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Autore: Ambaraba    26/08/2015    1 recensioni
[Constantine]
Chas era la cosa più simile a una famiglia che avesse mai avuto. Se “famiglia” significava sostegno, calore e fiducia assoluta, allora Chas era la sua famiglia. Senza quel gigante taciturno, che molto spesso si esprimeva a monosillabi quando non addirittura a grugniti, la sua vita sarebbe stata uno schifo.
(John/Chas)
Genere: Generale, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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chastantine 10

    «Ha telefonato Zed,» annunciò Chas, il giorno dopo.
Erano tornati al mulino che era quasi ora di pranzo, dopo svariate difficoltà. Erano successe molte cose strane, quella mattina, e non sapevano come spiegarsele.
    «Dice che forse riesce a tornare oggi,» aggiunse Chas, avvicinandosi al tavolo per scrutare cosa avesse attirato così tanto l'attenzione di John, che da un paio d'ore se ne stava chino su un libro con uno strano aggeggio in mano – sembrava un ingranaggio, o qualcosa del genere, ma aveva l'aria di essere antico e di certo non proveniva da un motore.
    «A-ah,» mugugnò distrattamente John, con una righina di concentrazione tra le sopracciglia, agitando l'affare misterioso.
    «Cos'è quel coso?» domandò Chas, allungando una mano per sfiorarlo.
    «No!» esclamò John, allarmato, scostandolo bruscamente. «Non toccarlo. Proviene dall'impalcatura della torre di Babele,» spiegò. «Traduce tutte le lingue sconosciute dell'universo, se chi lo tocca è protetto dall'apposito incantesimo; ma, se lo tocchi senza protezioni, potrebbe avere degli effetti collaterali molto gravi.»
    «Tipo?»
    «Tipo, potresti cominciare a parlare in un idioma morto da quattro millenni, e io potrei non capirti. Oltretutto, il processo è irreversibile,» John chiuse l'aggeggio di Babele tra le pagine del libro, alzando lo sguardo sull'altro. «Va bene che sono abituato a tradurre i tuoi grugniti, ma questo... Be', è tutta un'altra storia,» ghignò, in quel suo solito modo strafottente. «Ma che simpatico,» lo rimbrottò Chas, aggrottando le sopracciglia.
    «Zed ha scoperto qualcosa sui giri loschi del paparino?», chiese di rimando John. Che il padre di Zed non fosse candidabile per il premio papà dell'anno era assodato. Quello che ancora restava da scoprire era quanto fossero loschi, quei suoi giri, e su quanti appoggi potesse contare. Zed ormai gli aveva dichiarato guerra e aveva deciso che era stanca di fuggire da lui: era arrivato il momento di combatterlo. Sabotava i suoi piani in ogni modo possibile.
    «Solo che è invischiato fino al collo con la Brujeria, anche lui,» commentò asciutto Chas. «Ma sembra che ormai tutto il mondo ne faccia parte,» constatò, mestamente.
John, nel frattempo, si rigirava tra le dita un fiammifero spento.
    «Da uno che vuole sfruttare i poteri psichici della figlia per i propri scopi, non mi aspettavo nulla di meglio,» rispose. Il fiammifero prese fuoco da solo. Lo spense.
    «Dovremmo starle vicino,» disse Chas, preoccupato.
Sempre pronto a prodigarsi per il bene altrui, pensò John, dandogli un'occhiata rapida e accennando altrettanto rapidamente un sorriso.
    «Lo faremo,» rispose l'esorcista. «Combatteremo con lei, e chiuderemo questa storia una volta per tutte. Non abbiamo scelta,» rifletté. Non avrebbe mai pensato di trovarsi con un carico di responsabilità così pesante sulle spalle, ma era successo. Ce l'aveva, e Manny si faceva vivo, una volta ogni tanto, per ricordarglielo. Mai una volta che muovesse il culo quando ne avevano bisogno, però, pensò John. Sarà stato pure un angelo, ma come custode faceva piuttosto schifo--
    Fu in quel momento che un fruscio e uno spostamento d'aria attirarono l'attenzione di entrambi. La luce nella stanza cambiò, tutto il resto si fermò. John vide che il fascio di pulviscolo luminoso che solitamente aleggiava di fronte alla finestra aperta era perfettamente immobile. Nessun movimento, nessuno slittamento di spazio e tempo.
L'angelo ritirò le ali con la solita teatralità.
    «Quanto ti piace fare questa scena tutte le volte, eh?» lo schernì John, con sarcasmo evidente nella voce. «Sembri un pavone che fa la ruota.»
    «Ma chi diavolo--? Lo conosci?» domandò Chas, disorientato, e John si voltò sorpreso. Di solito, le visite di Manny restavano tra loro due, escludendo il resto dei presenti. Quella volta, invece, l'angelo aveva scelto di mostrarsi anche a Chas. Strano.
    «Diavolo non è la scelta lessicale più appropriata.» L'angelo parlò, posando le iridi giallo dorate su di loro e avvicinandosi di qualche passo, dopo essersi spolverato la giacca con disinvoltura.
    «
Chas, questo è Manny,» disse John. «E di solito porta brutte notizie, oltre che brutte giacche.»
    La creatura angelica non raccolse la frecciatina. Girò intorno al tavolo, studiando in silenzio i volumi che John stava consultando fino a un istante prima. All'esorcista non piaceva, quel suo atteggiamento: gli sembrava che lo stesse esaminando, e la cosa lo irritava non poco. Aveva sempre l'impressione che Manny cercasse di ricordargli che era solo una pedina e doveva limitarsi ad obbedire, ma a John questo non stava affatto bene. Aveva accettato di ricacciare indietro l'Oscurità Crescente nel tentativo di riscattare la propria anima e di riparare agli errori che aveva commesso – uno su tutti, la brutta fine di Astra, - ma questo non significava che quel coglione con le ali potesse disporre di lui come un oggetto. Non era la prima volta che litigavano a riguardo.
    «Ho un incarico per te,» disse infine l'angelo. Gli occhi dorati risplendevano troppo, erano quasi inquietanti, in contrasto con la pelle scura. «Devi partire subito. Sta succedendo qualcosa in New Mexico.»
    John sentì il fusibile della pazienza che gli scoppiava nel cervello, come tutte le volte.
    «No, non devo andare in New Mexico. Ho già abbastanza da fare qui,» rispose, allargando le braccia per mostrargli la confusione che regnava nel mulino. «Sono stato via due giorni e tutti i demoni del circondario sono usciti fuori a fare festa. Non sono in vena di fare altre trasferte finché non avrò riportato la situazione alla normalità, da queste parti,» disse.
    Manny scosse la testa.
    «Quelle che ricevi da me non sono richieste, John. Sono ordini.» Piantò i suoi occhi alieni sull'esorcista. L'angelo appariva calmo, ma si intuiva la rabbia che stava per esplodere. Chas si mosse istintivamente a protezione di John, e l'angelo lo guardò. «Tranquillo, non farò del male al tuo amico,» lo rassicurò. «Anche se una bella lezione gli servirebbe.»
    «Certo che non puoi,» disse John, spazientito. «Ti servo. Dove lo trovi un altro stronzo che si sporca le mani con tutta la merda che ti sei fatto scappare dall'inferno?» Si alzò, puntando le mani sul tavolo, e fronteggiò lo sguardo dell'angelo con una smorfia di sfida che conteneva anche un po' di derisione. «Quando ti chiamo io, sei sempre in giro a fare chissà che. Perciò no, non mi muoverò di qui, perché questa zona è diventata Mostrolandia e ieri sera una tizia è stata mangiata dal marito. Non sta scritto da nessuna parte che io debba fare tutto quello che dici.»
    John si stava davvero arrabbiando. Quando lui e Chas erano tornati, avevano scoperto che il mondo intorno a loro era in preda alla follia. Mostriciattoli che uscivano dai tombini, poltergeist che gettavano nel panico interi condomini, alberi che prendevano vita e strangolavano la gente, macchine che investivano i passanti da sole. Sembrava che quella parte di Terra fosse diventata una succursale dell'inferno. John era rimasto piuttosto contrariato dopo essersi reso conto della gravità della situazione, perché sapeva che avrebbe dovuto faticare come un matto per rimettere tutto a posto – motivo per cui aveva cominciato a consultare i libri più antichi della collezione di Jasper, con l'ausilio del traduttore universale di Babele, in cerca di una soluzione. Ma niente, sembrava che nulla potesse aiutarli, e che dovessero soltanto rimboccarsi le maniche e lavorare sodo.
    L'arrivo di Manny era un'ulteriore distrazione. Con le sue pretese assurde e i modi da dominatore del mondo, già non godeva della simpatia di John. In un momento come quello, poi, era davvero l'ultimo con cui avrebbe voluto fare due chiacchiere. Soprattutto se veniva per imporgli degli ordini inconcepibili che avrebbero avuto, come unico risultato, quello di mandare ulteriormente a puttane la situazione.
    Manny lo incenerì con lo sguardo.
    «Se dico che devi andare, tu vai. So benissimo quali sono le condizioni, qui.»
    «No, non lo sai! Non hai dovuto ripulire tu quel che rimaneva di un povero autostoppista mentre i necrofagi facevano un maledetto banchetto!» Mentre rincasavano, all'alba, si erano trovati davanti un brutto scenario. I necrofagi solitamente si annidavano nei cimiteri sconsacrati e non attaccavano gli uomini; ma qualcuno di loro doveva aver deciso di fare una gita fuori porta e, già che c'era, di consumare cibo locale. Di quel ragazzo non era rimasto quasi niente, e John aveva dovuto improvvisare un falò con la benzina della macchina, mentre Chas li respingeva colpendoli sulla testa con il cric. Alla fine erano riusciti a incenerirli tutti, ma non avevano idea di quante altre vittime avessero fatto, nel corso della notte. Era stato un rientro davvero traumatico. «Non posso allontanarmi da qui. Ripassa domani, eh?»
    L'angelo non apprezzò il tono di John. Manny non aveva senso dell'umorismo, anzi: tendeva a reagire sempre in maniera troppo drammatica e teatrale, quando perdeva la pazienza.
    «Forse hai bisogno che ti ricordi come stanno le cose,» sibilò Manny, sotto lo sguardo diffidente di Chas. L'angelo e l'esorcista continuavano a guardarsi in cagnesco.
    «Ok, uhm, senti,» disse il più grande, frapponendosi tra loro due. «Non so chi sei e non so esattamente cosa state combinando, ma credo che dovreste darvi una calmata e discutere in modo più... Pacifico, va bene?» Guardandolo bene, Chas constatò che gli occhi di Manny sembravano quelli di un gatto alieno: persino la pupilla era stretta e allungata. Non sapeva se questo Manny fosse un tipo ragionevole oppure no, ma Chas era sempre pronto a fare da mediatore per evitare che la situazione degenerasse.
L'angelo lo scrutò, in risposta, come per soppesarlo.
    «Tu sei davvero un alleato fedele,» sentenziò. «Una delle tante cose che questo ingrato non sa apprezzare,» aggiunse poi, rivolto a John, con uno sguardo di fuoco.
    L'esorcista invitò Chas ad allontanarsi, prendendolo per un braccio.
    «Stanne fuori, amico,» borbottò. E poi, rivolto a Manny: «Tu... Davvero non dovresti essere qui.»
    Manny non sembrò impressionato dal tono che l'altro aveva usato. «Dovresti imparare a riconoscere chi sta dalla tua parte, John,» lo rimproverò. «Gli ordini che ti impartisco servono a mantenere l'equilibrio--», cominciò, ma John non gli diede il tempo di finire.
    «Falla finita con questa stronzata dell'equilibrio!», sbottò. «Se proprio vuoi che mi allontani, allora risolvilo tu questo casino!» Era davvero arrabbiato. Questa storia degli ordini dall'alto lo faceva uscire di testa, tutte le volte, lo faceva sentire usato. «Ma non lo farai, nemmeno questa volta, perché non puoi interferire e bla, bla, bla, giusto?» Quasi ringhiò, esasperato. «Allora sai che ti dico? Che puoi andare affan--»
    Prima che potesse accorgersene, prima che persino Chas potesse fare qualcosa, una luce più forte esplose nella stanza. Per qualche istante, i due umani rimasero quasi accecati. Uno strano fumo denso si levava tutt'intorno, e lo spostamento d'aria aveva sparpagliato in giro un po' di carte e alcuni oggetti. Quando Chas si guardò intorno, non vide più John.
    «Ma che cazzo--?» Istintivamente, fregandosene del fatto che fosse un angelo e potesse incenerirlo con un'occhiata, Chas afferrò Manny per il bavero della giacca e lo sollevò. «Dov'è John?» chiese, intimidatorio. L'altro rimase impassibile e accennò un sorriso, con quei suoi occhi strani che brillavano di furbizia. «Esattamente dov'era prima. Guarda meglio,» disse, e Chas lo posò a terra e si voltò.
    Seduto sulla sedia, con i vestiti che gli penzolavano addosso troppo grandi, l'aria smarrita e il labbro inferiore contratto in una smorfia di broncio, c'era un marmocchio che poteva avere al massimo quattro anni - a voler essere generosi. E aveva i capelli biondi come John, gli occhi scuri come John, il naso dritto come John – linee appena appena smussate dai pochi anni d'età, - gli angoli della bocca leggermente all'ingiù come John e il mento sollevato in una di quelle smorfie strafottenti tipiche di John, ma--

Non poteva essere John.
    «...È uno scherzo, vero?» domandò Chas, confuso.
L'angelo girò attorno alla sedia mentre miniJohn lo guardava come se avesse voluto saltargli addosso e graffiarlo – e magari spennarlo, una piuma alla volta, con le proprie mani. Gli diede una pacca affettuosa sulla testa a cui il bambino si sottrasse, guardandolo storto.
    «Diciamo più un bel bagno d'umiltà,» rispose Manny, con la consueta compostezza. «Gli farà bene.» E un attimo dopo, non c'era più.
Chas si guardò attorno, smarrito.
    «Aspetta! Ma quanto dura questa cosa?» chiese, rivolto al nulla. «Manny!» chiamò. Nessuna risposta.
Si voltò, e vide che miniJohn stava cercando di sfilarsi la camicia e di liberarsi le gambe dai pantaloni. I vestiti del John adulto erano una specie di camicia di forza, per lui, stoffa inutile che gli impediva di muoversi. Chas non fece in tempo ad afferrarlo prima che si sbilanciasse e cadesse dalla sedia con un piccolo tonfo.
    «John!», esclamò, preoccupato.
Il bambino si massaggiò un ginocchio, poi alzò gli occhioni grandi e scuri e guardò Chas con la stessa espressione corrucciata e spaesata con cui lo avrebbe guardato il John adulto.
    «Ahia,» disse soltanto; poi Chas si accucciò accanto a lui e lo prese in braccio, sorprendendosi di quanto fosse leggero e di quanto gli sembrasse familiare e allo stesso tempo estraneo. Il bambino si aggrappò alle sue spalle e lo guardò con curiosità.
    «Ti sei fatto male?» gli chiese Chas, disorientato. Come doveva parlargli? Era davvero soltanto un bambino, o c'era ancora una parte del John adulto e razionale in quel fagottino profumato coi capelli spettinati?
    «'Gno,» fu la risposta, data seriamente e sempre con quella smorfia alla John sul faccino morbido e imberbe.
Chas restò per un secondo a guardarlo in silenzio, sentendosi perso e preso in giro come la vittima ignara di una candid camera. Il bambino lo scrutò a sua volta, con i suoi occhi spalancati e pieni di domande e le guance rosa.
    «Oh merda,» sospirò infine Chas, realizzando che no, purtroppo non si trattava di uno scherzo. Era tutto vero.   
    Il piccolo Johnny ridacchiò per la parolaccia, completamente inconsapevole dello stravolgimento che aveva appena investito la vita di tutti loro, lì al mulino.


  
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