sentirono un rumore. Sembrava ci fosse qualcuno. Andarono in direzione del suono e lo videro.

 

 

Aido era sballottato in giro. Non aveva idea di dove lo stavano portando e questo lo innervosiva. Aveva provato a fuggire rotolando via, mentre stavano litigando. Un orco, grazie al loro sviluppato olfatto, lo aveva riacciuffato. Ora non solo le corde erano più strette, ma era sempre controllato da almeno due orchi. Almeno le scorte di sonnifero stavano finendo. Aveva tutto il tempo per pensare. Pensava soprattutto ai suoi allievi, al suo drago dorato Flasch rimasto solo all’accampamento. Una sera uno dei due orchi dormiva e l’altro voltato. Aido pensò fosse il momento per scappare. Prese un grosso sasso coi piedi e con uno strano movimento del corpo colpì l’orco alla testa. Facendolo cadere a terra. Il tonfo del corpo che cadeva svegliò l’altro orco. Aido si rotolò e cadde addosso al secondo orco. Che sbatté la testa. Prima di perdere i sensi l’essere urlò con tutta la sua forza. Gli altri orchi accorsero e immobilizzarono Aido.

 

Era un grifone quello che videro i ragazzi. I draghi erano innervositi da quel animale. Sul dorso del grifone c’era una donna, che sembrava un abitante del lago dove avevano trovato l’ultima chiave. Era una ninfa dei boschi. L’avevano vista sui libri dell’accademia. Era l’unico tipo di ninfa intelligente. Esseri unici. La ninfa spronò il grifone e volò via. Carlo montò a cavallo di Draghin e volò via. Gli altri seguirono il suo esempio. Arrivarono in un luogo strano. Sembrava un tempio greco, con qualche differenza. La ninfa e la sua cavalcatura attraversarono un portale che sparì immediatamente, che sembrava portare a un'altra dimensione. Guardinghi i ragazzi si avviarono all’entrata. Li c’erano, vivi, un leone con la criniera e la punta della coda di fiamme e un lupo dal manto che sembrava un cielo nero puntellato di stelle d’oro e d’argento. Ringhiavano, ma si tenevano a distanza per via dei draghi. Uscì una donna molto vecchia. Aveva un lungo abito decorato; un alto cappello tempestato di gioielli; grandi mani rugose, ma un viso perfettamente liscio; grandi occhi dolci che cambiavano colore in continuazione; un sorriso enigmatico; lunghi capelli bianchi raccolti in una coda che toccava il terreno. La donna disse: “Giorno, Notte, buoni! Scusateli. Io sono la dama della saggezza, del tempo e dello spazio, custode di mille segreti e altrettanti poteri. Signora della luce e del tutto sorella del buio e del nulla. Madre del protettore delle ore degli uomini. Voi  però chiamatemi Tempo”. I ragazzi non erano sicuri di aver capito tutto il discorso. A parte di chiamarla Tempo. All’interno il tempio era enorme. Un labirinto di porte, scale e stanze. C’erano in continuazione portali da dove uscivano le persone o le cose più disparate. Il portale svaniva. Ciò che era uscito gironzolava per un po’ e quando appariva per pochi secondi un altro portale ci si tuffavano. I ragazzi arrivarono a una grande sale dove c’erano soltanto dieci poltrone. I ragazzi e la donna si sedettero. Tempo gli disse: “Io vi do la pietra della saggezza da incastonare nella chiave. Il resto ve lo darò dopo che avrete sofferto”. Detto questo i ragazzi furono teletrasportati all’esterno. Spaventati da quella frase si incamminarono un altro po’. Finché stanchi si fermarono a riposarsi. La mattina Leopold, che aveva fatto l’ultimo turno di guardia, lì svegliò. Carlo controllando che le chiavi fossero tutte trovò qualcosa in più. Un luccicante zaffiro con incastonato al centro una piccola acqua marina. Fu come se la pietra sprigionasse un aurea che lo ipnotizzava. Fu Michelangelo a risvegliarlo dal suo torpore. Urlava: “Guai, se ci siete battete un colpo”. Come a farlo apposta apparvero gli orchi dell’esercito nemico. Carlo si mise a correre domandandosi come mai gli orchi fossero lì e non sul campo di battaglia.  Sembrava si fossero accaniti su Lado e Carlo. I ragazzi combatterono dando il meglio di se fino allo stremo delle forze. Il combattimento durò tutto il giorno. Quando ormai la situazione era critica, cioè erano in una caverna con le spalle al muro e gli orchi all’entrata, Ricard lanciò un getto alla montagna di fronte. Che crollò schiacciando gli orchi. I ragazzi uscirono da una piccola apertura arrampicandosi tra le rocce. Andando avanti si accorsero che Ricard era rimasto un po’ indietro. Sembrava camminasse a fatica, ma non si lamentava. Passarono alcuni giorni in quelle montagne credendo alla fine di essersi persi. Il monte era identico alle montagne nebbiose, al monte neve e alle altre montagne della terra delle rocce. David sembrava sicuro. Un giorno uscì dicendo: “Siamo al monte tetro. Dovete cercare la voragine del buio. Calarvici. Lì troverete la prossima chiave.”. All’improvviso al suo interno apparve una piccola nuvoletta. Ci si poteva sedere una sola persona. Presero la decisione che in quel luogo oscuro ci sarebbe andato Carlo. Insieme a Robert con la levitazione. E nello stupore generale anche Lotshar ci voleva andare teletrasportandosi. In realtà perché aveva più paura a stare fuori. Carlo si sedette sulla nuvola che cominciò a scendere. Ci sarebbero potuti andare coi draghi se il precipizio non fosse stato così lungo e così stretto. Ci passava appena un uomo.  Man mano che scendeva non vedeva più nulla. Solo oscurità. All’improvviso la nuvola toccò terra. Carlo scese. Orientandosi toccando le pareti. Sentì dietro di se il piccolo tonfo che significava che era arrivato Robert. Andò a sbattere con qualcosa. Sentendo l’urlo di dolore di Lotshar capì con cosa aveva sbattuto. Erano tutti e tre lì. Pian piano la vista di Carlo si abituò al buio. E scorse una figura. Lo disse ai compagni. Robert accese il suo fuocherello con il palmo della mano. In lontananza c’era un uomo.

 

Intanto gli altri guardavano il buio del precipizio preoccupati. Un grugnito fece tremare la terra. Alle loro spalle c’era un troll di montagna. Leopold senza perdersi d’animo cominciò a concentrarsi. Una foresta di radici imprigionarono il troll. Lado scoccò la freccia fatale che lo colpì alla testa. Lo sforzo aveva fatto in modo che Leopold non potesse usare i suoi poteri per tre giorni.

 

 

 

 

Ringraziamenti:

 

berry345 Quoto la cacciatrice professionista nella discussione fra storie. Se no rischiamo di andare avanti in eterno, o forse tu alla fine dici che è la tua a essere migliore. Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto. Come sai io faccio gli aggiornamenti lampo. Adesso so chi sono i personaggi nuovi, hihi. Fammi sapere cosa hai pensato del chappy, baciotti

 

Milli_lin Esistono tema Fantasy? Non ne sapevo nulla. Magari lo avessi potuto fare io un tema così. Allora il 5 mi ha sorpreso, le tue storie sono così avvincenti (p.s. gli occhi di due colori diversi non hanno copyrite perciò li considero opera tua e basta Ndme). Penso che tu abbia il mio stesso problema. Ai compiti di italiano prendevo brutti voti a volte non perché il tema non andava bene, ma gli innumerevoli errori di grammatica. Anzi i miei erano più “orrori”. No, non sei sclerata, anche a me i brutti voti non piacciono. No, Donatel è ispirato a mio cugino, il mio migliore amico. Hai ragione su Miriam, ispirata a un’amica del cuore, che adesso purtroppo posso sentire solo su Msn che io chiamo affettuosamente “la mia musa”. Fuori due, il cerchio si restringe. Anzi abbiamo eliminato anche Aido. Devo dire che hai spirito di osservazione, ma gli indizi lasciati sono altri. Me malefica. Fammi sapere cos hai pensato del capitolo, ciao.

  
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