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Autore: ILParide    02/09/2015    0 recensioni
Presente anche sul sito ufficiale, questa è la mia prima fanfic. Penso si presenti in un modo un filino diverso rispetto alle storie che ho avuto modo di leggere qui finora.
La storia ho in programma di dividerla in 4 parti, la cui prima (Prometheus) è già completa, e la seconda (Hercules) già in lavorazione. Aggiungerò in futuro la presentazione delle ultime due.
PROMETHEUS: "Cosa succede quando un normale lavoro smette di essere un normale lavoro? Un normale incarico mette in moto meccanismi molto, molto più grandi dei protagonisti..."
HERCULES: "Tutto porta con sé dei ricordi. Anche quello che non vogliamo. Una semplice competizione sportiva si trasforma in una ricerca di vendetta"
EPIMETHEUS: "Work in progress"
PANDORA: "Work in progress"
Dato che ho parole da spendere:
Siccome onestamente non mi piace descrivere scene romantiche, e un po' perché il romanticismo dilagante nelle fanfic mi stomaca un po',questa storia ne sarà pressoché assente. Spero che questa mia premessa non vi abbia fatto perdere la curiosità, e buona lettura.
Dal prologo:
"Ora, lei provi a pensare a questo posto come alla pattumiera di Dio. Ci si potrebbero trovare un bel po’ di cose interessanti, non crede anche lei?"
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2: A Tale of Ordinary Madness

Benché avesse solo ventotto anni, era già il presidente generale della Haan Electronics. Aveva cominciato a lavorare per quella che era ormai la sua compagnia dal secondo anno di università. Dopo aver conseguito una laurea magistrale in biotecnologie applicate alla prestigiosa università di Northern con il massimo dei voti in soli tre anni, iniziò una rapidissima scalata al potere di un’anonima casa produttrice di software di seconda categoria, quella che, al tempo, si chiamava ancora col pomposo nome di Majestic. Ora l’azienda aveva cambiato totalmente faccia: per le sue innovazioni in ambito di biotecnologia e meccanica, era diventata una importante casa di sviluppo di protesi meccaniche ad alta tecnologia ed efficienza. All’età di ventiquattro anni si era sposato, e una volta raggiunto il posto di direttore, prima di rilanciare l’azienda con i nuovi prodotti, ne aveva cambiato il nome in onore della moglie, Ara Haan, della quale aveva preso il cognome, secondo l’usanza dei demoni.
Add Haan, quel giorno, se ne stava tranquillo nel suo studio al trentasettesimo piano del suo grattacielo in centro a West City, a “svolgere alcune pratiche”, o più precisamente a leggere fumetti stravaccato sulla sedia da ufficio, facendo soltanto qualche telefonata ogni tanto a chissà chi, come da più di un mese aveva cominciato a fare, tutti i giorni. Fino a poco tempo prima, l’ufficio del direttore accoglieva a qualsiasi ora del giorno e, spesso, della notte, turbe di collaboratori che discutevano, disegnavano circuiti, proponevano questo o quel materiale, questo o quel comando da usare piuttosto di un altro, apponevano migliorie ai prodotti esistenti e ne ipotizzavano di nuovi. Un mese e mezzo prima, l’élite dei tecnici della società, guidata da Add in persona, stava per attivare quello che lui definiva “il suo progetto definitivo”. Per più di un anno, Add e la sua équipe di tecnici avevano scritto e riscritto programmi, elaborato algoritmi, effettuato prove, avanzato e verificato ipotesi. Sembrava che tutto avrebbe funzionato. Il giorno della messa in moto, invece, niente. Nessun risultato. Add si era chiuso nel suo studio per una settimana, dopodiché aveva cominciato la sua strana routine lavorativa di fumetti e telefonate.
La posizione scomposta non si addiceva per niente all’abito che indossava quel giorno, giacca, cravatta, pantaloni e scarpe neri su una camicia bianca, né alla scintilla instancabile nei suoi occhi rossi da albino, contornati da una pelle e una capigliatura bianchi come il latte. Era talmente assorto dalla lettura che non aveva sentito bussare alla porta, così che il suo segretario era dovuto entrare lo stesso per scuoterlo.

Segretario: “Direttore? Direttore!”

Add aveva come l’espressione come di un bambino preso con le mani nella marmellata.

Segretario: “Direttore, è arrivata una donna che dice di avere un pacco per lei. La faccio entrare?”
Add: “Eh? Oh, sì, sì.”

Aspettava, da un giorno all’altro, la fornitura mensile di crema solare per l’eliofobia, quindi non fece molto caso alla visita. Evidentemente, non si aspettava ciò che sarebbe successo. Con aria scocciata, entrò Rena reggendo un materasso.

Rena: “Il signor Haan?”
Add: “A cosa … a cosa devo l’onore?”
Rena: “Le porto dei materassi, signor Haan. Sono, ehm, in regalo dalla nostra ditta.”
Add: “Ma perché- ?”
Rena: “Mi dà una mano? Sa, ho una tabella di marcia da rispettare, io.”
Add: “Una tabella di marcia? Anzi, no, piuttosto, mi scusi, ma penso che qui ci sia un errore. Non ho bisogno di materassi, io.”

Rena si era intanto liberata del suo peso e, lasciato il primo materasso sul pavimento, stava avviandosi alla porta per prenderne un altro. Add fece appena in tempo a fermare l’ascensore, bloccato che era dalla confusione, per raggiungerla e protestare. Ed era talmente preso dalle sue proteste da non accorgersi di star effettivamente aiutando la donna ad infilare nell’ascensore un ingombrante materasso a due piazze. Parve rendersene conto solo al secondo viaggio in discesa dell’ascensore.

Add: “Aspetti un momento… ma cosa mi sta facendo fare, lei?!”
Rena: “Mi sta dando una mano, no? Non vedo cosa ci sia di male.”
Add: “Ma mi sta riempiendo l’ufficio di materassi!”
Rena: “Sempre meglio che di qualcos’altro, no? E poi, le ho detto che sono un regalo! Lei rifiuterebbe un regalo?”
Add: “Ma proprio in ufficio me li dovete piazzare? Insomma, non sarebbe meglio a casa, o cose del genere?”
Rena: “No, mi dispiace. Ho il preciso ordine di tappezzarle il pavimento di materassi, e se mi chiede il perché, beh, non ne ho la più pallida idea.”

Add era sempre più confuso. Se era davvero una campagna pubblicitaria, l’avrebbe definita sicuramente il peggior fiasco nella storia. Convincendosi che prima sarebbe finita quella surreale situazione, prima avrebbe potuto tornare a “concentrarsi”, si rimboccò le maniche per aiutare Rena.
Più o meno verso mezzogiorno, i due finirono di sistemare anche l’ultimo materasso. I mobili erano stati addossati all’unico muro non composto da pannelli di vetro o portati fuori dall’ufficio, dietro la cui porta si era radunata una folla di curiosi.

Add: “Bene, e ora cosa dovrei farci?”

Rena si lanciò sul pavimento morbido e si sdraiò.

Rena: “Che ne dice di quattro salti?”
Add: “C-cosa?”
Rena: “Ahahahahah! Scherzo, lo so che è sposato. Peccato, però.”

Ma in che razza di situazione era finito? Chi diavolo era quella donna? E perché, soprattutto, non sembrava avere la minima intenzione di andarsene?
Proprio mentre stava pensando di chiamare la polizia, all’intrusa squillò il cellulare.

Rena: “Olà! Abbiamo finito proprio adesso … sì, sì, come hai detto tu … come? Via dal muro di destra? Ok … senti, ma mi spieghi che … eh? Ha riattaccato! Comunque, lei, si sposti dal muro a destra, ha sentito, no?”

Add, titubante, si spostò verso il centro della stanza, e fu raggiunto da Rena. Ci capiva sempre meno.

Add: “Senta, io già non mi spiego questa sua intrusione, ma vuole anche accamparsi qui, o cosa?”
Rena: “Ah, vallo a capire. Succedono cose di questo tipo, quando il tuo datore di lavoro è in perfetto idiòta.”
Add: “Sì, ma io che c’entro?”


UUUOOOOOOOOOOOOH!

Nessuno dei due capì cosa aveva sentito: qualcuno fuori stava forse urlando? No, i curiosi dietro la porta erano tutti tornati alle loro regolari occupazioni. Veniva dalla strada? Poco probabile, erano al trentasettesimo piano, non avrebbero potuto sentire un rumore del genere.
Un rumore che, tra l’altro, pareva avvicinarsi.
Guardarono entrambi verso la parete di destra, ricordandosi dell’avvertimento telefonico. Niente.


CRASH!

Uno dei grandi pannelli di cristallo che formavano il muro adiacente a quello che Add e Rena stavano guardando si distrusse in migliaia di schegge di vetro che volarono ovunque. Da ciò che rimaneva del vetro uscì, precipitando verso di loro, un uomo dai capelli rossi e con due spade corte in mano. Atterrò sui materassi e rotolò un paio di volte prima di fermarsi, per non farsi male. Dopodiché, si rialzò, dolorante, rinfoderò le spade e si congelò in una improbabile posa da locandina di film. Sembrava terribilmente soddisfatto della sua entrata, malgrado le braccia e le gambe piene di tagli. Add era totalmente incredulo e spaventato, Rena solo rossa di vergogna.

Add: “U-un terrorista?! Sicurezza! Aiuto!”
Rena: “… no, è solo un idiòta. Un idiòta che stasera le prende.”
Add: “Signorina, lei conosce questo squilibrato?”
Rena: “Peggio, molto peggio. Costui è quell’idiòta del mio capo, niente meno che Elsword Sieghart, il “recuperatore” che ha chiamato qualche giorno fa. Io sono Rena, ci siamo parlati prima che glielo passassi.”

Elsword si era intanto iniziato a bendare le braccia con delle garze prese da una cassetta di primo soccorso uscita da chissà dove. Rena si rialzò da accovacciata che era, e si diresse verso il collaboratore.

Rena: “Ti sei fatto male?”
Elsword: “Eh? Certo che no. Sono d’acciaio, io.”
Rena: “Perfetto. Almeno non mi sentirò in colpa.”

La donna gli sferrò un poderoso calcio … proprio dove faceva più male, ed Elsword si piegò in due per il dolore. Perfino a Add parve di sentirlo, quel calcio, e provò quasi pena per l’uomo che gli aveva appena distrutto un pannello di vetro affumicato da quasi diecimila Del, e che gliene sarebbe presto costati un altro milione.

Rena: “Stùpido! Avresti potuto ammazzarci!”
Elsword: “Beh, però non vi siete fatti niente.”
Add: “Non certo per merito tuo.”

Elsword notò che i detriti erano riusciti ad arrivare solo fino ad un certo punto, a circa un metro da dove prima erano Add e Rena. Era come se fossero stati tutti accatastati addosso ad un muro invisibile. Dagli angoli della stanza si riunirono attorno all’uomo dai capelli bianchi sei piccoli droni neri dall’aspetto di rombi schiacciati. Volavano silenziosamente ed erano sprovvisti di eliche, al contrario di qualsiasi altro tipo di drone, e di telecomando.

Elsword: “Forte, questa roba della barriera. Me la fai provare?”
Add: “Scordatelo.”



Add li fece accomodare in un altro studio, dal momento che il suo era inagibile. I tre si sedettero attorno ad una scrivania.

Add: “Vi dice nulla il termine “nasod”?”
Elsword: “L’organod per sentire gli odorid?”

Rena tirò un violento cazzotto sulla testa del suo capo.

Rena: “Scherzi a parte, no, niente.”
Add: “Bene … beh, in realtà devo dire che mi sorprenderebbe se ne aveste già sentito parlare. In poche parole, dovrebbero essere un gruppo di forme di vita artificiali molto antiche, ormai estinte da tempo, che pare abbiano abitato questa zona del continente fino a un certo periodo, per poi scomparire, all’improvviso e senza un motivo valido.”
Elsword: “Forme di vita artificiali? Tipo dei robot?”
Add: “Qualcosa del genere, tuttavia, pare che fossero incredibilmente più intelligenti di qualsiasi intelligenza artificiale costruibile dall’uomo. Si pensa che fossero addirittura capaci di provare sentimenti e pensare!”
Rena: “E a lei cosa servirebbe un robot pensante?”
Add: “Beh, è una storia piuttosto lunga. Diciamo che voglio divertirmici un po’ a studiarlo.”
Elsword: “Quindi in sostanza noi ti troviamo il tuo bel giocattolino e sei contento, poi ci dai il milione e noi siamo contenti. Ho capito bene?”
Add: “… per sommi capi, sì. Comunque, vorrei che me ne trovaste uno in particolare. Pare che ve ne fosse uno, tra i vari, con un’intelligenza quasi perfetta, quasi come quella di un umano o di un demone. Trovate quello, e avrete il vostro milione.”
Rena: “Mi sembra piuttosto vago … che ne dici, Elsword?”
Elsword: “Prepara il contratto, Rena. Oggi ricominciamo a lavorare.”

Dubbiosa, Rena prese un foglio bianco e si mise a scrivere qualcosa. Una volta finito, lo passò a Add perché lo firmasse: era il contratto di assunzione. Il committente lo lesse attentamente, mentre gli altri due si scambiavano occhiate complici.

Add: “Cosa? Perché dovrei accollarmi le spese di trasporto e l’assicurazione sulla vita? E la riparazione delle spade? E qui c’è scritto che me la devo portare a letto! Ma che diavolo di contratto è?”
Elsword: “L’ultima parte la puoi saltare, se vuoi.”

Esasperato, Add firmò finalmente il foglio, dopodiché accompagnò gli altri all’uscita. Una volta solo, tornò con lo sguardo sul contratto, sulla cui ultima clausola aveva fatto innumerevoli scarabocchi.

Add: “Avrò fatto davvero bene a fidarmi di due così?”
   
 
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