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Autore: cartacciabianca    04/02/2009    2 recensioni
[…] I due assassini si issarono sui bastioni della fortezza e furono a portata degli arcieri. -Via, via, via!- Altair l’afferrò per il cappuccio e la trascinò di corsa verso l’angolo della fortezza, che culminava con una torre, la quale facciata dava sull’immenso piazzale del distretto nobiliare. -Salta!- Altair la spinse giù e i due assassini, accompagnati dal ruggito di un’aquila, si gettarono nel vuoto. Nel bel mezzo del volo Altair la strinse a sé, ed Elena si avvinghiò a lui che, capovolgendosi in aria, atterrò di schiena nel cesto. Poi fu il silenzio, scortato dal canto delle campane d’allarme, ma almeno le voci dei soldati e le grida degli arcieri erano cessate. […]
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dea tra gli Angeli' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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La tempesta

La schermata dell’Animus volò via dal mio campo visivo, mi alzai e scattai subito in piedi. –Che novità?- mi guardai in giro.
Desmond era ancora steso nella macchina accanto. I suoi occhi fissavano il vuoto, spalancati.
C’era Vidic in fondo, seduto alla sua scrivania, ma Lucy sembrava essersi dissolta nel nulla. –Dov’è Lucy?- chiesi.
Warren continuò a picchiettare sulla tastiera. – Ha chiesto un permesso e ha lasciato l’edificio. Sarà di ritorno domani mattina- mi rispose.
-Bene- sospirai e mi sedetti sulla poltroncina. –è per questo che sono uscita?- domandai guardando il soffitto.
Improvvisamente, anche l’Animus su cui lavorava Desmond arrestò il sistema, e lo schermo venne via. Il ragazzo sollevò il busto sbattendo le palpebre diverse volte. –Non sono più abituato!- rise alzandosi.
Gli lanciai un sorriso. –E così il tuo antenato fu il maestro della mia ava-.
-Già, assurdo- fece lui mettendosi le mani in tasca. –Doc, dov’è Lucy?-.
Fuori dalle vetrate era notte fonda, le luci dei grattacieli oscuravano le stelle, le strade trafficate e caoticamente mute.  
Warren ripeté esattamente: - Ha chiesto un permesso e ha lasciato l’edificio. Sarà di ritorno domani mattina- non staccò gli occhi dallo schermo e bevve un sorso di caffè.
Guardai Desmond diversi istanti, e lui fissò me, poi ci voltammo verso il professore. –E noi?- domandammo all’unisono.
Warren sottinse una risata e lasciò la tazza sulla scrivania. –E voi potreste approfittarne per recuperare un po’ di forze, no?-.
Alzai le spalle e mi diressi nella mia stanza. La porta si chiuse alle mie spalle, mi gettai sul letto  pancia sotto e dopo pochi minuti presi sonno senza accorgermene.

-Voglio parlare con il prigioniero- disse Lucy seria.
-Mi spiace signorina, non è autorizzata ad entrare- gli sbottò la guardia federale. –è sotto la nostra custodia fin quando non avrà trovato un avvocato-.
Lucy guardò in basso. –Facciamo così. Io glielo chiederò un’ultima volta, e lei risponderà con cortesia: certamente. Sono stata chiara?-.
Era un corridoio buio e silenzioso. Poco illuminato e desolato.
-Ahaha!- rise il poliziotto. –Sennò che mi fai?-.
-Voglio parlare con il prigioniero…- ripeté Lucy paziente.
-Scordatelo, e ora leva i tacchi!- l’uomo indicò la fine del corridoio.
Gli occhi di Lucy balenarono, e la donna alzò un braccio. La sua mano calò, svelta e letale, sul collo dell’uomo, che nell’arco di mezzo secondo si accascio al suolo.
Lucy estrasse un fazzoletto di tessuto dalla tasca dei pantaloni e vi pulì la lama, che in seguito ritrasse. –Non sono più abituata…- arricciò il naso, perché l’odore del sangue le dava alla testa, e alla sua vista la sua mente aveva un attimo di smarrimento.
La donna si chinò sul corpo della guardia e osservò il colpo letale che gli aveva inflitto.
Pensando che non le restava molto tempo, Lucy frugò nelle tasche della divisa e trovò le chiavi.
Scavalcò il corpo e aprì la porta, che si aprì scivolando sul pavimento. Entrò nella stanza, e la porta si chiuse alle sue spalle.
Un solo, unico fascio di luce di una lampada attaccata alla parete andava ad illuminare il volto di un uomo. Era giovane, sulla trentina d’anni ed era rannicchiato nel buio. –Lucy!- sussurrò alzandosi.
–Speravo che venissi, non sai che gioia!- aggiunse andandole incontro.
-Andy- Lucy lo abbracciò. –Confido che tu sia in buona forma per lasciare questo posto, credi di farcela?- gli chiese.
Andy era un uomo alto, coi capelli corti quasi rapati. Indossava parte della sua tuta mimetica, ma a coprirgli il petto aveva una canottiera senza maniche. –Sì, posso farcela, ma tu hai portato il ricordo?-.
Lucy si cacciò una mano in tasca, poi mise nel palmo del compagno una chiavetta. –è tutto qui dentro. Stanno venendo a prenderti, devi raggiungere il condotto fognario e uscire da questa merda!- Lucy lo abbracciò di nuovo.
-Stai tranqui, piccola. Avrebbero potuto ammazzarmi, ma non l’hanno fatto, Dio mi assiste- rise.
-Se lo dici tu- lei si staccò.
Andy la fissava. –Abbiamo quello che ci serve, vieni via con noi- le disse.
Lucy si aggiustò i capelli. –Non posso, se qualcosa andasse storto dovrei intervenire di persona, come oggi. Vorrei tanto, ma l’Abstergo ora sa che la confraternita ha delle ultime risorse. Faranno di tutto per trovarvi e spacciarvi via, il fallimento di oggi è stato un duro colpo. Perché non hai agito come deciso?!- lo rimproverò.
-Ah!- ansimò il ragazzo. –Credi che sia venuto da solo? Oggi Ashley e Nick hanno perso la vita! Dovevano tenere buone le sentinelle e occuparsi delle telecamere, ma qualcosa è andato nel verso sbagliato e cosa potevo fare io se non agire al più presto? E tu dov’eri, scusa?- le rispose con tono troppo alto.
Lucy gli fece cenno di abbassare la voce. –Warren mi ha buttata fuori. Non sono certa che l’Abstergo sappia di me, ma posso solo dirti che dovrete muovervi con più prudenza la prossima volta. E comunque… mi dispiace-.
-Di cosa?- lui la guardò afflitto.
Lucy curvò le spalle e incrociò le braccia. –Per Ashley e Nick. Potevano fare la differenza, e li conoscevamo bene…- mormorò.
Rimasero in silenzio.
Un botto improvviso li fece sobbalzare. –Che succede?!- gridò Andy andandole accanto.
Lucy si guardò attorno spaventata. –Devi andartene! Vai!- lo spinse fuori dalla cella e i due corsero nel corridoio.
Raggiunsero una sala che collegava tutti i diversi androni e si appiattirono contro la parete.
-Muoversi, muoversi, muoversi!- gridava una guardia incitando i poliziotti a lasciare la stanza.
D’un tratto si attivò un allarme assordante che rimbombò per tutto l’edificio.
-Merda!- emise Andy. –Li hanno scoperti!-.
Lucy e il ragazzo attesero che le guardie si allontanassero, poi presero a correre nella direzione opposta.
-Tieni!- Lucy gli porse un cellulare palmare e una pistola. –Ti serviranno. C’è una mappa nel telefono col percorso più rapido fino alle fogne. Arrivaci vivo, per favore!- gli schioccò un bacio sulla guancia e si separarono.

-Magnifico!- Warren sbatté il giornale con violenza sulla scrivania. –Grandioso! Ci mancava solo questa!- gridò passandosi le mani sul volto.
Feci un passo indietro spaventata. –Che è successo?- chiesi flebile.
Vidic si voltò e mi guardò con rabbia, poi spostò il suo sguardo truce sulla persona cui era veramente diretto. –Quel pazzo è scappato!- si rivolse a Lucy. –E qualcuno l’hai aiutato a fuggire! Ma non solo, ce n’erano una quindicina appostati appena fuori la stazione di polizia! È incredibile, stupefacente! Non ci posso credere!- a breve avrebbe cominciato a strapparsi i capelli.
-Si calmi, Vidic!- Lucy gli andò incontro. –è fuggito, d’accordo, ma abbiamo altro a cui pensare, avanti. Lei lo sa bene quanto è importante finire al più presto, non possiamo fermarci ad ogni inconveniente- gli disse tranquilla. –La prego, faccio fatica a stare in piedi anche io alla notizia- aggiunse.
Warren tacque un istante. –E va bene, ma lasciò a lei le redini della carrozza, signorina Stilman- disse mettendosi la giacca. –Questa mattina ho intenzione di discuterne con Alex Viego. Sicuramente starà peggio di me-.
Warren lasciò il laboratorio.
Mi affiancai a Lucy nascondendo il mio stupore. –Che cosa?…- provai.
-Forza, cominciamo- disse Lucy andando verso l’Animus. Accese il portatile e cominciò con i preliminari.
-Nottataccia?- domandai. –Tutti due? Si può sapere…-
Lucy si stropicciò gli occhi. –Non ti riguarda- proruppe.
Mi stesi sull’Animus senza aggiungere altro. –Desmond?- chiesi mentre la schermata mi si parava davanti.
Nessuno mi rispose.
-Avanti, abbiamo troppo lavoro da fare- fu la risposta netta di Lucy.
Mi sciolsi il collo con alcuni movimenti, mi sistemai più comoda e la luce bianca accecante mi avvolse, assieme ad un alone di dubbi.

-Che cosa stiamo aspettando?- domandò la guardia al compagno.
-Non saprei- rispose l’altro, e un tuono squarciò il silenzio della sala.
-Aspettiamo qui da ore, eppure non si vede nessuno!- sbottò quello.
-Aspetta! Arrivano…- i battenti della stanza si spalancarono.
Un assassino entrò, e dietro di lui un corteo di guardie assieme al gran Maestro.
Una guardia stringeva tra le braccia un cofanetto di legno, che andò a poggiare sull’altare di pietra. Alle sue spalle, si sistemarono in semi cerchio tutti i presenti. Tharidl fece un passo più avanti e si schiarì la voce.
L’assassino che era entrato per primo si avvicinò ad Adha. –Spero che sarai contenta- le sussurrò.
Adha non si scompose. –Lo sono- mormorò.
-Oggi abbiamo fatto portare qui il Frutto dell’Eden per vari motivi- cominciò il Maestro. -In testa a tutti, ricordiamo che le strade del Regno sono battute giorno dopo giorno da un numero crescente di spie, seguaci e armate nemiche. Si stanno costruendo i confini di due fazioni che sono incerte sul datarsi, Saladino e Riccardo non potranno tenere buona la situazione ancora per molto-.
Nella sala si aggiunsero i due Falchi, che si sistemarono poco in fondo, vicino alle guardie.
-Il Tesoro, come ben sappiamo, non può sostare troppo a lungo nello stesso luogo, ma dopo gli ultimi avvenimenti a Gerusalemme, spostarlo repentinamente per il Regno in questi tempi sarebbe come metterlo alla mercé del primo passante. Ebbene, io e Adha abbiamo deciso di tenerlo segregato in luogo detto a sapere solo a lei, che in nessun modo oserà rivelare né a me né a chiunque sia in grado di entrarne a conoscenza- gli occhi di Tharidl si spostarono un istante sull’assassino accanto alla donna, e Altair alzò il mento fiero.
Tharidl riprese il discorso. –Per ora non possiamo fare nulla se non preservare la segretezza dei fatti. I nostri fratelli assassini continueranno il loro operato, gli itinerari e gli addestramenti non verranno sospesi ma bensì quadruplicati. La nostra gente è sotto stretta sorveglianza, poiché temiamo che i nostri nemici sappiano che ora il frutto è qui. Fortunatamente entrambi gli eserciti sono impegnati altrove, ma sono tempi in cui non possiamo lo stesso permetterci di tenere bassa la guardia. Per tanto, voglio sentinelle con turni continui a tutte le ore, assieme ad un maggiore controllo da parte delle guardie cittadine. Gli Angeli senza incarichi a pieno presteranno il servizio necessario per rafforzare la nostra potenza di difesa, che chiunque sappia imbracciare un’arma impari ad usarla, e che Dio ci aiuti…- il Maestro guardò a terra, rimanendo in silenzio.
Un tuono, e la pioggia venne giù sulla fortezza.

Elena si alzò di soprassalto.
Le ante delle finestra sbattevano nel buio, e la pioggia entrava a fiotti rovesciandosi sul pavimento.
La ragazza scattò in piedi e corse nel salone, scivolò tuttavia tenne l’equilibrio. Si apprestò alla svelta a chiudere tutte le finestre e a sigillarle per bene, ma la tempesta non ebbe pietà.
Tuoni e lampi si agitavano sopra Masyaf, costringendo il cielo ad una compatta ombra grigia scura, macchiata da improvvisi bagliori giallastri. I luccichio delle gocce, invece, era continuo e quasi accecante.
La ragazza divenne zuppa in poco tempo, e dopo aver chiuso anche l’ultima finestra, si guardò attorno con il cuore che batteva all’impazzata.
L’intero salone: i cuscini, i tappeti e gli arazzi erano fradici. Non sapeva come avrebbe risolto la situazione, non sapeva da dove cominciare.
Corse nel bagno e si buttò addosso degli abiti asciutti. Poi afferrò una decina di asciugamani e li gettò sul pavimento della sala. Tirando su col naso, prese a strofinare tegola dopo tegola di legno. Doveva fare in fretta, o l’acqua sarebbe filtrata e avrebbe rovinato la struttura della camera, cominciando per l’appunto da terra.
Finì in un’ora circa. Aveva ammassato gli stracci bagnati vicino all’ingresso del bagno, e si apprestava a strizzare i cuscini facendo colare l’acqua nella vasca da bagno.
Non poteva fare nulla per gli arazzi e i cuscini: avrebbe aspettato che tornasse il sole per poterli stendere, ma in quel momento decise che per trattenere il caldo nella stanza avrebbe dovuto portarli altrove.
Con pazienza arrotolò gran parte dei tappeti e li scagliò in un angolo del bagno. Si disse che l’umidità non avrebbe fatto granché al pavimento di marmo, e scagliò lì anche gli asciugamani.
Si fermò restando seduta in ginocchio. Le mani giunte in grembo e i capelli che le cadevano sul viso, ancora bagnati.
Alzò lo sguardo lentamente, e osservò stupefatta la pioggia che violentava i vetri. I tuoni che spaventavano gli uccelli e la natura che si abbatteva contro la fortezza.
Pensò che era tutta colpa del Frutto. Come non attribuire quella catastrofe ad un oggetto di tale potere? Forse qualcosa sarebbe davvero andato storto nella sua permanenza. Quella lampadina avrebbe causato parecchi guai se fosse rimasta lì, e Dio, con i suoi tuoni e le sue lacrime, voleva avvertire la gente di Masyaf di questo.
Elena si alzò e si avvicinò alla finestra chiusa.
Gran parte della superficie trasparente era appannata, e la ragazza dovette passarci la mano sopra per poter osservare la vista.
Gli ulivi si piegavano come steli e le guardie sulle mura erano raggruppate contro la parete della torre. La pioggia cadeva obliqua e quello era l’unico modo per non venir “trafitti” dalla sua intensità.
Elena era spaventata, eppure la pioggia le era sempre piaciuta. Le balzarono alla mente le nere giornate di Acri, quando pioveva per una settimana intera e la gente passeggiava come fosse nulla. C’era però una vasta differenza d’intensità che Dio voleva sottolineare. Mai la ragazza aveva visto bufera più spietata.
Camminò dalla parte opposta della stanza e schiarì il vetro della finestra che dava sulla veduta a nord.
Le onde del lago si abbattevano fragorose sul pendio roccioso, che in alcuni punti cadeva a pezzi: esatto, frammenti di roccia si staccavano dallo strapiombo e si gettavano nelle acque tormentate del lago.
Era uno spettacolo accattivante, ma affascinante si disse Elena.
La ragazza andò nella sua camera e si coprì le spalle con un mantello scuro, in seguito lasciò i dormitori.
Camminava scalza sul pavimento di pietra attraversando silenziosa il corridoio degli Angeli. Ad illuminare le pareti c’erano dei bracieri sospesi in alto sul soffitto.
Elena raggiunse le scale e sgattaiolò fino al piano dell’infermeria e oltre.
Quando si fermò, si strinse nelle spalle.
I battenti della sala del secondo piano erano socchiusi, e dall’interno venivano grida e pianti infantili, accompagnati dai boati della tempesta.
La ragazza fece irruzione nella stanza e si apprestò a sigillare sull’immediato tutte le finestre, rimaste anche quelle aperte.
I bambini correvano terrorizzati da parte a parte della camera, chi stringeva bambole di pezza e chi invece si rannicchiava tra i cuscini fradici.
Elena cercò di attirare l’attenzione. –Scusate…- disse flebile spostando lo sguardo a destra e sinistra, girando su se stessa. –Scusatemi, potreste…- balbettò, ma nulla da fare.
I giovani erano sconvolti, i loro volti contratti dalla paura, gli occhi sofferenti e stretti.
Elena notò un gruppo di giovani tra gli otto e dieci anni appartati in un angolo. Seduti in circolo a chiacchierare tranquilli. Elena li si avvicinò.
-Voi state bene?- domandò in un sussurro.
I ragazzi la guardarono con sguardi truci, tutt’altro che spaventati.
-Fanno sempre così- intervenne uno di loro. Aveva i capelli tagliati a zero, e nel buio della notte i suoi occhi brillavano di un verde smeraldo. La carnagione scura e l’atteggiamento superiore. –Nessuno li ha insegnato a tenere un sonno abbastanza profondo, ma dopo un po’ si calmano- aggiunse.
Elena si accovacciò. –Potreste darmi una mano a calmarli?- chiese ai giovani. –Non vorrei che…- sospese la frase sorridendo.
-Non è un nostro problema, siamo abituati. Se a te non sta bene, allora nessuno verrà ad aiutarti- disse un altro. –Qui nessuno interviene mai per calmarli quando gridano. Raramente un assassino si abbassa a questi livelli, e le stanze delle serve sono troppo lontane per sentirli- sbottò cupo.
Elena guardò il più minuto del gruppo. –Già- disse afflitto il ragazzo biondo dal taglio corto. –Tutti gli assassini tranne uno…-.
I ragazzi si alzarono lentamente e tornarono nelle loro stanze, senza aggiungere nulla.
Elena rimase sola nella sala, assieme ad una dozzina di bambini dai tre ai sei anni d’età che sbraitavano e piangevano.
Era dannatamente commossa da quello che i ragazzi più grandi le avevano rivelato. Non solo a questi bambini veniva insegnato ad uccidere, pensò squadrando volto dopo volto i pargoli, ma nessuno dimostrava mai quel tatto sufficiente ad instaurare con loro un vero e proprio rapporto come quello di una madre o un padre.
Quelli erano gli orfani, si disse. I bambini che frequentavano gli addestramenti ma avevano una famiglia sostavano la notte con i loro parenti fuori dalla fortezza, prendendo poi le dovute lezioni all’interno.
Un tempo tra quei bambini era cresciuto suo fratello, e chissà come aveva sconvolto la sua personalità…
Elena si avvicinò ad un bambino seduto a terra con gli occhi arrossati. Il ragazzo sobbalzò quando un tuono squassò l’aria.
Elena gli sedette accanto e lo accarezzò sui capelli. –Di cosa hai paura?- gli chiese dolce.
Il bambino si voltò e improvvisamente la strinse, attaccandosi a lei.
Elena continuò ad accarezzargli i capelli, mentre il piccolo cominciava a bagnarle la camicia da notte con le lacrime.
-Su, su…- mormorò lei.
Alcuni degli altri bambini la guardarono speranzosi da lontano, altri le si avvicinarono.
Elena vide uno scaffale impolverato vicino all’ingresso. Si alzò, portando con sé in braccio il bambino che pesava quanto un gratto. Notò sorridendo che la libreria ospitava qualche libro interessate, ma erano davvero pochi, buttati senza un ordine preciso tra la polvere e le pergamene.
Elena afferrò il primo con una mano e né sfogliò le pagine poggiandolo a terra. Si sedette a gambe incrociate tenendosi stretta al collo il ragazzino.
Era un fiaba che cominciava con un incantevole c’era una volta, assieme a delle bellissime illustrazioni fatte a penna d’oca con un inchiostro particolare.
Fu felice che molti bambini le si erano seduti in circolo, così cominciò a leggere.
Chi non si era avvicinato era rannicchiato altrove ancora in lacrime, ma nei loro occhi Elena vedeva la curiosità balenare di una luce bianca.
- C’era una volta un vecchio mercante di Damasco che vendeva oggetti rubati. Di fatti, il buon uomo mandava i suoi aiutanti a rubare nelle case più ricche di tutta la città!- leggeva dando patos e intonazione, per attirare ancor più attenzione. –Spesso i suoi seguaci gli riportavano gli stessi vasi che aveva già venduto, così un giorno, una donna che era serva della padrona cui era stato rubato un vaso si accorse del suo cesto tra gli oggetti della bancarella e denunciò il mercante. Egli, però, non volle ammettere la verità, e con poche monete riuscì a comprare il silenzio della donna. La padrona di casa si accorse tardi di quello che era successo, ma trovò comunque un modo per spezzare la catena di truffe. Ella si rivolse al Maestro e…- Elena riuscì ad immaginare a quale Maestro la storia s’ispirasse, e andare oltre nella fiaba le sembrava sciocco. Chissà quante volte qualcuno l’aveva già letta…
Un bambino le tirò la manica della tunica, ed Elena si voltò sorridendogli.
-Vai avanti?- le chiese il pargolo con la vocina di uno strumento musicale.
Elena annuì. –Certo, stavo solo pensando: questo mercante era davvero cattivo!- rise, e le guance del bambino si colorarono.
-Bene, andiamo avanti… Ella si rivolse al Maestro, che a sua volta ingaggiò il suo più valoroso assassino. Egli agì con competenza, e la piuma si macchio del sangue del mercante di Damasco…- ma che razza si storia era?! Si chiese Elena chiudendo il libro.
Era terribile che persino nel storie che passava il convento fossero così brutali. La parola “sangue” non doveva comparire in una fiaba, le novelle erano quelle che insegnavano a rispettare le regole della mamma, a non andare nel bosco o parlare coi lupi cattivi.
Elena passò un’occhiata veloce alle storie precedenti, e vide che le ultime frasi di “tutte” le fiabe si concludevano con le parole: “la piuma si macchiò del sangue di”…
Elena chiuse con violenza il testo, e i bambini sobbalzarono. –Facciamo così- intervenne lei, e un tuono attraversò il tempo e lo spazio della stanza.
Elena sorrise, mostrandosi calorosa anche quando tutti i bambini attorno a lei stavano riacquistando freddezza. –Ve la racconto io una bella storia- fece armoniosa.
-Senza leggere?- chiese un ragazzino.
-Sei brava? Come si chiama il protagonista?- domandò un altro.
I piccoletti erano entusiasti delle novità, seppur piccole e insignificanti.
Elena si schiarì la voce. –Allora, il protagonista della nostra avventura è una bambina che portava sempre una mantellina rossa. Il suo nome era cappuccetto rosso, ed era una ragazzina sempre allegra. Viveva con la sua mamma vicino all’argine di un bosco, e tutte le mattine cappuccetto andava a trovare la sua nonna malata. Una bellissima giornata d’estate la mamma di cappuccetto le affidò un cesto con una buonissima torta di mele che doveva portare alla nonna. La mamma si raccomandò come tutte le volte che cappuccetto non passasse per il bosco perché c’era un lupo cattivo che era molto furbo, e cappuccetto la rassicurò che non le avrebbe mai disobbedito. Così cappuccetto intraprese il sentiero che costeggiava il bosco trotterellando allegra. Ad un tratto, vide un bellissimo prato fiorito celato tra gli alberi. Cappuccetto deviò il suo percorso e andò a cogliere alcuni dei fiorellini, pensando che avrebbero fatto piacere alla nonnina. Ma improvvisamente, dal bosco saltò fuori un orribile lupo grigio!-
-Ah!- i bambini gridarono, ed Elena cominciò a ridere.
-Si mangia cappuccetto?- le pianse sulla spalla il bambino che aveva in braccio.
-Aspettate, la storia non è ancora finita! Dunque, dov’ero rimasta? Ah, certo… cappuccetto era molto spaventata, ma il lupo le disse che anche lui voleva fare una bella sorpresa alla nonna. Cappuccetto a quel punto gli chiese quale bella sorpresa, e il lupo le disse che voleva fargli una visita anche lui, perché erano vecchi amici. Allora cappuccetto gli chiese se volevano andare insieme, ma il lupo le rispose…-.
-I lupi non parlano- sbottò una voce adulta, severa.
Elena si staccò dal collo il bambino e si alzò.
Sull’uscio della sala sorgeva la figura di un uomo, il volto celato dal cappuccio e delle vesti che Elena riconobbe subito.
-Maestro- chinò il capo.
Altair mosse i passi dentro la stanza e i bambini corsero subito nei loro letti, svelti, silenziosi, intimoriti dalla presenza dell’uomo.
-Cosa ci fai qui?- le chiese guardandola.
-Ecco, io ho trovato le finestre aperte, la pioggia entrava e bagnava il pavimento- balbettò. –ho pensato che non sarebbe accorto nessuno, così…-.
-Non sei tenuta a certi incarichi, devi capire bene quali sono i tuoi limiti qui- la rimproverò lui.
-Certamente- la ragazza abbassò ancora di più gli occhi.
-Tutta via- continuò l’assassino avvicinandosi. –Sei riuscita a calmarli, e non è da poco- le disse contento.
Elena sorrise. –Sì, e credo che me vanterò- si chinò a raccogliere il libro da terra e lo portò al suo posto.
-Ora puoi andare, la tempesta sta cessando e da domani le cose cambieranno- fece serio.
Elena aggrottò la fronte. –Maestro, se posso, è successo qualcosa? Dopo l’arrivo del Frutto, intendo…-.
-Non ti riguarda, piuttosto ti basti sapere che Tharidl ha ordinato di affrettare i tuoi come gli addestramenti degli altri assassini. Con il Frutto chiuso tra queste mura, ha messo a repentaglio la vita della gente di Masyaf, da vero stolto…- borbottò più per se stesso.
Elena si avvicinò a lui. –Quale sarà il vostro e il mio compito, in tutto questo?- domandò a bassa voce.
Altair alzò gli occhi su di lei e la fissò a lungo. –Ho detto che da domani tutto potrebbe cambiare, ma per quanto ci riguarda, noi assassini non svolgeremo nessun incarico al di fuori di quello che c’è stato assegnato-.
Un altro lampo rimbombò per la fortezza, e i vetri delle finestre sbatterono.
Elena sobbalzò.
–Se il Frutto non è al sicuro qui e in nessun altro posto, sarebbe bene distruggerlo- proferì Altair guardando fuori dalle vetrate.
-Distruggerlo?- ripeté lei sorpresa.
L’Angelo emise un gran sospiro. –Avanti, cerca di riprendere sonno. I tempi duri stanno tornando…-.
Elena lo salutò con un inchino della testa, poi si avviò sulle scale.
Quando raggiunse le sue stanze e si gettò sul letto, non riuscì a riaddormentarsi. Le fu impossibile chiudere gli occhi, ad ogni ululato della tempesta il suo cuore aveva un fremito e lei si girava da parte a parte del materasso.
La collana di sua madre le cadde di lato, finendo accanto al cuscino. Elena la strinse con una mano, pensando che per lei i tempi duri erano cominciati appena qualche settimana prima.

-Elena…- Adha, seduta al suo fianco, le accarezzò una guancia.
La ragazza si stropicciò gli occhi. –Sì?- domandò con voce rauca alzando il busto.
-Devi svegliarti e prepararti, Altair ti attende fuori dalle mura- disse la donna avviandosi all’uscita.
-Fuori le mura?- si chiese Elena vestendosi con la sua divisa. Lasciò gli alloggi con un alone di dubbi in mente.
La fortezza brillava di un grigio intenso. Il tempo non era cambiato, grosse nuvole scure si annidavano sopra la città e l’umidità veniva trascinata da parte a parte della valle da una corrente d’aria fredda.
Raggiunto il cortile interno, Elena notò che c’era una gran massa di assassini e guardie concentrata attorno al campo d’addestramento.
Avvicinandosi, riconobbe Marhim che si addestrava contro un assassino che identificò come Fredrik.
Quando lo sguardo dell’amico volò su di lei giusto un attimo, Elena gli sorrise; poi Marhim tornò a fronteggiare l’avversario.
Stette a guardare finché Fredrik non riuscì a costringerlo a terra. –Sei bravo, non lo nego, ma indietreggi troppo. Il prossimo!- proferì l’assassino aiutando Marhim ad alzarsi.
Nel campo entrò un altro ragazzo, e l’allenamento riprese.
Marhim saltò la staccionata e le venne incontro ancora col fiato corto. –Eccoti- disse. –Hai idea di che ore siano?- le sorrise divertito.
Elena curvò un sopracciglio. –Ho dormito così tanto?- sbottò incredula.
Marhim annuì. –So che Altair ti aspetta fuori le mura, oggi lezioncina comune- la informò.
Elena spostò il peso sull’altra gamba. –Lezioncina cosa?-.
-Quindi Adha non te l’ha detto, pazienza… si tratta di una addestramento particolare. Altair deve aver chiesto un permesso al Maestro per questo, dato che tu ora se la sua unica allieva. Nella lezione comune Altair avrà chiamato altri assassini a fronteggiarsi con te, e la cosa vedrai, sarà divertente. Però non mi quadra che abbia deciso di portarvi fuori. Insomma, spero che ti piaccia, posso accompagnarti?- disse in fine.
Elena annuì. –Anche perché non ho idea di dove debba andare!- rise.
-Bene, seguimi- Marhim s’incamminò e la ragazza gli andò dietro.

Attraversarono tutta Masyaf, raggiungendo l’ingresso principale della città e proseguirono oltre.
Marhim si fermò dove c’erano alcuni cavalli tenuti in un’insenatura nella roccia del pendio.
La strada sterrata continuava per diversi chilometri affiancata da due pareti di pietra, ma solo in un breve tratto alla loro destra comparve lo strapiombo che affacciava sul lago.
La passeggiata durò una manciata di minuti, e raggiunsero un campo recintato che era circondato da alcune tende. C’erano dei cavalli legati alla staccionata, mentre due assassini si fronteggiavano in sella all’interno del recinto.
-Eccoci- fece Marhim fermandosi.
Elena riconobbe il suo Maestro, in disparte che finiva di sellare un bellissimo esemplare nero. Stringeva i lacci e accorciava le staffe.
-Forza, vuoi andare o no?- Marhim la spinse avanti, ma lei si aggrappò al suo braccio tirandolo con sé.
Elena si avvicinò allo steccato e rimase a guardare con Marhim al fianco.
I due Angeli si fronteggiavano in groppa a due esemplari magnifici di razza equina. Il primo era completamente bianco con una macchia grigio scuro sulla zampa anteriore destra. Il secondo era marrone intenso con una stella bianca che sia allungava sul muso.
Il combattimento era animato dalle chiacchiere di altri tre assassini in piedi a guardare lo scontro senza battere ciglio.
-E così- iniziò Elena. –oggi la lezione è a cavallo- arricciò il naso.
La cosa non le piaceva: già era rischioso maneggiare una spada, e in più doveva spaccarsi l’osso del collo se cadeva!
Altair alzò gli occhi dalla sella un istante e li vide entrambi.
Troppo lontano per sentire cosa si dicevano, Elena notò il suo Maestro avvicinarsi ad un allievo. L’assassino annuì alle sue parole e venne verso di loro.
-Elena, giusto?- fece il giovane guardandola.
La ragazza annuì.
-Vieni- l’assassino s’incamminò.
-Vuoi andare?!- Marhim la spinse.
Elena raggiunse l’Angelo e gli camminò al fianco.
Girarono attorno al campo e raggiunsero Altair che apportava le ultime modifiche alle redini. –Era ora- sorrise sarcastico.
Elena si strinse nelle spalle. –è stata Adha, lei non…-.
-Lei non ti ha svegliata in tempo?- concluse Altair e con uno strappo improvviso tirò giù la staffa.
–Credi di essere privilegiata da una sveglia personale?- aggiunse passando dalla parte opposta del cavallo. Tirò giù la staffa.
Elena si mise composta. –Adesso sono qui, mi spiace non essere arrivata prima, lo ammetto!- sbottò. –Scusate tanto!- si permise.
Altair si bloccò mentre stringeva la testiera. Rimase in silenzio qualche istante fissandola da sotto il cappuccio, poi le venne accanto. –In sella!- digrignò.
Elena lo guardò allontanarsi fino al gruppo di assassini riuniti. Toccò la spalla di uno degli Angeli, che subito corse a prendere il suo cavallo.
La ragazza si voltò e montò in groppa al suo destriero.
-Tutto bene?- domandò l’assassino che Altair aveva mandato a chiamarla.
Elena rispose con un timido. –Sì, grazie- accertandosi che tutte le cinghie fossero della sua misura.
I due assassini che stavano fronteggiarsi poco prima lasciarono il campo, e a sostituirli dovevano partecipare Elena e un Angelo che portava vesti di alto rango.
Il ragazzo era già nel capo, e il suo cavallo sferzava la terra con gli zoccoli.
Prima di entrare, Altair le venne vicino e le porse il fodero di una spada. –Niente esclusione di colpi. Niente urletti da femminucce e niente sangue, sono stato chiaro?- le disse.
Di tutta risposta Elena si legò il fodero alla cintura ed estrasse la spada. Un colpo di tacco, e il suo cavallo entrò nella recinzione con un balzo. Elena accorciò di seguito le redini, che si apprestò a stringere nella mano sinistra.
-Il cappuccio!- le ricordò il Maestro, e la ragazza si abbassò il copricapo sul volto.
-Ora ci divertiamo- rise Elena di malo gusto.
Sapeva bene che sarebbe stato piuttosto doloroso…

L’Angelo mandava affondi senza una tecnica precisa, e il suo Maestro l’aveva avvertita che non ce ne sarebbe stato bisogno. Se Altair le aveva detto “niente esclusione di colpi” forse avrebbe potuto sfruttare al meglio alcune delle debolezze umane che hanno solo i ragazzi.
Eppure il suo avversario era distaccato, governava al meglio la cavalcatura ed era sempre pronto a ghermirla senza alcuna regola.
Su un cavallo era poco conveniente combattere, ma quando si sarebbe trattato di uno scontro contro un esercito di cavalieri, doveva essere pronta. Se Kalel le aveva insegnato ad andare in sella e ad usare una spada, non aveva mai sommato entrambe le cose, quindi la ragazza si trovò in svantaggio dopo i primi affondi.
Il suo cavallo risentiva delle fatiche che Elena impiegava nel combattimento, era nervoso, nitriva e ogni tanto sgroppava.
Ci si metteva anche il suo avversario, che non le dava tregua.
Ad un tratto Elena mollò le redini e si ritrovò a tenere un braccio fermo sotto la sua lama per contrastare l’attacco del nemico, che spingeva la sua dritta verso di lei. Le spade scivolarono l’una sull’altra, e la ragazza, per non perdere l’equilibrio, si lanciò in avanti, spingendosi via dalla sella, ma addosso al suo avversario.
I due caddero a terra e rotolarono nel selciato.
Dal gruppo di assassini si levarono risa di divertimento.
Elena era caduta avvinghiata al suo contendente, che ora la teneva stretta a sé senza dare segni di cedimento. Il ragazzo era con le spalle alla staccionata, e la ragazza gli era letteralmente indosso.
Quando alzò gli occhi, Elena lo riconobbe subito.
-Rhami- balbettò, e sentì le guance esploderle.
-Eh, già!- rise lui.
A quella distanza Elena poté scorgere gli occhi di ghiaccio che aveva, e alcuni ciuffi di capelli spuntavano dal cappuccio che era calato per metà. Il respiro bollente del suo avversario le arrivava sul collo, mentre Rhami non la smetteva di ridacchiare.
-Volete rimanere lì fino a notte?!- gridò Altair cominciando a perdere la pazienza.
Rhami si alzò scansandola di lato, poi le porse la mano aiutandola a tirarsi in piedi.
-Hai preso troppo alla lettera “niente esclusione di colpi” non è così?- le chiese il ragazzo sistemandosi il cappuccio.
Elena era ancora tutta indolenzita per la caduta, e per come era finita la storia, il suo cuore non rallentava la corsa. – Forse hai ragione- mormorò portandosi una ciocca dietro l’orecchio.
Rhami le sorrise, poi si voltò, afferrò la spada da terra e tornò in sella.
Elena si riscosse e fece altrettanto.
Gli sguardi truci degli assassini che assistevano erano tutti su di lei, li poteva contare!
Altair era in disparte, assistette al combattimento da una diversa prospettiva. Era con la schiena contro una roccia e si girava una moneta tra le mani.
Elena rimase colpita da come gli occhi del suo Maestro fossero altrove, distratti.
Nella seconda parte del duello, Rhami fu più clemente con gli affondi e le diede anche maggior tempo per preparare a pararli. Elena si trovò agevolata, ma sicuramente Altair si era accorto che non stava andando tutto a dovere.
Il Maestro si avvicinò alla staccionata. –Non fare il galantuomo! Mi sembra di essere stato abbastanza chiaro con il termine simulazione. Se uno qualunque dei nostri nemici mandasse un esercito ad attaccare la città, dobbiamo essere pronti! Ho ripetuto questa roba abbastanza! Combattete!- li rimproverò.
Elena e Rhami arrestarono i loro cavalli.
-Mi spiace, ma se vuole che ti faccia male, ricorda che me l’ha chiesto lui- rise l’assassino.
Elena alzò le spalle. –Vorrà dire che tornerai alla fortezza con qualche livido- rimase al gioco.
-Non mi sottovalutare- borbottò Rhami malizioso.
-Altrettanto- fece lei con lo stesso tono.

Gli assassini si alternarono, ed Elena combatté con tutti i presenti almeno una volta. Fin quando non cominciò a piovere.
Il campo divenne una vera e propria pozza di fango. Il terriccio e la ghiaia si mescolarono in un unico pantano, e il terreno si fece sempre più scivoloso anche per i cavalli.
-Voi potete andare- disse Altair ad un tratto, rivolgendosi agli assassini.
Il gruppo lasciò il campo compatto, ed Elena fece per avviarsi con loro.
-Tu non sei compresa-.
Le parole di Altair la bloccarono con un piede sospeso. Si voltò –piove a dirotto, cosa?…-.
Altair montò in sella al cavallo più vicino ed entrò nel campo. –Non ho tutto il giorno, avanti-.
Elena ubbidì camminando a sguardo basso verso il suo cavallo. Salì in groppa e sfoderò la lama.
-Non capisco, Maestro. Ho fatto come mi avete chiesto, ho combattuto come gli altri!- si lamentò. La pioggia le entrava in bocca, le bagnava la veste e la faceva scivolare sulla sella. La mano sinistra si strinse sulle redini viscide. La vista le sia annebbiava, e le gocce la ferivano in ogni parte del corpo, dalle spalle alla schiena.
Altair stava composto ed eretto, non tradiva alcun fastidio per le condizioni. –Non ho avuto modo d’insegnarti a dovere quello che avrei voluto apprendessi oggi. Per tanto, siccome i tuoi ritardi di questa mattina sono passati troppo inosservati, ho deciso che svolgere la lezione sotto la pioggia sarebbe stato un buon pretesto per recuperare il tempo perso. Ricordati che sarò sleale, e tu dovrai fare altrettanto. Tendo a sottolineare questo aspetto del combattimento perché ne rimasi vittima personalmente. E ora, attaccami- intonò serio.
Un lampo di luce balenò sulla valle, e si diffuse il rimbombo di un tuono.
-Ma che diavoli, però!- sbuffò la ragazza.
Colpì i fianchi del suo cavallo, e partì al galoppo contro il suo avversario.



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PERDONATEMI!
In questo capitolo sarei dovuta giungere al sodo, al nocciolo, alla fiamma che fece esplodere la bomba! Invece, come avrete notato, non succede un ca**o! Però avevo in mente l'episodio con Rhami già da tempo, e siccome non avrei avuto modo d'inserirlo altrimenti, ho dovuto allungare. Per favore, so che la mia fiction sta diventando noiosa e ripetitiva, ma abbiate un po' di pazienza! Oggi è stata una giornataccia, e ieri (3/2/09/ ) è stato il mio complex che ovviamente ho passato con la febbre a 40! Nonostante tutto, però, sono riuscita a mettere su altre 10 pagine della mia fan fiction!



OVVIAMENTE DOVETE RIPETO DOVETE LASCIARE UNA RECENSIONE!!!!


   
 
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