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Autore: cartacciabianca    02/02/2009    3 recensioni
[…] I due assassini si issarono sui bastioni della fortezza e furono a portata degli arcieri. -Via, via, via!- Altair l’afferrò per il cappuccio e la trascinò di corsa verso l’angolo della fortezza, che culminava con una torre, la quale facciata dava sull’immenso piazzale del distretto nobiliare. -Salta!- Altair la spinse giù e i due assassini, accompagnati dal ruggito di un’aquila, si gettarono nel vuoto. Nel bel mezzo del volo Altair la strinse a sé, ed Elena si avvinghiò a lui che, capovolgendosi in aria, atterrò di schiena nel cesto. Poi fu il silenzio, scortato dal canto delle campane d’allarme, ma almeno le voci dei soldati e le grida degli arcieri erano cessate. […]
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dea tra gli Angeli' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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I Falchi della Paura

-Avrei voluto dirle qualcosa, ma quando l’ho incontrata al mercato è arrivata Adha dal nulla e mi ha scacciata via!- sbottò una delle donne.
-Non dirlo a me, quella poveretta mi fa così pena. E pensare che avrebbe potuto impedirlo- rispose un’altra.
-Come? Insomma, nessuno sapeva che Asaf avrebbe fatto quella fine-.
Elena mangiava composta col suo piatto davanti. La sala mensa era avvolta dalla penombra del sole che doveva ancora sorgere. Ai tavoli attorno c’erano come lei le altre donne destinate alle pulizie, che banchettavano la colazione ognuna col suo piccolo gruppo compatto.
Elena ascoltava interessata parola dopo parola la conversazione di alcune ragazze sedute poco distanti da lei.
-Infatti, ma quando Tharidl gli propose l’incarico, Asaf non accettò. Fu Minha ad insistere che andasse, da vera stolta. Asaf era capace, certo, ma fino ad un certo punto. Minha voleva solo che il suo fidanzato acquistasse fama! È questa la verità, e ora è mangiata dal senso di colpa- fece sdegnata una donna più vecchia delle altre che la circondavano. –Se fosse stata zitta, ora starebbero a farlo dietro quella colonna!- aggiunse.
-Piantala- le disse un’altra, ma non riuscì a trattenere un risolino. –Perché non provi a pensare che forse non potesse prevedere che il corpo di Asaf tornasse senza vita? È distrutta, e noi siamo qui a spettegolare di lei mentre passa le giornate a piangere e a combinare guai-.
-Di che guai stai parlando?- domandò maliziosa una ragazza.
L’altra tacque alcuni istanti. –Diciamo che la notte scorsa l’ho sorpresa lasciare gli alloggi dei novizi, mentre sbattevo i tappeti-.
-Nooo! Non ci credo!- fece quella vecchia. –Ma com’è possibile?- scoppiò sarcastica. –Se è così, allora se lo merita. Minha è solo una gran “donna da lenzuola”!- rise.
Elena lasciò di colpo il cucchiaio, che le cadde nella ciotola di latte e il tonfo rimbombò per tutta la stanza. E così, pensò la ragazza, Minha era innamorata dell’assassino che aveva perso la vita a Gerusalemme. Per nascondere il dolore, qualcosa dentro di lei l’aveva spinta a legare superficialmente con altri assassini, e quindi a svendere il suo bel corpo.
Elena non poté crederci.
-E tu- riprese la vecchia. –avresti voluto parlarle?- chiese ad una delle ragazze del gruppo.
-Sì. Una volta mi ha raccontato qualcosa di lei, ma davvero poco. Forse avrei potuto consolarla, e Adha avrebbe meno anime sulla coscienza…-.
A quel punto Elena si sentì osservata, guardata da occhi pettegoli. Le s’irrigidirono le spalle, e un brivido le percorse la schiena.
-Ehi, guarda guarda chi arriva- sogghignò una donna voltandosi, e tutte le ragazze della sala si volsero ad ammirare l’uomo che si muoveva nell’ombra della mensa. –Il buono della situazione…- aggiunse a denti stretti sorridendo.
L’ignoto nascosto sotto il cappuccio camminava composto ed eretto. La sua figura si stagliava imponente anche da lontano, e soprattutto attraente per tutte le belle fanciulle che popolavano i dintorni, che non riuscivano a staccargli gli occhi di dosso.
Altair avanzò verso il tavolo quale era seduta Elena che si alzò spostando con rumore lo sgabello.
 –Maestro- le uscì di bocca in un sussurrò e s’inchinò.
L’assassino alzò il mento. –Come mai Adha non ti ha informato degli allenamenti? Ti sei dimenticata forse che sei mia allieva?!- la sgridò.
Elena sobbalzò, la sua voce rimbalzava da una parete all’altra ed era schiacciante oltre che umiliante. –Vi chiedo perdono, Maestro, ma non sono stata informata di nulla- rispose ingoiando. Le mani cominciarono a sudarle, e le guance ad infiammarsi mentre spostava lo sguardo a terra, sui suoi piedi e quelli di Altair a pochi passi.
-Questo mi turba a dir poco, ma non è tardi per rimediare- disse Altair squadrandola. –Avanti, andate a cambiarvi, sarò ad attendervi nel cortile-.
Elena annuì e lo contemplò dirigersi verso il buio del corridoio.
Un orribile silenzio calò nella sala mensa.
Elena non rimase lì impalata oltre, e corse sulle scale, senza neppure portare il suo piatto in cucina. Raggiunse la sua stanza, ma quando varcò la soglia trovò Adha ad attenderla con in grembo la sua divisa da assassina.
La donna le sorrise porgendole l’abito.
Elena notò con stupore che Adha vi aveva apportato delle modifiche. Per esempio, c’era una scollatura profonda all’attaccatura del cappuccio sul petto, e quando la ragazza indossò il tutto, sentì freddo anche alla schiena.
-Come mai…- cominciò guardandosi allo specchio.
Adha non aveva proferito parola per tutto il tempo, era rimasta a guardarla senza aggiungere o commentare alcunché. Era seduta sul letto e stava a guardare come Elena assumeva espressioni sempre più contorte. –Insomma, questo non è il vestito che ho provato l’ultima volta, io non capisco- borbottò.
Adha si alzò sospirando e la prese per le spalle, fermandola di fronte allo specchio.
Il volto della donna era calmo, troppo quieto. –quella che ti ho fatto provare ieri era una tunica da assassino, si adattava meglio al tuo corpo solo perché era una delle taglie più piccole che sonoro riuscita a trovare. Perdonami di non avertela mostrata prima, ma questa che indossi ora è la vera essenza di una Dea- sussurrò.
Elena si voltò di scatto spaventata. –Non voglio girare per la fortezza con questi vestiti. Sono così, così… osceni! Adha, non mi sento a mio agio, non riesco- disse cupa.
Adha le mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio. –Elena, c’è una grave differenza tra un assassino e un’assassina che qui intendiamo bene sottolineare. Non diffidare delle nostre tradizioni, indossa queste vesti per i tuoi allenamenti con Altair, e vedrai che presto saranno parte di te-.
Adha le accarezzò la guancia premurosa come una madre, poi lasciò la stanza.
Elena si morse un labbro. E se il mestiere di un’assassina non fosse quello che davvero credeva? Se dietro la maschera di omicidi con l’uso di coltelli e lame nascoste ci fosse qualcosa che Adha non le voleva dire per paura che si tirasse indietro solo agli inizi? E se fosse più pericoloso, rischioso di quanto non lo era già uccidere di per sé?
Elena si ammirò per nulla convinta. Con il petto così scoperto fino alla prima sfaccettatura del seno si sentiva d’indossare gli abiti di Minha, anzi, dopo quello che aveva saputo, si sentiva quello che era davvero Minha.
Nutriva dei rancori con alcuni degli assassini, che si chiese come avrebbero reagito vedendola così. Cosa avrebbe pensato di lei Marhim, o Lily? O Altair, il suo maestro. Poteva combattere, impugnare una spada abbigliata come una, una… una!
Infilò gli stivali e li allacciò per bene. Quando ebbe finito di stringersi anche la cintura alla vita, si affacciò alle vetrate del salotto.
Il sole sorgeva, rischiarava la valle e illuminava di nuova luce il mondo. Gli uccelli gioivano, le colombe svolazzavano e i mercati riacquistavano il loro vigore mattutino, che andava avanti fino a sera. Il cielo, di un azzurro innaturale, era macchiato da poche e benevoli nuvole che proiettavano le loro ombre sulle colline lontane.
Elena si sporse ulteriormente dalla facciata e lanciò un’occhiata di sotto, dove poteva vedere con chiarezza che il cortile interno era desolato, pattugliato dalle solite guardie mentre gli arcieri notturni sulle mura facevano a cambio con quelli giornalieri.
Un puntino indistinto, bianco e isolato l’attendeva al centro dell’arena per l’allenamento, ed Elena sapeva si trattasse di Altair.
L’assassino era riconoscibile anche da quella distanza, solitario e raggiante di rancore.
Elena chiuse le finestre e si avviò giù per le scale.
Raggiunse il piano terra e passò per il giardino, quando si sentì chiamare alle spalle. –Elena! Elena, fermati!-.
Si voltò, e Marhim le fu a pochi passi.
–Ciao- disse lei arrossendo.
Sperava che nessuno che conosceva la vedesse in quello stato, ma Marhim era Marhim…
-Prima di tutto, buongiorno. Hai dormito bene?-.
Elena rise per la domanda d’introduzione. –Sì, grazie. E tu?-.
-Eh, non c’è male. Passiamo al sodo- lui si fece serio. –Cos’è questa roba?- lui indicò il suo “buffo” vestito.
Elena curvò le spalle. –Non voglio parlarne- digrignò.
-Interessante, ma hai intenzione di andare in giro così? È Adha che ti ha dato questo?- domandò ancora sbigottito.
Elena annuì. –No, guarda, volevo vestirmi così da attirare su di me un po’ di gente!- alzò le braccia al cielo. –Ora scusa, ma devo andare- bisbigliò sorpassandolo.
-Lo so, nel senso so che hai gli allenamenti con il tuo nuovo Maestro- Marhim pareva afflitto, perché il suo tono di voce era basso tanto quanto il suo sguardo.
Elena camminò dritta verso il cortile e Marhim le venne dietro.
Altair era al centro della recinzione e fendeva l’aria con precisi affondi di spada. In mano teneva una lama che non era la sua, che invece portava bella dentro il fodero allacciato di fianco. Il suo Maestro stava usando una seconda arma che forse era destinata a lei, si disse Elena.
I due giovani si fermarono vicino alla staccionata e rimasero a guardare Altair che colpiva il vuoto con gli occhi chiusi, come nella meditazione.
-Spero che tu impari molto da lui- le mormorò Marhim all’orecchio. –Mio fratello l’ha preso male il fatto che tu gli abbia soffiato l’insegnante-.
Elena non ci aveva pensato.
Quando Tharidl aveva scelto Altair come suo Maestro, aveva privato Halef e molti altri assassini del migliore da cui apprendere. Si disse che parecchi novizi si sarebbero presto vendicati, in un modo o nell’altro.
Elena già si odiava abbastanza per avere su di lei gli occhi delle guardie di pattuglia, e ora anche Marhim aveva lanciato un’occhiata sfuggente al suo decolté.
Improvvisamente, Altair aveva arrestato il colpo tenendo la lama in alto, tesa come fosse un prolungamento del suo braccio. Aveva aperto gli occhi d’un tratto e la fissava.
Elena lo guardò mentre gesticolava col manico della spada, facendola piroettare come fa un equilibrista coi birilli.
Altair era senza guanti quella mattina, e non indossava gran parte del suo equipaggiamento. Vestiva nel modo più semplice che Elena gli avesse mai visto addosso, e ne fu sorpresa.
Non aveva mai avuto modo di cogliere la normalità in nessuno dei membri della setta, invece Altair, l’Angelo della Morte più letale tra tutti, si era concesso di abbondare solo per quella volta i costumi della Confraternita.
Elena pensò che poteva solo essere un aspetto dannatamente positivo. Il suo Maestro, ma anche l’uomo che aveva sconfitto a duello, abbigliato in quel modo le sembrava un comune ragazzo che voleva insegnarle qualche vecchio trucco. Si disse però che dargli troppa confidenza sarebbe stato rischioso e…
Marhim interruppe il filo dei suoi pensieri spingendola verso l’arena. –Avanti, è mezz’ora che ti aspetta, muoviti!- rise.
Elena scavalcò la staccionata e si avvicinò all’uomo. Proferì un inchino lieve con il capo rimanendo il più possibile padrona di se stessa e del suo cuore, che batteva all’impazzata.
E se l’avesse battuto di nuovo?
-Prendi- Altair le porse la spada con cui si stava riscaldando.
Elena ne afferrò saldamente l’impugnatura e notò che era leggera e piuttosto corta per rientrare nel termine “spada”. Era rozza, certo, poco decorata, ma pur sempre ben levigata, splendente e già parte di lei.
Altair sorrise sotto il cappuccio vedendola così gioiosa. –Sono certo che ti piacerà, ma sappi che non è l’arma che fa l’assassino- disse girandole attorno. –O l’assassina- si corresse poi.
-Maestro, non per indugiare sul passato che resterà sempre il passato- disse Elena senza staccare lo sguardo dalla spada. –Ma se vi ho battuto a duello come mai sono qui oggi?- chiese maliziosa, ma ben intenzionata.
L’assassino colse svelto il senso delle sue parole. –Sapevo che avresti fatto questa domanda, se non a me te la saresti posta diverse volte. Ebbene- Altair si fermò. – Il tuo stile di difesa è rozzo e antico, tendi a muoverti sugli stessi passi, ma sono stati il tuo intuito d’improvvisazione e l’agilità che ti ha donato tuo padre a permetterti la vittoria. I tuoi difetti sono più di quelli che immagini o credevi di conoscere, Elena. Stai sempre pronta, sempre…-.
Le poche occasioni in cui Altair la chiamava per nome la infastidivano, lasciandola smarrita. La sua voce, il suo tono, i suoi atteggiamenti. Tutto in quell’uomo le metteva paura, ma dalla parte opposta sentiva di appartenervi, vi si riconosceva in molti aspetti.
-Elena, mi stai sentendo?- Altair schioccò le dita, e la ragazza si riprese dal fissarlo senza sguardo.
-Sì, scusate- mugolò.
L’assassino aggrottò le sopracciglia. –Bene… prima di cominciare vorrei che tu rispondessi alla mia domanda. Perché sei qui, Elena?-.
La ragazza sobbalzò. Che buffa domanda, pensò guardando il suo maestro. –In che senso, io…-.
-Rispondi, so che ne sei in grado- l’anticipò lui.
Elena non sapeva se stesse sorridendo o se Altair tenesse la solita espressione appesa e estranea tipica di chi ha visto troppi occhi spegnersi davanti ai suoi. Altair andava a camminarle in circolo, anche alle spalle.
-Mio padre, mi fido lui, ho obbedito alle sue parole, tutto qui-.
-Hai avuto l’opportunità di scegliere da quale parte stare, quando la tua gamba è guarita avresti potuto chiedere un cavallo e fuggire. Per te questa gente è estranea e lo sarà sempre, cosa ci fai ancora qui? È questo che voglio sapere…-.
Elena guardò verso Marhim, che assisteva senza proferire parola. Lo vide anche lui sperduto dall’atteggiamento insolito di Altair, e delle sue domande insolite.
-Qui ho trovato la salvezza, due Angeli mi ci hanno portata affinché avessi altri giorni davanti a me. Ed è qui che ho già deciso di restare- disse convinta lei.
Altair annuì estraendo la spada. –Salvezza, la chiami tu? E dimmi, quanti uomini hai “salvato” nella tua fuga da Acri?- la incalzò.
Elena strinse più forte la sua arma. –un paio-.
-Ricordi i loro volti, Elena? Sai almeno quanti di loro avevano una casa, una moglie e un figlio? Sai per certo anche questo?- Altair era tranquillo. La sua voce soave e melodiosa colpiva dritta alle sue orecchie, ed Elena non poteva fare a meno di ascoltarlo, senza distrarsi.
Ma le sue parole le avevano fatto balzare in mente uno per uno i volti dei soldati cui aveva tolto la vita quella piovosa notte ad Acri. Con un po’ d’immaginazione poteva vedere la spada che stringeva nella mano destra tingersi di sangue, e sentire i vestiti bagnarsi come se la stessero prendendo a secchiate. La sua mente la riportò a quella gelida notte…
Ma dove veramente Altair voleva arrivare con quelle domande? Voleva intimorirla, metterle paura, farla scappare in lacrime così da umiliarla? Certo, voleva riscattare la sua sconfitta vendicandosi in quel modo su di lei!
-Sai cosa più ci rende unici?- disse l’assassino dopo un po’.
Elena scosse la testa, sia per rispondere alla sua domanda sia per scacciare i fantasmi dalla mente.
Altair la guardò e gli balenarono gli occhi. –Siamo coloro che di fronte alla morte sappiamo guardala, assecondarla, e darci per vinti. Siamo coloro che non temono di uccidere perché siamo stati i primi a morire. Chi si accascia tra le nostre braccia ci merita abbastanza perché ha peccato più di tutti noi messi assieme, ed oggi, Elena, mi è stata affidato l’incarico che meno desideravo tra tutti. Ciò nonostante, prego per te che tu non abbia ascoltato una parola di quello che ho detto!-.
-Cosa?!- Elena spalancò gli occhi il tempo sufficiente per vedere la lama del suo maestro cozzare contro la sua.
La ragazza cadde di schiena, e la spada le corse dalla mano, scivolando fino ai piedi dell’Angelo.
Altair si chinò a raccoglierla. – Perché quando ti ho chiesto se stavi ascoltando mi hai risposto “si, scusate”, se invece non era affatto così?-.
Elena perdeva il filo del discorso mentre si alzava a fatica.
-Non vi capisco, Maestro- strinse i denti quando la sua schiena cricchiò.
Altair cambiò discorso in fretta.- Cos’è che ti disse tuo padre sulla difesa?- le chiese passando una mano sulla lama.
Elena lo capiva. Dentro il suo maestro si muovevano le correnti impetuose della rabbia. Nell’animo dell’assassino che aveva di fronte si stava combattendo una dura battaglia tra l’autocontrollo e la voglia di tagliarle la testa.
-Nulla, a parte il fatto che è utile per non farsi tagliare la testa quando si è in svantaggio- rispose.
-Qui, ragazza, sbagli. Non devi proteggerti solo quando non sei in grado di attaccare, ma soprattutto quando sei sicura di poter colpire il tuo avversario. Prima di impartirti altre lezioni, però, vorrei che tu mi mostrassi a pieno come e cosa hai imparato con Kalel-.
Altair si mise in posizione, la schiena dritta e le ginocchia piegate.
Elena prese un gran respiro e provò con un affondo troppo, ma troppo debole.
L’assassino riuscì a fermare la sua spada stringendola in pugno, ed Elena, sbigottita, tornò indietro lasciandogliela.
-Posso sapere che ti prende? C’era qualcun altro al posto tuo che mi combatteva quella volta?- sbottò Altair.
Elena si riscosse e riafferrò l’arma quando lui gliela porse. –Avanti! Colpiscimi, se riesci- rise.

Fu uno scontro lungo e straziante.
Altair aveva passato la gran parte del tempo a studiarla di vista, a contare i suoi passi e a misurare la forza che aveva nelle braccia mentre “tentava” di colpirlo.
Elena aveva sentito il fiato mancarle, e il suono delle lame che sbattevano l’una sull’altra le aveva dato alla testa, facendogliela pulsare.
Alla fine cedette: mollò la presa sull’elsa e la spada volò in aria.
Lei cadde in avanti, distrutta. I pugni chiusi a terra, e i capelli le coprirono il viso in modo disordinato.
Potevano essere trascorse ore o minuti, a lei importava solo che quella tortura fosse finita. Avvertì il primo crampo al braccio destro, e strinse i denti.
Altair afferrò la spada della ragazza poco prima che toccasse il suolo. –Non è andata male- le disse porgendole la mano.
Elena lo guardò dal basso e si aggrappò a lui che la tirò su senza fatica. –Dobbiamo lavorare sulla resistenza, ma anche sulla tecnica. Ho notato che metti avanti il piede destro quando attacchi. Se vuoi possiamo riprovare, così magari provi con quello sinistro, che ne dici?- le chiese.
Altair si stanziò ancora, tornando al bordo dell’arena.
Elena si voltò a guardare Marhim, che le sorrideva sempre presente.
-Io… io posso provare- disse la ragazza passandosi una mano tra i capelli.
-Ottimo- Altair le lanciò la spada ed Elena la prese debolmente.
L’assassino se n’accorse. –Sei sicura?-.
Lei annuì, e ricominciarono da capo.
Ripeté tutte le mosse, tutte le possibili inclinazioni della lama, ma cosa più importante, mise avanti il piede sinistro. Le veniva tutto più comodo, ma anche più faticoso: doveva concentrarsi e abituarsi a tenere la posizione corretta, ma anche ricordarsi di tenere la spada. Quando dava peso ad un’azione, si dimenticava quella precedente, così spesso fu costretta a fermarsi perché inciampava o indietreggiava.
Quando involontariamente Elena portava avanti la gamba destra, Altair la puniva colpendola alla spalla o al fianco con l’impugnatura della sua spada. I suoi movimenti erano così veloci, che Elena non si accorgeva neppure di come facesse a guardare i suoi piedi.
-Stai dritta!- di fatti Elena stava piuttosto curva quando combatteva, e ancora di più in attacco. –Su le braccia, alza quella spada! Il tuo nemico ha un cuore, mira lì, non alle gambe!- aggiunse.
Elena a malapena stava in piedi, a mala pena aveva il controllo sulla spada. Si chiese come avrebbe potuto tenere ancora più in alto le braccia, se pochi istanti dopo Altair le disse anche: -In basso i gomiti, o il tuo avversario va a colpo sicuro sui fianchi!-.
Sicuramente Altair le stava dando quelle dritte perché presto avrebbe cominciato lui ad attaccarla, e sarebbe stata lei a doverlo contrastare, gettarlo lontano, divincolarsene.
Era solo il primo di una lunga serie di allenamenti, ma Elena si sentiva forte mai come prima. Combattere con chi sapeva avesse molto da insegnarle le infondeva nuovo vigore, e l’assassino che aveva davanti prevedeva ogni sua insicurezza e gliela schiaffava in faccia senza ritegno.
Senza preavviso, Altair l’attaccò ed Elena schivò di lato con un saltello.
-Bene, bene!- Altair tentò di colpirla ancora, e ancora, e sembrava apprezzare come la ragazza riusciva a chinarsi nel giusto tempismo e ad adattarsi ai movimenti del suo avversario. Se c’era qualcosa di dannatamente positivo nel suo fisico, era la sua scioltezza, i suoi riflessi involontari e la sua agilità con la schiena, il collo e le spalle.
Quando schivava, Elena sentiva il fruscio della lama che sprofondava nell’aria a pochi centimetri dai suoi capelli.
Qualche ora si costrinse a pensare che fosse sul serio trascorsa.
Il cortile interno andava a popolarsi alla svelta, il sole si arrampicava sopra i tetti della fortezza indicando quasi il mezzogiorno.
Ogni qual volta il suo Maestro la rimproverava, Elena dava il meglio e nel tentativo successivo riusciva per certo. Al contrario, se troppo lusingata, si perdeva facilmente e rischiava che la lama del suo Angelo le tagliasse la veste nuova. Fortunatamente Altair aveva tale controllo sulle sue azioni, che spesso riusciva ad ingannarla con delle finte imprevedibili.
La folla si stava radunando attorno alla recinzione, assieme ad un gruppo di assassini divisi per rango che stavano a guardare in silenzio.


Qualche giorno dopo…


Altair era seduto sul cornicione di una finestra.
Fuori il panorama era spettacolare, come solo la vista dalla stanza di Adha poteva mostrare. L’alba si specchiava sulle coste rocciose del lago, prostrando i suoi raggi arancio e dipingendo magnifici giochi di luce coi vetri della camera. I colori dei tappeti prendevano nuove tonalità ad ogni ora differente della giornata, e quella del crepuscolo era la sua favorita.
Masyaf si acquietava, i colombi si accovacciavano nei nidi e sui tetti pronti per la notte, e per la fortezza si aggirava il silenzio, la vera e propria tranquillità.
Altair roteava tra le dita una moneta d’argento fissando l’orizzonte.
Quella mattina si era abbigliato come faceva rare volte; indossava le vesti comuni che metteva nei suoi giorni di riposo: erano una tunica che gli arrivava alle ginocchia stretta in vita da della stoffa color porpora. Il cappuccio a nascondergli il volto e le mani senza guanti.
I suoi pensieri erano agitati, troppo si disse. La sua mente doveva restare lucida, ma gli ultimi avvenimenti l’avevano annebbiata, costringendolo a prendersi una pausa, lontano da tutto e da tutti.
Le voci che giravano sul fatto che passasse molto tempo nelle stanze di Adha erano vere. Altair amava quella donna e la sua stanza, nella quale si rifugiava ogni qual volta avesse bisogno di pensare. Era il suo nascondiglio, che ultimamente non era poi tanto segreto.
Pezzo per pezzo, la sua pelle veniva dilaniata dalla bestia che era il peso della responsabilità. Una Dea, pensò…
Mai gli era stato concesso onore più grande, e se Tharidl aveva scelto lui, Altair non l’avrebbe deluso. Elena faceva progressi, Altair le insegnava nel modo più semplice possibile, slattando da un capitolo all’altro del suo ordine mentale senza seguire nessuna tabella di marcia o costrizione. La sua difesa s’irrobustiva, i suoi muscoli erano sempre più scattanti e tesi in qualsiasi momento. I suoi occhi avevano imparato a vedere le azioni dell’avversario e le sue gambe presto avrebbe potuto portarla dovunque volesse arrivare.
Altair aveva conosciuto di sfuggita le ultime assassine che popolarono la setta, ma chi non aveva mai sentito parlare del loro metodo? Col passare degli anni era nata una distinzione sempre più spessa tra la lama di una donna e quella di un uomo, con tecniche l’una più letale dell’altra. I Maestri che si erano successi, avevano appreso come sfruttare al meglio questa diversità per consentire la riuscita di una missione senza comprometterne le successive. Altair ricordava di aver sentito di alcuni assassini che lavoravano in coppia con delle Dee. Forse sarebbe stato il suo caso, pensò. D’altro canto, Elena era una buona uditrice, sempre attenta ai suoi consigli e pronta a metterli in atto al primo tentativo.
Sentiva che Elena poteva imparare con il minimo sforzo tutto quello che aveva da darle, e se il giorno in cui l’aveva battuto si sarebbe ripetuto, quel giorno avrebbe cancellato le memorie di quello precedente.
L’assassino scattò in piedi.
La porte della stanza si aprirono lentamente, e riconobbe la voce di Adha. –Perché non l’accompagni nella biblioteca. Potrebbe distrarsi dagli allenamenti. Stai pur tranquillo che Altair, in caso non sia d’accordo, se la vedrà con me- la donna parlava con qualcuno fuori dalla soglia.
-Sì, mia signora- disse Marhim, e anche se Altair non poteva vederlo, lo sentì allontanarsi nel corridoio.
Adha entrò nella stanza e rimase sorpresa di trovarlo là. -Altair- disse sorridendo.
-Da quando prendi iniziativa tu per la ragazza?- le chiese.
Adha fece un passo avanti. –L’allenamento di ieri l’ha distrutta, sia fisicamente che mentalmente. Ha bisogno di riposo, ma non voglio che dorma fino a tardi o che faccia le pulizie. La compagnia di Marhim le farà bene, sono lieta di notare quanto i due vadano d’accordo. Speravo tanto che Elena non avesse solo nemici…- sospirò.
-Già, la compagnia di Marhim- sorrise l’assassino in modo sospettoso. –E se…-.
Adha si voltò. –Smettila, mi fido di Elena e del suo buon senso. Tharidl è stato abbastanza chiaro sull’argomento di cuore, e lei non si farà condizionare da nessuno. Ha avuto modo di dimostrarmi che sa pensare con la propria testa, e posso stare tranquilla-. La donna fece una pausa, vedendolo distratto. –Qualcosa ti turba?- gli si avvicinò.
Altair guardò a terra socchiudendo gli occhi. –Cosa posso insegnarle ancora? Quella ragazza mi ha sconfitto a duello- fece affranto.
Adha gli poggiò una mano sul viso. –Nulla, lascia che sia lei a seguire te, non tu a doverle impartire ordini. Per una volta segui il tuoi istinto, perché con le donne ci sai fare, Altair- rise armoniosa.
L’uomo le strinse la mano nella sua, delicatamente. –D’un tratto ho paura che le possa accadere qualcosa, insomma- mormorò. – mi sembra così… piccola che potrebbe essere nostra figlia- rise di malo gusto.
Adha tacque un istante. –Se ti ha battuto in combattimento, perché non dovrebbe cavarsela con le guardie di Saladino, per fare un nome. Sai di che cosa è capace, lo sappiamo entrambi…-.
Altair aggrottò le sopracciglia. –Ebbene?- chiese stupito. – Tutti possono distrarsi, tutti possono inciampare nella corsa. Non so come darle la forza sufficiente per seguirmi, potrei…-
Adha annuì, comprendendo di cosa stesse parlando. –Se davvero sei in pena per lei, cerca di non lasciarla mai indietro. Sono certa che deve ancora acquistare forza nelle braccia e nelle gambe per arrampicarsi sui tetti come te, ed è giusto quello che il Maestro vuole che impari-.
Altair rimase in silenzio.
-Elena è una ragazza svelta con le parole, oltre che molto bella, ma non troppo da attirare su di sé l’attenzione. Se vuoi che raggiunga a pieno il primo rango, devi istruirla sulle basi dell’indagine-.
-Mi stai suggerendo- ridacchiò lui. –di cominciare con gli interrogatori, i borseggi? Le indagini sono tra le ultime delle mie “lezioni” per i novizi- brontolò.
-Non importa, e sai bene che fin ora non hai trovato qualcuno che potesse svolgerle per conto tuo- Adha incrociò le braccia divertita.
Altair allargò le labbra in un sorriso. –Lo ammetto, la ragazza potrebbe essermi utile. Oltremodo, mi terrà occupato, non ce la faccio più!- sbottò.
Adha si coprì la bocca con una mano, ridendo. – Non dimenticare però, che un giorno dovrai esserle accanto quando… e non sarà facile- si fece seria.
-È stato il mio primo pensiero- l’assassino curvò le spalle appoggiandosi alla balconata.
Adha gli venne al fianco. –Solo allora dovrà concentrarsi sulla sua vera natura- abbassò lo sguardo, e delle ciocche di capelli le caddero sulle guance. –Chissà come la prenderà-.
-Non è costretta a farlo- disse lui. –Elena può scegliere che tipo di missioni svolgere, non voglio che diventi come Vedova Nera!-.
-Non possiamo fare nulla, Altair!- Adha lo guardò con gli occhi arrossati. –Giusto, lei potrà scegliere, ma guardiamo in faccia la realtà. È un passo che hanno fatto tutte prima di lei, ed Elena sentirà il dovere di seguire sua madre e tutte le Dee- Adha alzò il mento guardando di lato.
Altair le prese il viso tra le mani. –Tu puoi mostrarle quanto sia rischioso e impuro. E so che lo farai- le disse sotto voce. –Questa setta non ha bisogno di quei servigi. Nessuna di quelle spudorate azioni è più dispensabile. Elena imparerà l’arte del omicidio come gli altri assassini. So che non le darai quelle lezioni, so che non le insegnerai…-
Adha scosse la testa. – Allora ti sbagli. Credo molto in quello che si cela nello spirito di una Dea, ed Elena, poiché ella rimane tutt’ora sotto la mia custodia, seguirà quella via-.
-Sai che non te lo lacerò fare- sorrise malizioso lui.
Adha ricambiò. –Lo so, ma non ho mai avuto abbastanza paura di te per temere i tuoi ricatti-.
Adha lo baciò, dolce, sulle labbra e Altair la lasciò fare come era già successo altre volte. Le strinse il collo con una mano, mentre con l’altra la teneva per la schiena.
E Adha si appoggiò al suo petto caldo.
Qualcuno bussò alla porta, e i due si staccarono all’istante.
-Scusa…- mormorò Adha andando verso l’ingresso.
Altair rimase immobile dov’era, spostando lo sguardo fuori dalla balconata.
Adha aprì e fece il suo ingresso nella stanza un assassino. –Mia signora, il Maestro vi chiama. Stanno portando il Frutto a Masyaf- disse l’uomo.
Altair si voltò, schiudendo gli occhi.
Adha gli lanciò un’occhiata simile, e l’uomo lasciò la stanza.
-Hai sentito?- domandò Altair andandole incontro. –Perché? Doveva restare a Gerusalemme! Non capisco- gridò.
La donna assentì. – Ti prego, non prendere conclusioni affrettare, Tharidl sa quello che fa. Dopo gli ultimi episodi a Gerusalemme, è meglio che il Tesoro sia tenuto qui- pronunciò seria.
-Assurdo, la città è piccola, non vi è luogo dove tenerlo! Si era deciso di non…-.
Adha gli saltò al collo, avvicinando la sua bocca all’orecchio di lui. –Un nostro fratello è morto per difendere la segretezza di dove lo tenevamo celato, ora è bene che il Potere torni al sicuro. A costo di mettere di nuovo a repentaglio la vita della nostra gente…- sussurrò soave.
L’assassino la spinse via, stringendola per i fianchi. – Non posso credere che tu l’abbia fatto. Sai bene che quello che vai dicendo è rischioso!-.
-Sono mesi che rischiamo imboscate e agguati. Ho fatto portare qui il Frutto perché venga discusso in sede definitiva a chi affidarlo e dove lasciarlo- rispose lei in un brusio.
-Sei una pazza- le disse in fine andando verso l’ingresso. –Non esistono mani per quell’oggetto, e portarlo qui è stato imprudente e azzardato. Non avresti dovuto, sento che qualcosa andrà storto…- uscì sbattendo la porta.

-Perché mi hai portata qui?- domandò Elena.
Marhim le camminava davanti. –Adha mi ha chiesto di farti riposare, ma anche di tenere la tua mente sempre allenata- rispose lui.
La biblioteca della fortezza era popolata come al solito. I saggi si spostavano da parte all’altra dei corridoi, sparivano ai piani superiori della stanza portando con sé volumi e pergamene.
-Ti ricordi quando ti portai qui la prima volta?- fece Marhim mentre si fermavano al centro della sala.
Sotto i loro piedi c’era un bellissimo ed enorme mosaico che rappresentava il simbolo della setta. Elena si guardò attorno. –Sì, e devo dire che non siamo mai arrivati così lontani- commentò.
In alto, sul soffitto si apriva un grande lucernario che mostrava il cielo azzurro e un unico compatto raggio di sole si gettava verso terra. –Questo posto è magnifico- aggiunse la ragazza accarezzando l’aria, osservando commossa il pulviscolo atmosferico che brillava come tante perline galleggianti.
-Lo so- Marhim le si avvicinò guardando in alto. –Ma torniamo a noi: c’è qualcosa da cui ti piacerebbe cominciare? Testimonianze, racconti, storia, geografia- le chiese.
Elena si stropicciò gli occhi ancora assonnati. –Ecco, veramente volevo chiederti una cosa-.
-Dimmi- lui, disponibile, attese sorridendo.
Elena si avviò verso uno dei tavoli e vi sedette. Marhim prese posto davanti a lei, aspettando. C’erano dei libri appoggiati ad un braccio da lei, e la ragazza si allungò ad afferrarne uno. Ne sfogliò le pagine.
Ad un tratto, Elena si schiarì la voce. –Mi hai detto che il Frutto dell’Eden è ora nelle mani della setta, ma, non per brutte intenzioni, dove si trova?- curvò la testa di lato.
Marhim alzò le spalle. –Mi spiace, non sono tenuto a saperlo, nessuno lo sa. Per certo posso dirti che il Frutto viene continuamente spostato da una città all’altra del Regno senza sosta. Serve per confondere i nostri nemici, ma anche per non far crescere l’avidità tra i nostri alleati. Da quando Al Mualim fu ucciso, vennero scelti due assassini meritevoli per portare questo peso. Come fantasmi, sostano da città a città senza alcun tragitto. Sono abili nel non farsi riconoscere, e persino alle nostre guardie sono sfuggevoli alla vista. Quando fermano in una Dimora, devono mostrare il Frutto al Capo Sede così da ricevere la tappa successiva…- le spiegò frettoloso.
-Questo coso…- borbottò Elena. –deve avere un certo valore. Cos’è che fa, precisamente?-.
-La specie umana è ancora troppo arretrata per godere del suo potere. Che pare sia immenso…- Marhim la guardava come se stesse sognando ad occhi aperti. Fissava un punto indistinto e rispondeva alle sue domande senza muovere un muscolo se non quello della bocca. –Mi chiedo come facciano i due assassini a non cadere preda delle sue promesse…-.
-Promesse?- Elena alzò le spalle.
Marhim si riscosse. –Ora basta, non mi piace parlarne…-.
-Non l’avevo capito!- rise lei. – è successo qualcosa?-.
-A causa di quella maledetta lampadina è successo fin troppo!- ringhiò il ragazzo. –Se Dio non l’avesse inventata, ora i soldati di Riccardo non sarebbero qui a combattere la loro stupida guerra, e Roberto non avrebbe decimato la nostra gente!-.
Elena pensò che Marhim doveva aver perso qualcuno di caro durante l’attacco di cui le aveva parlato. –Mi dispiace- tornò seria -ma so come ci si sente tra le mani degli altri ed essere l’ultima risorsa…- bisbigliò tra sé.
Marhim la guardò dolce e si alzò, sedendole subito accanto. –Forse dovremmo parlare di qualcos’altro. Per esempio, come vanno i tuoi allenamenti con Altair? Credi ancora che siano le peggiori torture di questo mondo?- domandò beffandosi.
Elena alzò lo sguardo e vide che i suoi occhi erano poco distanti da quelli di lei. –Ecco, ci sei andato vicino- ridacchiò.
-Qui c’è gente che pagherebbe oro per imparare da quell’assassino, e chi ne pagherebbe il doppio per avere avuto l’opportunità di vincerlo al primo incontro. Non mi dispiacerebbe se m’insegnassi qualcosa una volta finiti i tuoi addestramenti-.
Elena si strinse nelle spalle. –Io che insegno a te?Certo, va bene. In ogni caso continuo a pensare che sia stata davvero tutta fortuna, forse non era al massimo delle sue forze. Ho approfittato di lui, e mi dispiace così tanto- mormorò.
Marhim si avvicinò. –Scusa, ma cosa ti fa pensare che tu non abbia le capacità che invece dimostri?-.
- All’allenamento di ieri avrebbe potuto buttarmi a terra con il mignolo, dimostrava una forza che durante il nostro primo scontro non aveva. Te lo posso giurare, è stata fortuna. L’ho sconfitto per mera fortuna, quella volta-.
-Fa’ come credi, ma io continuerò a pensare che sei davvero brava- le sorrise.
Lei arrossì. –Ehi, grazie- le sue guance presero un colorito assurdo, e un brivido le percorse la schiena.
Improvvisamente alla ragazza parve che la sala si fosse spopolata sul momento. I saggi, gli assassini, non c’era più nessuno lì dentro, solo un mostruoso silenzio e un alone d’imbarazzo che l’avvolgeva.
-Marhim! Marhim!-.
Halef veniva di corsa verso di loro, voltando rapido tra gli scaffali di vecchi libri. Il ragazzo comparve di fronte ai due col fiatone. –Marhim, devi venire… presto!- si appoggiò alle ginocchia sfinito per la corsa.
Marhim scattò in piedi ed Elena con lui. –Fratello-.
Halef lo guardò con il volto sudato. –Non sai che corsa! I Falchi, fratello! Loro… stanno venendo qui!- sbottò esausto.
Marhim irrigidì i muscoli, e si voltò verso di Elena.
La ragazza taceva, confusa. –I chi?-.
-Parlavamo giusto di questo. I due assassini, noi li chiamiamo i Falchi, ma non è ufficiale. Avanti, andiamo-.
Marhim le fece strada e lei lo seguì correndo.
Halef, in fondo, ritardò qualche secondo per riprendere fiato. –Non aspettatemi… andate pure avanti!- piagnucolò.

Tutta la gente di Masyaf sembrava riunita nel cortile interno, dove guardie, saggi, assassini e popolani alimentavano il trambusto.
Marhim la prese per il polso e la trascinò con sé verso il piano di sopra.
-Ma che fai? La folla è tutta dall’altra parte!- le gridò Elena che lo seguiva correndo.
-Lo so, ma fidati!- le rispose. –Quando il tuo Maestro venne giustiziato, assistetti da lì, ed è lì che andremo! Non mi sorprenderà il fatto di trovarci qualcun altro!-.
Marhim la portò attraverso un corridoio che dava con delle grosse vetrate sul cortile, ed Elena vi lanciò un’occhiata. Le fu impossibile contare o approssimare quanta gente vi era riunita!
Marhim arrestò la corsa e si ritrovarono di fronte ad una porta schiusa. Quando entrarono, si trovarono su un piccolo balcone di legno che dava sul piazzale.
C’erano altri due assassini. Uno di loro era contro la parete e dal volto celato, l’altro Elena lo riconobbe subito.
-Rhami- mormorò.
L’assassino si voltò e le sorrise. –Marhim, Elena! Halef dev’essere rimasto indietro, non è così?- chiese ridendo.
Marhim la spinse avanti e si sistemò alle sue spalle, per assistere al meglio alla messa in scena.
Erano sopraelevati rispetto alla calca del cortile, e la visuale era ottima su tutto il circondario.
Delle guardie stavano stringendo la gente lasciando libero l’ingresso per la fortezza.
-Sì, poveretto- rispose Marhim. –Tra quanto saranno qui?-.
-Non molto- rispose l’altro assassino, che Elena intese come Adel.
Rhami tornò a guardare di sotto. –Quando ho mandato il piccoletto a chiamarti, abbiamo saputo che erano già nella valle-.
Elena sentì Marhim che la stringeva per i fianchi. –E cosa ci fanno qui?- chiese ancora.
Rhami alzò le spalle, ma l’Angelo dietro fece un passo verso il balcone. –Secondo te?-.
Marhim si voltò di scatto. –State scherzando, vero? Non avranno mica perso il Frutto!- gridò.
I due tacquero. –Non potremmo neppure essere qui, come facciamo a saperlo?…- borbottò Rhami.
Elena vide Adha farsi largo tra la folla, e alle sue spalle camminava Tharidl scortato da alcune guardie.
-Che mi sono perso?!- Halef si aggiunse al gruppetto trovando un buco dal quale sbirciare.
-Nulla, ora sta zitto!- Marhim lo prese per il cappuccio e lo trascinò accanto ad Elena, che stava in silenzio a guardare.
-Arrivano!- gridò una vedetta.
I due Falchi entrarono al galoppo dentro il cortile e la gente si stanziò spaventata.
I cavalieri erano celati da pesanti mantelle bianche munite di cappuccio, e tentavano di tenere a freno i cavalli sbizzarriti dopo la corsa. –Ah!- intonavano tirando le redini.
I cavalli colpivano il terreno con gli zoccoli con una forza spaventosa, i muscoli ancora pulsanti e i nitrii dall’eccitazione.
Il popolo si fece da parte, e i due cavalieri raggiunsero a passo il Maestro e Adha davanti all’ingresso della sala.
Quando smontarono, s’inginocchiarono al cospetto del Maestro. –Tharidl, su vostra richiesta abbiamo ricondotto a Masyaf il Frutto dell’Eden…- fece il primo.
Il secondo si alzò, e recuperò dalla sella del suo destriero un cofanetto di legno.
Tharidl fece un cenno ad una guardia, che si apprestò a toglierglielo di mano. Poi la guardia si avviò scortata da alcuni assassini dentro la fortezza, con in grembo lo scrigno.
-Venite, è tempo che ciò sia fatto- disse il vecchio.
I Falchi, Adha e alcuni assassini lo seguirono dentro e una grata calò a sbarrare l’ingresso.
-Dove stanno andando?- chiese Elena guardando come la gente lasciava il cortile poco a poco.
Rhami e Adel si avviarono abbandonando il balcone, Halef rimase coi due.
-Per un momento abbiamo pensato il peggio- mormorò Halef affacciandosi al parapetto.
–Pensavamo che il Frutto fosse stato rubato, ma a quanto pare qualcuno ha semplicemente ordinato di farlo portare in città- disse Marhim. –Ma perché?…-
Halef si alzò il cappuccio sul volto. –Io vado, fratello. Fredrik mi sta aspettando fuori le mura!- ruggì a denti stretti.
Elena curvò le spalle. –Halef, mi spiace- le scappò di bocca.
Marhim fulminò il fratello con un’occhiataccia. –Non è colpa di nessuno. Se hai lamentele, va’ a parlarne con il Maestro. Non hai motivo di prendertela con lei. E ci sono questioni più importanti che richiedono le nostre attenzioni. Stai certo, fratellino, che Elena dovrà saltare qualche allenamento per questo scherzetto di Tharidl- disse austero.
Halef strinse le cinghie del guanto. –Come vuoi…- e lasciò anche lui il balcone.
-Non farci caso- Marhim si voltò verso di lei.
-Nessun problema, in fondo, sono abituata ad essere vista per quello che sono- borbottò guardando il cortile con gli occhi schiusi.
-E cosa sei?- le domandò Marhim appoggiando i gomiti al parapetto.
-Un parassita. Fin dal mio primo giorno qui sono stata un peso, un problema per tutto e tutti. Sono una calamita acchiappa guai e un’ape che sparge il polline del caos!- si sfogò.
-Non è certo colpa tua se i Falchi hanno portato qui il Frutto, non c’è nulla di male in questo!- rise lui. –Avanti, sei troppo esagerata. Comunque volevo avvertirti che questo pomeriggio non ci sarò-.
Elena alzò lo sguardo, spaesata. –Cosa? Guarda che mi hai promesso di…-.
-Lo so, ma ho bisogno di vedere un vecchio amico non molto lontano. Sarò di ritorno domani mattina, giusto in tempo per buttarti giù dal letto!- sorrise.
Elena trattene la risata –Va bene, sopravvivrò-.
-Grazie- poi Marhim la condusse dentro la fortezza richiudendo a chiave la porta della balconata.







NON CI POSSO CREDERE!
Ho scritto questo capitolo che conta in totale 11 pagine in un solo giorno! Avevo idee che si accavallavano le une sulle altre, la testa mi scoppiava, gli occhi mi si chiudevano. La mia scuola scioperava, ho approfittato anche per ripassare storia, che credete!?
In ogni caso, giunta a questo punto della storia vorrei accennare ad alcuni piccoli chiarimenti che non sono indispensabili.
1.    Avrete notato che l’Altair della mia storia si rifà più a quello dell’inizio del gioco. Infatti è così, mi sono innamorata dell’assassino scorbutico e prepotente che manda tutto a put**ne nel Tempio!
2.    Elena sta ancora cercando suo fratello, ricordate? L’incognito pargolo che portava la catenella di Alice quando Kalel lo lasciò a Tharidl. Ecco, so che in questi capitoli ne ho parlato poco, anzi, me ne sono proprio scordata, ma vedrò di rimediare.
3.    Come punto terzo, scrivete una recensione!!!!! Grazie.
4.    Altair e Adha sono coppia fissa da quando lei ha fatto ritorno. Precisamente, ecco… ve ne parlerò in seguito.
5.    Elena temeva di doversi tagliare i capelli per via del cappuccio troppo stretto.
6.    La divisa da assassina è differente da quella da Angelo per il semplice fatto che un tempo le Dee svolgevano, vediamo, incarichi “differenti”.
7.    Spero di non aver affrettato troppo le cose, forse avrei dovuto dare più spazio agli allenamenti, ma è stata una mia amica a suggerirmi di accorciare, o qui non si finisce più!
8.    Il prossimo capitolo sarà quello che darà l’imput all’inizio dell’avventura. Vi do un indizio, uno solo: Altair aveva ragione…


Continuate a seguirmi!!! ^__^


   
 
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