Storie originali > Azione
Segui la storia  |       
Autore: Lotiel    26/08/2015    0 recensioni
(Sequel di "Dopo la Pioggia")
Erano passati poco più di due anni da quella triste notte. Dmìtrij lo aveva lasciato al porto di Tokyo agonizzante e aveva saputo poco dopo che era morto.
L’assassina si trovava in una delle zone più belle di Kyoto, sulle rive dello stagno che accoglie il Tempio del Padiglione d’Oro, con i suoi meravigliosi giardini.

REVISIONATO FINO AL CAPITOLO 6
Genere: Azione, Drammatico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
02
Banner by _marty
http://i.imgur.com/61B7aIT.jpg

18 - Karina


Rostov Velikij
 
George era comodamente seduto sul sedile della limousine e osservava Karina con un misto di curiosità e timore. L’uomo aveva accavallato elegantemente le gambe e aveva poggiato un braccio sulla coscia. Il suo atteggiamento cercava di farlo apparire per quello che al momento non era: tranquillo.
Karina, di tutta risposta, aveva sfoggiato il più ammiccante dei sorrisi e lo dirigeva sia verso il marito che verso un punto imprecisato di fronte a lei. Era di questo che bisognava aver paura e il marito lo sapeva bene; di quello che pensava e delle idee che le arrivavano come lampi a ciel sereno. C’era da aver paura di ciò che lei rappresentava e di quello che poteva fare a una persona soltanto guardandola negli occhi.
Il russo non si sentiva mai al sicuro vicino a lei e cercava in tutti i modi, ogni volta, di apparire sicuro di sé e impavido, ma andando avanti con il tempo stava diventando sempre più difficile e arduo, soprattutto da quando stava cercando di complottare contro di lei. George voleva assolutamente uscire da quella situazione e l’unico modo, più consono e facile, era quello di uccidere la moglie e farlo sembrare un incidente. Proprio per questo aveva chiesto qualche mese prima l’aiuto di Reila per quel lavoro.
Era da quel momento al tempio che né la sentiva e né la vedeva, il problema era che ancora sentiva il suo profumo sulla pelle. Se con Karina ci fossero state altre circostanze e altri modi, forse avrebbe potuto provare davvero qualcosa per lei. Ma non così, non obbligandolo a fare ciò che avrebbe voluto evitare come la peste. Il matrimonio forzato.
Se ne rendevano conto entrambi che così non poteva funzionare, ma almeno ad uno di loro faceva comodo quella situazione, solo che questa condizione cambiava sempre e a volte di trovavano d’accordo entrambi su questo scambio.
-Avanti George, non essere preoccupato. Non ti fidi di tua moglie?
George l’aveva guardata e per un attimo aveva pensato a qualcosa. “Beh, certo che no.” Ma non lo aveva espresso né con la bocca e tantomeno con il viso. Era stato impassibile, come aveva imparato a essere in quegli ultimi anni.
-Dove stiamo andando?
La donna aveva sorriso senza voltarsi a guardarlo. Che cosa bolliva in pentola?
Sicuramente qualcosa di troppo grosso da essere soltanto pensato. Non riusciva a carpire alcuna informazione dal volto di lei e George aveva subito pensato di aver fatto un enorme errore a seguirla. Si sentiva come un topo in trappola, in attesa che il gatto lo divorasse. Anche se non si poteva notare, aveva il battito accelerato e il suo cuore non voleva in alcun modo accennare a smettere.
Era preoccupato?
Forse sì o curioso di sapere cosa la moglie nascondesse da essere così riservata al riguardo.
La strada che l'auto stava percorrendo non gli era familiare. La neve continuava a scendere e aveva ricoperto ormai tutte le alte guglie delle chiese, ma ancora si temeva il peggio. Sarebbe stato l’inverno più freddo degli ultimi anni e non solo per il corpo che ne cominciava a sentire gli effetti, ma anche per la testa e per il cuore delle persone che vivevano lì.
Lo sguardo di George era annebbiato, così come le luci soffuse che illuminavano le strade e la sua mente in un continuo movimento, ma ciò che ci passava non si poteva propriamente considerare positivo. Aveva una certa apprensione cui non riusciva a dare un nome e si sentiva come in una morsa di ferro che gli stava stritolando le ossa.
-Non essere nervoso.
Karina aveva allungato una mano sul sedile e aveva stretto quella dell’uomo, ma non vi era calore nel gesto. Solo una cruda e triste realtà. Quella che ancora George doveva scoprire.
 
Erano passate più di due ore e nell’auto vi era un’aria pesante e irrespirabile. Non si erano detti poi molto e il silenzio era calato come il sipario nella fine di un atto.
Il luogo dove erano diretti – ora George poteva vederlo bene – era una delle vecchie case in disuso della famiglia di Karina. Lasciata in completo disfacimento, si trovava sulle colline intorno a Rostov Velikij, da dove si godeva di una magnifica vista sulla città.
Com’era diversa dalla capitale. Il Cremlino non somigliava per nulla a quello di Mosca, quella della sua città natale dimostrava un fascino quasi irreale, anche se le guglie e i colori erano simili a quelle della capitale.
La neve aveva ricoperto tutto. Aveva fatto un tappeto morbido su cui posare i piedi e dove nascondere la polvere quando non si sa dove buttarla.
George scese dall’auto, fermatasi nel cortiletto lasciato a morire della casa e sotto la morsa del gelo. Si sistemò il proprio colbacco sulla testa che sollevò poco dopo verso il tetto della casa. Fatiscente e tetra, una casa che potrebbe dare l’impressione di essere abitata da spiriti tormentati.
L’uomo si strinse dapprima il cappotto pesante intorno a corpo e poi, pian piano, si diresse verso la moglie che lo attendeva dall’altro lato della macchina per aprirle lo sportello. La galanteria stava per scomparire ma in quei pochi attimi, gli uomini davano prova di sé, lasciando sognare ogni tanto le donne che speravano in una ricaduta del romanticismo. Ma non c’era amore in quei gesti studiati, né nelle parole dette e sussurrate o nelle ore trascorse a unirsi tra le lenzuola di seta.
No, quello non era il tempo dei sentimenti puri. C’erano solo odio e rimorso di una vita che non si poteva vivere appieno.
George aprì lo sportello e Karina uscì, avvolgendosi nella sua pelliccia che teneva il freddo lontano. Ciò che temeva era la reazione del marito a tutto quello che voleva mostrargli. Non sospettava minimamente che l’uomo la stava tradendo, tramando contro di lei. Voleva renderlo partecipe del suo progetto. Sapeva bene che c’era una spia, ma il problema era stato relegato ad Alexander che se ne stava occupando egregiamente.
George guardò il volto della moglie e vi posò un leggero bacio sulla guancia. Labbra e viso erano freddi come gli sguardi che si erano scambiati fino a quel momento.
Karina di rimando prese la mano di George e la strinse nella sua. Cominciò a camminare sul vialetto disfatto, mentre l’autista sistemava l’auto in una zona più riparata. La neve continuava a scendere e le loro scarpe lasciavano impronte che da lì a poco sarebbero state cancellate. I fiocchi di neve si attaccavano alle loro ciglia, rendendo la visuale più difficoltosa.
La donna non riusciva bene a descrivere ciò che pensava in quel momento. Era in completo contrasto con se stessa. Era giusto o sbagliato far conoscere il lavoro di una vita all’unico uomo che amava e che sperava in tutto il suo piccolo cuore di essere ricambiata?
Soprattutto fargli conoscere un lavoro ancora incompleto, un progetto che avrebbe potuto cambiare le sorti della Russia stessa.
La donna temeva troppe cose e non era mai sicura di riuscire quando si parlava di George. Non riusciva bene a ragionare quale fosse la cosa più giusta da fare.
-Ora vedrai qualcosa alla quale non potrai credere.
La voce di Karina era concitata. Felice si poteva dire.
Si infilò infatti in una delle gallerie che portavano dietro la casa, ma a metà di questa bussò ad una porta e lì entrarono. Il cuore della donna era affannato senza fare alcuno sforzo. Emozione si potrebbe chiamare. Tutto ciò che non riusciva mai a mostrare né con le parole e né con i gesti erano proprio le cose che stava provando al momento e ne era impaurita. Voleva sembrare forte, ma la verità era che aveva paura di se stessa e dunque appariva severa e brutale.
-Perché tutto questo riserbo?
-Perché è una cosa così eccezionale che non tutti potrebbero comprendere.
Era stata una risposta rapida e detta sottovoce.
Avevano cominciato a scendere delle scalette di metallo, almeno a quanto si sentiva dal rumore che provocavano i tacchi della donna. Era buio pesto e non si vedeva al di là del proprio naso.
Karina sentiva il respiro di George ed ebbe un battito mancato al cuore. Lo sentiva leggermente affannato e non ne comprendeva il motivo. Se solo avesse saputo ciò che George voleva farle, avrebbe ripensato a tutto ciò che gli aveva dato e che provava. Ma chissà se sarebbe riuscita a dimenticare l’amore profondo che provava per lui.
Se non fosse stato per delle luci di emergenza lungo il percorso, avrebbero potuto inciampare e cadere ma Karina ormai sapeva il percorso a memoria. Anche se distratta dai pensieri, il percorso avrebbe potuto farlo anche bendata e a ritroso.
Appena raggiunta una certa profondità, sotto le salde e antiche fondamenta della casa, si aprì una porta blindata e la luce all’interno quasi li accecò. Dovettero entrambi socchiudere gli occhi e attendere alcuni istanti che gli occhi riprendessero la loro naturale funzione.
Appena George aprì gli occhi, spaziò con lo sguardo. Lo spostò verso Karina che aveva un sorriso raggiante, come una bimba con il nuovo giocattolo che desiderava da una vita.
Davanti a lui si aprì un mondo sconosciuto, fatto di alambicchi e provette. Strinse due volte gli occhi per riprendere l’abitudine alla luce e se li strofinò leggermente. Tolse i guanti foderati in pelliccia pian piano, cercando di rendersi conto di dove si trovava.
L’ambiente era riscaldato e non c’era neanche bisogno dei cappotti e delle pellicce. Aveva sollevato il capo osservando l’intricato condotto di areazione che purificava l’aria all’interno del sotterraneo. Che peccato che fosse così bianco e asettico. Metallo dappertutto che lasciava uno strano brivido lungo la schiena. Decine di persone si affannavano avanti  indietro con cartelline in mano e camici bianchi, come i dottori degli ospedali.
Non sentiva alcun odore e tutto era così candido da farsi sorprendere per qualche istante. Non sentiva neanche le voci concitate che si avvicinavano a Karina e non sentiva null’altro che un leggero fischio dentro le orecchie.
-Ci siamo quasi.
Karina si era voltata verso uno degli scienziati che aveva parlato. Aveva afferrato quell’unica frase che spiegava tutta la sua titubanza. Un largo sorriso le si disegnò sul volto. Dopotutto sentiva una gran gioia dentro se stessa da non poterla contenere.
-Voglio sapere tutti i risvolti. Fino a qualche giorno fa non sapevate neanche da dove cominciare.
Lo scienziato, un po’ canuto, aveva abbassato lo sguardo per qualche istante sulla cartellina dove molto probabilmente aveva inserito tutti i dati raccolti.
-Non pensavamo che mischiando alcuni elementi, provati già in precedenza, avrebbero dato il risultato sperato. L’invisibilità del prodotto c’è, la letalità pure. Abbiamo creato l’arma perfetta.
Alla donna non poterono non allargarsi gli occhi alla notizia e tutto ciò cui aveva creduto si stata pian piano trasformando in realtà. D’altro canto George, proprio accanto a lei, iniziava a prendere un po’ coscienza di ciò che stava succedendo. Un arma chimica capace di uccidere milioni di persone. Il problema non era quello, visto che nel mondo ce ne erano di peggiori, il problema era che avveniva tutto sotto i suoi occhi e non era minimamente a conoscenza di questo passatempo della moglie. Se così gli era lecito chiamarlo.
-Vieni. Ti faccio vedere una cosa.
Lo stava tirando da una manica e non se ne era proprio accorto. Lo sguardo vagava in quel luogo privo di vita e bianco quasi da accecarlo.
-Cosa stai facendo, Karina?
Sembrava una predica di un padre quelle parole che erano fuoriuscite dalla bocca di George e che alla donna erano sembrate come tali, ma cercò di evitare commenti acidi o qualsiasi spiegazione sarcastica.
-Possibile che tu non te ne accorga? Qui stiamo creando il futuro di un paese libero e indipendente.
-Stiamo parlando della nostra Patria? La Santa Madre Russia? Voglio ricordarti che non vi è mai stato uno stato indipendente e libero qui, ma solo una dittatura spietata. Credi che con questa rivoluzione che tu vuoi fare, risolveresti i problemi della nostra gente?
George aveva mantenuto un tono abbastanza basso, perché erano solo loro due a discutere senza inserire i vari scagnozzi e gli scienziati al lavoro. Ci fu un attimo si silenzio e poi George continuò.
-Con chi ce l’hai, Karina? Con l’America? Con il Giappone? Contro quale grande potenza tu vorresti intentare una guerra batteriologica?
La donna era rimasta per qualche momento interdetta, senza sapere che cosa rispondere. L’aveva taciuto a tutti, perfino a lui e quando aveva deciso di rivelarglielo, lui che cosa sapeva ben fare? Criticarla?
-Tu non sai quello che stai farneticando. Qualcuno deve pur liberare questa terra dal dominio del mondo. Siamo soggetti agli altri e questo non dovremmo permetterlo.
La russa aveva stretto le mani e i denti avevano cozzato tra loro in un moto stizzito. Possibile che non riuscisse a capire il suo progetto? Possibile che non riuscisse a comprendere ciò che lei voleva dare alla sua Russia?
Difendere quello che di buono era rimasto.
-Guarda. Non riesci proprio a vedere?
Karina aveva mosso qualche passo verso lo scienziato che le aveva chiesto di seguirlo. Voleva davvero far comprendere al proprio marito ciò che di buono c’era nel suo progetto. Semplicemente voleva la sua approvazione e mentre l’uomo anziano spiegava tutti gli esperimenti che erano stati condotti all’interno del laboratorio, la donna cercava di far capire a George ciò che voleva che succedesse.
-No, George. Non voglio attaccare nessuno di questi paesi. Comprendi che con l’America non abbiamo motivo. È da dopo il secondo conflitto mondiale che abbiamo intentato una guerra fredda contro di loro e non è ancora finita, pensi che voglia scatenare un vero e proprio collasso del pianeta? Non ho niente da ridire su alcun paese, io voglio dare un esempio al nostro.
George trattenne il fiato per qualche istante.
-Tu sei impazzita. Vuoi uccidere milioni di innocenti per il solo gusto di fare cosa?
-Voglio che la Russia si risollevi, George. Voglio che veda una nuova alba. Voglio che ritorni a essere la grande potenza che era un tempo e il nostro governo ha bisogno di essere spronato.
L’uomo non credeva alle sue orecchie. Mai avrebbe pensato che sua moglie volesse tentare una guerra contro i sui stessi simili. Ma ciò che lo rese alquanto destabilizzato fu il vedere la simulazione di ciò che quel gas poteva fare.
-Cerca di ripensarci, Karina. Non commettere errori che potrebbero costare più della tua stessa vita.
La donna era completamente sorda alle parole di George. Era amareggiata poiché lui non riusciva proprio a capire la sua veduta. Era sempre stato vero, lui non aveva mai avuto la mente aperta e non vedeva il mondo sotto la luce che lo vedeva lei. Stava cominciando a pensare che fosse proprio lui la spia verso la quale Alexander l’aveva messa in guardia.
Era un progetto che non poteva più aspettare, poiché i servizi segreti americani stavano cominciando a ficcare il naso un po’ troppo in quella faccenda e se avessero scoperto ancora qualcosa, il declino della sua famiglia e la sua morte non l’avrebbe evitata nessuno.
Karina sapeva che era rischioso, ma voleva tentare lo stesso. Non lo faceva per lei, ma per il suo stesso paese.
Karina guardava le cartelle che le venivano mostrate e annuiva decisa sul da farsi.
-Secondo te a chi attribuirebbero l’attacco?
George cominciava a essere un po’ nervoso e al suo posto chiunque lo avrebbe fatto, ma la moglie non lo ascoltava. Rimaneva completamente sorda.
-L’unica pecca di questo gas è che a contatto con l’aria si dissolve e diventa innocuo. Dobbiamo metterlo nelle fonti idriche della città.
Colui che aveva parlato era lo scienziato a capo di tutto il progetto. A quanto aveva sentito George era uno dei migliori in questo campo, ma pazzo quanto Karina, per questo aveva perso completamente la cattedra all’università. Proprio non riusciva a ricordare come si chiamasse.
Vedendo che la donna non gli rispondeva, George le si avvicinò.
-Non sarò mai con te in questo progetto. Sei una pazza.
Karina allargò gli occhi per lo stupore. Non se lo sarebbe mai aspettato dalla persona che amava più di se stessa. Non avrebbe mai pensato che il suo progetto sarebbe stato così denigrato dall’unica persona che voleva vicino in quel momento. Assottigliò leggermente gli occhi, trattenendo a stento una lacrima che stava per uscire e chiamò le guardie.
-Chiudetelo nel mio ufficio.
La voce risultò ferma e sprezzante.
-Pensavo fossi stato con me.
E mentre la donna parlava, quattro uomini alti e piazzati presero George dalle braccia mentre l’uomo si dimenava e cercava di liberarsi come poteva. Lo vedeva sporgersi verso di lei in un inutile tentativo di strozzarla, ma lei vide solo il suo amore e la sua lealtà verso di lui venire meno, come le stavano venendo meno le forze. Cercò di lottare contro il suo stesso cuore e fu in quel momento che, conscia del ghiaccio nel petto, di barricarsi ancor più dentro la sua pazzia e decise di non cedere. Rimase lì ferma mentre il marito veniva trascinato verso l’ufficio e che le gridava di ripensarci, di rinsavire.
-Non sono mai stata più convinta in vita mia. Ti farò vedere che questo mio progetto sarà proficuo per la nostra nazione.
E dopo il trambusto e le urla che ancora si sentivano di George, Alexander stesso fece il suo ingresso all’interno della sala, dove tutto era ritornato alla normalità. Era poco più basso di Karina, ma dovette comunque sollevare di poco quello sguardo color nocciola verso il viso della russa.
-Abbiamo trovato la spia. Ha parlato.
Gli occhi della donna ebbero un guizzo e finì con il portare la completa attenzione verso l’americano, ormai adottato dalla Russia. Non si soffermò sul suo collo taurino o sulla sua stempiatura, ma sulle sue labbra.
-Ha parlato e ha indicato tuo marito come il mandante.
Tutti i castelli della russa crollarono e il cuore perse un battito. Quell’ultimo battito che ancora c’era per il marito.
-Ottimo lavoro, Alexander.
E lo congedò velocemente. Di George se ne sarebbe occupata lei stessa.

 

http://www.codenemesis.altervista.org/gallery/divisore8.png

Angolo dell'autrice


Ed eccomi di ritorno con questa storia. Purtroppo non sono una persona costante e a volte mi perdo in picole cose che purtroppo non riesco a risolvere in tempi brevi e tutto qesto mi toglie il tempo per scrivere e coltivare le mie passioni. Con questo non voglio assolutamente giustificarmi e anzi comprendo se molti di voi si sono stancati di seguirmi e di leggere questa storia. Credetemi su una cosa, però, la porterò alla fine poichè ho ancora tantissimi progetti da portare avanti e tante storie incomplete da rivedere e continuare. Non vi prometto niente da qui a questa parte, ma spero che, anche se sono una persona molto incostante, riusciate a seguirmi lo stesso, sperndo che non passerà così tanto dal prossimo capitolo come è successo con questo.
Dunque a presto (speriamo) con il prossimo capitolo.
Naturalmente se avete domande chiedete pure. Sono aperta a qualsiasi critica vogliate farmi. Fatemi sapere se i capitoli vanno bene così o volete che cambi qualcosa per leggere meglio la storia.
Rinnovo sempre il mio invito a farmi sapere come vi sembra, non credo vi porti via molto tempo una recensione, facendomi sapere cosa ne pensate di questa storia.
Vi inviterei infine a leggere "Dopo la pioggia" per poter capire un po' meglio l'intera vicenda. Infine vi ringrazio per chi l'ha messa tra le preferite/seguite/ricordate e ringrazio coloro che hanno recensito, facendomi sapere il loro parere.
Infine vi indirizzo verso la mia pagina che terrò sempre aggiornata con  curiosità, spoiler e quant'altro.
Lotiel  Scrittrice - Come pioggia sulla neve


   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Azione / Vai alla pagina dell'autore: Lotiel