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Autore: RLandH    27/08/2015    2 recensioni
Da capitolo II:
[...]“E quindi hai pensato che abbandonarmi era meglio?” domandò irascibile lei, “Tesoro, nasciamo, viviamo e moriamo soli. Non è mia abitudine aiutare i mortali, mai, neanche i miei figli. Neanche quelli divini, se per questo” aveva detto con un tono infastidito, continuando a limarsi le unghia.[...]
Da capitolo IX:
[...]Era il figlio al prodigo, aveva bisogno di quel padre a cui aveva voltato le spalle, per uno stupidissimo corvo che non avrebbe potuto fare nulla contro un gigantesco uomo alto venti piedi. Le sentì brucianti le lacrime sulle guance.[...]
July vorrebbe aspettare la fine in pace, Carter si sente perso come mai è stato, Heather è in cerca di qualcosa e Bernie di quella sbagliata.
Se si è cosa si mangia: Arvery è una bella persona; Alabaster, lui è quello furbo. Marlon è un anima innocente e Grace è un mostro dal cuore d’oro.
E quando gli Dei decidono di invocare l'aiuto di quegli stessi figli dannati a cui non hanno mai rivolto lo sguardo, non c'è da stupirsi se il mondo intero va rotoli ...
Buona lettura,
Genere: Angst, Avventura, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altro personaggio, Dei Minori, Le Cacciatrici, Mostri, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Capitolo piuttosto breve, non molto corposo, ma credo abbastanza importante ed insomma da inizio ad una certa collisione di fatti, va bene non voglio fare spoiler vari, il capitolo è qui sotto, sistemato accuratamente da lamascherarossa, nonostante i nostri meravigliosi problemi di connessioni e i deliri da esami vari.

Oltre questo come sempre una dedica speciale a summer_time che ringrazio davvero di seguire questa storia ed ovviamente anche chi legge.

Buona lettura

RLandH

 



Il Crepuscolo degli Idoli

 

Il verde è il nuovo nero – specie se il nero è il colore della morte.

 

Heather II

 

Heather aveva una faretra con tre frecce della pestilenza ma nessun arco con cui lanciare, un inquietante profezia che si stava realizzando ed una paura dannata delle persone dagli occhi verdi oltre che una missione da compiere, senza dimenticare i sociopatici che volevano ucciderla per vendicarsi di suo padre. Heat strinse la pianta d’erica con forza, cercando in quel dono di suo padre l’appiglio. “Abbiamo una missione, no?” aveva detto Qbert, incrociando le braccia al petto, “Trovare l’Arma che Persefone ha nascosto sulla Terra, quando il Tartaro è stato invaso” aveva mormorato il satiro, ricordandole perché erano partiti. Facile per lui parlare. Non c’era una taglia sulla sua testa, non gli era stata predetta la morte. Ora quasi aveva senso lo sguardo ferito che Rachel aveva fatto, quando l’aveva incontrato fuori la casa bianca mentre aspettava Qbert... E pensare che il dono profetico di Apollo era molto limitato di quei tempi!

“Devo fare una chiamata” disse alla fine, sollevandosi dalla posizione che aveva avuto per due ore.

 

Aveva litigato con l’acqua e la luce per ottenere quel messaggio. E visto che non era più Iride a dare i messaggi, ma una simpatica ninfa delle nuvole di nome Fiocco, Heather aveva dovuto provare tre volte prima di vedere comparire nell’arcobaleno il viso di Darren, la pelle chiara ed i capelli castani sempre intrecciati, non aveva mai notato quanto verdi fossero i suoi occhi. “Hei D.” disse amichevole, stritolando la cintura del cuoio della faretra; il figlio di Demetra era nella sua stanza, quella che divideva con altri quattro fratellastri, “Ehi Heat, già ti sei stufata?” aveva domandato con sorriso sornione, “Lo sai che ti aspetto per prendere a calci le chiappe titaniche di Gea” aveva ricordato lui, "O gigantiche, cosa è meglio?" aveva chiesto tutto divertito. Heather aveva sorriso, dimenticando tutto per un momento.

Quando era partita con Qbert, Heather l’aveva baciato sulle labbra e gli aveva promesso che sarebbe tornata in tempo per combattere contro i giganti, "Questa sí che é una questione interessante" aveva risposto con allegria, ridacchiando appena sebbene il sorriso le si fosse smorzato presto sulle labbra; sentiva, infatti, nelle sue orecchio l'eco della donna dai capelli rossi. Restò in silenziò per qualche secondo. “Ci sarò” aveva commentato con voce bassa.

Forse non sarebbe tornata o forse si, forse era Gea ad avere gli occhi verdi e stocchi letali, il destino ed il futuro erano sempre imprevedibili. “La tristezza non si addice ad una figlia di Apollo” aveva detto Darren, notando la strana espressione che animava il suo viso; sorrideva nel vapore, con gli occhi belli e luccicanti come smeraldi; era così bello, con quel sorriso gentile e le labbra piene.

Quella frase la colse di sorpresa, non era abile nel mentire o forse non lo era con lui. Deglutì a fatica, posandosi una mano sulla guancia, inclinando appena il capo per poi abbozzare un sorriso caustico nel vano tentativo di celare tutta la sua paura. Non ne aveva mai avuto così tanta, neanche quando erano scesi a combattere a Manhattan ed aveva tenuto stretta la mano di Darren ... lui era la sua áncora, la sua forza e lei lo aveva chiamato proprio per questo, per dirgli della Purga dei figli di Apolo, per la profezia della donna dai capelli rossi. Ma lui aveva un sorriso così bello, così imperturbabile, neanche la rinascita di Gea sembrava toccare quella sua ingenuità ed Heather non aveva avuto il cuore di dire nulla, neanche una parola, era rimasta a crogiolarsi nel silenzio, con gli occhi verdi ed interrogativi di Darren su di lei.

Non voleva che si preoccupasse, non voleva destabilizzarlo e voleva tornare da lui. “Ti amo” soffiò alla fine, con la voce tremolante ed un sorriso più gentile e veritiero che potesse avere, “Ti amo, anche io” aveva detto Darren con onestà, comunque confuso da quel repentino cambiamento, incerto ugualmente ed ancora interrogativo, ma aveva sorriso alla confessione lo stesso, come un qualsiasi ragazzo innamorato.

"Mi hai chiamato per dirmi questo?" indagò lo stesso Darren, perchè era tante cose ma certamente non stupido; fu solo il rumore della porta dell'anticamera del bagno che dava cenno di aprirsi a costringerla a chiudere la chiamata con un sorriso incerto e veloce e la grazia di non dover mentire.

Un ragazzo era comparso sull'uscio del bagno, indossava una giacca pesante, sinonimo del freddo che doveva sentire nonostante l’arrivo della primavera. Aveva capelli di un biondo scuro, di una lunghezza così minima da non potersi spettinare ed aveva una carnagione livida. Occhi! La prima cosa che spiò la ragazza erano i grandi iridi azzurri come il cielo, segnati da occhiaie viola. Aveva sospirato. Lui l’aveva guardata, confuso, “E’ il bagno delle donne” aveva insistito Heather, indicando la porta di legno al suo fianco, dove svettava la figura con la gonna. Appurato che non avesse gli occhi verdi, non era una reale minaccia. Il ragazzo s’era fatto paonazzo in viso, prima di abbozzare un riso imbarazzato, cercando le scuse per andare via. Heat gli piegò le labbra in un’espressione rilassata, cercando di sembrare complice. Quello sorrise pavido, poi s’era voltato per uscire, ancora paonazzo in viso.

Heather vide qualcosa sopra il sopracciglio chiaro, una piccola lineetta sottile di modeste dimensione. Una cicatrice; una di quelle che un punta procurava con colpo di striscio. “Aspetta” aveva esclamato, seguendolo, il ragazzo s’era arrestato, “Noi ci siamo già visti da qualche parte?” chiese con innocenza, quando lui l’aveva guardata con un misto di confusione in viso. Davvero era certa di aver già visto quella cicatrice da qualche parte, forse era un ragazzo che viva in Kansas con cui forse andava in classe insieme. Era una cicatrice non poi così rara, forse era dovuta ad una caduta sullo spigolo di un tavolo. Lui aveva aggrottato le sopracciglia, probabilmente il suo viso doveva apparire il più comune di tutti, perché evidentemente non la riconosceva minimamente. Aveva mosso il capo in senso di negazione, poi aveva puntato gli occhi azzurri alle sue spalle, dove c’erano le tre frecce. Era diventato più pallido di quanto non fosse e si era allontanato in fretta, voltando però la testa solo dopo pochi passi. Voltato di schiena, Heather aveva pensato fosse un comportamento decisamente strano, per essere qualcuno che non la conosceva. “Fermati!” urlò, cominciando a correre. Quello si era voltato, poi aveva cominciato a metter velocità, ma la figlia d’Apollo gli stava facilmente dietro.

Era riuscita a fermare la sua corsa approfittando del lucernario del centro commerciale,l; Heater, infatti, aveva direzionato i raggi del sole verso gli occhi del ragazzo, che ne era rimasto accecato, in prossimità del parapetto. Si era coperto gli occhi ma era finito contro la ringhiera ed era caduto dal balconcino del primo piano, finendo su un esposizione di gioielli, rompendo il vetro in mille schegge che si conficcarono nella schiena. “O miei dei” urlò la Heat affacciandosi dalla ringhiera. Un gruppo di persone si era riunito intorno al ragazzo ferito, che aveva fatto a pezzi un mobiletto e sparso gioielli ovunque. Lui era steso per terra, cercava di muovere le dita delle mani, ma non era riuscito a farlo, aveva un espressione di dolore dipinta sul volto. Era completamente distrutto. Ed Heat si sentì profondamente in colpa, stringendo le dita sulla maglietta arancione strappata.

Si era praticamente lanciata di sotto, ma aveva ruzzolato per attenuare la caduta. La gente l’aveva guardata, ma Heather s’era sollevata ed aveva chiuso la giacca sulla maglia arancione per nascondere lo squarcio. Ne serviva una nuova! Sorrise nervosa, infilandosi nel mucchio di persone attorno al ragazzo steso. Erano tutti nel panico, qualcuno aveva chiamato l’ambulanza, anche le guardie del centro commerciale erano arrivate. Qualcuno proponeva di spostarlo, qualcun altro ribatteva che non si poteva visto che non si conosce né il tipo né l'entità del danno subito . Heather superò un agente della sicurezza e si chinò al fianco del ragazzo, facendo attenzione alle schegge di vetro, “Mi dispiace” aveva bisbigliato, quello aveva trovato la forza di aprire gli occhi per fulminarla con lo sguardo ma Heat tirò un sospiro di sollievo incontrando quegli occhi azzurrissimi e spaventati; lui stava bene.

La ragazza gli afferrò una mano, cercò in se stessa le parole e le forze per farlo, ricordò quando a dodici anni Carter le aveva preso le mani ed aveva cercato di insegnarle i rimedi medici dei figli di Apollo. Era nato tutto per una grave ustione subita a causa della lava sulla parete d’arrampicata. Sentì la voce di Carter nella sua testa, una voce carezzevole, genuina, sempre disposta ad aiutare. E cantò, con le dita stritolate intorno al palmo del ragazzo. I mortali dovevano aver pensata fosse pazza a canticchiare una canzone in greco antico, mentre teneva la mano ad uno che era letteralmente piombato dall'alto su una vetrina. Sentì le dita del ragazzo tremare, ma si chiusero sul dorso della mano di Heather. Lo percepì chiaramente anche lei, che la forza stava ardendo di nuovo nel ragazzo. Quando ebbe di nuovo vigore fu lui stesso a sollevarsi dalla posizione supina, con ancora schegge di vetri conficcate nella carne, quasi del tutto inconscio del dolore. Heat non diede tempo ai mortali di capire cosa stesse succedendo; stritolò di più la mano del ragazzo e corse via, la nebbia avrebbe risolto tutti i problemi, almeno in quel campo.

Doveva ritrovare Qbert e poi guarire decentemente quel ragazzo.

Il satiro stava bevendo una Sprite, esattamente doveva l’aveva lasciato, vicino al negozio di intimo femminile ad osservare l'intimo, per nulla preoccupato di quello che era successo al piano di sotto. “E’ una fortuna che i messaggi di Iris non costino” aveva detto divertito, alludendo a quella che secondo lui doveva essere stata una conversazione molto lunga, poi notò il ragazzo ed il fatto che si tenessero per mano, “Ha pianto Darren, quando l’hai scaricato?” chiese con una punta di divertimento. Heather tolse immediatamente la mano da quella dell’estraneo, “Qbert che dici!” disse imbarazzata. Figurarsi se piantava Darren per uno qualsiasi, per quanto bello potesse essere. Il satiro guardò il ragazzo poi indietreggio, “Puzza di natura marcia” aveva stabilito con disgusto, saltellando indietro. Heather si era voltata verso di lui, quello si stava sfilando delle schegge dalle braccia, sudice di sangue. “Togli la giacca” gli aveva detto lei, aiutandolo a sfilare la giacca; la maglietta del ragazzo era bianca ma macchiata di rosso dove le schegge di vetro conficcate lungo la schiena. “Che, Ade, è successo?” aveva mormorato Qbert.

Avevano passato parecchio tempo a sfilare via i pezzi di vetro di diverse grandezze dal corpo di lui. Heather aveva cantato, guarendo i tagli e pulendo il sangue. Quando toccò anche ai pantaloni la cosa si fece decisamente più imbarazzante. Il ragazzo s’era chiuso le dita sul viso, rosso e paonazzo; indossava mutande verdi con circonferenze nere. Dalle tasche dei pantaloni di jeans grigi, scivolò via un portafoglio marrone con una rosa d’oro all’angolo; aprendolo aveva trovato la carta di identità del muto, Jude Mortimer di Boston, aveva un anno meno di lei, quindici anni. Spiccava anche una foto, vecchia di un paio d'anni, in cui Jude stava accanto ad un ragazzo dai capelli scuri, con le lentiggini e borse sotto occhi. Verdi come la frutta matura. Rimise a posto la foto, ansiosa. Il ragazzo la fissava infastidito di quell’intrusione. “Scusa Jude” disse mortificata, allungando il portafoglio, quello l’aveva preso, “Heather Shine” aveva detto poi, trovando doveroso presentarsi. Quello si era infilato i pantaloni vagamente offeso.

“Jude l’Oscuro(*)” disse Qbert con un sorriso vagamente divertito, il ragazzo infilandosi la giacca lo aveva guardato vagamente confuso, “Lascia perdere” mormorò il satiro, prima di ridacchiare, “Sai che Rachel l’Oracolo per questa missione aveva parlato di praterie marcia” aveva commentato con un tono tranquillo. Heather aveva pensato quando la povera Rachel aveva fatto loro quella sgangherata e vacua profezia, con gli occhi mortificati poi, il Dono di Apollo era bloccato e l'oracolo si sentiva costretta a guardare il futuro come se spiasse dal foro di una tenda scura.

Jude sembrò improvvisamente interessato, avvicinandosi al satiro, “Sei tu che puoi trovare il sonno più profondo” aveva spiegato il satiro. Il ragazzo aveva sorriso, in maniera sbilenca, cosa che aveva portato Heat a pensare che quel ghigno doveva avere un significato tutto suo e di sicuro non c’era nulla di buono. Prima però che potesse pensare altro, Jude l’aveva già spinta a terra, crollandole addosso, qualcosa sopra di loro sbatteva le ali, era un agglomerato di piume nere, artigli che tranciavano la pelle. “La figlia della notte!” aveva gracchiato la creatura.

Il biondo le impediva di vedere bene cosa successe.

Sentiva solo Qbert cercando di calmare la creatura, doveva essere molto agitata.

 

Jude infilò le mani nella sua borsa, cercando qualcosa; Heather lo guardava sconvolta, sfilò via una barretta di cioccolato triplo caramello e l’allungo alla cosa. La creatura sembrò calmarsi e il ragazzo ruzzolò su un fianco. Heather aveva visto un turbine nero piazzarsi vicino un impala grigio, mentre si ingozzava con le sue barrette. Era un’arpia dal piumaggio nero, non ne aveva mai vista una così scarna in tutta la sua vita. Non sembrava malefica, ora che si era calmata. Respirava lentamente, mentre si riempiva il viso scavato con la cioccolata. Il ragazzo arrivò a lei, toccandole la fronte lentamente, in maniera molto amichevole. Heat si era avvicinata, quando quella aveva finito di mangiare la cioccolata. Anche Qbert saltellante era arrivato ad osservare la creatura. “E’ molto spaventata” aveva detto il satiro, percependo i sentimenti che dovevano animare l’arpia. Era strano, secondo Heat che il suo amico si procurasse per un’arpia, quella aveva sollevato lo sguardo, sorridendo al satiro, prima di battere le dita sul petto, “Lei è Ennoia” aveva detto l’arpia con voce sicura. “Piacere Ennoia, io sono Qbert, lei è Heather e lui è Jude” aveva spiegato, toccando la testa di entrambi, come a mostrargli fossero innocui.

L’arpia aveva la pelle grigiastra, gli occhi di ghiaccio ed era tutta di piume scure, aveva un fascino altolocato, non era il primo modo che li veniva per descrivere un arpia, insomma quelle del campo erano molto orride e l’unica che aveva fatto eccezione era l’arpia logorroica tutta rossa che era sempre con Tyson in ciclope, una tale Ella. Ma Ennoia era diversa, dalla sorella scarlatta o dalle altre. Dall’abbigliamento in primis, le arpie erano sempre strette in sottanelle leggere, ma lei era nuda, sotto le piume nerissimi si intravedevano grigio pellame. Aveva viso di donna, non maturo, ma comunque non più di giovincella, un decennio in più di lei, si disse Heat, non che avesse idea di come invecchiassero le arpie. Ennoia li guardò, poi sorrise candida a Jude. Lui le aveva dato il cibo ed era stato il primo a tranquillizzarla. “Lei non voleva fare del male” spiegò subito, “Ennoia voleva aiutare” aveva detto, allungando le mani verso il ragazzo, aveva palmi grigi, nudi rispetto alla pelle, che aveva usato per accarezzare i capelli di Jude, poi si era voltato verso di lei ed aveva preso anche i suoi capelli, poi anche quelli di Qbert, solo allora Heat aveva notato non avesse capelli, ma piume nere.

“Come volevi aiutarci ?” aveva domandato il satiro, prendendo con le mani, quelle della creatura, in maniera gentile, l’arpia si era leccata le labbra scure un attimo pensosa, “Ennoia è procella di Artemide(**)” aveva spiegato con un tono delicato, “Lei deve proteggere la figlia della notte” aveva spiegato, chiudendo gli occhi. Jude la fissava in maniera ossessiva. Heather era quasi più interessata a lui che alla creatura in questione, lo capiva da tutto il modo che aveva di essere rigido, attento, come se ogni parola pronunciata dalla bocca dell’arpia fosse oro colato. Magari lo era, forse non per Heat, ma forse per lui si. “Ennoia l’aveva trovata, ma il lestrigone l’ha presa” aveva detto con voce triste. Dal suo modo di parlare, si intuiva faticasse moltissimo a trovare le parole, non doveva essere abituata a chiacchierare. Jude si fece livido in volto ed afferrò Ennoia girandola verso di lui, l’arpia si agitò un po’ ed anche Qbert strillò, doveva essere stato inondato sia dalla decisione – e qualunque sentimento celasse – del biondo sia dalla paura che aveva animato la creatura. Jude fissava penetrante l’arpia, come se con i suoi occhi azzurri avesse voluto scavare fin dentro l’anima della creatura, che era tutta agitata e cercava di divincolarsi spaventata, di rimando il satiro era ancora preda di tutte quelle emozioni. E fu Heather a rompere quella situazione; le venne in mente Kayla che il mese prima era tornato con un passero ferito e per tranquillizzarlo aveva cantato. Così Heat cantò, una stupidissima canzoncina d’amore, che aveva sentito dall’Ipod che rarissimamente Darren tirava fuori alle loro passeggiate al chiaro di luna, dove cercavano per lo più di evitare altre coppiette o le arpie. E forse ci aveva pensato proprio perché doveva calmare un’arpia. E insomma la musica faceva bene a tutti. Di fatti s’erano calmati e la fissavano. Qbert sorrideva dolce, privo della sua paranoia, e preso da quello che lui stesso definiva estasi dei sensi, Ennoia si era semplicemente calmata, riguardo a Jude la fissava perché doveva trovarla pazza, o almeno i suoi occhi dicevano così. Magari pensava che i figli di Apollo fossero tutti folli canterini o cose così.

“La figlia della Notte non in pericolo” disse a fatica l’arpia, “Lei sa” aggiunse riferendosi a se stessa, “Pasticcino detto Arvey schifoso sdolcinato” aveva terminato, cercando di riavviare nella sua mente quelle parole. Jude per un attimo sembrò tranquillizzarli ed allora posò una mano sulla spalla dell’arpia in maniera gentile. Heather lo guardò attenta, si chiese quanto dovesse essere snervante non poter parlare, non potersi far capire. Ennoia, poso le dita affusolate su quelle di Jude, come a dire che a differenza della ragazza, lei aveva capito, forse era come i satiri, magari anche lei percepiva le emozioni. Il biondo sorrideva, “Tu aiuti lei a trovare la figlia della notte?” aveva chiesto l’arpia. Il ragazzo aveva annuito, stringendo le dita della creatura. Qbert sembrò punto nell’orgoglio ricordando a Jude che doveva aiutare loro con la missione, che se erano partiti in due era perché fosse scritto che lui era il terzo membro, per la storia dei capi marci. Il biondo l’aveva guardato, poi aveva infilato le mani nelle tasche dei pantaloni e sollevato le spalle, la sua espressione lasciava intendere che non lo riguardava. Aiutare due perfetti estranei non poteva essere di suo interesse, invece, chiunque cercasse quell’arpia, a Jude interessava; le aveva dato del cibo, l’aveva ascoltata e tranquillizzata. “Ennoia è venuta qui, perché sentito odore” aveva detto, respirando l’aria intorno il biondo, “Lui può aiutare” aveva affermato con convinzione. Il ragazzo aveva annuito, passando le dita tra le piume nere della testa, il suo tacito consenso assoluto, che aveva fatto ridacchiare contenta l’arpia.

Heather aveva pensato alla donna dai capelli di sangue, alla profezia, alla pestilenza e alla morte. Aveva pensato a tutto, aveva sentito le frecce divenire pensanti come il mondo stesso ed il rametto d’erica bruciare. La nuda consapevolezza che la pazza aveva ragione, che se avesse avuto un po’ di sale in zucca, sarebbe tornata dritta al campo mezzosangue, a stringersi tra le braccia di Darren, gli unici occhi verdi che avesse mai voluto vedere. “Così poi la Figlia della Notte sarà sicura” la risvegliò Ennoia dai suoi pensieri, guardando Jude, “Vi aiuteremo a trovarla” aveva stabilito Heather, “E tu poi aiuterai noi a trovare Il Sonno Più Profondo” disse, speranzosa, lanciando uno sguardo d’intesa al satiro e poi a Jude. Il biondo sollevò la mano destra a pugno, alzò il pollice e sorrise; Heat pensò che il suo viso sapesse di fresco, di primavera, come quella che premeva per sorgere.

 

 




(*) Jude l'Oscuro (titolo originale Jude the Obscure) è l'ultimo romanzo di Thomas Hardy. Pubblicato inizialmente a puntate su un giornale, venne poi edito come libro completo nel 1895. Il testo, ribattezzato dalla critica Jude the Obscene (Jude l'Indecente), venne inoltre bruciato pubblicamente dal vescovo di Exeter lo stesso anno.

Non centra nulla con la storia, ma non sono riuscita a trattenermi nel mettermi.

 

(**) Procella vuol dire Tempesta, ma per via dell'assonanza con la parola ancella, ho deciso di porre la presentazione di Ennoia in questa maniera (come se dicesse Ennoia la Tempesta di Artemide). Anche il nome proprio dell'arpia aveva un signifcato preciso, ma giuro l'ho rimosso xD

   
 
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