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Autore: hirondelle_    31/08/2015    4 recensioni
[Ristesura di "Destiny"]
[Alla luce di quanto mi è pervenuto dalle vostre gradite recensioni, ci tengo a specificare che questa NON È una storia romantica, ma la descrizione di un ABUSO (come ho voluto indicare nelle avvertenze). Grazie dell'attenzione!]
-§-
Sente il suo profumo dolce, le dita sottili che gli accarezzano la pelle, percorrendo gentilmente tutta la lunghezza del suo corpo. Chiude gli occhi, percepisce i brividi ad ogni singolo tocco, un solletico malefico e ripugnante penetrare attraverso la pelle e andare dritto ai nervi: Reize sente una parola nella sua testa. Una parola che non si sarebbe mai azzardato a pensare: nella sua mente è pronta per uscire e distruggere il mondo. La pronuncia, sbarrando gli occhi.
… no.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Paranormal'
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DESTINY XI


- Secondo te che ha intenzione di fargli del male ancora per molto? – mormora Natsumi, seduta a un lato del tavolo. Sbuccia le patate con la stessa inesperienza di una bambina, tanto che presto si ritrova con le mani gonfie di tagli. Atsuya non l’ha mai vista lavorare così.
Lui non risponde, sospira piano e continua con il suo lavoro, muovendo magistralmente il coltello quasi fosse una parte del suo corpo. Si limita ad alzare le spalle mentre un nuovo grido atroce si propaga per la residenza facendogli venire la pelle d’oca: è quasi impossibile abituarsi all’agonia, eppure sono passati due giorni da quella sera. Atsuya è quasi sicuro che non riuscirà a dimenticarsela. Spia con la coda dell’occhio la donna, pallida e sofferente dopo giorni di digiuno e insonnia: sembra quasi malata. Sa che ogni tentativo per distrarla o aiutarla sarà vano, almeno finché il Lord non avrà liberato Reize.
Si propaga un silenzio che Atsuya conosce bene, ma che non riuscirà mai a superare. È il silenzio della Morte, lo stesso che si crea tra le ombre oscure di terrore create dalla luna, lo stesso che si posa immondo nel loro cuore turbato. Atsuya lo sente, pesante e immobile, dietro le sue spalle: è come se Shirou lo stesse osservando, come se sapesse, come se lo studiasse cercando di capire le sue intenzioni… è un’immagine talmente forte che alla fine diventa reale e lo costringe ad alzarsi in piedi appena un nuovo gemito lo fa gelare: - Non ce la faccio più ad aspettare.
Natsumi alza lentamente lo sguardo su di lui: non sembra volerlo fermare, ma Atsuya capisce che non ci riuscirebbe: è troppo debole anche solo per alzarsi. – Aspettiamo il mattino… il Lord uscirà per il lavoro e noi potremo fare le cose con calma. Per ora è meglio aspettare…
Atsuya annuisce suo malgrado: la donna ha ragione, è inutile fare azioni avventate. Si siede e non può far altro che fissare assorto il lavoro già completato, poi osserva le mani di Natsumi piene di cicatrici e il suo goffo tentativo di sbucciare tutte le patate che ancora le rimangono. – Se vuoi finisco io, è meglio se vai a riposare. Usa pure il mio letto. – mormora piano, e la donna lo guarda tra lo stupefatto e l’assonnato prima di annuire e sussurrargli un ringraziamento.
Solo quando rimane finalmente solo Fubuki chiude gli occhi e respira piano l’odore famigliare e semplice della cucina. Riaprendoli, può scrutare i tenui bagliori di una nuova alba, coi suoi colori rassicuranti e dolci. Eppure si sente nuovamente turbato, come se qualcosa ancora non andasse per il verso giusto: certo, approfitteranno dell’assenza del Lord per tentare di liberarlo, ma poi? Come faranno ad aprire la porta, liberarlo dalla prigionia, portarlo giù, pulire il tutto? Cosa avrebbero fatto qualora il Lord se ne sarebbe accorto?
Inizia a sbucciare le patate rimanenti con un vago senso di impotenza ad attanagliarli la gola. Ma sa che stavolta non potrà sfuggire al suo destino, non potrà scappare da quelle catene: dovrà affrontare la cruda realtà e prendersi le responsabilità che non ha mai accettato del tutto.
- C’è qualcosa che ti turba… - mormora piano una voce alle sue spalle. Atsuya non risponde alle parole del gemello, sa che sono frutto della sua immaginazione e che non deve ascoltarle. – Mi dici cos’è? Sono pur sempre il tuo fratellone…
Il domestico allora alza lo sguardo verso il cielo plumbeo, lo fissa tanto intensamente che ad un certo punto il suo dolore sembra sparire, spazzato via dalle lacrime silenziose che ora scivolano lungo le sue guance come pioggia autunnale.
È così strana l’alba.

È un lieve rumore a svegliarlo, un bussare sommesso e poi una voce calda. Atsuya sussulta quando ne comprende le poche ed essenziali parole, ma aspetta numerosi attimi prima di muoversi: solo quando il Lord chiude la porta di ingresso si alza di scatto dalla sedia e raggiunge Natsumi, ancora profondamente addormentata. La scrolla prendendola per la spalla non curandosi del suo sonno, le sussurra quelle parole con fare concitato, lei si sveglia di soprassalto e spalanca gli occhi.
Ha finito.
È una mera illusione quella che porta i due domestici a salire a grandi falcate le scale di mogano, attraversare il corridoio superando in rapida successione i quadri finemente lavorati. Quando aprono la porta della stanza del Lord quasi non credono ai loro occhi: è tutto talmente pulito che forse, nella remota possibilità, il rancore nei confronti dello schiavo si è diradato completamente.
È aprendo la porta che dà nella Stanza degli Svaghi che le loro speranze si tramutano in puro terrore. Natsumi grida spaventata ritraendosi di scatto, volta lo sguardo ponendosi le mani davanti al viso come a proteggersi da un’arma letale; Atsuya si limita a sbarrare gli occhi e a fissarli sulla parete davanti a lui.
Mobili rotti, poltrone rovesciate, argenteria e bicchieri di cristallo ridotti in mille pezzi, quadri di inestimabile valore in frantumi, macchie di sangue sul pavimento lacero, brandelli di vestiti: sembra che nella stanza si sia appena compiuta la più terribile delle carneficine.
E proprio davanti ai loro occhi, sporco di sangue, sta lo schiavo C-117: li guarda ad occhi sbarrati e quasi folli, come se non riuscisse a riconoscerli e si fosse dimenticato completamente di loro. Se ne sta accucciato in un angolo remoto del letto, incatenato alla testiera, incapace di divincolarsi. Atsuya lo guarda e un brivido gelido gli corre giù per la schiena fulminandolo sul posto: quelli che lo stanno guardando sono occhi che fanno paura tanto sono spalancati, circondati da occhiaie talmente profonde da sembrare finte, e rivoli di sangue gli scivolano veloci dal volto ferito infrangendosi sulle lenzuola.
Natsumi fissa C-117 senza saper cosa dire, lacrima silenziosamente tenendosi una mano davanti alla bocca… ma quegli occhi fissano Atsuya, tremanti e divorati dalla pazzia, il suo corpo
si contorce lentamente smuovendo piano le catene e la bocca è alla ricerca continua di aria, come se non ne entrasse abbastanza. Il tutto nel più completo e assordante silenzio, come se non avesse più voce per gridare. Quando Atsuya gli si avvicina sobbalza come a voler fuggire dal suo tocco, come un animale in trappola e senza via di fuga terrorizzato dal cacciatore.
- Calmo… stai calmo… - mormora piano il domestico sfiorandolo, Reize caccia un urlo e prova invano a ritrarsi. – Vogliamo aiutarti… siamo tuoi amici… ti ricordi di noi?
C-117 caccia un altro urlo più forte del precedente, nel terrore più profondo e disperato della sua inesistente lucidità. “Non è cosciente” pensa Fubuki provando a prendergli delicatamente il polso scheletrico. “Ha perso totalmente la testa”. – Me l’ha ordinato il Lord. – mormora infine, e a quell’affermazione come previsto Reize si calma, lasciandosi andare come una vecchia marionetta di pezza.
“È tutto finito” vorrebbe dirgli con gli occhi offuscati dal pianto, “è tutto finito Reize, puoi tornare a casa”. Sa che comunque lo schiavo non gli risponderebbe, sa che non riuscirebbe neppure a sentirlo. Trova la chiave delle catene in bella vista, già infilate dentro la serratura. Lo libera in pochi attimi e se lo carica sulle spalle forse con un gesto troppo brusco, dato che si ritrova in breve con la camicia sporca di vomito.
Avanza nella sporcizia con le gambe che gli tremano e tanta voglia di piangere e urlare, quasi si stupisce per il suo sangue freddo. Natsumi è sulla soglia che lo guarda silenziosamente, senza saper cosa dire o fare, immobile nella disperazione dello scenario macabro.
- Prepara il bagno Natsumi. – mormora lentamente il domestico prima di passarle accanto.
Si blocca improvvisamente quando sente un sussurro sommesso all’altezza dell’orecchio, come una litania o una preghiera: rabbrividisce quando ne comprende le parole, fredde e terribili, che scivolano dalle labbra dello schiavo. – Sono tuo, sono tuo, sono solo tuo…

Atsuya entra piano all’interno della stanza, un secchio colmo d’acqua gelida tra le mani per le spugnature: - Come sta? – sussurra piano, osservando il moribondo sul suo letto.
- Ha vomitato sangue fino a qualche minuto fa, ora si è addormentato. Trema di febbre.
Fubuki appoggia il secchio a terra buttandoci dentro un panno, annuisce piano e continua a sussurrare per non svegliare Reize: - Io ho quasi finito di mettere a posto la stanza, ma sarà dura pulire tutto.
Natsumi dopo minuti di silenzio si volta verso di lui, gli occhi gonfi. – Non riesco a smettere di piangere. È quasi patetico ma non riesco a smettere di piangere. È tutto così assurdo…
Atsuya la guarda asciugarsi le lacrime, poi si siede sul letto e resta in silenzio a contemplare il viso di Reize, fasciato per quanto possibile e ancora sporco di rosso. Basta, basta sangue vorrebbe urlare, ma non può, non riesce a farlo, perché sa che quel sangue resterà impresso nella sua mente per tutta la vita insieme a tanti volti noti e perduti per sempre.
- Secondo te perché si è comportato così? – mormora ad un certo punto la domestica, e Atsuya alza lo sguardo su di lei sussultando per lo stupore. In effetti, non si è mai fatto una simile domanda, ma del resto non sarebbe stato sensato. Eppure tutto improvvisamente ha un senso, prende forma, come se ogni cosa fosse ben definita nella sua mente. Sposta ancora lo sguardo sullo schiavo, ripensa alle parole ascoltate poco prima, si chiede se siano state opera del dolore e della disperazione ma non riesce a crederci. – Gelosia. – mormora infine, senza smettere di fissarlo. – Pura gelosia. Non sopportava l’idea che lui fosse andato in giro senza il suo permesso, ma non propriamente perché gli avesse disubbidito… il suo è un desiderio possessivo e quasi folle, lo divora. Sapere che il suo giocattolino ha incontrato altre persone evidentemente l’ha mandato fuori di testa.
- Gelosia?! – grida stupita la donna ignorando il lamento del malato al suo tono di voce. – Stai dicendo sul serio? Diamine, era una festicciola di famiglia!
- Lui non lo sapeva.
Natsumi si blocca a quelle parole, si siede anche lei e sussulta quando Reize sputa altro sangue, vischioso come la morte. Si affretta a ripulirlo e a mettergli la pezza gonfiata dall’acqua sulla fronte bollente, ma capisce che non potrà fare altro per lui: dovrà semplicemente aspettare. Il senso di impotenza improvvisamente la opprime, la consapevolezza che tutto ciò è accaduto per causa sua la riduce al totale silenzio. Solo le cupe considerazioni di Atsuya la riportano alla realtà, ad alzare lo sguardo su di lui: - Se non chiamiamo un medico questo qui ci resta secco.
È vero, non possono fare più niente per lui… ma la domestica dubita fortemente che un medico acconsentirebbe di curare uno schiavo come lui. – Non accetterà mai. – mormora fissando il veloce e ritmico respiro di C-117, e una bolla d’ansia le scoppia nel petto: va troppo veloce, si fermerà.
- Lo pagherò io. – ringhia Atsuya, sembra determinato ma forse troppo fragile: un vaso di coccio pronto a cadere e rompersi al minimo scossone.
- Con quali soldi? – sospira piano lei limitandosi a guardare lo schiavo.
- Con il mio stipendio. Tre mesi basteranno?
Lei si volta verso di lui, sbarra leggermente gli occhi: - Stai parlando sul serio?
- Mai stato più serio in vita mia.
Ad un certo punto lo nota: un luccichio nei suoi occhi di perla. È convinzione, è paura, è puro rimorso, è un uragano di emozioni e sentimenti, una stella che brilla incessante nel cielo più buio pronta per spegnersi. Natsumi ha quasi paura di lui.
Lo guarda sul serio come se fosse la prima volta: i capelli scompigliati e sempre ribelli tendenti al rosso, la pelle chiara e giovane ma le occhiaie fonde dovute a notti insonni, mani rovinate dai calli, tanta voglia di vivere, troppa di piangere, davvero troppa per contenerla; occhi grigi di tempesta, corpo esile pronto per essere spazzato via dal minimo refolo di vento. Lo fissa mentre si infila il giaccone sgualcito, pronto per uscire nella pioggia di fine estate. Non si sorprenderebbe se non lo vedesse mai più, eppure sa che questa volta non scapperà.
- Ti aspetto. – mormora sorridendo tra le lacrime, e Atsuya la guarda in silenzio per numerosi attimi prima di uscire dalla stanza. Natsumi conta i passi che lo portano fuori dalla porta della cucina, uno per uno: otto.

Natsumi sussulta dal suo dormiveglia, fissa attentamente il corpo dello schiavo: sembra stare meglio, ma non si è ancora svegliato. Atsuya pensa che morirà, perché ha il respiro corto e le ossa rotte, ma nessuno ci crede veramente… e forse sentire il suo nome a malapena sussurrato da quelle labbra gonfie è stato frutto della sua speranza vana. Eppure lei resta in attesa, fissa le sue labbra e il suo flebile respiro, e ne ha la certezza: Reize si sta svegliando. Lo capisce dal muoversi impercettibile delle palpebre e dai piccoli sussurri che sente appena impercettibili, lo spasmo delle dita.
Ecco che due occhi neri, pure ossidiane, fanno capolino. Tanta è la gioia che Natsumi si precipita da Atsuya, gridando forte e ridendo quasi. Il domestico si alza dalla sedia della cucina e lascia il lavoro a metà, pensa che in fondo la cena del Lord può decisamente aspettare. E quando vede C-117 muovere appena la testa ogni suo dubbio si dissolve: sopravvivrà, sopravvivrà davvero.
Lo guarda assorto mentre solleva una mano fasciata e se la contempla, quasi stupito, in una sorta di muta stupidità, e il domestico prova a parlargli… ma C-117 non sembra voler rispondergli, tanto è preso dalla sua osservazione. A un certo punto li fissa inespressivo, poi mormora qualcosa che nessuno dei due riesce a comprendere. Solo qualche minuto dopo sembra riacquistare lucidità.
Si passa una mano sulla fronte fasciata e infine prende a respirare, piano, con un sospiro grande e liberatorio. Atsuya sorride sollevato: è davvero tutto finito.
- Che cosa brutta. – si limita a mormorare lo schiavo lasciando scivolare il braccio sugli occhi. - È stata davvero una cosa orrib-
I domestici si allarmano appena si accorgono sella sua espressione vacua, la frase troncata a metà come se le forze lo avessero abbandonato per sempre, ma C-117 sembra riprendersi dalla trance con rapidità fulminea.
- Come ti senti? – gli chiede cauta Natsumi fissandolo con attenzione. Reize fa un sorriso bieco e chiude gli occhi, non risponde.
- Mancava davvero poco e lasciavi questo mondo. – borbotta soltanto Fubuki guardandolo storto, incrociando le braccia al petto.
C-117 continua a sorridere, gira la testa d’un lato e sospira: - Avrei preferito, a dire il vero…
Atsuya si è accorto che c’è ancora qualcosa che non va: ogni tanto il suo sguardo torna vacuo e inespressivo, talvolta lascia le frasi a metà. Non è ancora nel pieno delle sue facoltà, gli ci vorrà del tempo per riprendersi. - Hai ancora quattro giorni per tornare in te, cerca di tenerlo a mente. – sbotta cercando di mantenere un atteggiamento distaccato, ma non ci riesce e si ritrova a sospirare di sollievo: è finita, davvero finita.
- Quanto tempo sono rimasto incosciente? – chiede piano lo schiavo, la vista che a tratti gli si appanna.
- Una settimana e tre giorni. – gli risponde Natsumi, è felice e si vede, anche se un po’ preoccupata.
- Quindi mi ha dato due settimane…
- Inizialmente te ne aveva data una, ma abbiamo protestato. – spiega la donna con un sorriso. – Ora però stai meglio. Riposati ancora un po’, devi recuperare le forze. Per festeggiare vado a preparare un po’ di zuppa! – esclama poi determinata, e si fionda in cucina. Reize è felice per lei, vorrebbe poter vederla sorridente sempre.
Si rende conto di non essere in grado di muoversi, il minimo gesto gli strapperebbe un urlo di dolore e preferisce evitare. Si abbandona tra le lenzuola familiari del letto di Atsuya e lo guarda di sottecchi, concentrandosi sul suo respiro come se non fosse in grado di reggerlo. Il silenzio che si forma è inequivocabile.
- Smettila di fare il cretino. – sussurra piano Atsuya. – Non sai quanto ci hai fatto tenere sulle spine. Pensavamo che saresti morto. E smettila anche di fingere, si vede benissimo che stai male.
Reize a quel punto stende le labbra, lo guarda e si limita a un sussurro: – Anche tu dovresti smette-… - inizia, ma di nuovo le ombre lo assalgono, il buio prende forma e da incubo diventa realtà. La sensazione scompare così com’è arrivata, si ritrova di nuovo nella stanza di Atsuya. È come morire e tornare indietro, pensa distrattamente, stropicciando le lenzuola con le dita fasciate.
- Cosa ti diceva mentre… mentre ti torturava?
La domanda è esitante, cauta, come se Atsuya non volesse davvero una risposta. Reize lo fissa attentamente, l’altro non osa guardarlo e posa i suoi occhi sulla foto appesa al muro. – Diceva… che sono suo. Che sono suo e di nessun altro… Nessuno può toccarmi tranne lui. È stato… difficile. – mormora soprappensiero. – Piangeva e… sembrava davvero triste.
Fubuki a quelle parole si volta di scatto, sorpreso ma non irritato da quelle parole preoccupate.
C-117 sospira e torna a fissare il soffitto con le sue macchie di muffa. – Lo guardavo e… mi sentivo vuoto. È stato indescrivibile. – sospira poi, chiudendo gli occhi e lasciando che una tenera e debole lacrima scivoli lungo il suo viso ferito. – E… lo sai? Mi implorava di amarlo.
A quelle parole Fubuki sbarra gli occhi sbalordito e confuso, in parte addolorato: - Lui… cosa? – mormora senza comprendere, troppo esterrefatto per arrabbiarsi davvero con lui.
- Lo so, è strano. Mi implorava di amarlo, piangeva, mi dilaniava e io gridavo sempre più forte. Continuavo a dirgli che non era possibile, e lui si arrabbiava con me e… - Reize si passa distrattamente la mano sulla guancia, dove il suo nome è ormai sparito, coperto da una ferita profonda. Entra nella trance e torna indietro, come un’onda che s’infrange sugli scogli e poi si ritira lasciando dietro di sé pozzanghere di spuma. - È stato così triste… non so dirti chi dei due stesse più male.
Il silenzio scivola nella stanza come un serpente dalle voraci spire, pronto a divorare e dilaniare qualunque cosa: sentimenti, dubbi, segreti… tutto. E mentre Atsuya guarda Reize può sentire distintamente una sensazione spiacevole nascergli nelle viscere, lasciandolo solo e immune all’atroce dolore. – Tu gli hai detto di sì? – mormora piano, non riuscendo a trattenersi. – Hai detto di amarlo? È per questo che ti ha lasciato andare?
- Io non lo amo. Come posso amare una persona tanto meschina? E al contempo sento di appartenergli più di ogni altra cosa al mondo. – sussurra piano lo schiavo, si passa una mano sulle labbra come a voler portare alla mente quei baci incandescenti e possessivi. – No, non gli ho mai detto nulla.
Fubuki si alza, la sedia cade sul pavimento con un tonfo sordo. Reize comunque non osa voltarsi verso di lui, fissa il soffitto macchiato di muffa e sospira, annebbiato dai pensieri. Non sposta lo sguardo sulla porta quando questa sbatte violentemente, si limita a sussurrare tra sé quella vecchia e dolorosa cantilena.

 

   
 
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