Mephala
Il gelido metallo della spada la prese di sorpresa.
Con stupore misto ad orrore osservò la lama che sporgeva dal petto, e la macchia di sangue che sporcava i suoi bei vestiti, incredibilmente simile ad un fiore color cremisi.
Il dolore arrivò con un istante di ritardo.
Muscoli lacerati, tenera carne squarciata.
Se l’incantesimo di silenzio non gliel’avesse impedito, avrebbe urlato. Ma non sapeva che quello che sarebbe accaduto a breve sarebbe stato peggio.
Immensamente peggio.
Colui – o colei, per quanto ne sapeva – alle sue spalle affondò ancora di più la lama nello squarcio creatosi al centro del suo petto.
L’elfa si sentì morire.
A poco a poco, sentiva la sua forza vitale abbandonarla, e risalire lungo la spada, a nutrire il suo assassino.
Sentì il respiro dell’altro – altra? – sul collo.
«Guardami negli occhi» sussurrò la voce.
E lei lo fece.
Con le sue ultime forze, l’elfa si girò.
«Tu!» rantolò «Per… perché…?» sussurrò, iniziando a sentire le palpebre pesanti.
«Non avresti dovuto insultare i miei vestiti.»
La Lama d’Ebano abbandonò il corpo di Taarie con un gesto fluido, e il cadavere della donna cadde riverso nella bottega Radiose Vesti.
L’omicida uscì dal negozio di vestiti con un sorriso soddisfatto. Ancora poco, e la Lama sarebbe tornata al suo antico splendore.
Con aria perfettamente innocente, spazzolò le maniche, sulle quali era caduta un po’ di polvere.
Non una singola goccia di sangue aveva macchiato i suoi vestiti.