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Autore: Terre_del_Nord    05/02/2009    17 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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That Love is All There is

Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Orion - OB.004 - Rinuncia

-- revisionato luglio 2018 --


OB.004


Orion Black
Liverpool, UK - giugno 1964

    «Walburga... »

Mi alzai di scatto e la raggiunsi, mostrandomi sorpreso ma tranquillo, lei si lasciò stampare un bacio formale sulla guancia, come faceva sempre quando eravamo in pubblico.

    «Volevo assicurarmi che non ti stessi cacciando nei guai, Orion… »

Mi prese per mano e mi sorrise, gli occhi, però, erano gelidi e restavano fissi sulla donna, chiaramente risentita, che divideva con me il tavolo più appartato di quel bar all'aperto. Non sapevo cosa pensare: Walburga era lì perché preoccupata per me, per la discussione della sera precedente, o perché voleva tenermi d'occhio? E come aveva fatto a sapere dove…

    «Walburga vorrei presentarti… »
    «... Elizabeth McKinnon, la conosco già, Orion… »

La fissai, perplesso: che cosa voleva dire? Elizabeth non era il genere di frequentazione di mia moglie, come facevano a conoscersi? E perché, se si conoscevano, non c'era tra loro alcun cenno della testa per salutarsi, nessun sorriso, neanche di fredda cortesia? Inoltre io la davo per morta da dieci anni, e come me chiunque altro avesse letto quel dannato articolo del "Daily Prophet", in cui si parlava del suo suicidio con i sonniferi babbani. In che circostanza si erano conosciute? Che cosa mi stava sfuggendo? Vedevo soltanto che Walburga assomigliava a una statua. Una statua i cui occhi saettavano fiamme.

    «… dico bene, signora Edgecombe? O ha già assunto un nuovo cognome?»

Mi voltai verso Elizabeth: Edgecombe? Non ci capivo più niente.

    «Ricordo che qualche anno fa ha sposato il vecchio Andrew Edgecombe di Greasby, proprio pochissimi mesi prima che passasse a miglior vita. Quando è stato? Nel febbraio del 1958, o sbaglio?»

I miei occhi andavano dall’una all’altra, mentre strani brividi mi percorrevano la schiena, era una partita di qualche assurdo gioco di cui non conoscevo né regole né finalità, mi era chiaro soltanto che chiunque delle due avesse vinto, io sarei stato sicuramente il perdente.

    «Non credo abbia avuto tempo di parlartene, la signora McKinnon doveva approntare gli ultimi dettagli, peccato sia arrivata troppo presto: dopo aver mandato a te una foto, con cui ti ha rivelato di essere ancora viva, per attirarti qui, e a me una lettera anonima, nella quale venivo informata che avrei trovato mio marito con la sua amante in un’insulsa piazza babbana di Liverpool, immagino ti avrebbe raccontato qualcosa di lacrimevole, poco prima del mio arrivo, così che potessi cogliervi in teneri atteggiamenti: ho indovinato?»

Walburga era ferma e impettita, il suo sguardo avrebbe potuto congelare l’inferno. Ora anch'io fissavo Elizabeth, ero inorridito: ero convinto che il pericolo fosse costituito da Walburga e che Elizabeth fosse una vittima, come me. Un lampo di consapevolezza squarciò finalmente il buio del mio cervello limitato: avevo vissuto gli ultimi dieci anni straziato dai rimorsi per le menzogne e il desiderio di vendetta di una donna tradita. E la punizione, per quel mio lontano peccato, non sembrava ancora finita. Forse non sarebbe finita mai. Molte cose continuavano però a non avere un senso. Per esempio avevo provato un brivido di terrore quando Walburga aveva parlato di...

   Salazar santissimo... Febbraio 1958… cioè un mese prima dell'attacco a Deidra e Mirzam? Che cosa sta succedendo? Deve essere solo una tragica coincidenza, non può esserci un orribile e diabolico collegamento... vero?

    «La signora Edgecombe, però, non ha previsto che mi avresti confidato dove saresti stato oggi e il motivo del tuo viaggio fin qui: la tua sincerità ha stupito persino me, Orion! Quando ho ricevuto la lettera, ho pensato che mi avessi mentito ogni giorno, in questi anni, ma quando hai iniziato a raccontarmi tutto, ieri sera, io mi sono sentita orgogliosa di te… »

   No, ti prego, non dirlo, Walburga.. non dirlo... non dirle di amarmi, non dire di provare orgoglio per me, andiamocene via, piuttosto, o pagheremo anche questo moto di superbia, oltre a tutto il resto...

Mi strinse più forte la mano, come quel giorno davanti ai nostri parenti, quando per la prima volta avevamo fatto fronte comune contro il mondo. Sarebbe bastato quel gesto, quella sua mano nella mia, a salvarci anche questa volta? O sarebbe stato proprio quel gesto, quella manifestazione d'amore, stavolta, a distruggerci definitivamente?

    «Il sangue non è tutto uguale, signora McKinnon, e il nostro è il più puro tra i puri… e, soprattutto, è lo stesso… »
    «Ha ragione, signora Black, ho commesso l'errore di... dimenticare... quanto conti per voi Black il vostro Sangue… Sangue Puro, dico bene Orion? Lo dice anche il vostro motto… “TOUJOURS PUR”...»

Elizabeth non aveva replicato, fino a quel momento, ed anche ora aveva mantenuto un atteggiamento pacato e impassibile, ma accompagnò quelle ultime altisonanti parole relative al sangue dei Black muovendo in maniera inesorabile e repentina l'ultima foto rimasta ancora sul tavolo, così che finisse proprio sotto gli occhi di Walburga: e quell'unica foto ritraeva proprio la piccola Margareth.

    Cazzo!

Impallidii mentre provavo invano a frappormi tra quella dannata foto e Walburga, ma lei non mi mollava, mi teneva serrato a sé. Strinsi i denti, furibondo, Elizabeth aveva previsto tutto, mi aveva invitato in una piazza babbana proprio preparando quella mossa, nel nostro mondo avrei potuto far Evanescere quelle dannate foto in un istante, mentre lì tra i babbani... Riflettei, se fosse il caso di rischiare, ma ormai era troppo tardi: per un solo, impercettibile istante Walburga aveva staccato gli occhi blu notte dal viso di Elizabeth per posarli sulla foto. In quell'unico istante doveva aver riconosciuto per forza in quel profilo ignoto la stessa perfezione che vedeva ogni giorno, da quattro anni, nei volti dei nostri figli. Solo io, che ne conoscevo i fulminei scatti d’ira, quelli che, nel corso di pochi anni, aveva portato a una drastica riduzione del numero dei nostri Elfi domestici e all'esposizione delle loro teste lungo la scalinata di Grimmauld Place, percepii all'istante la variazione del suo stato d’animo: in quel singolo istante, in quel rapido movimento della foto, Walburga aveva perso la sfida, ed ora era accanto a me, travolta da dolore e sconcerto. A causa del nostro amore. In tutta la mia vita, dilaniato costantemente dai sensi di colpa, non mi ero sentito mai una merda come in quel momento. Nemmeno quando avevo creduto di aver sulla coscienza la vita di Elly e di mia figlia.

    «Walburga!»

Sentii la presa allentarsi fino a scivolarmi via dalla mano, mi voltai, in tempo per riuscire a sorreggerla: era svenuta, sotto gli occhi trionfanti di Elizabeth. Con la mano libera, presi la foto di Margareth e gliela gettai addosso, con rabbia.

    «Me la pagherai anche per questo: sei soltanto una pazza da compiangere… »
    «Se cerchi qualcuno da compiangere, Black, prendi uno specchio e guardati… »

Ghignò, fu come vederla per la prima volta: ero stato io a trasformarla così? O la lussuria mi aveva reso cieco fin dall’inizio, tanti anni prima?

    «Sei solo feccia, e non parlo del sangue sporco che ti scorre nelle vene… sei solo una sgualdrina, ed io, stolto, solo adesso ho riconosciuto la verità!»
    «La verità, Black? Quale verità conosci? Non hai neanche idea di chi ha bendato i tuoi occhi in tutti questi anni! Dovresti imparare a guardarti da chi ti è vicino! Ho sempre pensato che ti fossi sposato solo per obbligo, volevo divertirmi oggi a sventolarti in faccia la vita a cui avevi rinunciato, ma vedo invece quanto siete legati… Ho aspettato dieci anni, per questo momento, ma sono stata ricompensata oltre i miei sogni più arditi: sarà bellissimo vederti di nuovo crollare nel fango, Black, quello che ti ho visto fare dieci anni fa è niente rispetto a quello che accadrà ora, perché ora perderai tutto quello a cui tieni, lo sai? E Walburga, povera stolta, pensavo di punire la sua superbia di purosangue, invece l'ho appena privata dell’uomo che ama, proprio come voi luridi schifosi avete fatto con me!»

La fissai con odio e la mano andò fulminea alla manica sinistra, in cerca della bacchetta: stava dicendo la verità, Walburga ed io non saremmo mai usciti incolumi dalla tempesta causata da quella donna. Avrei fatto bene ad andare da mio padre, dieci anni prima, dicendogli tutto, così mi avrebbe ucciso all’istante e Walburga si sarebbe salvata, avrebbe sposato un uomo migliore di me e sarebbe stata felice.

    E i miei figli… Merlino… Cosa ne sarà adesso di loro? Tornati a Londra, Walburga mi caccerà di casa e mi impedirà di vederli ancora...

Fu il pensiero dei bambini che mi fece ritornare in me: dovevamo andarcene, se fossimo rimasti un istante di più, testimoni babbani o meno, avrei ammazzato quella dannata puttana… Sempre tenendola stretta a me, trascinai Walburga in un vicolo oscuro, da dove ci smaterializzammo diretti a Londra. Ad attendermi ormai, c’erano soltanto cenere e inferno.

***

Orion Black
12, Grimmauld Place, Londra - giugno 1964

    «Walburga... »

Era immobile e in silenzio da ore, gli occhi persi sull'Arazzo: dopo una settimana di mutismo e apatia, barricata nel nostro appartamento, si era presentata nella sala da pranzo, aveva allontanato gli Elfi con vari incarichi, fatto riportare i bambini nella loro camera all'’ultimo piano, quindi mi aveva invitato a seguirla nella stanza dell’arazzo, dove aveva gettato i Muffliato più potenti a porte e finestre. Era pronta per la resa dei conti.

    «Per favore, Walburga, parlami… »

Fuori la pioggia rigava i vetri: notai che la pioggia accompagnava sempre i momenti più tragici della mia esistenza malata. Mi alzai dal divano in cui ero rimasto a lungo in attesa, afflitto, le mani sulla faccia, a riflettere sul niente, il cervello era ormai vuoto: anche se ci avevo pensato per giorni, non trovavo un rimedio a quanto era successo. Walburga doveva essere arrivata alla stessa conclusione. Era in piedi, di fronte a me, mi dava le spalle, fissava senza sosta la porzione dell’arazzo che raffigurava noi due e i nostri figli. Mi avvicinai e le presi la mano, abbandonata immota, lungo i fianchi: si lasciò toccare e fui tanto stolto da prenderlo come un buon segno. Walburga si voltò, mi guardava senza neanche vedermi, ero diventato trasparente ai suoi occhi vuoti. Aveva una maschera d’indifferenza sul viso, che non aveva indossato neanche quando, i primi anni…

    «Guarda l’arazzo, Orion: vedi questi punti, dove il tessuto è bruciato? Ne conosci il significato, vero?»

Non potei fare a meno di chinare lo sguardo, a guardarmi le scarpe: era stato il mio incubo per tanto tempo, vedere il mio nome bruciato via dall'arazzo dei Black, un tempo avevo pensato che il matrimonio con Walburga, per quanto orribile, mi avrebbe almeno salvato dall’oblio e dalla vergogna.

    «Quanto è profondo in te il male, Orion? Quanto dovrei scavare a fondo per estirparlo tutto?»

Estrasse la bacchetta e mi guardò finalmente negli occhi…

    Ecco ci siamo. Uccidimi e facciamola finita, brucia il mio nome, rendimi solo una macchia di vergogna nella vita di chi ho amato.

Non sentii le parole, solo una moltitudine di chiodi penetrarmi la carne, il fuoco impossessarsi del mio sangue, mi contorsi a terra, sperando di trovare pace, mentre le mie viscere sembravano esplodermi fuori, il cuore stritolato da una morsa d'acciaio. Boccheggiavo, senza più aria nei polmoni. Non so quanto durò, un istante o forse una vita intera, ma non era nulla rispetto al dolore per le immagini felici che la mente mi rimandava indietro, mia moglie, i miei figli, tutto ridotto in cenere.

    Tutto perso. Per sempre.

*

Mi svegliò il gelo sulla pelle: aprii gli occhi e vidi la stanza dell’arazzo illuminata solo dalla luce della luna che filtrava dalla finestra. Ero ai piedi della parete, esattamente sotto il mio nome, ci misi un po’ a rendermene conto, stordito com’ero, assetato, infreddolito, dolorante. Quando i miei occhi scivolarono lungo la stanza, intercettarono la sua figura: era seduta sul divano, di fronte a me, vicina ma non tanto da riuscire a raggiungerla, di certo ne sarei stato capace solo strisciando, perché le mie gambe non potevano più reggermi. I suoi occhi erano fissi sull’arazzo, mi sollevai appena sulle braccia: mi aveva spogliato, o forse mi ero stracciato da solo le vesti nell’agonia, avevo solo i pantaloni, vidi dei segni di bruciatura sulla mia pelle, ma non avevo memoria di come mi avesse attaccato. O se fossero i segni esteriori dell’inferno della Cruciatus. In vita mia, nemmeno durante gli anni selvaggi di Hogwarts, o durante le cacce al babbano, avevo mai usato le Maledizioni senza Perdono. Walburga bisbigliava, una specie di cantilena infinita, quasi fosse in tranche, non riuscivo a capire le sue parole, mi avvicinai lentamente e quando finalmente udii, il sangue smise di scorrermi nelle vene.

    ”E quanto è contaminato il loro sangue? Quanto è contaminato il sangue dei tuoi figli?”

Alzai la testa di scatto, nonostante il dolore e lo stordimento. No quello no, non puoi dire sul serio.

    “Sono anche tuoi…”

Mi uscì in un soffio, la voce che implorava, come non avevo mai implorato in tutta la mia vita. Per me non volevo niente, come potevo anche solo osare pensare di vivere, dopo che avevo fatto soffrire l’unica persona che nella vita mi aveva amato sul serio. Mi rispose rapida, la voce alterata, chiaramente isterica, la pazzia si era impadronita completamente di lei.

    “Lo credi davvero, Orion? Io non ne sono più certa, visto cosa sei tu, non basta il mio sangue a compensare… Ora devono dimostrarlo, devono dimostrare di esserlo… di essere dei veri Black … Portarne il nome non è tutto, evidentemente… Solo se sopravvivessero…”
    “NOOO!”

Mi misi in piedi a fatica e feci due passi verso di lei, inciampando e ritrovandomi di nuovo a terra. Non glielo avrei permesso: ero io, l’infame, il traditore, la feccia, tutto quello che voleva, ma i miei figli, i nostri figli, non doveva toccarli. Doveva passare sul mio cadavere, e non sarebbe bastato nemmeno quello…

    “Cosa stai blaterando? Cosa c’entrano loro?”

Mi trovai di fronte due occhi morti, occhi di chi ha passato la linea dell’esistenza e ha abbandonato qualsiasi speranza. Dov’era finita la mia Walburga, quella donna carica di passione che io, soltanto io, conoscevo davvero? Dovevo riportare la vita in quelle vene e in quegli occhi, anche se ne avevo perso il diritto… Per i miei figli, non era giusto cedere.

    “Mio padre ha preteso che sposassi te, perché… Leggi… leggi il nostro stemma… “TOUJOURS PUR”… Sai cosa significa, Orion? Stando a quello che dice questo arazzo e questo stemma, potevamo mettere la mano sul fuoco: i nostri figli sarebbero stati perfetti, puri… ma… tu sei marcio Orion… il tuo sangue si è legato con la feccia, il tuo sangue malato ha generato l’abominio… Tu sei contaminato, Orion…. E se i tuoi figli fossero come te? Prendi Sirius, nemmeno mi si è attaccato al seno: non ne capivo la ragione, ora forse ho scoperto il motivo…”
    “Walburga, che cazzo dici?”

Urlai. Ero in ginocchio, mi rimisi a stento in piedi, sapevo che non era saggio, ma per Merlino… Alzandosi, sfoderò rapida la bacchetta dalla manica del vestito e me la puntò tra gli occhi, arretrai guardando a turno la punta della bacchetta e la sua faccia, mentre girava lenta, pericolosa come una serpe, attorno a me.

    “Modera le parole in questa casa, Orion…. Non sei al cospetto della feccia che frequenti di solito… Porta rispetto per il sangue dei miei padri, che sono anche i tuoi… Visto che non ne hai mai avuto per me…”

Deglutii a stento. Dovevo pensare e farlo in fretta. La Cruciatus mi colpì silenziosa di nuovo, prima che potessi mettere insieme un pensiero coerente: stavolta avevo ancora fiato e urlai, non immaginavo di poter avere tanta voce nel corpo, la testa sembrava esplodermi, il corpo era in fiamme. Fu breve e mi ritrovai di colpo libero dalla tortura, tremante, ai suoi piedi.

    “Walburga, per amor di Merlino, farò tutto quello che vuoi… Tutto….”
 
Mi chinai a baciarle i piedi, lei si ritrasse schifata e mi colpì con un calcio.Dolorante, tornai all’attacco, pulendomi il sangue dalla bocca con la mano.

    “Puniscimi come preferisci, ma ti prego, non toccare i bambini... Ti prego… Non te lo perdoneresti mai…”
    “Quanto amore per i tuoi figli, ora… Dov’era il tuo amore per il futuro dei Black quando ti scopavi quella puttana?”

Colpì di nuovo, questa volta a lungo, fino a che non persi i sensi. L’ultima immagine che vidi mi s’impresse a fuoco nella mente.
Era lucida e determinata… E piangeva.

***

Orion Black
12, Grimmauld Place, Londra - agosto 1964

Ufficialmente ero malato, una qualche strana malattia infettiva potenzialmente mortale, che tenne a lungo a distanza amici e parenti: non sapevo se esisteva al mondo qualcuno che sapesse la verità, oltre Elizabeth... probabilmente no, non era certo il genere di cose che si vanno a raccontare in giro. Quella cosa, in particolare, non poteva essere raccontata nemmeno ai parenti. Anzi, soprattutto non ai parenti. Walburga non aveva deciso ancora cosa fare di me, pensavo che mi avrebbe ucciso, in fondo la malattia che "mi aveva colpito”, il 50 % delle volte, era mortale: per questo i ragazzi erano stati spediti dai nonni nel Cornwall, quindi, per lo meno, al momento, era scongiurato il pericolo che se la prendesse con loro. Anche se non potevo sapere cosa ne avrebbe fatto una volta che fossi morto. Speravo sempre che una volta scomparso io, la causa di tutto, la lucidità e la pressione degli altri Black, avrebbero messo in salvo i ragazzi. Le mie sedute di Cruciatus non erano regolari, come non lo erano le visite che Walburga mi faceva nella stanza dell’arazzo: era diventata la mia prigione, diceva che dovevo riflettere lì sulle mie azioni, che dovevo pentirmi davanti ai Black per quello che ero davvero. Kreacher mi portava solo qualcosa da mangiare e acqua e stracci per pulire il mio sangue, abbondantemente versato in quella stanza: senza magia, scoprii che era davvero difficile togliere le macchie dal muro e dai tessuti. Di solito mi colpiva brevemente ma con assassina intensità, a tradimento, apparendo all’improvviso mentre ero prostrato dalla fame e dal dolore e poi non la vedevo per giorni. Altre volte, e quelle erano le peggiori, sembrava avere pietà di me, mi soccorreva a terra, mi accarezzava e baciava e piangeva , ma non mi parlava più. Quella era davvero la punizione peggiore per me, perché era chiaro che mi amava e il fatto di amarmi davvero, le rendeva ancor più difficile reggere la delusione che le avevo provocato. E la faceva soffrire per quello che doveva farmi.
Quel giorno le convinzioni di Walburga erano più deboli del solito, capivo che le mancavo, come lei mancava a me. Forse avrebbe voluto finirla, in un modo o nell’altro: uccidermi o perdonarmi erano la stessa cosa, entrambi non le avrebbe portato sollievo, perché, se mi avesse ucciso, non se lo sarebbe perdonato mai, se mi avesse perdonato non avrebbe comunque più provato rispetto e fiducia nei miei confronti. Gettarsi alle spalle tutto era l’unica cosa che desiderasse veramente, ma era anche l’unica ormai impossibile da realizzare. Per questo si rifugiava nell’onore dei Black: doveva essere vendicato, doveva essere risarcito in qualche modo. Ed io un modo l’avevo trovato. Eravamo entrambi seduti sul divano, lei si torceva le mani e si mordeva il labbro, io a poca distanza da lei, morivo dalla voglia di avvicinarmi e abbracciarla. Ma non potevo più farlo, ai suoi occhi mi ero approfittato fin troppo del suo amore.

    “Vuoi che vada via? Vuoi che sparisca e non mi faccia più vedere? Vuoi che i ragazzi non sappiano mai più nulla di me?”
 
Si voltò e vidi chiaramente il terrore sul suo viso, lo stesso che provavo io, al pensiero che mi rispondesse “Sì, è ciò che voglio.” Invece no, nonostante tutta l’umiliazione, non avrebbe mai voluto questo. Me l’aveva detto chiaramente anni prima: “Non mi lasciare.” Non poteva umiliarsi ancora e si diede una scusa, quella che sarebbe diventata, tra noi, da quel momento, LA SCUSA: quella che avrebbe distrutto ogni possibilità di tornare sui nostri passi.

    “Certo, per farmi ridere dietro da tutti quando tornerai da quella bastarda di tua figlia e da sua madre? Quando sarà palese a tutti che… Per questo non volevi sposarmi, non volevi figli da me… Ed io… io, Walburga Callidora Black… mi sono fatta toccare nella vita solo dalle tue sudice mani, mi sono fatta insozzare dal tuo corpo contaminato… Salazar…”

Andò a gettarsi in lacrime ai piedi dell’arazzo, nascondendo il viso tra le mani, graffiandosi come volesse strapparsi via la pelle che avevo toccato, torturandosi le labbra che tante volte avevo baciato. La raggiunsi, non potevo sopportare di vederla così, preferivo mille volte un’altra Cruciatus.

    “Walburga, ti prego… Ti prego…”

M’inginocchiai davanti a lei, l’abbracciai serrandole le mani perché non si ferisse più, le appoggiai il capo sul mio petto. Merlino, com’era potuto succedere tutto questo? Di nuovo mi lasciò fare: seguendo la linea dei suoi pensieri, non avevo difficoltà a capire come si sentisse in quel momento, quell’idea riduceva a pezzi anche quel poco di buono che c’era stato tra noi, capovolgendo il concetto di Bene e Male, Giusto e Sbagliato sui nostri anni insieme. Sapevo che lasciandomi fare, la sua non era la resa di chi è convinto, ma di chi non ha più la forza di lottare. E attende, sconfitto, la morte.

    “Tu non sei un vero Black, nemmeno i tuoi figli possono esserlo, non lo sono più nemmeno io, per colpa tua… la Sacra Casata dei Black è morta, è questa la verità. È finita… Lo capisci? Questo scandalo travolgerà tutto quello che siamo e tutto quello in cui abbiamo creduto. Per sempre…”

Si mise a piangere, non più disperatamente, ma un lungo pianto silenzioso mentre le sue mani si perdevano tra i miei capelli: era tornata razionale, disperatamente consapevole di essere innamorata di un uomo meschino e non meritevole… Piangeva per se stessa, perché sapeva che cedendo all’amore, aveva perso la sua forza e la sua integrità, aveva perso la possibilità di cancellare tutto. Ma se Walburga aveva smesso di lottare per noi, dovevo farlo io. Per lei e per i ragazzi. Almeno una volta nella mia vita.

    “E’ vero, Walburga, non sono stato il marito che meritavi, ma nel tentativo di rimediare mi sono innamorato di te, e questo lo sai, lo sai nel profondo dell’anima che io ti amo… Magari non basta, ma sai che è la verità. E’ stato allora, solo allora che ti ho toccata: tu sei pura e perfetta, i nostri figli sono puri e perfetti, Walburga… Pensaci: avresti ragione se fosse andata come tutti si aspettavano, se avessimo avuto un figlio fatto per gli altri, non per noi stessi, non per l’amore che ci lega. Abbiamo fatto di tutto per noi e per la nostra famiglia… Sinceramente, non per convenienza. Il passato che hai visto l’altro giorno, è solo mio… con tutto questo, con tutto ciò che noi siamo, con tutto quanto è racchiuso in Grimmauld Place, con l’arazzo dei Black… quel passato non c’entra nulla… T’imploro… Sono qui e ti offro la mia vita, fanne quello che vuoi: uccidimi se ti dà sollievo, cacciami senza timore, perché morirò nell’istante stesso in cui mi dirai che non mi vuoi più accanto a te e ai miei figli… Ma non prendertela con te stessa e con loro… Non dovete soffrire a causa mia… Non più. Lascia che soffra solo io, sono l’unico che deve farlo…”
    “Orion…”
    “I bambini sono Black, sono perfetti, sono tuoi… Solo tuoi.”

Mi baciò, ma i suoi occhi mi dicevano che non era convinta, non aveva capito ancora quello che le stavo dicendo. Quello che le stavo offrendo.

    “Ora farò quello che devo, devo andarmene alcuni giorni, perché non sono un buon padre né un buon marito, e perché la sola punizione che temo è quella di perdervi…”
    “No! NO!”

Mi arpionava per trattenermi, sorreggendosi a me… gli occhi carichi di terrore.

    “Devi crescerli tu i ragazzi, Walburga, li educherai tu, come mi hai fatto capire, io non sono abbastanza… io non posso, potrei rovinarli, anche senza volerlo… ma ti giuro che rimedierò, cancellerò i miei peccati… e solo a quel punto tornerò a casa, e ti starò vicino, se lo vorrai ancora… sceglierai tu cosa è meglio per i ragazzi, li farai Black come vuoi tu… come sei tu…”
    “Ma cosa… Dove devi andare? Cosa…?”
    “Nessuno saprà, Walburga… nessuno dubiterà… mai… Non dovrai temere mai altre umiliazioni a causa mia… Farò quello che va fatto, un Black deve difendere la propria famiglia costi quel che costi… Dovevo farlo anche prima… Una vita per una vita, non ci saranno altri motivi materiali per cui tu e i ragazzi dobbiate vergognarvi di me… Nessuno scandalo rovinerà la casata dei Black per colpa mia... Te lo giuro!"

Mi alzai e la guardai, mi rimandò indietro uno sguardo strano, allucinato, spaventato, un lampo di comprensione e subito seguì il turbamento. Sapevamo entrambi che era la sola soluzione, ma mi amava troppo per chiedermelo. Aveva capito, ma non osava indagare, forse non osava sperare. E al contempo sapevamo che ormai era finita. La nostra vita da quel momento cambiava per sempre. Ora capiva e comprendeva perché dovevo andare e perché mi sarei fatto da parte. Finiva la magia che avevamo creato, da quel momento, sarebbe stata solo apparenza. Come avrebbe dovuto essere dal principio. Mi chiesi se il grande architetto che stava dietro a tutto questo non volesse arrivare proprio a quel punto, in fondo era strano trovare l’amore nella casa dei Black, era doveroso riportare la situazione alla norma. Forse era davvero l’invidia degli dei. L’abbracciai, stringendola a me, la baciai, cercando di trovare nelle sue lacrime e nel suo calore la forza per andare avanti, sapevo che quell’ultimo istante mi sarebbe dovuto bastare per tutta la vita. Sapevo che sarebbe stato atroce viverle accanto e saperla non più mia. E lo sapeva anche lei. Forse chissà, un giorno, un giorno la nostalgia di noi, di quello che eravamo stati, avrebbe cancellato tutto questo, ma non avevo il diritto di sperarlo davvero. Un ultimo bacio, un’ultima carezza a quanto avevo di più prezioso. Dopo oltre un mese uscii dalla stanza dell’arazzo, salii in camera, mi ripulii con un colpo di bacchetta, mi vestii, salii con difficoltà fino all’ultimo piano, entrai nella stanza dei ragazzi e osservai i loro letti vuoti…

    I miei piccoli angeli…

Quando li avevo baciati non sapevo che sarebbe stata l’ultima volta… Sarebbe passato pochissimo tempo, prima del mio ritorno, ma sarebbe stato come non ritornare mai più.
Lo sapevo e lo accettavo. Perché con le mani sporche di sangue non avrei mai più potuto toccare il viso dei miei figli. Perché l’assassino che sarei diventato non poteva più baciare la loro fronte. Mi chiusi la porta e la vita alle spalle: non potevo rischiare che un giorno soffrissero per gli stessi miei errori.

***

Orion Black
località ignota, UK - dicembre 1964

    “Cosa?”

Forse un fruscio la rese consapevole della mia presenza, mi mossi dall'angolo oscuro da cui la osservavo da un tempo indefinito, mi sfilai il cappuccio dalla testa, un raggio di luna mise in luce il mio viso. Urlò. Ghignai. L'avevo inseguita per mesi per mezza Gran Bretagna, ma alla fine eravamo alla resa dei conti. Avevo gettato potenti Muffliato su tutta la casa, nessuno l'avrebbe soccorsa, non più, non quella notte.

    “NO! NON PUOI, NON PUOI… TU NON SAI CHI…”

Com’era diversa la sua espressione... Levai la bacchetta. Lo pronunciai sottovoce.

    “AVADA KEDAVRA….”

La vidi cadere giù, come un semplice filo tagliato, lei, Elizabeth McKinnon, la donna che mi aveva rubato l’anima e la vita. Avevo passato dieci anni nel rimorso. Ora non sentivo altro che sollievo. Il rumore nella stanza accanto mi riportò al presente, raggiunsi il mio compagno. Arrivava forse la parte più difficile, ma doveva essere comunque fatto, per poter tornare a casa, e riprendere, almeno in apparenza, la mia vita. Lo trovai di fronte alla porta dell' ultima stanza in fondo al corridoio, il mantello nero lo copriva da capo a piedi. Lo raggiunsi.

    “Fammi passare, voglio farla finita...”

Estrasse la bacchetta e si frappose tra me e la stanza, puntandomela contro, poi indietreggiò, fino a raggiungere la bambina, nascosta tra l’angolo e il letto.

    “Non metterti in mezzo Alshain”
    “Un giorno mi ringrazierai..."

Prese la bambina urlante per un braccio e l’avviluppò nel suo mantello, smaterializzandosi all’istante. Con rabbia mi guardai intorno, distrussi alcune suppellettili e sfasciai la porta, di corsa tornai nell’altra stanza, presi il cadavere di Elizabeth e mi smaterializzai, diretto a Grimmauld Place. Dovevo farmela bastare, quel bastardo mi aveva privato dell'ultimo lasciapassare.

***

Orion Black
Cape Ham, Highlands - agosto 1964

    “Non dici nulla?”

Alshain era seduto sulla sabbia, gli occhi persi da qualche parte sul triangolo estivo, prendeva la sabbia e la lasciava scivolare via, meccanicamente, io non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso, quei tatuaggi m incutevano una sorta di religioso rispetto…

    “Quindi hai proprio deciso di farlo … “
    “Sì, d’accordo? Non sono qui per farmi fare la morale, tanto ho ormai deciso… Ho fatto una cazzata dietro l’altra, una più, una meno…”
    “E ti senti pronto anche nei confronti della bambina?”
    “Che vuoi dire? Credi non ne sia capace? Io non ho più nulla da perdere, Alshain!”
    “Orion!”
    “Vorresti proteggere chi ha distrutto la mia famiglia?”
    “Non l’ha certo scelto tua figlia! Inoltre vorrei che non ti rovinassi del tutto la vita…”
    “Vita? Quale vita? Io …”
    “Lo faremo insieme… Tu ti occuperai di Elly, io della bambina…”
    “La tua grande idea per salvarmi è forse quella di dividere la cella ad Azkaban con me? Non credo che Deidra sarebbe felice di questo… ed io nemmeno, tu sei il padrino dei miei figli, hai una responsabilità nei loro confronti…”
    “Lo so, per questo devo farlo io, al tuo posto. E per questo mi assicurerò che nessuno ne sappia mai niente...”
    "C'è sempre il complice..."
    "Credo abbiano già ottenuto quello che volevano..."
    "Abbiano?"

Scrisse i due nomi sulla sabbia, e rapido li cancellò, io rimasi orripilato, ma fino a un certo punto, in fondo sospettavo di loro anch'io.

    "Ma sei pazzo? Come puoi pensare..."
    “Sei talmente ingenuo, Orion, che a volte dubito che tu sia davvero un Black...”

Lo guardai con odio, come osava insinuare, anche lui...

    “Il primo dei due, in particolare... non ho le prove, non ancora, ma sono convinto che sia il mandante dell'attentato a mia moglie… non ne capivo il motivo, all'epoca, ma ora... ero a tanto così dal capire… Conoscevo Edgecombe, quando ho saputo che era morto… e al funerale l’ho vista... volevo parlartene, ma, guarda caso, quella stessa settimana Dei e Mir furono attaccati… è bastato quel periodo di confusione… quando ho ripreso in mano la situazione le tracce erano ormai sparite. E visto quanto eri felice, non me la sono sentita di... che idiota!"
    “Ma perché? Perché?”
    “Perchè se sei solo ti governano meglio, Orion… perché sei da sempre pericoloso col tuo cervello che ragiona senza rispettare le convenzioni. Perché tu e tua moglie avete rotto un tabù, vi amate sul serio, e c’è il rischio che i vostri figli si comportino come voi… Orion, secondo me stai commettendo un errore… non dovete tornare indietro, non dovete cedere, gliela dareste vinta…”
    “Se è come pensi tu, Al, se non intraprendo quella strada, la prossima mossa potrebbe essere contro Walburga o uno dei bambini... Preferisco sacrificarmi io...”
    “Orion… è la loro libertà che stai sacrificando... la loro felicità...”
    “Tu sei il loro padrino, Al… e Walburga ti vuol bene, non ti impedirà di stargli accanto... Fallo al posto mio… fai in modo che vedano come sono attraverso te… ti prego, te li affido come se non ci fossi più…”
    “Orion… ma ti rendi conto che stai dicendo delle cazzate?”
    “Devi giurarmelo... Voglio che stiano qui, con te, proponilo come fosse un'idea tua… ti prego… Io devo fingere di non amarli, devo allontanarli da me, ma tu... devi tornare a Londra, Alsahin, ogni tanto, devono conoscerti…. Ti prego…”
    “Certo che verrò da voi, certo che li inviterò a Herrengton... ma perchè devi privarli del loro padre?"
    "Perchè io non merito più di stargli accanto..."
    "Mi sembra che sia un prezzo troppo alto da pagare al sangue dei Black..."
    "No, Alshain... non sono indegno perchè ho avuto quella bambina, sono indegno perchè mi macchierò del loro sangue... Ed è per questo che devo fare tutto io,nn posso lasciare che ti sporchi anche tu..."
    "D’accordo, ma a una condizione… io sarò al tuo fianco…”



*fine intermezzo*



NdA:
Finisce così, com'era iniziata, questa lunga carrellata sulla vita di Orion Black: accanto ad Alshain Sherton. Questo intermezzo non è esaustivo, mancano vari episodi importanti che hanno caratterizzato la storia di Orion in relazione a Alshain, Walburga e i bambini, non vi ho detto chi erano i complici di Elly e che fine ha fatto Margareth, di tutto questo parlerò a tempo debito. Il mio scopo "attuale" era far capire un po' meglio il "mio" Orion, mostrare le circostanze che l'hanno portato a essere così diverso dalla sua indole, riallacciandomi agli indizi lasciati in giro nei precedenti capitoli. Possiamo intuire già anche i motivi che hanno portato Walburga a trasformarsi nella donna terribile che ci descrive la Row, in futuro prometto che avrà modo anche lei di dire la sua. Colgo l'occasione per ringraziare tutti coloro che hanno letto, aggiunto alle liste e/o commentato. Alla prossima.

Valeria



Scheda
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