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Autore: Horse_    26/08/2015    6 recensioni
Sono passati quasi sette anni dall'ultima stagione di The Vampire Diaries, precisamente la settima. Ogni attore ha intrapreso la propria via da percorrere, cercando di vivere al meglio la propria vita, così come hanno fatto Ian e Nina.
Ian si è sposato con Nikki Reed, storica attrice di Twilight, mentre di Nina si sono perse le tracce. Nina, in realtà, ha proprio voluto sparire dal mondo che l'aveva aiutata a diventare famosa e ben amata da tutti perchè si porta dietro un segreto troppo importante da proteggere. Due bambini con gli occhi azzurri come il mare da tenere al sicuro da chi non li vuole e non si è mai interessato a loro.
Le cose tra Ian e Nikki, intanto, vanno sempre peggio e sono più i giorni in cui litigano che quelli in cui sono felici.
La ripresa dell'ottava stagione porterà tanti guai e a galla cose non dette, ma forse aiuterà due persone che si amano ancora alla follia a ritrovarsi dopo tanto -troppo- tempo.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Candice Accola, Ian Somerhalder, Nina Dobrev, Nuovo personaggio, Paul Wesley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                             I trust you.             




Fortieth Chapter.

Pov Nina.

La settimana qui a Londra è praticamente finita, domani ripartiremo per tornare ad Atlanta e riprendere a girare. Finalmente potrò rivedere i bambini, mi mancano un sacco e, sebbene li abbia visti tutte le sere -almeno da noi- via Skype grazie all’aiuto di mia madre, non è la stessa cosa. La Convention è andata benissimo, ogni panel è stato fantastico, così come i tanti fan giunti da ogni parte dell’Europa per vederci. L’ultimo panel è stato con il trio, cioè me, Ian e Paul. Non so chi devo ringraziare per non essere rimasta sola con Ian, sarebbe stato troppo imbarazzante non per il nostro rapporto, ma per tutto. Mi vergogno ancora di essermi ubriacata, so che l’ho fatto solo per divertirmi, ma non oso immaginare quello che ho combinato quella sera. Non ricordo molto, solo che Ian mi ha portata via con se, e so, dentro di me, di non aver combinato nulla di così scandaloso, Ian non me l’avrebbe permesso e io gli credo.

Ci siamo avvicinati ancora di più in questo periodo e mi sento finalmente bene, perché non c’è più odio tra noi, solo una profonda amicizia e un bel legame, tutto qui, credo. Ian ultimamente è molto più spontaneo con me e non è più triste come prima, quindi qualcosa sta cambiando, ma cosa? 

 

“Ti prometto che non non toccheremo neanche un bicchiere Nina, hai la mia parola!”- mi dice Phoebe mentre camminiamo tra le strade di Londra.

“Certo, si, come l’altra volta, no?”- le ricordo. -“Solo un bicchiere Nina.”

 

Scimmiotto la sua voce e Leah scoppia a ridere. Non mi fiderò più di loro quando mi trascineranno da qualche parte, per questo ho deciso che questa sera non entrerò in nessun locale, anche perché sono veramente stanca e in questo momento invidio veramente Ian. Non è venuto, ha detto di essere troppo stanco per muoversi, e lo capisco. Le ragazze mi hanno trascinato letteralmente fuori, ma confido su Paul e gli altri per tenerle -tenerci- d’occhio perché non voglio fare assolutamente la fine dell’altra sera.

 

“Okay, forse abbiamo esagerato.”- dice Claire scuotendo la testa.

“Si, dico di si.”- ridacchio mentre continuiamo a camminare per le strade di Londra.

 

E’ quasi mezzanotte e fortunatamente non ci sono tante persone. Ogni tanto ci fermiamo con qualche fan per firmare qualche autografo e fare delle foto ed arriviamo al Big Bang quando ormai è l’una passata e la stanchezza si fa sentire. Questa mattina mi sono alzata presto visto che avevo un panel con Kat e Claire -il primo della mattinata- e non vedo l’ora di tornare a letto. Gli altri si fermano su un bar, mentre io dico loro che torno in albergo.

 

“Nina, sei sicura che non vuoi che ti accompagni?”- mi domanda Paul apprensivo.

“Paul, non preoccuparti, prenderò un taxi, davvero.”- lo rassicuro.

“Ne sei sicura?”- mi domanda ancora. -“Ti accompagno.”

“Se me lo chiedi un’altra volta ti uccido.”- lo minaccio bonariamente.

 

Joseph, Persia, Kath e Daniel se ne sono già andati, è anche per me l’ora della ritirata. Saluto tutti e mi incammino per le strade Londra poco illuminate. Mi perdo ad osservare la bellezza di questa città -che sembra quasi incantata- illuminata dai raggi della luna piena meravigliata. L’uomo ogni tanto fa anche qualcosa di buono. Mi accorgo che per questa strada non passa nessun taxi, quindi decido di provare più in là. Svolto per una stradina ancora meno illuminata di quelle precedenti e il freddo pungente mi penetra sulle ossa. Continuo a camminare per un altro po’ sperando di trovare una svolta che mi riporti al centro. Controllo il cellulare sperando di avere campo, ma non appena lo prendo in mano per controllare noto che è spento.

E’ scarico! Deglutisco piano mentre mi pento di essere venuta qui, sarei dovuta rimanere con gli altri al costo di dover dormire su un tavolino anziché gironzolare da sola per le strade buie di Londra. Continuo a camminare un altro po’ ed arrivo ad un vicolo cieco. Il destino si sta prendendo ancora gioco di me. L’unica soluzione è ripercorrere la strada a ritroso e spero, con tutto il cuore, di non sbagliarmi. Faccio qualche passo all’indietro pronta per girarmi quando vado a sbattere contro qualcosa, o meglio qualcuno. Fai che sia Paul o qualcuno che conosca. Non ho nemmeno il coraggio di voltarmi quando sento l’alito pesante dell’uomo che sa di alcol e fumo. I miei muscoli sono bloccati, non riesco a muovermi.

 

“Non pensavo di trovare una donna bella come te qui.”

 

Mi giro lentamente scontrandomi quasi con la faccia di un uomo che è quasi il doppio di me. E’ grosso ed ubriaco, non ce la farei mai contro di lui. Ma magari non ha cattive intenzioni, si è solo perso. Inizio a tremare, e non per il freddo.

 

“Qualcuno ti ha mangiato la lingua?”- continua ancora avvicinando il suo viso al mio.

“Io… Io non… Non… Ti conosco…”- balbetto.

 

Mi maledico mentalmente per non aver tenuto la voce più ferma, ma sto entrando seriamente nel panico. Il viso dell’uomo dista da me solo di qualche centimetro e continuo ad indietreggiare fino a che la mia schiena non sbatte contro il muro dietro le mie spalle. Mi sono messa in trappola da sola.

 

“Non preoccuparti.”- ride beffardo. -“Possiamo fare conoscenza.

“Ti prego… Io… Lasciami andare…”- balbetto ancora mentre i battiti del mio cuore si fanno sempre più veloci.

“Potremo divertirci io e te, tesoro.”- mi dice e il mio stomaco si contrae dal disgusto.

 

Mi accarezza un braccio mentre con la mano mi tiene ferma e io vorrei urlare, chiedere aiuto, ma non ci sentirebbe nessuno. Il centro è troppo distante, sono su un vicolo cieco e non c’è nessun negozio, ma anche se ci fosse ho la netta sensazione che nessuno verrebbe in mio soccorso.

 

“Non voglio… Ti prego…”- dico tremante mentre i miei occhi si fanno lucidi. -“Se vuoi dei… Soldi… Li avrai…”

“Perché volere dei soldi quando potrei passare la notte con te?”- mi domanda malizioso.

 

Presa dal panico e dalla paura non mi sono nemmeno accorta che con una mano ha abbassato la spallina del mio vestito e sta giocando con una ciocca dei miei capelli. Ora inizio seriamente ad avere paura perché, se cinque minuti fa inconsciamente speravo non volesse farmi del male, ora ha seriamente cattive intenzioni. Abbassa anche l’altra spallina del mio vestito e lo sento appoggiarmi un bacio umido sulla clavicola che mi fa salire il vomito.

So quello che sta per succedere, ma non posso fare nulla. Chiudo gli occhi e, mentre le lacrime iniziano a scendere, spero solo che tutto questo finisca e che non faccia troppo male. Ma proprio mentre mi sto preparando al peggio il peso dell’uomo si stacca dal mio corpo e lo sento gemere dal dolore. Mi sforzo di aprire gli occhi, devo farlo, e davanti a me trovo due occhi azzurri che conosco fin troppo bene.

Ian? Si avvicina subito a me avvolgendomi la sua giacca sulle spalle per coprirmi mentre io continuo a sbattere gli occhi confusa. Che cosa ci fa lui qui? Che cosa ci fa quell’essere a terra? L’uomo si tiene la faccia tra le mani e noto del sangue fuoriuscirgli dal naso. Gli occhi di Ian invece bruciano dalla rabbia e lo sento fremere pronto a scagliarsi di nuovo contro il mio aggressore, ma le mie gambe cedono e lui è lì, pronto a sorreggermi. Voglio andare via da qui, non voglio più rimanere. Mi aggrappo maggiormente a Ian disperata e singhiozzando gli dico di portarmi via e lui, non dopo aver guardato di nuovo l’uomo con rabbia cieca, lo fa, mi prende in braccio e mi porta via. E mi sento così protetta tra le sue braccia che i miei nervi si rilassano, ma le lacrime continuano a scendere.

Mi ha salvata, Ian mi ha salvata. Riesco a pensare solo a questo e a quello che mi poteva accadere mentre percorriamo la via buia, continuo a tremare ripensando a quello che poteva succedere, ma non ho più paura, perché c’è Ian qui con me. Non diciamo niente, io non ne ho la forza, neanche Ian. Mi ripete soltanto che va tutto bene, che c’è lui con me e che non devo avere più paura perché finche ci sarà lui nessuno mi farà del male. Mi lascio appoggiare inerme tra i morbidi sedili del taxi giallo e Ian da l’indirizzo su come arrivare all’albergo. Mi tiene in braccio per tutto il viaggio e di tanto in tanto mi accarezza i capelli, io non parlo, ho solamente la testa appoggiata sul suo petto e ogni tanto qualche singhiozzo sfugge dalle mie labbra, ma non posso piangere, non qui.

Ho avuto veramente paura per le intenzioni di quell’uomo e se non fosse arrivato Ian non sarebbe finita bene, non per me almeno. 

 

“Ci accompagni all’entrata secondaria, grazie.”- sento dire Ian al tassista.

 

L’uomo fa quanto ordinato e ci porta all’entrata secondaria, dietro l’hotel e Ian gli lascia una lauta mancia. Non so come arriviamo in camera sua, so solo che quando mi appoggia sul suo letto scoppio in un pianto liberatorio e non me ne vergogno -perché so che con Ian posso e voglio essere me stessa. Lui mi abbraccia forte e io continuo a singhiozzare. Farlo mi fa sentire meglio e fortunata, perché ripenso di nuovo a quello che poteva accadere e a tante donne, meno fortunata di me, a cui è capitato davvero e ora, in parte, so cosa si prova. Mi aggrappo alla sua maglietta, mentre le sue braccia muscolose mi cingono e mi tengono stretta al suo petto e non so da quanto tempo volevo un contatto così, da quanto tempo non mi sentivo così protetta con qualcuno. Potrei fare di tutto, subire di tutto, ma so, per certo, che Ian sarà sempre al mio fianco e questo mi fa stare ancora più male perché domani, quando torneremo a casa, sarà tutto come prima. Non so quanto tempo passo aggrappata alla sua maglietta, ma sembra passata una vita quando mi stacco da Ian che mi fissa comprensivo cercando di trasmettermi tutto il suo appoggio e gli sono grata di questo. Non ho più lacrime, è per questo che non piango più, mi sento svuotata. Non riesco nemmeno a guardarmi allo specchio e spero che tutto questo passerà. Ora voglio solo lavarmi via l’odore di quell’essere che non merita neanche di essere chiamato uomo, voglio togliere ogni traccia di lui dalla mia pelle.

Sono io così a rompere il silenzio.

 

“Voglio… Voglio… Posso farmi una… Doccia?”- balbetto piano, cercando di trovare la forza di alzarmi.

 

Spero che questa sensazione di scompostezza possa passare presto, infondo sono stata solamente tanto fortunata e poteva andarmi peggio del previsto, ma sono troppo scossa per passarci sopra.

Ian non sembra sorpreso dalle mie parole, anzi, annuisce confortante e mi aiuta piano a scendere dal letto. Non ho dei vestiti con me, ma lui, sembrando leggermi del pensiero, mi porge una delle sue enormi magliette nere della ISF -e ricordo che non c’è nemmeno bisogno dei pantaloncini da quanto larghe siano. Mi avvio dentro il bagno portandomi la maglietta e, una volta chiusasi la porta alle mie spalle, mi siedo sul pavimento freddo prendendomi la testa tra le mani.

 

 


 

Pov Ian.

La vedo prendere la mia maglietta ancora impaurita, ma nei suoi occhi leggo che di me si fida, si sente protetta da me, altrimenti mi avrebbe già mandato via. Quando chiude la porta lancio contro il muro la prima cosa che mi capita a tiro, una lampada. Sono arrabbiato nero, anzi, di più. Se solo… Se solo fossi andata con lei tutto questo non sarebbe successo, quel lurido verme non si sarebbe mai permesso di metterle le mani addosso perché gliele avrei amputate, cosa che avrei fatto se la voce spaventata di Nina non mi avesse pregato di portarla via da lì perché si meritava una lezione. Ma, per una volta, ho deciso di ascoltarla e di portarla via, altrimenti sarebbe crollata più di quanto non stesse già facendo. Sono arrivato in tempo perché non andasse oltre, ma sono arrivato comunque troppo tardi per impedirgli di avvicinarsi a lei. Nessuno deve toccarla, nessuno. Ed è distrutta ora e spero che tutto questo passi in fretta perché io non ce la faccio a vederla così, non posso. Non posso vederla così distrutta, così insicura e spaventata, mi ero ripromesso di difenderla e di proteggerla da tutto, perfino da me stesso, ma non l’ho fatto. Ho miseramente fallito. Non so dopo quanto tempo la vedo uscire dal bagno, ma quando lo fa mi avvicino piano e lei per vedere se ha bisogno d’aiuto. Indossa la mia maglia della fondazione, è una delle più grandi ed ho pensato fosse quella ideale, quella che la coprisse di più. Penso di capire come si possa sentire in questo momento, la vedo la vergogna nei suoi occhi, ma lei non deve vergognarsi di se stessa, deve solo capire che sta bene e finché ci sarò io nessuno le farà del male. La maglia le arriva alle ginocchia e i capelli bagnati le ricadono lungo il viso a coprirla. Alza piano lo sguardo su di me e lo trovo spento, insicuro, ma è normale dopo tutto quello che ha passato, deve solo riposare. Le accarezzo piano il palmo della mano e lei sussulta a quel contatto, ma non mi allontana, vuol dire che con me sta bene. Le prendo la mano e la conduco piano nel letto e lei si lascia condurre da me, come se fossi la sua guida. L’aiuto a stendersi, poi la copro bene con le coperte e mi sdraio accanto a lei, non sapendo se starle accanto o lasciarle il suo spazio. E’ lei che appoggia la testa accanto al mio petto, dandomi le spalle. Io appoggio la testa accanto alla sua e metto una mano sull’altra parte del materasso. Rimango a sentire i suoi respiri, i suoi tremolii e i suoi sussulti e inizio ad accarezzarle piano i capelli. La sento rilassarsi contro di me, riesco perfino ad abbracciarla e spero che tutta questa paura non duri a lungo.

 

“Promettimi che… Che non lo dirai a… Nessuno…”- mormora.

 

Rimango spiazzato da quella richiesta, ma non ci metto molto a capire perché. Penso che in qualche modo si sente in colpa e si vergogni di se stessa, ma non deve farlo, non è colpa sua.

 

“Non è colpa tua, Nina.”- le dico dolcemente.

“Promettimelo…”- mi supplica.

“Te lo prometto.”- le dico inspirando il suo profumo quasi uguale al mio visto che ha usato il mio bagnoschiuma. -“Ma non devi fartene una colpa.”

“Non… Non me ne sto facendo una… Colpa…”- mormora.

“Lo pensi, ma lo stai facendo. Non te ne rendi conto, ma ti senti in colpa.”- le dico serio. -“Tutto… Quello che è successo non è assolutamente colpa tua.”

“E di chi è la colpa allora?”- lo urla quasi disperata.

 

Fa un po’ di resistenza e la obbligo quasi a voltarsi verso di me guardandola negli occhi.

 

“Sfogati se vuoi, sai che con me puoi farlo.”- le dico dolcemente cercando di calmarla. Le accarezzo la fronte. -“Ma non è colpa tua, è colpa di… Di quell’essere. Tu non hai nessuna colpa, Nina. Se fossi venuto con te questo non sarebbe successo.”

“Non è colpa tua…”- mormora abbassando lo sguardo.

 

Con due dita le prendo delicatamente il mento facendo incatenare i suoi occhi con i miei e la osservo per qualche secondo.

 

“Non è nemmeno tua. Ora sei qui, con me, nessuno ti farà del male.”- le dico accarezzandole una guancia.

“Se tu… Se tu… Se tu non fossi intervenuto, io-”

 

Un altro singhiozzo le sfugge incontrollato dalle labbra e allora l’afferro e la stringo forte a me. Continuo ad accarezzarle la schiena mentre si calma contro il mio petto.

 

“Ma sono arrivato in tempo.”- le dico facendole appoggiare la fronte sulla mia spalla. -“So che sarà difficile superare tutto, ma ce la farai. Sei forte, sei la donna più forte che io conosca, affronterai anche questo, ma non sarai da sola, ci sono io con te.”

“Mi aiuterai?”- mi domanda a voce bassa ed incredula.

“Certo che ti aiuterò, farò tutto quello che vorrai.”- le dico piano.

 

Nina si rilassa contro il mio petto ed io rimango ad osservarla, finché non si addormenta.

 

 
















 

                                                                              * * *


















 

La notte passa lentamente e non chiudiamo occhio. Nina ogni volta si svegliava di soprassalto con gli occhi terrorizzati e io mi affrettavo a rassicurarla e a dirle che c’ero io con lei, nessun altro. Non ha dormito tormentata dagli incubi e ci vorrà tempo per dimenticarlo, ma io ci sono per lei e l’aiuterò ogni qualvolta avrà bisogno di me. Sono le sei e qualcosa quando decidiamo di alzarci dal letto e accompagno Nina nella sua stanza per aiutarla a fare le valigie visto che non me la sento a lasciarla da sola, non dopo tutto quello che è successo -le mie sono già pronte da ieri sera. Mi sembra leggermente più tranquilla di ieri e ad un occhio esterno può sembrare che non sia accaduto niente, ma so che non è così, ma non posso forzarla a parlare più di quanto abbia già fatto.

 

“Vado a cambiarmi.”- mi dice timidamente.

“Certo, io ti aspetto qui.”- le dico indicando il letto.

 

Abbiamo il volo per le 8.15 pm e qualcosa mi dice, purtroppo, che questa mattina arriveremo in orario. Non ci mette molto a prepararsi, quando esce dal bagno indossa una camicia bianca, un paio di jeans scuri e delle normalissime scarpe da ginnastica. I capelli sono lasciati al loro stato naturale e non si è messa il trucco, credo sia ancora troppo scossa per pensare al suo aspetto, ma a me piace più così, naturale. Le mie valigie sono già di sotto, per questo mi offro di aiutarla a portare giù le sue e, dopo un po’ di resistenza, riesco a convincerla. Abbiamo un’intera area riservata a noi per mettere le nostre cose, quindi nessuno le toccherà. Sono quasi le sette, manca ancora qualche minuto, quando fisso Nina indeciso sul da farsi. Abbiamo circa un’ora e mezza libera prima di partire e credo sia conveniente fare almeno un po’ di colazione.

 

“Vuoi fare colazione?”- le domando dolcemente.

 

Annuisce soltanto e questo mi dispiace un po’, ma decido di lasciar correre perché è ancora scossa. Ci incamminiamo verso il bar all’interno dell’hotel e prendiamo un tavolino con due sedie lontano dagli occhi di tutti per stare in tranquillità.

 

“Cosa prendi?”- le domando.

“Io…”- si tortura le mani. -“Un caffè.”

“Solo?”- le domando accigliato.

 

So quanto le piaccia mangiare di prima mattina e non è da lei prendere solo un caffè.

 

“Si, non ho… Molta fame…”- mormora.

 

Prendo le ordinazioni e, oltre al caffè, al cappuccino e una fetta di torta, ordino anche una ciambella al cioccolato, la preferita di Nina. Deve mangiare qualcosa e al costo di obbligarla mangerà quella cosa.

 

“Però mangerai lo stesso.”- le dico cercando di farla sorridere. -“Qualcosa devi pur mangiare.”

 

Con il capo indico il vassoio che sta arrivando per noi. La cameriera appoggia le nostre ordinazioni sul tavolo, poi se ne va -non prima di aver pagato e averle lasciato una mancia.

 

“Non avresti dovuto pagare tu…”- borbotta.

“Ti ho offerto solo la colazione, non una vacanza ai Caraibi.”- le dico sorridendo. -“Forza, mangia.”

 

Le porto davanti il caffè e la ciambella.

 

“Ian, non ho-”

 

La interrompo prima che possa dire qualcosa.

 

“Fame, lo so. Ma devi mangiare, almeno un po’. So che stai pensando a”- sospiro leggermente passandomi una mano tra i capelli. -“quello che è successo, ma anche se non mangi non cambierà nulla, anzi, starai peggio. Quindi mangia quella dannata ciambella al cioccolato, so che è la tua preferita.”

“Te lo ricordi ancora.”- constata.

“Mi ricordo un sacco di cose.”- le sorrido. -“Ti piacciono le rose bianche, per esempio, non sopporti quelle rosse.”

“E tu odi San Valentino.”- mi dice lei scuotendo la testa. -“Fin troppo maschilista.”

Se sto bene con una persona non mi serve San Valentino per dirle che la amo e quanto io sia innamorato di lei.”- le dico guardandola negli occhi.

 

E questo lei lo sa, perché glielo ripetevo ad ogni San Valentino.

Sembra ricordarlo ed è per questo che abbassa lo sguardo. Aspetto che inizi a parlare, che dica qualcosa, ma non dice nulla e continua a mangiare la sua ciambella.

 
















 

 

                                                                                * * *
















 

 

 

Siamo in aereo e Paul continua a lanciare occhiate per capire cos’abbia Nina. Ha provato a comportarsi il più normalmente possibile, cercando di non far trasparire nulla, ha persino riso -o almeno tentato- a una battuta di Phoebe, ma chi la conosce bene sa che c’è qualcosa che non va in lei. Io mi limito a scuotere la testa, cercando di farlo desistere, perché ho promesso a Nina di non dire nulla e non aspetta a me raccontare tutto quello che è successo. Le nove ore di aereo passano interminabili, fortunatamente ogni tanto mi perdo a guardare Nina e cerco di distrarla. Arriviamo all’aeroporto di Atlanta alle 5.43 pm e, dopo aver trovato tutti quanti le valigie, ci diamo appuntamento tra due giorni sul set per riprendere a girare.

 

“I bambini sono da mia madre, se vuoi andiamo a prenderli lì.”- le dico mentre usciamo dall’aeroporto ben coperti cercando di non farci vedere da nessuno.

“Si, certo, voglio vederli.”- mi dice mordendosi il labbro.

“Non vedo l’ora di sapere se i regali sono adatti.”- sorrido.

“Sicuramente si, gli piaceranno moltissimo!”- ricambia anche lei il sorriso, seppur in modo forzato.

 

Per non destare sospetti ognuno prende la propria macchina come se nulla fosse e un po’ mi preoccupo per Nina, ma so che non le succederà nulla nel tragitto da qui fino a casa dei miei genitori. Arriviamo circa in dieci minuti e non appena parcheggiamo nel vialetto la porta di casa si apre e i bambini ci corrono incontro impazienti.

Stefan si getta tra le mie braccia, mentre Joseph è perso in quelle di Nina. Con la coda dell’occhio osservo Nina e noto, con piacere, che sorride molto più spontaneamente delle ultime 24 ore e arrivo alla conclusione che i bambini possano fare veramente miracoli. Stefan si stacca da me e va da Nina, mentre Joseph viene da me.

 

“Mi sei mancato tantissimo papà!”- mi dice Joseph.

“Anche voi due mi siete mancati tantissimo!”- gli dico stringendolo forte a me.

 

Mia madre ci viene incontro e saluta me e Nina.

 

“Volete venire a prendere un caffè?”- ci chiede gentilmente.

 

Guardo Nina che sta coccolando Stefan e penso se sia il caso di rimanere, ma non penso sia una buona idea perché sono stanchissimo -anche Nina lo è- ed inoltre penso che le farebbe bene andare a casa per un po’.

 

“Siamo stanchi, mamma. Faremo un’altra volta, ora accompagno loro a casa e corro a letto.”- le dico.

 

Mia madre non se la prende, anzi ci sorride comprensiva.

 

“Buon ritorno a casa.”- ci dice sorridendo, poi si rivolge a Nina. -“Qualche volta vienimi a trovare, mi mancano le nostre chiaccherate!”

“Molto volentieri.”- le sorride Nina cordiale.

 

Salutiamo mia madre e ci dirigiamo verso casa di Nina per dare i regali ai bambini.

 
















 

 

                                                                                     * * *
















 

 

“Sono fantastiche!”- urla Joseph con in mano delle spade.

 

“Mamma!”- Stefan tira la maglietta a Nina indicandosi i guantoni da Hulk sulle mani. -“Questi li abbiamo cercati per così tanto tempo.”

 

 

Rido anche io nel vederli così euforici e felici per i regali ricevuti. Iniziano a ringraziarci di nuovo e poi iniziano a parlare degli ultimi giorni di scuola e Joseph prende in giro Stefan su una presunta fidanzatina.

Stefan si guarda i piedi imbarazzato mentre io sorrido orgoglioso di mio figlio che ha già fatto delle conquiste.

 

“Io almeno ne ho scelta una.”- sputa. -“Tu ne hai due.”

 

Io e Nina scoppiamo a ridere di gusto per l’affermazione e questa volta mi perdo ad osservare Joseph che si guarda attorno imbarazzato. In fatto di conquiste credo abbiano preso da me, chi ben comincia è già a metà dell’opera.

 

“Avevi promesso di non dirlo!”- si lamenta Joseph contro Stefan.

“Anche tu.”- dice Stefan incrociando le braccia al petto. -“Siamo pari.”

“Smettetela di litigare.”- li rimprovera bonariamente Nina. -“Non siete un po’ troppo piccoli per queste cose?”

“Assolutamente no, ormai sono diventati grandi!”- intervengo io facendo sedere i bambini sulle mie gambe. -“Gli uomini sono fatti così.”

“Hanno solo sette anni, Ian.”- mi rimbecca Nina.

“Io a sette anni avevo già dato il primo bacio.”- faccio spallucce.

 

Certo, forse non me ne sono reso neanche conto, ma è una cosa importante.

 

“Davvero?”- mi domandano in coro i miei figli.

“Si, davvero.”- annuisco.

“Allora darò anche io il mio primo bacio.”- mi dice Stefan in tono solenne.

 

Lo blocco prima che possa fraintendere.

 

“Io a quell’età credo di aver sbagliato. Dare un bacio ad una persona significa volerle bene, tanto. Io credevo fosse un gioco, ma crescendo ho imparato che è una cosa veramente importante.”- cerco di spiegare loro.

“Quindi non è un gioco?”- mi domanda Joseph.

“Mentre voi fate i vostri discorsi da uomini io vado in cucina a preparare qualcosa.”- annuncia Nina e le sono grato per questo momento di intimità tra padre e figli.

“No, non è un gioco.”- continuo io.

“Quindi tu non baci la mamma per gioco quando siete in televisione?”- mi domanda Stefan.

 

Quello è lavoro, credo. 

 

“E’ lavoro.”- tento di cavarmela così.

“Quindi tu non vuoi bene alla nostra mamma?”- mi domanda Joseph.

 

Io amo la vostra mamma vorrei dire loro, ma non capirebbero e rischierei di combinare un disastro. Nina molto probabilmente mi urlerebbe contro e loro si farebbero solamente tante false speranze e io non voglio. Vorrei semplicemente correre da Nina e dirle che la amo, bloccarla contro il muro e baciarla voracemente, ma non posso. Per quanto io possa amarla, lei si è dimenticata di me e sta cercando di andare avanti con un altro, quello che sta veramente perdendo qualcosa sono io. Per tanti sbagli che ho commesso in passato sto pagando ora, perché se avessi agito diversamente a quest’ora Nina sarebbe la mia donna.

 

“Certo che le voglio bene.”- dico loro.

“Quindi la ami?”- mi domanda Stefan.

“Amare e voler bene sono la stessa cosa?”- continua Joseph.

“Amare e voler bene sono due cose diverse. Voler bene ad una persona significa tenere a lei, ma amare significa che per te non esiste nessun altro che lei. Con quella persona vuoi passare il resto della tua vita.”- tento di spiegarmi  meglio possibile.

 

Amare e voler bene… Cose completamente diverse. Amare una persona vuol dire che improvvisamente lei diventa il centro di ogni cosa, per lei faresti di tutto, ti lanceresti ovunque sapendo che lei è al tuo fianco.

 

“Quindi… Tu non ami la mamma?”- mi domanda Joseph.

 

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Se siete arrivate fin qui a leggere vi ringrazio, ma giustamente vi avevo avvisato per coloro che si sentissero punte nel vivo o per coloro a cui l’argomento risulta difficile da digerire. So che non è successo quello (vi giuro, non ne sarei mai stata in grado!), ma è una tematica delicata, troppo delicata da affrontare, quindi mi pareva dovere avvisarvi, anche se non ho lasciato intendere praticamente nulla, ma alle prime righe uno poteva benissimo fermarsi. Ne ho lette tante storie dove accadono fatti del genere e in tutte si andava oltre, ma da donna e da ragazza quale sono non me la sono assolutamente sentita, perché abusare di una donna è l’atto più vile e schifoso che un uomo possa compiere. Le donne hanno una propria dignità e non devono diventare dei giocattoli, noi donne siamo alla pari degli uomini e nessuno deve farci del male.

Con questo mi scuso se ho offeso qualcuno e che sia descritto male, ma fortunatamente non ho vissuto queste esperienze e mi sono basata un po’ su alcuni racconti alla TV o al giornale. Naturalmente, come ho già detto, non sono scesa nei particolari, ma magari a qualcuno poteva dare fastidio, quindi ho preferito precisare :)

Comunque, torniamo al capitolo! Sono così orgogliosa che questa storia sia arrivata al 40° capitolo, meno tre alla fine, però. E' stato un capitolo lungo, spero che lo abbiate "digerito bene" anche perchè il capitolo finale è ancora più lungo!
Questo è stato un capitolo importante perchè, oltre alla scena di 'quasi violenza' i rapporti tra Nina e Ian si sono avvicinati, notevolmente. Ian, come ha sempre avuto, ha sviluppato un senso di protezione nei confronti di Nina e credetemi che, se Nina non l'avesse implorato di portarla via, avrebbe ucciso quell'uomo. Ormai dentro di se ha ammesso in lungo e in largo che ama Nina, quest'ultima invece, oltre ad essere molto scossa, si fida completamente di Ian perchè vuole stare solo ed esclusivamente con lui, si sente protetta ed è un bel passo avanti visto che, qualche capitolo fa (molti!) non voleva neanche vederlo. Ho voluto alleggerire un po' il capitolo con l'ultima parte, i gemelli stanno diventando dei don Giovanni (per quanto possano esserlo da così piccoli) e Ian li incita :')
Ringrazio le sei ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo con bellissime parole, siamo diminuite ancora, ma spero che questo possa risollevare un po' la morale ^^
Ci vediamo sabato 29 con il 41° capitolo e vi avviso già che il 42° capitolo arriverà solo con due giorni di stacco, ovvero lunedì 31 agosto perchè dopo parto per il ritiro e non riuscirò ad aggiornare fino a domenica pomeriggio/sera. 
Grazie ancora, alla prossima <3

 

  
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