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Autore: literatureonhowtolose    25/08/2015    0 recensioni
[Disney Descendants]
Esitò qualche istante prima di tirare fuori dalle tasche le cianfrusaglie rubate. Aveva paura della reazione di Carlos, ma alla fine decise che con lui poteva rischiare. Con lui voleva rischiare.
Di come Jay rubò una penna a sfera, se ne pentì e nel restituirla si fece rubare qualcosa di ben più importante da un ragazzino pieno di lentiggini. Qualcosa tipo il cuore. Disgustosamente cliché, sì. Ma forse un bel cliché era proprio ciò che mancava ad entrambi.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fandom: Disney Descendants.
Titolo: there's a screen on my chest
Pairing e personaggi: Jaylos. Jay, Carlos De Vil, Ben Florian.
Raiting: Giallo, tipo i polizieschi. Perché Carlos ha la madre che ha.
Ambientazione: Universo alternativo nel quale non c'è la magia e loro non sono figli di cattivi disney ma solo di due stronzi, in pratica. 
 
1
Non era valsa la pena di rubare quella penna.
A dirla tutta, ultimamente Jay aveva rubato molte cose che col senno di poi avrebbe potuto lasciare al loro posto; non perché rubare fosse sbagliato – le sue morali non erano così sane –, ma perché erano cianfrusaglie senza alcun valore che difficilmente avrebbero potuto dimostrarsi utili. Un portachiavi, due biglietti del cinema usati, qualche moneta che sarebbe forse bastata per comprare tre caramelle, un bracciale dell'amicizia ormai rotto. E la penna a sfera nera del canile.
Quella mattina era entrato nella struttura, aveva finto di essere interessato ad adottare un cane e aveva sottratto quella biro dalla scrivania dietro alla quale un ragazzo biondo sedeva, impegnato a dare una scorsa veloce a una montagna di documenti.
Jay aveva pensato fosse piuttosto giovane per trovarsi in una posizione del genere. Doveva avere più o meno la sua età, e lui cosa stava facendo della propria estate? Bighellonava, rubava oggetti inutili e stava velocemente trasformandosi in un accumulatore, oltre a peggiorare (o migliorare? tutto dipende dai punti di vista) il proprio stato da cleptomane. 
In ogni caso, il ragazzo gli aveva detto di chiamarsi Ben ed era stato molto gentile e professionale, anche quando Jay si era rivelato soltanto una perdita di tempo congedandosi senza effettivamente portarsi dietro un cane.
Jay non era tipo da sentirsi in colpa, però col passare della giornata la penna aveva cominciato a pesargli nella tasca. Perché l'aveva rubata, poi? Aveva la casa piena di penne. E comunque non è che le usasse molto, non scriveva mai e non faceva i compiti.
Ore dopo aveva perciò deciso di fare marcia indietro e riportarla. Non sapeva con esattezza cos'avrebbe detto a Ben, ma sicuramente qualcosa sarebbe stato in grado di inventarsi. Qualcosa che fosse il più lontano possibile da “hey ciao comunque ecco questa biro è tua l'ho presa perché mi annoiavo ma poi mi sono accorto che dovrei impiegare le mie energie in furti più intelligenti e utili tipo quelli di auto o almeno ingenti somme di denaro”, magari.
Jay non sapeva con precisione da dove fosse nato questo suo istinto – quasi pulsione, potremmo dire –, perché in verità non è che ne avesse bisogno. Certo, c'erano situazioni migliori della sua, ma lui e suo padre non si erano mai trovati nelle condizioni di dover rubare per sopravvivere.
Jafar era però un uomo molto avaro, e non aveva mai dato a Jay più dello stretto necessario, materialmente ed emozionalmente parlando. Non pensava ad altro se non al lavoro, aveva sempre messo quello in primo piano rispetto al suo unico figlio, quindi quest'ultimo aveva dovuto crescere con se stesso. Era iniziato come un gioco, o quasi, e siccome nessuno gli aveva mai detto di smettere lui non l'aveva fatto. Rubare era un modo per Jay di colmare il vuoto. Solo che ormai era fuori controllo, e forse un po' lo spaventava.
Non l'avrebbe mai ammesso, ma probabilmente parte del motivo per il quale aveva deciso di restituire la penna era proprio questa sua ansia nel realizzare che ormai agiva col pilota automatico. Non era mai stato il genere di persona che si ferma a riflettere e valutare ogni variabile prima di agire, ma normalmente la testa era in grado di usarla, e non solo come porta-cappelli. 
Una volta arrivato davanti al canile, Jay prese un bel respiro e si preparò a fare la sua entrata ad effetto, rimettere la biro al suo posto e tornare a casa permettendo a se stesso di rubare solo cose utili o costose. Ma quando entrò, il ragazzo dietro alla scrivania non era quello che si sarebbe aspettato di trovare. Jay ne rimase un po' spiazzato e perse di vista la propria missione per concentrarsi sulla figura davanti a lui.
Stava mangiando un MilkyWay (rubargliene un pezzetto non sarebbe stato malaccio) che fece sparire – nel senso che si ficcò la metà restate in bocca per intero – non appena vide Jay entrare. Sembrava qualche anno più giovane di Jay; era sicuramente più basso. I suoi capelli ricci e quasi esclusivamente bianchi – quasi perché le radici erano nere – erano curiosi, ma a colpire Jay furono le lentiggini. Ne aveva pieno il viso e le braccia, come se un pittore ci avesse spruzzato su del colore senza farci particolare attenzione.
«Benvenuto!» disse il ragazzo non appena ebbe finito di masticare ed ingoiare. Poi fece una risata nervosa. «Scusa. Solitamente non riceviamo visitatori a quest'ora.»
Un po' di cioccolato gli era rimasto sulle labbra e Jay non potè evitare di sorridere. 
«Comunque!» continuò quando gli fu chiaro che Jay non avrebbe parlato. «Vuoi adottare un cane?»
Sentirsi rivolgere quella domanda per la seconda volta in poche ore riscosse Jay dallo stato di trance nel quale era piombato. Fai quello che sei venuto a fare e vattene, Jay, si disse. Non vuoi adottare un cane, saresti un pessimo padrone.
Tirò fuori la penna dalla tasca e la posò sul tavolo.
«Questa è vostra.» asserì. «L'ho...»
«Portata via per sbaglio?» offrì il ragazzo con le lentiggini.
Jay alzò un sopracciglio.
«Non preoccuparti, a me succede sempre. In ogni caso qua siamo pieni di biro, ne abbiamo almeno una per cane.» aggiunse, sorridente. «Grazie per averla riportata, è stato onesto da parte tua!»
A Jay venne da ridere. Onesto, lui? Robe da matti. E poi non era abituato a ricevere ringraziamenti, gli dava una sensazione strana.
Se quel ragazzo avesse saputo veramente con chi aveva a che fare non si sarebbe comportato così nei suoi confronti. Jay non meritava gratitudine, non meritava gentilezza, non meritava niente. Suo padre questo gliel'aveva insegnato bene.
Non disse nulla. Non fece neanche un cenno di saluto. Uscì e basta, così com'era entrato, e si incamminò verso casa.


Carlos fissò il punto dove fino a poco tempo prima si ergeva il visitatore. Era il caso di dire, infatti, che era notevolmente più alto di lui, nonostante pareva avesse solo due o tre anni in più. E poi aveva l'impressione che una spintarella da parte sua l'avrebbe fatto volare dall'altra parte della stanza.
Carlos lasciò andare il respiro che non si era accorto di star trattenendo e si accasciò sulla sedia. Si guardò le braccia – due spaghetti scotti e pallidi – e fece una smorfia di disapprovazione. Quel ragazzo sì che aveva delle belle braccia, invece.
Certo che era stato strano, però. Il modo in cui se n'era andato in silenzio, senza nemmeno salutare, come se Carlos avesse detto qualcosa di sbagliato.
Stava disperatamente cercando di non pensare che fosse colpa sua, ma sua madre non glielo diceva sempre? Che era colpa sua? Che tutto ciò che di brutto succedeva, succedeva per colpa sua?
«Mi dispiace...» sussurrò al vuoto.
Chiuse gli occhi, aspettandosi una sberla da parte di Crudelia. Non arrivò, ma Carlos non si sentì meglio. E non riaprì gli occhi per un po'.


Jay non riusciva a smettere di pensare al ragazzo con le lentiggini. Non smise di pensarci tornando a casa, non smise di pensarci quella sera a cena, non smise di pensarci a letto, alle tre di notte, mentre si sforzava di prendere sonno. 
Quando si svegliò, dopo quattro ore scarse di riposo, scoprì che non aveva ancora smesso di pensarci. E continuò a rimuginarci per tutto il giorno.
Il suo aspetto l'aveva colpito, di questo ne era sicuro, ma non era quello a causargli problemi o a farlo pensare; Jay si era sempre sentito attratto da maschi e femmine in egual misura, aveva smesso di preoccuparsene quando aveva capito che almeno da quel lato il menefreghismo di suo padre funzionava a suo vantaggio.
Il fatto era che quel ragazzo era stato l'unico a trattarlo in quel modo da che Jay si ricordava. E per “in quel modo” si intende senza preconcetti, senza diffidenza, senza disprezzo o rabbia o, peggio, indifferenza. 
Certo, Jay non faceva molto per farsi voler bene, e dalle sue parti non aveva una bella reputazione. Attaccabrighe, ladruncolo di strada, buono a nulla. Che le persone tenessero le distanze era normale, prudente. 
Ma quel ragazzo non l'aveva fatto. Era vero che non lo conosceva, che non sapeva di cosa era capace, ma non si era fatto opinioni su di lui. Non aveva collegato i suoi vestiti a niente di brutto, non aveva automaticamente pensato al peggio, non l'aveva trattato come un banale errore di calcolo o un'erbaccia da estirpare. Aveva invece pensato a una dimenticanza, una sbadataggine che chiunque avrebbe potuto commettere. 
E questo aveva ricordato a Jay che prima di essere un attaccabrighe, un ladruncolo e un buono a nulla lui era solo Jay. Perché aveva smesso di essere solo Jay? Perché nessuno l'aveva fermato? Perché a suo padre non importava?
Quando spinse la porta del canile ed entrò nella struttura per la terza volta in due giorni si era reso conto solamente per metà di quello che stava per fare. Si ricordava di aver pensato che a quell'ora, a rigor di logica, avrebbe trovato in servizio il ragazzo con le lentiggini e non Ben. Non era completamente padrone dei propri movimenti a quel punto, comunque, e si avvicinò alla scrivania con ampie falcate.
Sentendo qualcuno entrare, Carlos aveva iniziato a dire “Benvenuto!”, ma si era fermato a metà parola quando alzando lo sguardo aveva visto di chi si trattava. Lo stomaco gli si era annodato di colpo, ripensando al giorno prima.
«Quella penna non l'avevo tenuta per sbaglio.» esordì Jay.
Carlos lo guardò, gli occhi leggermente sgranati. Dopo qualche secondo di silenzio, Jay continuò.
«L'avevo rubata.» 
Non era sicuro del perché sentiva il bisogno di farglielo sapere, e non era neanche sicuro di quale reazione si sarebbe dovuto aspettare. Forse sperava che al ragazzo non importasse. Che gli dicesse di nuovo qualcosa di simile a  “hey, capita spesso anche a me, non preoccuparti”. Che lo facesse sentire normale, ancora.
«... Perché rubare una penna a sfera?» domandò Carlos. Era più che leggermente confuso da questa situazione, ma il nodo allo stomaco si allentò un po'. Forse allora non era stata colpa sua.
Jay fece spallucce. Non avrebbe saputo come rispondere, davvero. In quale universo una persona potrebbe avere una buona ragione per rubare una penna a sfera?
Carlos ci pensò su. Non gli importava poi molto. Cioè, avrebbe anche potuto tenersela, la penna. Era solo una penna. Non pensava fosse così terribile.
«Grazie per la sincerità?» provò, sperando in bene. Non voleva provocare una reazione analoga a quella del giorno prima, nonostante avesse ormai capito di non esserne stato responsabile. Sperava trasparisse che non ce l'aveva con lui per aver quasi rubato una delle centomila penne del canile. Aveva una mezza idea di offrirgliene una, chissà, magari gli serviva davvero ma il suo senso di giustizia gli aveva impedito di prendersela.
Con suo grande sollievo, il ragazzo sorrise. Era solo un mezzo sorriso, qualcosa di esitante, incerto. Però c'era. Carlos si sentì sorridere di rimando. Il suo stomaco – che ormai non era più annodato – fece una capriola. E poi il visitatore uscì. E Carlos scoppio a ridere. Ma che cavolo?





Angolo dell'Autrice. 
Non posso credere di aver postato. Ci sono stati una serie di intoppi (tipo il titolo e tipo soprattutto l'introduzione lmao) che mi sembravano insormontabili ma in qualche maniera ce l'ho fatta. Come al solito non sono soddisfatta, ma ci si accontenta perché sono tempi di crisi. In ogni caso. Il vero motivo per cui non posso credere di aver postato, in realtà, è che questa non è una one shot. Probabilmente non sarà una long molto long, diciamo che l'idea sarebbe sui tre capitoli e magari poi qualche side-story, ma mai dire mai siccome per ora ho pronto solo ciò e tre quarti del secondo capitolo. Siccome ho avuto brutte esperienze con long inconcluse, sia da lettrice che da scrittrice, tendo a evitare di scriverne, o se mi avventuro poi finisco col non postare niente perché mi riprometto di postare solo una volta finito di scrivere tutto ma puntualmente non avendo feedback perdo la forza di volontà. Questa è la ragione per cui ho postato. Incrociamo tutti le dita affinché vada a buon fine, anche se sono abbastanza positiva, avendo quantomeno un'idea generale di come si svolgerà. 
Peace out, non-binary scouts.
  
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