«Ha
telefonato Zed,» annunciò Chas, il giorno dopo.
Erano
tornati al mulino che era quasi ora di pranzo, dopo svariate
difficoltà. Erano successe molte cose strane, quella mattina, e non
sapevano come spiegarsele.
«Dice
che forse riesce a tornare oggi,» aggiunse Chas, avvicinandosi al
tavolo per scrutare cosa avesse attirato così tanto l'attenzione di
John, che da un paio d'ore se ne stava chino su un libro con uno
strano aggeggio in mano – sembrava un ingranaggio, o qualcosa del
genere, ma aveva l'aria di essere antico e di certo non proveniva da
un motore.
«A-ah,»
mugugnò distrattamente John, con una righina di concentrazione tra
le sopracciglia, agitando l'affare misterioso.
«Cos'è
quel coso?» domandò Chas, allungando una mano per sfiorarlo.
«No!»
esclamò John, allarmato, scostandolo bruscamente. «Non toccarlo.
Proviene dall'impalcatura della torre di Babele,» spiegò. «Traduce
tutte le lingue sconosciute dell'universo, se chi lo tocca è
protetto dall'apposito incantesimo; ma, se lo tocchi senza
protezioni, potrebbe avere degli effetti collaterali molto gravi.»
«Tipo?»
«Tipo,
potresti cominciare a parlare in un idioma morto da quattro millenni,
e io potrei non capirti. Oltretutto, il processo è irreversibile,»
John chiuse l'aggeggio di Babele tra le pagine del libro, alzando lo
sguardo sull'altro. «Va bene che sono abituato a tradurre i tuoi
grugniti, ma questo... Be', è tutta un'altra storia,» ghignò, in
quel suo solito modo strafottente. «Ma che simpatico,» lo
rimbrottò Chas, aggrottando le sopracciglia.
«Zed
ha scoperto qualcosa sui giri loschi del paparino?», chiese di
rimando John. Che il padre di Zed non fosse candidabile per il premio
papà dell'anno era assodato. Quello che ancora restava da
scoprire era quanto fossero loschi, quei suoi giri, e su
quanti appoggi potesse contare. Zed ormai gli aveva dichiarato guerra
e aveva deciso che era stanca di fuggire da lui: era arrivato il
momento di combatterlo. Sabotava i suoi piani in ogni modo possibile.
«Solo
che è invischiato fino al collo con la Brujeria, anche lui,»
commentò asciutto Chas. «Ma sembra che ormai tutto il mondo ne
faccia parte,» constatò, mestamente.
John,
nel frattempo, si rigirava tra le dita un fiammifero spento.
«Da
uno che vuole sfruttare i poteri psichici della figlia per i propri
scopi, non mi aspettavo nulla di meglio,» rispose. Il fiammifero
prese fuoco da solo. Lo spense.
«Dovremmo
starle vicino,» disse Chas, preoccupato.
Sempre
pronto a prodigarsi per il bene altrui, pensò John, dandogli
un'occhiata rapida e accennando altrettanto rapidamente un sorriso.
«Lo
faremo,» rispose l'esorcista. «Combatteremo con lei, e chiuderemo
questa storia una volta per tutte. Non abbiamo scelta,» rifletté.
Non avrebbe mai pensato di trovarsi con un carico di responsabilità
così pesante sulle spalle, ma era successo. Ce l'aveva, e Manny si
faceva vivo, una volta ogni tanto, per ricordarglielo. Mai una volta
che muovesse il culo quando ne avevano bisogno, però, pensò John.
Sarà stato pure un angelo, ma come custode faceva piuttosto schifo--
Fu
in quel momento che un fruscio e uno spostamento d'aria attirarono
l'attenzione di entrambi. La luce nella stanza cambiò, tutto il
resto si fermò. John vide che il fascio di pulviscolo luminoso che
solitamente aleggiava di fronte alla finestra aperta era
perfettamente immobile. Nessun movimento, nessuno slittamento di
spazio e tempo.
L'angelo
ritirò le ali con la solita teatralità.
«Quanto
ti piace fare questa scena tutte le volte, eh?» lo schernì John,
con sarcasmo evidente nella voce. «Sembri un pavone che fa la
ruota.»
«Ma
chi diavolo--? Lo conosci?» domandò Chas, disorientato, e John si
voltò sorpreso. Di solito, le visite di Manny restavano tra loro
due, escludendo il resto dei presenti. Quella volta, invece, l'angelo
aveva scelto di mostrarsi anche a Chas. Strano.
«Diavolo
non è la scelta lessicale più appropriata.» L'angelo
parlò, posando le iridi giallo dorate su di loro e avvicinandosi di
qualche passo, dopo essersi spolverato la giacca con disinvoltura.
«Chas,
questo è Manny,» disse John. «E di solito porta brutte
notizie, oltre che brutte giacche.»
La
creatura angelica non raccolse la frecciatina. Girò intorno al
tavolo, studiando in silenzio i volumi che John stava consultando
fino a un istante prima. All'esorcista non piaceva, quel suo
atteggiamento: gli sembrava che lo stesse esaminando, e la cosa lo
irritava non poco. Aveva sempre l'impressione che Manny cercasse di
ricordargli che era solo una pedina e doveva limitarsi ad obbedire,
ma a John questo non stava affatto bene. Aveva accettato di
ricacciare indietro l'Oscurità Crescente nel tentativo di riscattare
la propria anima e di riparare agli errori che aveva commesso – uno
su tutti, la brutta fine di Astra, - ma questo non significava che
quel coglione con le ali potesse disporre di lui come un oggetto. Non
era la prima volta che litigavano a riguardo.
«Ho
un incarico per te,» disse infine l'angelo. Gli occhi dorati
risplendevano troppo, erano quasi inquietanti, in contrasto con la
pelle scura. «Devi partire subito. Sta succedendo qualcosa in New
Mexico.»
John
sentì il fusibile della pazienza che gli scoppiava nel cervello,
come tutte le volte.
«No, non devo andare in New Mexico. Ho
già abbastanza da fare qui,» rispose, allargando le braccia
per mostrargli la confusione che regnava nel mulino. «Sono stato via
due giorni e tutti i demoni del circondario sono usciti fuori a fare
festa. Non sono in vena di fare altre trasferte finché non avrò
riportato la situazione alla normalità, da queste parti,» disse.
Manny scosse la testa.
«Quelle
che ricevi da me non sono richieste, John. Sono ordini.»
Piantò i suoi occhi alieni sull'esorcista. L'angelo appariva calmo,
ma si intuiva la rabbia che stava per esplodere. Chas si mosse
istintivamente a protezione di John, e l'angelo lo guardò.
«Tranquillo, non farò del male al tuo amico,» lo rassicurò.
«Anche se una bella lezione gli servirebbe.»
«Certo
che non puoi,» disse John, spazientito. «Ti servo. Dove lo
trovi un altro stronzo che si sporca le mani con tutta la merda che
ti sei fatto scappare dall'inferno?» Si alzò, puntando le mani sul
tavolo, e fronteggiò lo sguardo dell'angelo con una smorfia di sfida
che conteneva anche un po' di derisione. «Quando ti chiamo io, sei
sempre in giro a fare chissà che. Perciò no, non mi muoverò di
qui, perché questa zona è diventata Mostrolandia e ieri sera
una tizia è stata mangiata dal marito. Non sta scritto da nessuna
parte che io debba fare tutto quello che dici.»
John
si stava davvero arrabbiando. Quando lui e Chas erano tornati,
avevano scoperto che il mondo intorno a loro era in preda alla
follia. Mostriciattoli che uscivano dai tombini, poltergeist che
gettavano nel panico interi condomini, alberi che prendevano vita e
strangolavano la gente, macchine che investivano i passanti da
sole. Sembrava che quella parte di Terra fosse diventata una
succursale dell'inferno. John era rimasto piuttosto contrariato dopo
essersi reso conto della gravità della situazione, perché sapeva
che avrebbe dovuto faticare come un matto per rimettere tutto a posto
– motivo per cui aveva cominciato a consultare i libri più antichi
della collezione di Jasper, con l'ausilio del traduttore universale
di Babele, in cerca di una soluzione. Ma niente, sembrava che nulla
potesse aiutarli, e che dovessero soltanto rimboccarsi le maniche e
lavorare sodo.
L'arrivo
di Manny era un'ulteriore distrazione. Con le sue pretese assurde e i
modi da dominatore del mondo, già non godeva della simpatia di John.
In un momento come quello, poi, era davvero l'ultimo con cui avrebbe
voluto fare due chiacchiere. Soprattutto se veniva per imporgli degli
ordini inconcepibili che avrebbero avuto, come unico risultato,
quello di mandare ulteriormente a puttane la situazione.
Manny
lo incenerì con lo sguardo.
«Se
dico che devi andare, tu vai. So benissimo quali sono le
condizioni, qui.»
«No,
non lo sai! Non hai dovuto ripulire tu quel che rimaneva di un povero
autostoppista mentre i necrofagi facevano un maledetto
banchetto!» Mentre rincasavano, all'alba, si erano trovati davanti
un brutto scenario. I necrofagi solitamente si annidavano nei
cimiteri sconsacrati e non attaccavano gli uomini; ma qualcuno di
loro doveva aver deciso di fare una gita fuori porta e, già che
c'era, di consumare cibo locale. Di quel ragazzo non era
rimasto quasi niente, e John aveva dovuto improvvisare un falò con
la benzina della macchina, mentre Chas li respingeva colpendoli sulla
testa con il cric. Alla fine erano riusciti a incenerirli tutti, ma
non avevano idea di quante altre vittime avessero fatto, nel corso
della notte. Era stato un rientro davvero traumatico. «Non posso
allontanarmi da qui. Ripassa domani, eh?»
L'angelo
non apprezzò il tono di John. Manny non aveva senso dell'umorismo,
anzi: tendeva a reagire sempre in maniera troppo drammatica e
teatrale, quando perdeva la pazienza.
«Forse
hai bisogno che ti ricordi come stanno le cose,» sibilò Manny,
sotto lo sguardo diffidente di Chas. L'angelo e l'esorcista
continuavano a guardarsi in cagnesco.
«Ok,
uhm, senti,» disse il più grande, frapponendosi tra loro due. «Non
so chi sei e non so esattamente cosa state combinando, ma credo che
dovreste darvi una calmata e discutere in modo più... Pacifico, va
bene?» Guardandolo bene, Chas constatò che gli occhi di Manny
sembravano quelli di un gatto alieno: persino la pupilla era stretta
e allungata. Non sapeva se questo Manny fosse un tipo ragionevole
oppure no, ma Chas era sempre pronto a fare da mediatore per evitare
che la situazione degenerasse.
L'angelo
lo scrutò, in risposta, come per soppesarlo.
«Tu
sei davvero un alleato fedele,» sentenziò. «Una delle tante cose
che questo ingrato non sa apprezzare,» aggiunse poi, rivolto a John,
con uno sguardo di fuoco.
L'esorcista
invitò Chas ad allontanarsi, prendendolo per un braccio.
«Stanne
fuori, amico,» borbottò. E poi, rivolto a Manny: «Tu... Davvero
non dovresti essere qui.»
Manny
non sembrò impressionato dal tono che l'altro aveva usato. «Dovresti
imparare a riconoscere chi sta dalla tua parte, John,» lo
rimproverò. «Gli ordini che ti impartisco servono a mantenere
l'equilibrio--», cominciò, ma John non gli diede il tempo di
finire.
«Falla
finita con questa stronzata dell'equilibrio!», sbottò. «Se proprio
vuoi che mi allontani, allora risolvilo tu questo casino!»
Era davvero arrabbiato. Questa storia degli ordini dall'alto lo
faceva uscire di testa, tutte le volte, lo faceva sentire usato. «Ma
non lo farai, nemmeno questa volta, perché non puoi interferire e
bla, bla, bla, giusto?» Quasi ringhiò, esasperato. «Allora sai che
ti dico? Che puoi andare affan--»
Prima
che potesse accorgersene, prima che persino Chas potesse fare
qualcosa, una luce più forte esplose nella stanza. Per qualche
istante, i due umani rimasero quasi accecati. Uno strano fumo denso
si levava tutt'intorno, e lo spostamento d'aria aveva sparpagliato in
giro un po' di carte e alcuni oggetti. Quando Chas si guardò
intorno, non vide più John.
«Ma
che cazzo--?» Istintivamente, fregandosene del fatto che fosse un
angelo e potesse incenerirlo con un'occhiata, Chas afferrò Manny per
il bavero della giacca e lo sollevò. «Dov'è John?» chiese,
intimidatorio. L'altro rimase impassibile e accennò un sorriso, con
quei suoi occhi strani che brillavano di furbizia. «Esattamente
dov'era prima. Guarda meglio,» disse, e Chas lo posò a terra e si
voltò.
Seduto
sulla sedia, con i vestiti che gli penzolavano addosso troppo grandi,
l'aria smarrita e il labbro inferiore contratto in una smorfia di
broncio, c'era un marmocchio che poteva avere al massimo quattro anni
- a voler essere generosi. E aveva i capelli biondi come John, gli
occhi scuri come John, il naso dritto come John – linee appena
appena smussate dai pochi anni d'età, - gli angoli della bocca
leggermente all'ingiù come John e il mento sollevato in una di
quelle smorfie strafottenti tipiche di John, ma--
…Non
poteva essere John.
«...È
uno scherzo, vero?» domandò Chas, confuso.
L'angelo
girò attorno alla sedia mentre miniJohn lo guardava come se
avesse voluto saltargli addosso e graffiarlo – e magari spennarlo,
una piuma alla volta, con le proprie mani. Gli diede una pacca
affettuosa sulla testa a cui il bambino si sottrasse, guardandolo
storto.
«Diciamo
più un bel bagno d'umiltà,» rispose Manny, con la consueta
compostezza. «Gli farà bene.» E un attimo dopo, non c'era più.
Chas
si guardò attorno, smarrito.
«Aspetta!
Ma quanto dura questa cosa?» chiese, rivolto al nulla. «Manny!»
chiamò. Nessuna risposta.
Si
voltò, e vide che miniJohn stava cercando di sfilarsi la camicia e
di liberarsi le gambe dai pantaloni. I vestiti del John adulto erano
una specie di camicia di forza, per lui, stoffa inutile che gli
impediva di muoversi. Chas non fece in tempo ad afferrarlo prima che
si sbilanciasse e cadesse dalla sedia con un piccolo tonfo.
«John!»,
esclamò, preoccupato.
Il
bambino si massaggiò un ginocchio, poi alzò gli occhioni grandi e
scuri e guardò Chas con la stessa espressione corrucciata e spaesata
con cui lo avrebbe guardato il John adulto.
«Ahia,»
disse soltanto; poi Chas si accucciò accanto a lui e lo prese in
braccio, sorprendendosi di quanto fosse leggero e di quanto gli
sembrasse familiare e allo stesso tempo estraneo. Il bambino si
aggrappò alle sue spalle e lo guardò con curiosità.
«Ti
sei fatto male?» gli chiese Chas, disorientato. Come doveva
parlargli? Era davvero soltanto un bambino, o c'era ancora una parte
del John adulto e razionale in quel fagottino profumato coi capelli
spettinati?
«'Gno,»
fu la risposta, data seriamente e sempre con quella smorfia alla
John sul faccino morbido e imberbe.
Chas
restò per un secondo a guardarlo in silenzio, sentendosi perso e
preso in giro come la vittima ignara di una candid camera. Il bambino
lo scrutò a sua volta, con i suoi occhi spalancati e pieni di
domande e le guance rosa.
«Oh
merda,» sospirò infine Chas, realizzando che no, purtroppo non si
trattava di uno scherzo. Era tutto vero.
Il
piccolo Johnny ridacchiò per la parolaccia, completamente
inconsapevole dello stravolgimento che aveva appena investito la vita
di tutti loro, lì al mulino.