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Autore: sese87    25/08/2015    2 recensioni
AU che traccia le vite dei protagonisti di Dragon Ball alle prese con il nostro mondo, dalla loro adolescenza all'età adulta.
*il cognome Arensay è un anagramma di mia invenzione.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bulma, Vegeta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '1998'
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spin off

Storm

(Parte 1, Spin-off)

______________________________

 

Shirt, Kanassa, 2005.

When the night has come

And the land is dark

 

Shirt, tagliata in due dall’equatore, poggiava le sue chiappe sfiancate sull’arida terra di Kanassa, in cui l’unica brezza era probabilmente quella prodotta dallo sbattere di ali di una mosca, grassa e unta come lo strato di sudore sul palmo della mano di chi l’aveva appena schiacciata, Dodoria.
E il caldo gli si era appicciato addosso, grondante dalla pelata che, quel fazzoletto liso tra le dita, non avrebbe asciugato del tutto. «Sono stufo, ti dico, davvero stufo!» Attaccò con voce lamentosa, «Ogni volta quel Freezer e il suo cazzetto di mediatore riescono a soffiarci i clienti da sotto il naso, ed ecco che siamo costretti a sudare come maiali per nulla in cambio.» Si tamponò ancora la fronte e ordinò l’ennesimo rum al barista, intento ad asciugare bicchieri dietro ad un bancone polveroso.
And the moon is the only light we’ll see
No I won’t be afraid…

Il socio, dotato dei più bei lineamenti che ogni donna avrebbe voluto baciare, rispose solo dopo un’attenta analisi dei suoi capelli lunghi e una volta sicuro di non avere doppie punte. «È perché gioca sporco. Ma so io come giocare ancora più sporco!»
«Che intendi dire?»
«Intendo che…» Lasciò la sua spiegazione sospesa nell’aria stantia del bar, considerò che il tavolino non fosse troppo sporco da poggiarci i gomiti, fasciati da una costosa giacca di lino, e continuò: «C’è un certo Jaco, credo sia un infiltrato non troppo segreto del governo e che…»
«Non troppo segreto?» Lo interruppe Dodoria sudato come un maiale. Zarbon sospirò paziente, e dopo aver chiesto al barista di alzare il volume della radio per coprire meglio le loro chiacchiere, riprese da dove aveva interrotto. «Uno di quelli mandati per fingere che i governi facciano qualcosa per controllare il traffico d’armi, lui ovviamente non lo sa ma il suo lavoro è di rispedire a casa almeno un paio di noi per far tutti contenti, mi spiego?» Just as long as you stand, stand by me…
«Non molto, cosa vorresti fare, denunciare Freezer per caso?»
«Freezer è troppo potente!» Sbottò l’atro, stringendo i pugni. «Anche se lo denunciassimo, non è detto che lo manderebbero al fresco… tuttavia, potremmo lasciarci sfuggire qualche informazione non proprio riservata riguardo il suo mediatore, quel Vegeta.»
«E mentre saranno tutti impegnati a dissipare il polverone…» Continuò adesso Dodoria, con gli occhi porcini che brillavano di cattiveria, sulla stessa pagina del compagno.
Stan by me, ooooh stand, by me…«Noi avremmo abbastanza tempo per concludere l’affare con Tai Pai al posto suo.» Concluse il più bello dei due sfoggiando un sorriso mellifluo. Nel frattempo una cameriera pettoruta e dai capelli viola aveva portato loro da bere e ricevette, come mancia, una volgare pacca sul sedere dal più brutto.
«Ma come facciamo ad esser sicuri sia un infiltrato?» Domandò quest’ultimo e poggiò al bicchiere le labbra carnose.
«Ho sentito gli scagnozzi di Crasher che ne parlavano, stanno giusto cercando qualcuno da sacrificare e ho intenzione di dire a Kakao di aver trovato quello giusto.»
I due si scambiarono uno sguardo di complice malevolenza, prima di gioire della geniale risoluzione che li avrebbe aiutati a concludere un vantaggioso contratto e a sbarazzarsi di quel cazzetto moscio di Vegeta.

 

If the sky that we look upon

Should tumble and fall

 
All the mountains should crumble to the sea
, «Cosa vuoi che me ne importi?» Rispose Vegeta all’autista che gli aveva chiesto di poter alzare il volume. Tra il caldo, le mosche e le zanzare che non lasciavano tregua, ascoltare musica alla radio era davvero l’ultimo dei suoi pensieri.
Così la jeep andava, incespicando tra le dune del deserto, guidata da un poco di buono chiamato Yellow e più andava avanti più Vegeta sentiva che l’affare stava andando troppo tranquillamente. Molto più del solito. Non c’erano state le solite traversie al suo arrivo a Kanassa, l’elicottero era atterrato come di consueto e una vettura era già pronta ad attenderlo. Solitamente, c’era sempre stata una manciata di minuti di scarto nello scambio tra i due vettori, per sincerarsi che nessuno del Governo stesse seguendo la trattativa: o era incappato in una ben nota “botta di fortuna” oppure qualcosa nell’aria puzzava di sospetto. Eppure, per una volta, sapendosi nemico fidato di un destino sempre avverso, aveva voluto credere al sorriso benevolo della fortuna, cantando, forse troppo presto, al proprio trionfo. Non si diede dunque molto da pensare riguardo le circostanze fortuite a cui era andato, e stava andando, incontro, persuadendosi che per una volta poteva semplicemente essere stato fortunato.
Era sudato, accaldato e stanco e in cuor suo sperava stesse andando come previsto da Freezer perché, al momento, non avrebbe voluto fronteggiare altri problemi che quello di trovare un bar per bere una birra fresca! Né gli era mai importato veramente della buona riuscita dei loschi affari del parente: si vedeva come un mediatore e nient’altro, pieno d’odio per il proprio principale piuttosto che per l’immoralità delle proprie azioni. Stava imparando e, forse, un giorno avrebbe preso il posto di Freezer, mandando qualcun altro a compiere il lavoro sporco piuttosto che dirigersi, personalmente, su luoghi di guerra o limbi dalla fangosa giustizia.
E senz’altro la jeep, arrugginita ferraglia rossiccia, carica di nuovi prototipi di armi, fermò al centro di un campo circondato da tendaggi bianchi. Vegeta scese e avvertì la sensazione sgradevole di affondare nella sabbia con le scarpe da ginnastica. I won't cry, I won't cry
No, I won't shed a tear

Just as long as you stand, stand by me

 

«Insomma lo vuoi fare o no?» Si sollevò in ginocchio, e il letto sobbalzò come il suo umore. Ed era già nudo, e così era lei, ad eccezione degli slip che le biancheggiavano ancora sul ventre, del tutto asciutto.
Avevano iniziato come tante altre volte, prima degli ultimi, sconquassanti eventi della loro brevi, già complicate vite. Diciotto distolse lo sguardo. «Certo.» Scacciò dalla spalla una mosca immaginaria, voleva solo coprirsi il piccolo seno svestito, affatto turgido come l’eccitazione dell’altro. «Ma sbrigati!» Si lamentò, «Toglimi questi.» Gli indicò quell’ultimo lembo di stoffa, non osava toccarsi, non osava toccarlo. Chiudendo gli occhi, accolse, con una smorfia, l’esaudirsi della sua preghiera, mentre le sua mani sudate le sfioravano i fianchi stretti. Spalancò gli occhi, per essere sicura di avere proprio lui, Vegeta, e non l’altro, a tornarle sopra pesante col suo corpo in fiamme. Si raccolsero a vicenda lo sguardo, dell’uno confuso, dell’altra terrorizzato, nonostante nudi si conoscessero già.
Questa volta era però diversa: Diciotto sapeva che avrebbe dovuto concedersi fino in fondo per sferzare l’amore infiacchito che Vegeta provava (aveva provato?) per lei, persuaso di essere usato invece che amato di rimando.
Vegeta, infatti, aveva concimato la convinzione che la sua algida ragazza non lo vedesse che come un simile, piuttosto che come un compagno. Macchinosa, fulgida bellezza, Diciotto calcolava solo interessi materiali; incapace di svelare i suoi problemi familiari, preferiva essere accolta in casa di Vegeta, perché alla sua non poteva e non voleva assolutamente tornarci: era in fuga. Concedersi sarebbe quindi stato il modo, ormai l’unico, per suggellare il sacro patto, grazie al quale le veniva permesso di continuare una relazione in cui nessuno dei due ormai credeva più, se non per convenienza, di lei, se non per ossessione, di lui.
Temeva di baciarla, quasi temesse di restare attaccato a quelle labbra di ghiaccio. Continuava a fissarla, a studiarla, chiedendosi se anche lei fosse in grado di sentire il lambiccare del suo cuore nel petto muscoloso. Il ricordo della già disastrosa volta scorsa gli pulsava nell’inguine, e non si vergognava affatto di aver insistito tanto allora: proprio grazie a quel ricordo, invigoriva la nuova voglia, pensando all’eccitante energia che lei aveva impiegato per allontanarlo e che se non fosse stato per il doloroso morso avrebbe di certo continuato. Tuttavia, adesso, non riceveva invece che sospettosa arrendevolezza. Qualcosa era davvero cambiato.
Le sfregò la guancia, che sfrigolò ad un soffio dalle sue labbra. Sorrise, maligno. «Non sei stata mai così arrendevole.»
«Adesso sono pronta.» Mentì, era pronta soltanto a non voler tornare a casa. Lo sforzo che stava compiendo le stava riuscendo particolarmente gravoso: mai sarebbe stata pronta, pensava, a farlo così. Eppure, oggi avrebbe dovuto fingere di esserlo, perché se Vegeta avesse capito la vera ragione (tenerselo stretto per proteggere se stessa) l’avrebbe cacciata per orgoglio, né lei avrebbe mai trovato il coraggio, scevro da qualsivoglia imbarazzo, di confessare di essere tutt’altro che illibata.  
Fu lei a prendergli le labbra; gliele graffiò con un bacio veloce, come se avesse baciato un disgustoso rospo, nel sospetto che non si sarebbe mai tramutato in principe. «È il casino che viene da fuori, mi distrae, non mi piace. Chiudi la finestra!» Tornò a lagnarsi, serrando le braccia, dalle ascelle umide, ai fianchi.
Vegeta si sollevò per l’ennesima volta, sbuffando; a piedi scalzi, raggiunse la finestra e lasciò fuori i fastidiosi festeggiamenti per l’elezione del nuovo sindaco Satan.
«Scegli qualcosa alla radio.» Suggerì Diciotto, nel tentativo di prendere tempo; si ficcò intanto sotto le coperte.
«Non posso, c’è Turble che dorme di là.» Si affievolì, a nominare il fratello nel frangente della sua prima volta.
«Avrà preso i suoi sonniferi.»
«Ho detto che non mi va.»
«Allora spegni almeno la luce.» L’intimità con Vegeta non le era mai parsa tanto penosa! Era tuttavia necessario accordarsi al suo bisogno fisico di averla, altrimenti, lo sentiva, avrebbe perso l’opportunità di godere dell’agio di stare lontana dal malfidato genitore.
Né di soldi ne aveva in abbondanza: la somma promessale, all’inizio da suo padre, era andata via via diminuendosi (l’ennesimo, meschino tentativo di farla tornare) tanto da non permetterle di pagarsi altro alloggio che non fosse questo con Vegeta. Un albergo di terz’ordine rappresentava per lei un incubo, e tutti suoi vestiti e tutte le sue scarpe che fine avrebbero fatto?
Sobbalzò, quando Vegeta scostò le coperte per riprendere posto; il suo corpo minuto, niveo, tremò tutto e lui lo notò. Le fu ancora sopra, non più eccitato; iniziò a baciarla, a toccarla senza che lei si degnasse del minimo movimento. Sembrava una bambola di gomma, in balia di una lampante repulsione. Vegeta l’aveva capito, ma non riusciva a figurarsi il motivo, non il vero. Continuava a metterla alla prova, per scoprire fino a che punto avrebbe retto. Aveva poca fiducia, e in parte a ragione, per l’amore che Diciotto assumeva nei suoi confronti: era convinto volesse solo approfittare di lui per poter restare, quasi a gratis, presso di sé. Ed andarsene era esattamente ciò che la ragazza desiderava evitare.
Tuttavia, pensava Vegeta, Diciotto non stava affatto facendo un buon lavoro: trovava, infatti, che una maggiore partecipazione gli fosse dovuta. E di certo quella non era ragazza da aver scrupoli, nell’andare a letto con qualcuno che non gradiva del tutto. Scommetteva che, se l’avesse pagata, Diciotto si sarebbe esibita in peripezie degne della prima attrice porno! Magari avrebbe proprio dovuto pagarla.
Sembrava la disgustasse, e più la baciava, più questa impressione diventava forte. Eppure, non era sudato, aveva fatto una doccia, i denti li aveva lavati… Probabile fosse ancora arrabbiata con lui, quando ad essere sinceri, se non fosse stato morso, sarebbe arrivato a violentarla; ma se fosse stato questo il motivo, lei, sì, proprio lei, non lo avrebbe mai invitato a letto quel giorno!
Il motivo di quel distacco doveva essere un altro, lo ignorava. Accese la luce. «Preferisco così.» Le disse, «Voglio vederti.» Avrebbe cercato di leggerle nello sguardo ciò a cui non arrivava. Ma lei rimaneva immobile, come una lucertola frastornata in attesa del colpo di grazia del gatto.
«Sento freddo.» E si coprì di nuovo con le lenzuola, e annodò le esili gambe dai piedi ghiacciati a quelle robuste di Vegeta. Si agitò e trovò un’altra scusa per spegnere la luce; venne accontentata ma lanciò un gridolino, quando lui le prese una mano per farle rianimare una passione ormai smorta; quella stessa mano, sgusciò subito via ad riaccendere la luce, come un pesce disturbato nella sua tana sabbiosa. «Ho cambiato idea, preferisco vederti.»
«Lascia perdere, ho capito.» Decretò, rabbioso, Vegeta. Un disastro!
Lo sgomento cadde sul viso di Diciotto, insieme alla luce che lo illuminava. «Continuiamo!»
«Mi sembra evidente che tu non voglia.»
«Non è vero.»
«Magari preferisci il pelato.»
Oh no, non lo preferiva affatto; era dolce Crilin, ma solo perché non sapeva, non la conosceva, Vegeta invece era come lei: cattivo. Non avrebbe mai voluto essere guardata da Crilin come la guardava Vegeta, e sarebbe finita così, pensava, se gli avesse dato la possibilità di conoscerla meglio.
Crilin era un balsamo per la sua autostima e non voleva smettesse di considerarla perfetta! Vegeta, invece, aveva smesso da un pezzo; non avrebbe avuto nulla da perdere, nemmeno lo amava più, a raccontargli la verità sul suo conto, tranne che la propria dignità. L’orgoglio le impediva di compiere quel passo e la paura di essere oggetto di un biasimo ancora maggiore.
«Preferisco te!»
«Allora dimostralo.»
Era struggente non riuscirci, non ingoiare quel groppo di tristezza che le occludeva la gola, il terrore e il disprezzo di se stessa le aveva inaridito il ventre. Forse, per sempre.
Decise di compiere l’ennesimo sforzo, timorosa di perdere Vegeta oltre all’onore. Senza mai guardarlo negli occhi, restituì, toccandolo appena, con grande sacrificio, tutte le attenzioni ricevute fino a quel punto, quasi fosse un automa o una puttana in balia di un vecchio (il suo vecchio, suo padre) molto poco attraente. Il disgusto che lei provava per se stessa tornò ad assalirla e Vegeta lo interpretò rivolto a lui e quella rabbia divenne sua, per la presa in giro ormai penosa. Involontariamente, Diciotto gli passò la propria inadeguatezza, che corrose la sua sicurezza.
Convinto di non essere voluto, che lei, disinnamorata, continuasse solo per avere una casa in cui vivere, Vegeta iniziò ad indispettirsi; scansò la ragazza, e dopo aver giocato lui stesso contro la propria eccitazione svogliata, decise che era giunto il momento di averla finita una volta per tutte. «Mettimi il preservativo.» Ordinò, per calarla nel ruolo in cui voleva prendesse parte, quella dell’amante! E alla luce dell’invadente lampadina, le scrutava il viso, imbruttito e vinto dall’ennesima battaglia psicologica di cui Vegeta ignorava l’esistenza.
Decisa a vincere almeno la guerra, l’algida C18 scartò con i denti bianchissimi la protezione di lattice, gli occhi sfuggenti per l’imbarazzo e per la paura dell’imminente fallimento: ogni tanto lanciava a Vegeta occhiate furtive, il quale si dimostrava capace solo di fraintendere, una ad una, quelle scorse fugaci. Non capiva, infatti, che Diciotto si era resa conto che i piagnistei avrebbero dovuto finire quel giorno, non c’era in ballo solo la loro prima volta, ma tutta la loro relazione, minata dall’ingombrante reato di cui lei era stata macchiata. Se avesse continuato a non concedersi, se avesse continuato a morderlo, avrebbe dovuto spiegare il motivo del suo rifiuto psicologico e non voleva che lui la considerasse sporca. Allo stesso tempo, però, desiderava arrivare con lui fino in fondo, per vincere il ripudio maturato per se stessa. Eppure, sarebbe stato così semplice se gli avesse spiegato tutto! O forse avrebbe complicato di più la situazione, non riusciva proprio ad essere spensierata come quella Bulma. Non riusciva a decidersi e dunque, restia, galleggiava nella sua farsa. Esaudito l’ordine, insolitamente docile da sembrar colpevole, si stese di schiena, in attesa di accogliere Vegeta nel suo ventre riarso e non illibato.
Vegeta, indeciso, la guardò ancora per un istante. Per come gli appariva la questione, C18 sarebbe stata pronta a concedersi riluttante pur di avere un posto in cui dormire. Ed era questo il genere di giochetti che lo infastidiva; per l’ennesima volta, Diciotto aveva un problema e aveva preferito tacere: non era pronta, non era più innamorata, voleva solo vivere lì? Ebbene, perché non dirlo apertamente invece di prenderlo per i fondelli? Non era forse questo il rispetto?
Infine, affondò con forza le proprie disillusioni, con spinte inesperte, nell’inguine arido della ragazza, che lo accolse con dolore senza dirgli nulla. Ed erano in due, ma Vegeta lo stava facendo da solo; iniziava già a spomparsi per la passività di lei, finché riprese slancio non appena Diciotto spirò un flebile, frastornante “basta”.
Vegeta non si fermò, piuttosto proseguì fino a soddisfarsi in quella bambola di gomma, poi lascivo, ad un orecchio, poco prima di scivolare via le sussurrò: «Mi fai davvero schifo!» Restandole addosso, le strinse il mento tra pollice e indice. «A me non importa un accidenti dove dormi, ma le prese in giro mi fanno davvero arrabbiare.» Si levò dal letto, scese a terra. Perché, tra tutti i modi possibili, aveva deciso di trattarlo così? Allora, davvero, avrebbe dovuto violentarla quella volta per tutte? E adesso, era forse accaduto di averla violentata?
«Che cosa c’entra, cosa c’entra dove vivo io?» Balbettò lei, cercando al contempo di pescare delle giustificazioni plausibili per quanto appena successo. Talmente terrorizzata da dover spiegare tutto, non pensava ad attribuire anche a Vegeta una fetta di torto.
«Fosse stato per soldi avrei capito, chissà ti venga meglio.» Racimolò qualche spicciolo dalle tasche dei pantaloni, e insieme a qualche vecchio scontrino accartocciato, gettò tutto sul letto. «Tieni, magari ti viene più voglia.» Aggiunse con ironia.
Diciotto scansò le monetine, drappeggiandosi la coperta addosso, si sollevò a mezzo busto. «Sei il solito poveraccio, prova a pagarmi di più, se ci riesci!» Rispose all’insulto, tornando per un attimo la ragazza scontrosa di sempre, contenta che la discussione avesse preso una piega diversa, nonostante il bruciore tra le gambe.
«Vuoi scherzare? È esattamente quello che meriti. Non sei stata nemmeno in grado di fingere, non vali nulla nemmeno come puttana!»
«E perché, allora, non l’hai fatto con la Brief? Sai già che ti muore dietro ed è molto più puttana di me!»
Non era affatto quello il momento di tirare in discussione la mocciosa di casa Brief, «Coraggio, non c’è motivo di essere invidiosi delle sue qualità, Diciotto.» Un ghigno seguì il suo insulto. «Ti basterebbe tanto così per raggiungere il suo livello!» Il ghigno venne a sua volta seguito da una strana espressione uggiosa, indecifrabile, rivolta a chissà quali pensieri.
«Sai, è difficile riscaldarsi quando si finisce in tre minuti.» Lo beccò Diciotto, riferendosi alla breve performance di Vegeta, che sfilatosi e gettato il contraccettivo, iniziava già a raccogliere i propri vestiti.
«Eri talmente asciutta che mi si stava screpolando!»
Avrebbero continuato a battibeccare per un bel pezzo, se Tarble non avesse spalancato la porta sorprendendoli. Sentendoli discutere, non era riuscito a resistere a quell’habit, proprio anche del fratello, di origliare conversazioni di nascosto dietro una porta chiusa. Era rosso in viso, quanto imbarazzati divennero anche Vegeta e Diciotto, seminudi, scoperti nella loro intimità.
«Turble, ma che accidenti ti salta in mente!» Esclamò Vegeta, con un filo strozzato di voce, indossando velocemente un paio di jeans.
Il ragazzino chiuse gli occhi, li riaprì, e chiuse di nuovo. «Cosa le stavi facendo?» Strizzava uscio e porta tra le mani, grosse lacrime, incastonate in quegli occhi neri, fissi sul fratello.
«Cosa non mi stava facendo, magari.» Mugolò Diciotto, per colpire l’orgoglio di Vegeta, e c’era un nota dolorante nella sua voce.
«Né più né meno di quello che avrei fatto da solo.»
«Ti accontenti di poco.»
«Mi sono accontentato di te, infatti.» Sprezzante, agguantò poi il fratello per una spalla e lo scaraventò sul letto. «Ma tranquilla, è arrivato il tuo eroe, a faccenda finita, davvero tempestivo.» Non sapeva neanche più cosa stesse dicendo, stizzito per l’intromissione del fratello, arrabbiato con Diciotto, vomitava parole e insulti per distrarsi da quello che stava provando in quel momento: schifo, di sé e di tutto il resto; aveva proprio colpito il fondo, ed era stata una bella botta, perché si era lasciato prendere in giro. «Coraggio, l’ho già pagata!» Lo esortò ancora, sferzando via le coperte con cui Diciotto si stava coprendo. Le monetine tintinnarono a terra.
«Che fai?!» Gracchiò la ragazza, tirandogli un calcio, mentre cercava di non perdere la presa sull’ultimo lembo di stoffa che riusciva a malapena a coprirla.
«Smettila!» Riprese Tarble, «smettila, smettila!» E si gettò contro Vegeta a pugni tesi, in lacrime: non ce la faceva proprio più a combattere, era stanco ed era stanco di vedere il fratello così nervoso e di vedere Lazzuli maltrattata e maltrattarsi, sempre più scontrosa ma, soprattutto, era stanco di essere un peso. Non aveva avuto modo di conoscere Vegeta per bene, oltre le fugaci visite alla clinica e gli riusciva difficile decifrare i suoi modi, ma era colpa sua se stava perdendo giorni di scuola, se aveva smesso di nuotare, se dormiva poco per reggere il passo con lo studio e, allo stesso tempo, era anche colpa di Vegeta stesso che non riusciva a vincere le proprie noie per trovare equilibrio e serenità.
Tuttavia, la sopportazione di Vegeta si era completamente lacerata. Era stufo di quello stupido impertinente e dei suoi piagnistei. E aveva in bocca il sapore del sangue, perché Turble l’aveva colpito alla guancia, ferendogliela internamente con l’apparecchio. «Ma che cazzo!» Si liberò della sua rabbia, e scaraventò il bambino fuori dalla stanza, sbattendo la porta. Si rivolse a Diciotto, «Rivestiti, altrimenti te la spacco.»
Il breve silenzio tra l’avvertimento di Vegeta e la risposta di Diciotto, venne sconquassato dallo sbattere di un’altra porta, un tramestio, e poi un’altra porta ancora: il portone di casa; Turble era fuggito.

 

E Vegeta corse via, trasportato dal vento di una decisione fugace, inutile, sciocca. E l’idiota vestito da cowboy gli era già alle calcagna, più abituato di lui a correre tre le dune del deserto, nonostante gli speroni, che scintillavano al sole. Lui, invece, affondava nella sabbia come se fosse mobile, arrancava, sotto i raggi cocenti di una giornata che avrebbe segnato l’ennesima svolta nella sua vita e l’avrebbe ricordata per sempre, in ogni suo piccolo particolare onirico. Come le caviglie all’improvviso bloccate insieme, annodate da una fune con pesi alle estremità, delle bolas che lo costrinsero a rotolare sulla sabbia bollente. Sputacchiando granelli, strizzando gli occhi accecati dal riverbero, tentava di liberarsi quando due ben noti stivaloni a punta riempirono il suo ridotto campo visivo, e dovette arrendersi ad una pistola puntagli contro. «Sono Jaco Teirimentenpibosshi, membro della P.G.S.CADASS.ILL, nientemeno che la Pattuglia governativa speciale contro le armi d’assalto illegali. Non ti sorprende di avere avuto questo privilegio?» Si presentò l’ometto dal volto coperto da un cappellaccio a falde larghe.
«Di che diamine parli?» Chiese Vegeta, molto più preoccupato del mirino a laser che ora punteggiava contro il suo petto, piuttosto che della misera pistoletta in mano a quel gringo bislacco. Avrebbe dovuto capirlo subito che il suo abbigliamento era troppo sospetto! Peccato che il senno del poi arrivi sempre in ritardo.
Sollevò col pollice il bordo sudaticcio del cappello, unico segno del caldo che stava sopportando con incredibile stoicità. «No dico, non ti sorprende e allo stesso tempo inorgoglisce che proprio io, il migliore agente che la Pattuglia governativa speciale contro le armi d’assalto illegali abbia mai avuto, sia stato scomodato per scovare la tua intricata tratta mercantile? Per la prima volta, grazie a me, siamo riusciti a coglierti sul fatto!»
«Quelle armi non sono nella lista del protocollo internazionale, posso venderle a chi mi pare.» Rispose Vegeta, colpito dall’ometto di età indefinita che lo fronteggiava. Cercava di mantenere la calma, conscio che qualsiasi movimento falso gli sarebbe valso la vita.
«Allora perché sei scappato via, se credevi di essere nel giusto?» Fu l’ovvia risposta di Jaco, che con un controllo sovrumano della situazione, pareva nel bel mezzo di una normale conversazione.
«Perché hai iniziato a fare troppe domande.»
«Oh…» Jaco si grattò la testa. «Quindi credi che non saresti scappato se non ci fossero state tante domande ad insospettirti? Insomma, avrei potuto essere soltanto un compratore molto esigente. Ma in fin dei conti non mi è dispiaciuto questo inseguimento, con questo sole che taglia l’orizzonte, è stata una scena da film americano, anche se rivedrei il modo in cui sei caduto a terra, di lato. Magari frontalmente, faccia alla sabbia, avrebbe aggiunto quel tocco di comicità occidentale che non guasta mai.»
Le parole di Jaco, unico fiume nel deserto, si susseguivano rapidamente, montando a Vegeta un gran mal di testa. E perché diavolo quel tizio si era vestito da cowboy?
Mentre, incapace di accattare la sconfitta per mano di un imbecille, iniziava a chiedersi se quanto stesse accadendo fosse vero o frutto di una severa insolazione, quattro membri del Fiocco Rosso arrivarono a far da ombra al folle del far-west e sollevarono Vegeta per le braccia.
«Aspettate, ragazzi, aspettate un attimo!» Li richiamò il pattugliatore speciale, prendendo il cellulare dalla tasca del marsupio a frange. Vegeta già si dimenava e tirava calci per scappare, perché sapeva che, accerchiato da così tante persone, il cecchino che lo teneva sotto tiro non avrebbe rischiato a colpirlo in quel momento. Avventato nelle sue decisioni, con il raziocinio accecato dallo smacco subito, non pensava che, se anche fosse riuscito a liberarsi dalla presa, il tiratore lo avrebbe comunque colpito in seguito. Tuttavia, serbava la speranza di servire a loro vivo e non morto.
«Dite che c’è il tempo per una foto ricordo?» Blaterò Jaco, e fu l’ultima cosa che Vegeta riuscì a sentire, prima di essere tramortito da un colpo in testa.

 

 

Broth Street quella sera era tinteggiata dalle luci della città in festa. Striscioni colorati serpeggiavano sulle pareti dei palazzi e palloncini rossi, con su disegnata la facciona del nuovo sindaco, volteggiavano qua e là dalle mani dei bimbini. Una calma piena di giubilo, destinata a infrangersi in un tuffo nel canale dall’acqua nero pece.
«Aiuto, qualcuno si è buttato nel canale!» Gridarono alcune voci, e la folla già ondeggiava curiosa verso il punto indicato, in cui quel qualcuno nuotava come un forsennato nella melma gelida.
Un pezzetto di stoffa, una camicia bianca, galleggiava rigonfio sulla superficie scura e frastagliata dalle bracciate di Vegeta. Il quale a tratti risaliva, a tratti si immergeva per cercare il corpo di chi sperava di trovare. Un tentativo davvero molto vano; tuttavia, risaliva e si immergeva e risaliva ancora, maledicendo le esortazioni della gente, prendendo sempre meno fiato di quanto ne avesse bisogno, finché non gli fu finalmente chiaro che Tarble non sarebbe stato trovato.
Stringendo la camicia, nuotò fino al bordo; scansò l’aiuto di quanti glielo offrivano, e si sollevò sulla strada, riemergendo dalle emozioni contrastanti che gli smuovevano il cuore. Non c’era tristezza sul suo volto bagnato, ma l’amarezza di aver infranto la promessa di proteggere il fratello, e il sollievo di averlo perso per sempre?
«Cosa t’è saltato in mente? Volevi ammazzarti, forse?» Irruppe Diciotto col fiatone, spintonando i presenti; indossava un vestito leggero senza biancheria, per la fretta di dover correre fuori casa. Le gote erano arrossate.
Vegeta le gettò addosso la camicia zuppa. «Quell’imbecille si è buttato in acqua!» La informò, e scorse dei poliziotti venirgli incontro.
«Allora perché questa bravata? Proprio oggi, duranti i festeggiamenti del nuovo sindaco.» Lo interrogarono.
«Turble, credo sia caduto in acqua. Non sono riuscito a trovarlo.»
«Accidenti! Non voglio saperne nulla, di questa storia!» Sbottò Diciotto, accalorandosi, non tanto perché le importasse di Turble, quanto perché non voleva essere coinvolta in altri problemi. «È tutta colpa tua, Vegeta, non avresti dovuto parlargli in quel modo!» «E sta’ zitta allora, chi ti ha chiesto niente?» Ruggì Vegeta, ma non chiedeva alla polizia di salvare il fratello né di cercarlo. Le labbra, intanto, erano diventate violacee per il freddo che grazie all’adrenalina non sentiva. Riprese ad accusare Diciotto, con frasi sconnesse, e quella si difendeva, arrabbiandosi di più e la polizia cercava di capire cosa fosse accaduto, chi dovessero cercare e perché.
«È scappato per colpa tua!» L’accusò infine. «Se invece di fare l’indisponente come tuo solito, ti fossi limitata a stare zitta, non avrei alzato la voce e lui non si sarebbe spaventato!»
«Beh ovviamente è colpa mia! Chi l’ha scacciato, eh? Non io!»
Sopraggiunsero i paramedici, scortati dalle sirene dell’ambulanza, diedero una coperta a Vegeta, e invitarono lui e Diciotto a calmarsi, che avrebbero cercato presto il loro cane. «È mio fratello!» Esclamò, esasperato, Vegeta. «Ho perso mio fratello.» Ripeté subito dopo, stavolta, atono. Credendolo sotto shock, i paramedici gli controllarono le pupille, gli sistemarono addosso la coperta che continuava a togliersi “assicurava di sentirsi assolutamente bene”, a discapito del viso pallido e delle labbra viola. Lo accerchiavano, come sarti intenti a cucire un abito ad un cliente irrequieto. E lui ribadiva di stare bene, e Diciotto gli sputava addosso mille improperi e lui le rispondeva, accusandola ora senza rabbia, ora con solerzia.
La confusione durò fino al momento in cui qualcun altro non fece la propria apparizione. Il signor Freezer, vestito di bianco, incedette rabbioso verso il proprio protetto, «Vegeta.»

Continua…

 

 

 

 

Ringrazio tutti di essere arrivati a leggere fin qui, spero questo piccolo spin-off sia stato di vostro gradimento. E mi scuso anche per il ritardo, ma in questo periodo sono davvero impegnatissima, cercherò comunque di postare il prossimo capitolo appena possibile! :)

 
PS: una menzione speciale per Died, che mi ha suggerito il cowboy per Jaco!

 

   
 
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