«Tom,
per favore, puoi accogliere le ragazze dell’appuntamento 17: 30?»
Quel giorno fu per Tom uno di quei giorni strani, che non si
sarebbero dimenticati molto facilmente.
Compiuta la maggiore età aveva lasciato la scuola per seguire il corso da
piercer e tatuatore, arrivando a lavorare presso uno dei migliori tatuatori di
Berlino, nonché suo amico, che gli aveva svelato ed insegnato tutto ciò che
c'era da sapere sul mestiere.
Sua madre non approvava, ma anche lei, dopo un po’, si era arresa alla realtà
dei fatti. Dopotutto, quale medico si presenterebbe in sala operatoria in rasta
e piercing?
Insomma, il suo look era adatto in tutto e per tutto all’ambientazione
e al tipo di posto di lavoro.
«Agli ordini, capo!»
Disse Tom, finendo di disinfettare gli strumenti, dando una breve occhiata ai
quadri futuristici appesi al muro, prima di uscire dallo studio
e accogliere le ragazze dell’appuntamento.
«Un'altra farfalla, un altro cuore, un'altra stellina sulla spalla»,
pensò Tom alzando gli occhi al cielo, mentre si concedeva una sigaretta,
giocherellando con i bordi della sua maglietta nera attillata.
In soli 18 anni di vita ne aveva passate tante: tra sospensioni,
un'espulsione, una pseudo denuncia avevano fatto sì che la sua reputazione
fosse…negativamente alta.
Lui era il cattivo, il duro, colui che insultava e molestava i più deboli per
divertimento, per puro
divertimento. Lui scopava, lui non si innamorava, lui era semplicemente…Tom Kaulitz.
Aveva conosciuto il suo capo, Andreas, durante una festa privata a
Berlino. I due inizialmente si odiavano a morte per decidere chi dei due
dovesse essere il “maschio dominante”, ma alla fine giunsero a un
amichevole compromesso, dividendosi tutte le ragazze della festa.
Da lì cominciarono a frequentarsi, fino a quando Andreas, scoperta la
passione di Tom per il disegno, non lo esortò a seguire un corso per diventare
piercer e tatuatore.
Ed eccolo lì, misterioso e indifferente, mentre lasciava entrare le due
ragazze dell’appuntamento nello studio, non curandosi delle loro risatine
stridule, segno che fosse l'emozione del loro primo tatuaggio.
«Che lo show abbia inizio», disse in uno sbuffo di fumo, spegnendo con un
piede il mozzicone di sigaretta, spiaccicandolo al suolo con forza esagerata.
Entrambe le ragazze, Klaudia e Lena, se non ricordava male, avevano
prenotato un tatuaggio di un'aquila alla zona lombare esageratamente ridicolo,
agli occhi di Tom, e assolutamente, schifosamente abituale, noioso.
Amava i tatuaggi intricati, con dei significati veri, profondi. Cosa poteva
rappresentare un uccello tatuato quasi sul culo di una ragazza? Tom lo sapeva e
ridacchiò al pensiero, alzando gli occhi al cielo non appena una di quelle,
forse Lena, aveva cominciato a sbiancare nel momento in cui Andreas cominciava
a disinfettarle la pelle.
Non aveva affatto voglia di assistere, perciò fece per uscire, ma venne
bloccato prima che potesse chiudersi la porta alle spalle.
«Hey, Tom?» disse Andreas, mentre preparava una soluzione di acqua e
zucchero alla ragazza, che era già in una fase di pre-svenimento.
Tom lo guardò con aria mista fra il divertito e l'esasperato, ma non
disse nulla, aspettò che l'amico continuasse a parlare.
«Il prossimo appuntamento è tuo, buona fortuna!», gli fece l'occhiolino
il biondo, mentre cominciava a tatuare la pelle della ragazza, che
evidentemente, non era Lena, ma Klaudia.
Tom si limitò ad annuire e uscì, andando a controllare il tatuaggio
dell'appuntamento successivo.
Si avvicinò alla scrivania di Andreas, recuperando da una cartella gli
appuntamenti e scorse velocemente l'orario, fino a posare gli occhi sul cognome
Trümper.
Trümper Bill.
Un tatuaggio interessante gli si parò davanti e Tom non potè fare a meno di
alzare un sopracciglio e di sedersi contro lo spigolo della scrivania: era una
scritta in corsivo, con attorno una catena che, alla fine della parola, ad un
certo punto, si spezzava.
“I'll never live in chains”.
«Non male», pensò Tom, annuendo inconsciamente, mentre posava la cartella.
Intanto il chiacchiericcio dallo studio aumentava ed il rasta potè constatare
che la ragazza, che no, non era Lena, non sopportava molto la macchina per i
tatuaggi.
Lanciò uno sguardo all’orologio, che segnava le 17: 49. L'appuntamento era alle
18 in punto, perciò, se avesse fatto presto, avrebbe potuto concedersi una
birra. Uscì prima di poterci ripensare e in meno di due minuti era già
seduto al bancone, mentre ordinava una birra alla spina, che tracannò in pochi
minuti.
Si leccò le labbra guardandosi attorno e le uniche persone che vide furono
alcuni turisti asiatici che parlottavano tra di loro, in una lingua a
Tom ovviamente incomprensibile. Scrollò annoiato le spalle e riprese a
bere, mentre lasciava sul bancone conto e mancia al barman dai capelli rasati
ed il fisico estremamente palestrato.
«Uh, oh, guardate chi c’è!»
Nell’arco di due secondi il rasta si sentì spiaccicato contro il bancone da due
figure semi nascoste dalla luce soffusa del locale, ma non gli ci volle molto a
capire chi fossero i due assalitori.
«Georg, Gustav, cosa cazzo ci fate voi qui?» disse con poche cerimonie
Tom, ma lasciandosi scappare un sorrisetto divertito, mentre ricambiava
impacciato gli abbracci degli amici.
Fu Georg a parlare. «Eravamo qui per caso, sai… Si sente la tua mancanza a
scuola! Anche se devo ammettere, Kaulitz, ti invidio. Sei sulla bocca di tutti
nonostante tu ti sia ritirato da un bel po’ di tempo. Hai il mio rispetto,
amico»
E detto questo, Tom incassò una seconda pacca sulla spalla da parte di Georg.
I tre continuarono a parlare, mentre Tom aveva ordinato un'altra birra,
con i soldi della mancia che, purtroppo per il barman, non avrebbe più
ricevuto.
Fu solo dopo una ventina di minuti che Tom sentì il telefono squillare
e un Andreas rabbioso abbaiare dall’altro capo: «Dove diavolo sei,
testa di cazzo? Qui c’è l’appuntamento delle 18 e a quanto pare abbiamo dei
clienti piuttosto rompi palle! Porta il tuo fottutissimo culo nello studio
entro 3… 2…»
L'appuntamento, lo aveva completamente dimenticato! Lo aveva detto lui che
quella non sarebbe stata una buona giornata.
Si alzò e chiuse il telefono prima che Andreas potesse finire di contare e,
senza nemmeno salutare i due amici, che effettivamente lo guardarono allibiti,
scappò fuori dal locale, volando, letteralmente, verso lo studio.
Arrivò trafelato, sbattendo quasi la porta, e sbattendo, a sua volta, contro la
schiena dell'ipotetico cliente, che, dopo aver messo a fuoco, scoprì essere
due.
«Finalmente!» Esordì Andreas, lanciando al rasta un'occhiata di fuoco.
Quest'ultimo si limitò ad entrare nello studio vero e proprio, per
evitare di spaccare la faccia al suo capo. Era suo amico, ma certe volte era
così fottutamente esagerato, cazzo!
Non si curò nemmeno di salutare i clienti, né di preoccuparsi di
spiegare loro determinate cose, o di rispondere a delle eventuali
domande. No, si limitò solo a sedersi sullo sgabello e ad aspettare.
Fu solo quando alzò lo sguardo che vide, seduto a pochissima distanza da sé, un
ragazzo magro, dalla pelle chiarissima e dei lunghi capelli neri, estremamente
profumati e lisci.
Le sue ciglia erano lunghe, i suoi occhi truccati, le labbra di poco schiuse e
lo sguardo annoiato e basso, quasi come se non si fosse accorto di lui.
Fu solo quando l'uomo accanto a lui tossì, che Tom si riprese del tutto.
«Salve», esordì l'accompagnatore del moro che si era limitato ad alzare
lo sguardo verso Tom, ma che subito riabbassò, limitandosi ad incrociare le
braccia al petto, borbottando un saluto o qualcosa di simile.
«Io sono Gordon, il padre di Bill.»
«Mio figlio», aggiunse, «ha una tale fissazione per i tatuaggi, per i piercings…
Perciò non è una novità che io sia qui, essendo minorenne. Sai già il
posto e il disegno, giusto?»
Tom scosse la testa, indicando Bill. Se il tatuaggio era suo, perché
cazzo parlava suo padre?
E poi, quel ragazzo era minorenne? Sembrava più grande e, cazzo, perché non lo
stava guardando?
«Ehi, stronzo», pensò Tom con un ghigno. «Potrei anche tatuarti un
pene; mi spiace solo che verrei licenziato, altrimenti lo farei!»
Il moro, che sembrava impegnato ad ignorare Tom, in effetti, era estremamente
femminile e Tom di certo non era il tipo che andava a favore degli omosessuali.
Tutte persone da prendere in giro, per lui.
Si mosse sbuffando dal naso, mentre sistemava lo sgabello, puntando gli
occhi su Gordon, che alzò un sopracciglio.
«Signore, sono a conoscenza del tatuaggio e della dimensione, ma non del
posto, credo potrebbe dirmelo anche suo figlio, vero?»
Stava per continuare, quando una voce cristallina fece voltare entrambi.
Il moro alzò il braccio sinistro, che scoprì, porgendolo a Tom. Lo guardò
solo per pochi secondi, ma poi abbassò di nuovo lo sguardo, quasi innervosito.
«Lo voglio qui», disse «Qui, all’interno del braccio».
La sua voce era lieve, quasi eterea e, notò Tom, estremamente inquietante,
oltre che palesemente da gay.
«Perfetto», annuì il rasta, schiarendosi la voce mentre preparava la macchina.
«Signor Trümper, ha firmato il documento per suo figlio, in nome di tutore?»
Alla risposta affermativa di Gordon, Tom cominciò la sua opera d'arte.
Se non fosse per il tatuaggio piuttosto interessante, di certo avrebbe
mandato a fanculo Andreas, si sarebbe inventato un attacco di diarrea e sarebbe
ritornato a casa a giocare ai videogames, che lo rilassavano parecchio, anche
se preferiva tenersi quell’hobby per sé.
Il moro tenne lo sguardo basso per tutta la durata del tatuaggio, cosa
che fece imbestialire Tom ancora di più.
Gli chiese per rompere il ghiaccio il significato del tatuaggio e, in risposta
ricevette solo una scrollata di spalle, gesto che lui stesso faceva
abitualmente, anche mille volte al giorno. Non pensava che quel gesto
fosse così irritante, però.
Abbassò lo sguardo e notò le unghie laccate, gli anelli alle dita, il
piercing al sopracciglio e gli venne da ghignare. Trasgressiva, la checca
timida.
Quest'ultimo non fece una piega quando Tom gli pulì il tatuaggio e si
alzò dallo sgabello, provocando di proposito rumore.
Anche se il risultato che ebbe fu quello sperato, dato che il moro, al fracasso
causato dallo sgabello, trasalì di colpo, guardandosi attorno con fare
disinteressato e, subito dopo guardarsi il braccio, o meglio… Un punto del
braccio, come se non gli interessasse tutto il tatuaggio.
«Cazzo di problemi hai, amico?» pensò Tom, mentre usciva dallo studio,
seguito dopo poco da Gordon ed il moro che, scoprì Tom, si chiamava Bill.
«Sono 80 euro, signor Trümper»
Fu solo dopo che l’uomo tirò fuori i soldi dal portafogli, che Tom si fermò di
colpo, puntando lo sguardo a Bill.
«Hey, amico, vuoi vedere il tatuaggio allo specchio? Ho visto che non
riuscivi a voltare il braccio. Uh, vieni?»
Afferrò senza pensarci il polso al moro che, con una forza che non si sarebbe
aspettato da un tale mingherlino come lui, lo trattenne.
«No!!», sputò stizzito.
Quel ragazzino lo stava facendo incazzare maledettamente e nessuno diceva di no
a Tom Kaulitz.
Ok, fosse stato un altro cliente se ne sarebbe fregato, ma quel tizio gli dava
seriamente sui nervi!
Lo trascinò a forza, nonostante le lamentele continue di Bill e di suo
padre che continuava a ripetere una frase che Tom non riuscì a capire, perché
era già entrato nello studio ed aveva piazzato Bill davanti allo specchio.
«Cazzo, non fare così, ti sto facendo un favore!» disse Tom, aprendo le
braccia, per evidenziare l’ovvietà del suo gesto.
Il moro però non si mosse e finse di guardarsi il tatuaggio, poi si voltò,
guardandosi attorno, alla ricerca del padre.
«La pianti? Non lo hai visto, ti sei guardato la mano!» Sbottò Tom,
sbuffando. «E poi, diavolo, guardami in faccia quando ti parlo!»
Bill si fermò, quasi paralizzato e, con una lentezza inquietante, si voltò
lentamente verso il rasta, gli occhi semi ricoperti dalla frangia.
«Sono cieco, razza di coglione».
Note Finali
Salve a tutti! Ho deciso di riproporre questa storia sul mio nuovo account, dato che sto avendo dei piccoli problemini con quest’ultimo. Tanto per cambiare, aggiungerei!
Proprio per questo motivo aggiornerò qui, cercando di essere più presente!
Non mi rimane che augurarvi buona lettura!
White Trash