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Autore: leamor79    29/08/2015    0 recensioni
Da un portale che si credeva sigillato da secoli fuoriesce una donna col corpo interamente ricoperto di cicatrici. Reca un messaggio di morte ma anche redenzione in una terra sull’orlo della guerra.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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CAPITOLO 1

La tempesta pareva aver esaurito la sua forza, lasciando dietro di se odore di terra bagnata e rivoli d’acqua che scendevano dalle folte chiome delle querce a ogni soffio di vento.
Sal, fermo sull’uscio, scrutava il cielo che si andava rischiarando a est. Le nuvole che per due interi giorni avevano riversato sul bosco la loro furia, costringendolo ad attendere al riparo di quel vecchio rifugio per cacciatori, ora lasciavano il posto a un cielo terso.
Il tempo perfetto per raccogliere l’Aqom, pensò, e volendo anche qualche fungo per la zuppa del pranzo. Avvolse le spalle ancora robuste nel mantello e uscì.
L’aria del mattino era fredda, anche troppo per le sue ossa, ma l’aver perso ben due giorni lo spinse fuori dal caldo riparo offerto dal rifugio. Con la destra stringeva un cestino di vimini mentre con la sinistra tentava di tenere chiuso un mantello che mostrava un tenace desiderio di aprirsi a ogni soffio di vento. «Forse non ho più l’età per queste cose» si disse mentre l’ennesima folata gli riversava addosso il carico d’acqua delle fronde di un albero. Si chinò quando vide un ciuffo dell’erba che stava cercando. Tastando con la mano intorpidita dal freddo una delle numerose tasche del mantello tirò fuori il piccolo coltello da erborista e lo raccolse, riponendolo nel lato destro del cesto.
Il bosco umido al mattino era comunque uno spettacolo incantevole, e il richiamo della natura silvestre lo affascinava ora come vent’anni fa.
Quei boschi erano il luogo più caro che avesse. Lì aveva imparato dal suo mentore il mestiere, lì aveva conosciuto la vita nelle sue gioie più grandi come nelle più grandi sofferenze. Conosceva quei boschi anche meglio delle tasche della sua tunica, e tornare, anche se di rado, in quei luoghi gli destava una dolce malinconia.
Ogni anfratto, ogni asperità gli ridestavano dolci ricordi. A passo lento si diresse verso l’antica costruzione in pietra, verde come le foglie dell’edera che l’aveva ormai circondata e quasi del tutto coperta, chinandosi di tanto in tanto a raccogliere altre foglie di prezioso Aqom, oltre a qualche fungo pregiato. Sal trovava cesta a due scomparti che gli aveva donato il Duca alquanto comoda, riuscendo a raccogliere in un solo contenitore erbe diverse senza che si sfiorassero tra di loro.
A est un sole faceva capolino tra le cime degli alberi. Presto il calore dei suoi raggi lo avrebbe avvolto in un tiepido abbraccio, asciugando il terreno intorno e le sue vecchie ossa.
Giunto ai piedi del megalite avvolto dal rampicante, lo toccò con la sinistra, recitando una preghiera al dio Drago imparata dal suo mentore anni prima. Non era certo un popolano ignorante lui, di quelli che rivestono di significato ogni gesto e parola imparati al tempio da vecchi chierici in toghe sontuose, più per scaramanzia che per reale devozione.
Eppure quell’enorme scultura, fatta di una pietra che non aveva visto da nessun’altra parte, un gigante in mezzo al nulla, forse un estremo baluardo di qualche popolo ormai scomparso pure dalle leggende, ridestava in Sal una spiritualità e un senso di contatto con l’universo altrimenti estraneo alla sua natura.
Come ogni volta percepì il tepore contenuto in quelle rocce, quando con due dita tracciò il segno del Drago.
Terminato quel breve rituale riprese il suo cammino, deviando verso nord col preciso intento di scalare la collinetta e osservare il bosco da un punto sopraelevato. Dopo pochi passi però un suono, come un flauto che debolmente tiene una sola nota, lo spinse a voltarsi.
Fino a quel mattino l’erborista pensava che i suoi occhi avessero visto tutto ciò che c’era da vedere, ma nulla in tutta la sua non breve vita lo aveva preparato allo spettacolo che gli si presentò. Il cestino gli cadde dalle mani, e il suo contenuto rovinò nella terra bagnata, quando vide che il rampicante si stava ritraendo dalla struttura megalitica, ricacciato da una luce bianca che andava aumentando di intensità.
A bocca aperta recitò mentalmente una preghiera, troppo stupito e spaventato per fare anche solo un passo. Al centro de Mènhudè apparve un piccolo globo luminoso, come un fuoco fatuo bianco. Lentamente crebbe d’intensità,  Gli occhi neri dell’uomo erano attirati dallo spettacolo di luci che gli si presentava. Dopo pochi secondi, che all’erborista sembrarono ore, la luce sembrò prendere forma in una figura di donna, vestita di una tunica viola stretta in vita da una corda argentata. Poi il suono e la luce cessarono contemporaneamente, e la donna si accasciò per terra, sparendo dalla sua vista. Molto lentamente paura e superstizione cedettero il posto alla curiosità. La mente razionale dell’uomo ricacciò il timore atavico dell’ignoto, e Sal mosse alcuni passi incerti verso il punto in cui era avvenuto il prodigio. Notò che i rampicanti stavano miracolosamente riconquistando terreno, come se la natura, fattasi da parte per far posto alle energie arcane di cui era stato testimone ora reclamasse ciò che nei secoli aveva faticosamente conquistato. Perso nella lotta interna tra timore e sete di conoscenza Sal avanzava lentamente tra l’intrico del sottobosco, quando un gemito lo spinse ad affrettare il passo e a salire i gradini del megalite chiamato Mènhudè, finché non si trovò di fronte a una donna riversa su una piattaforma sopraelevata, verde come il resto della struttura. Aveva capelli lunghi e neri, tenuti insieme da una coroncina argentata come la cinta. Ma ciò che fece tremare il cuore del vecchio fu la pelle: le braccia e le spalle nude erano ricoperte da una raccapricciante fitta rete di tagli ancora sanguinanti, come se un torturatore si fosse divertito a disegnare usando il corpo della donna come tela e un pugnale per pennello. Quando le si avvicinò la donna spalancò gli occhi e disse “Alyn». Quindi svenne. Sal, ripresosi dallo shock, prese dalla cinta la bisaccia piena d’acqua e ne versò il contenuto sulla donna, per ripulirla dal sangue fresco. Dove l’acqua detergeva la pelle non vide nessuna ferita fresca, piuttosto cicatrici di vecchia data, ormai perfettamente rimarginate. “Un mistero dentro a un mistero” pensò, mentre completava l’opera di detersione. Era stato testimone di un evento prodigioso e tremendo, ma non se la sentiva di cedere all’impulso di fuggire e lasciare la donna sola nel freddo autunnale del bosco. Si caricò in spalla la donna, meravigliandosi della sua leggerezza, e si avviò verso il rifugio.

Gli occhi rivolti allo specchio d’acqua sembravano non accorgersi dello spettacolo di luci e colori che andava tingendo il lago. I riflessi arancio e oro sul lago all’alba avrebbero per lo meno dovuto accecarla, se non rapirla in una sensazione di stupita ammirazione, come ogni altra mattina. Eppure stamane era diverso. Guardava senza vedere, persa in un turbamento che mai più avrebbe dovuto coglierla.
«Ci siamo» La voce accanto a lei la ridestò, come da un sogno.
«Avevo sperato che ci fossimo lasciati alle spalle molto tempo fa tutto questo»
«In realtà lo abbiamo sempre saputo. Fin dal fallimento di Artemia. Ora tutto potrà essere di nuovo messo in gioco. Ora potremo rimediare a tutto» La nuova arrivata era esultante.
«Lo spargimento di sangue sarà immenso. Di nuovo» le rispose «il suolo del Kejnar sarà di nuovo rosso. E noi dovremo tornare a essere i carnefici. Per cui ti chiedo, Amirha, c’è sul serio da gioire per questi presagi? Dobbiamo esultare per il ritorno del Nihar?» Una lacrima scese da quegli occhi neri screziati d’oro, e lentamente scivolò sul bel volto nero come l’ebano.
«Trattieni le lacrime per quando ce ne sarà davvero bisogno, Lea, potrebbe non essere necessario versarle»
La voce adamantina proveniva dalle loro spalle, ma non ebbero bisogno di voltarsi per sapere chi fosse stato a parlare.
«non essere ingenuo, Kafhi, il Nihar non ha mai portato notizie di gioia per la nostra terra» La voce di Lea appariva melodiosa, in contrasto con i sentimenti che trasparivano dal suo volto. «ricorda l’ultima volta che ne ha calcato il suolo» Poi chiuse gli occhi e aggiunse sotto voce “le guerre del cielo non dovrebbero interessare il mondo terreno»
«Sta volta sarà diverso» L’uomo poggiò la mano esile sulla spalla di Lea, lo sguardo fisso sugli occhi di Amirha. «La Spada Spezzata si è destata»

   
 
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