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Autore: White Trash    01/09/2015    2 recensioni
«E poi, diavolo, guardami in faccia quando ti parlo!»
Bill si fermò, quasi paralizzato e, con una lentezza inquietante, si voltò lentamente verso il rasta, gli occhi semi ricoperti dalla frangia.
«Sono cieco, razza di coglione».
Genere: Drammatico, Romantico, Satirico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest
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Quella sera si era sballato più del necessario.

Aveva bevuto, fumato, fatto sesso, fumato e bevuto ancora. Per lo meno, sperava di non aver preso l’Aids.

Era in procinto di sistemarsi la patta dei pantaloni dopo essere venuto per la terza volta quella sera, o forse era la quinta...
Non lo sapeva. In realtà non sapeva nemmeno se quella biondina tutta curve fosse veramente una ragazza o solo frutto della sua immaginazione, ma non ci fece poi tanto caso. Al contrario si limitò a darle le spalle e ad uscire dal bagno, ritornando nella calca del locale, fra le luci psichedeliche e la musica sparata a manetta. Non riusciva a respirare e dopo le intense ore di sesso il suo corpo si stava man mano ribellando. Aveva un bisogno fottuto di uscire, Andreas avrebbe capito.

E se non lo avesse fatto sarebbero stati affari suoi, al momento nemmeno quello importava.

Un tizio più basso di lui lo urtò e questo servì a Tom per destarsi dal suo momento di trance. Così, fra spintoni e gomitate riuscì ad aprirsi un varco e ad uscire, finalmente, all’aria fresca. Inspirò fino a farsi bruciare i polmoni e quasi si sentì mancare per lo sforzo. Gli lacrimavano gli occhi e aveva i rasta in disordine e gli occhi cerchiati. Se qualcuno lo avesse visto in quelle condizioni, lo avrebbe scambiato per un pazzo maniaco.

E in effetti, solo un pazzo maniaco avrebbe tirato fuori le chiavi della sua moto, solo un pazzo maniaco ci sarebbe saltato sopra e solo un pazzo maniaco sarebbe partito accelerando per combinare chissà quali casini.

Non sapeva nemmeno dove andare, tra l’altro, sapeva solo di voler combinare qualcosa di figo per finire in bellezza la serata, così magari avrebbe avuto di che parlare con Andreas quel lunedì al lavoro.

 


 

“Porca puttana, porca puttana, porca puttana, porca put…”.

Un’ ennesima bottiglia schiantata a terra, un’ ennesimo grido di vittoria da parte dei trogloditi magicamente apparsi accanto al tavolo di Bill e Friedrich, provenienti direttamente dalla meravigliosa era del paleolitico.

Bill era sul punto di scoppiare in una violentissima crisi isterica. La musica era troppo alta, non capiva nulla, non riusciva a parlare e, cosa che gli capitava spesso quando si trovava in ambienti troppo rumorosi, sentiva lo spazio attorno a sé farsi sempre più ristretto.

Fortunatamente aveva affinato dopo tanti anni il suo self control, ma ciò nonostante tutta quella merda gli dava un enorme fastidio.

Si era ritrovato, quella sera, Friedrich proprio davanti alla porta di casa. Quest’ultimo  gli aveva detto che nel locale Rania non sarebbe stata proprio la benvenuta.

Bill però sapeva perfettamente che il suo adorato cagnolone, o meglio cagnolona, poteva entrare dappertutto, per legge. Anche se i coglioni non mancavano mai e spesso il moro si ritrovava costretto a dover chiamare la polizia e gente simile, che puntualmente multava i proprietari dei bar, delle enoteche o qualsiasi posto in cui Bill andasse e dove il cane non fosse il benvenuto.

Perché sì, la merda era anche in Germania, questo era poco ma sicuro.

E la madre dei coglioni è sempre incinta.

Ad ogni modo, Bill non potè far altro che imprecare sottovoce, cercando di non perdere il controllo. Aveva detto a Friedrich di muoversi a bere, che non avrebbe retto altri minuti di quella musica infernale e né, tanto meno, le tecniche di flirt che i preistorici usavano con lui, prima di rendersi conto della realtà delle cose, ossia che il moro non era una bella sventola, ma un ragazzo e, tra l’altro, anche cieco.

Friedrich dal suo canto non lo ascoltava, si limitava ad ordinare e ordinare altri drinks, ridendo o, addirittura, non curandosi affatto delle lamentele dell’amico.

“Andiamo Bill, sono simpatici!” si limitava a dire e il moro non faceva altro che incazzarsi ancora di più.

“Simpatici? Chiami simpatici dei tizi che comunicano a versi?” gridò il moro, un po’ per l’esasperazione, un po’ per farsi sentire forte e chiaro dall’amico.

Come se non bastasse non si rese conto di avere il proprio bicchiere a poca distanza e, con un movimento sbagliato del gomito, Bill si ritrovò svariati cubetti di ghiaccio fra le gambe.

Con un sospiro al limite dell'esasperazione, infilò i cubetti uno a uno nel bicchiere, percependo la risata soffocata di Friedrich. Perché sì, quando la musica era troppo alta e il nervosismo troppo intenso, Bill perdeva la cognizione del tempo, dello spazio e il suo orientamento, così come il suo udito, cose che erano praticamente inutilizzabili.

E Friedrich…lui era un idiota, ma era il suo unico amico. Gli voleva bene, ma a volte era così dannatamente incosciente e immaturo che  era difficile stargli dietro.

E Bill, dal canto suo no, non era un santo, non aveva pazienza, ma era responsabile, doveva esserlo e si rendeva conto  di quando era il momento di piantarla di fare una determinata cosa.

Quella era la differenza fra lui e Fri. Quest’ultimo non aveva limiti, non sapeva manco cosa fossero i limiti. Vedeva il buono in ogni persona, era immaturo, come se non avesse mai concepito il vero significato della vita.

Mentre Bill…

Bill era cresciuto solo troppo presto, ecco tutto.

Non appena il moro capì che l’amico stava ordinando un altro shot, non riuscì più a trattenersi, così si alzò e, afferrato il guinzaglio della povera Rania che stava patendo anche lei le pene dell’inferno, fece per uscire da quel cazzo di locale.

Ovviamente Friedrich diede di matto, dicendogliene di tutti i colori, come al solito, ma Bill era fatto così, quindi non era colpa sua, in un certo senso.

Quando finalmente fu uscito, dopo essere passato con parecchia goffaggine fra i tavoli degli stolti che ridevano come fossennati, Bill era solo, all’aria placida della sera e con un incazzatura da far invidia a un Pitbull con la rabbia.

“Se qualcuno osa solo parlarmi lo mando al diavolo”, mormorò fra sé e sé, a denti stretti.

Fortunatamente non c’era nessuno, perciò preferì ritornare a casa da solo, anche se lo sapeva bene, non era affatto una buona idea. Ma Friedrich non si decideva ad uscire e Bill non era il tipo che stava ai comodi altrui. O, per lo meno, non lo era più.

Afferrò il suo IPhone e, dopo aver digitato la via di casa sua, si lasciò condurre dal navigatore satellitare, camminando accanto a Rania, che nel frattempo stava attenta ad evitargli ostacoli.

Ringraziò mentalmente il fatto che la strada fosse deserta, almeno riusciva a sentire le parole del navigatore. Anche se, doveva ammetterlo, se la stava facendo addosso.

“Pensa positivo, pensa positivo, pensa positivo, dannazione, pensa positivo, Bill!”

E così andava avanti quel mantra cantilenante, mentre il moro svoltava l’angolo, il terzo per la precisione.

Perché sì, casa sua era parecchio lontana da quel fottutissimo pub.

 

 

 

 

Era incredibile come una moto costosa ti facesse soffrire così tanto di deliri di onnipotenza.

Tom su quell’affare si sentiva un Dio. Bello, ricco e coglione.

Il mix perfetto, no?

Correva per le strade di Berlino facendo rombare il motore quando passava per luoghi abitati, proprio come un ragazzino spericolato. Dopotutto aveva solo 19 anni, aveva ancora il diritto di fare certe bambinate.

E anche se le cose non fossero state esattamente così…non erano di certo problemi suoi. Nel caso non si fosse capito, quella sera a Tom non importava di niente e di nessuno. Nemmeno di quella tizia mora che andava in giro alle 3 del mattino con un cane munito di cappottino sgargiante e con un IPhone parlante in mano.

 

“Che cazzo?”

Il rasta non frequentava prostitute, ma ne aveva viste tante, ma mai come quella che, praticamente, stava camminando a poca distanza da lui. E si era accorta  della sua presenza e del fatto che avesse rallentato, perché sembrava avesse aumentato il passo, anche se Tom inizialmente non si era accorto di aver rallentato.

Ad ogni modo, sia per la sbronza, sia per l’euforia, sia per, appunto, la coglionaggine, Tom decise di accostare e, con un movimento fluido e per nulla goffo, parcheggiò la moto.

In meno di tre secondi si ritrovò alle spalle dell’alta ragazza mora. Non riuscì a guardarla in viso, dato che questa stava letteralmente correndo, ma il rasta non sembrò accorgersene, per quanto fosse fatto in quel momento.

L’afferrò per un braccio e, quasi come una sanguisuga, le si incollò alla schiena.

“Cosa ci fa una bella ragazza a quest’ora, qui, tutta sola?”, le soffiò in un orecchio, profumava di…

Di uomo, in realtà. Aveva un profumo da uomo, ma evidentemente era appena stata con un cliente, pensò subito il rasta, annuendo convinto.

La mora fece per parlare, tremava fra le braccia di Tom che si dava pacche sulla spalla mentalmente, facendosi i complimenti da solo. Riusciva a far tremare d’eccitazione persino le prostitute.

Quando stava per mordicchiarle il lobo dell’orecchio, per chiederle le tariffe, quest’ultima sembrò riprendersi e no, non tremava dall’eccitazione, ma dalla rabbia.

 

“Razza di maniaco patentato, togli subito le tue cazzo di mani dai miei fianchi o giuro, questo natale dovrai accontentarti delle palle dell’albero, perché le tue non le avrai più!”, sbottò Bill, abbaiando letteralmente.

Stavolta era il turno del rasta a rimanere paralizzato e non fece una piega quando il moro, con un forte scossone non se lo tolse di dosso, correndo letteralmente via da lui, assieme a quel cane strambo.

L’unica cosa che riuscì a sentire in quel momento fu la voce dell’IPhone di Bill allontanarsi sempre di più.

Fu solo durante quei tre secondi di lucidità che Tom capì di aver appena flirtato col tizio del tatuaggio, ma poi fu di nuovo tutto sfocato e l’alcool riprese a fare il suo effetto.

 

 

 

 

   
 
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